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03 Ago 2010  |  119 Commenti

Gelosia patologica

Salve uomini di sinistra, io sono una donna di sinistra. Vorrei fare qualche considerazione.

Non scomodiamo il femminismo storico ma analizziamo la situazione attuale e cioè,scusate la semplificazione, le donne si sentono sempre piu’ consapevoli del loro ruolo nella società, nella famiglia e anche nelle relazioni affettive.

Invece l’uomo sta perdendo  stima di se ,sicurezza. Se no non mi spiegherei tutti questi comportamenti patologici che lo portano ad ammazzare le donne che ama.

Vi chiedo perche state diventando insicuri e fragili? E di contro narcisisti al  punto da aver sempre bisogno di conferme da parte degli altri? Però scusate non voglio generalizzare anche se ultimamente se ne sentono tante.

Vi ringrazio se vorreste aprire un dibattito su questo argomento e cioè sulla GELOSIA PATOLOGICA.

L’uomo sta diventando carnefice? Sto esagerando lo riconosco però  le cronache ce lo dimostrano.

Come fa una donna a sopportare un compagno che l’accusa continuamente di sospetti,bugie tradimenti? E’ questa la patologia grave ,la gelosia morbosa che fa scappare una compagna nonostante nutra un forte sentimento verso l’uomo.

Aiutatemi a capire. Vi ringrazio.

Anna.


119 Commenti

diait 11:43 am - 27th Ottobre:

non credo di condividere la tua prospettiva, armando. Per me non è un problema di femminile/maschile, di ruoli e di modelli (anzi, trovo abbastanza inutile la classificazione dei due “tipi” come a volte la vedo rappresentata qui). Per me resta principalmente un problema trasversale (trans-genere) di abuso di potere, di violazione dei confini, di sconfinamento generale di un individuo X ai danni di un individuo Y, quando Y non è in grado di difendersi e/o contrastarlo. QUESTO è il busillis, o il macGuffin, o come vuoi chiamare il nodo centrale della faccenda. Che poi, nel ramo famiglia e figli, quell’X sia stata più spesso una donna, e quasi sempre lo sia ancora, è un fatto storico-statistico, legato alla biologia ma anche e soprattutto alla cultura (ormai vediamo tutti i giorni quanto se la cavano bene i papà).

Quindi non ne faccio una questione di mamme e papà, femmnile e maschile, ma di onestà, di rispetto e di assunzione di responsabilità.
Un bambino non violato nei suoi confini psico-fisici molto difficilmente diventerà un violento o una violenta. Indipendentemente dal genere di chi quei confini li ha violati.

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diait 12:08 pm - 27th Ottobre:

p.s. una nota a margine. Quando nei blog femministi introducevo il tema della responsabilità delle donne (da dove vengono i maschi violenti?), il massimo che riuscivo a ottenere erano ammissioni del tipo “Be’, sì, noi per prime dovremmo educare i figli maschi a rifarsi il letto e a cucinare”. Cioè una cosa che non c’entra niente con le loro (nostre) VERE responsabilità e con le cose che VERAMENTE fanno la differenza.

Un maschio che sa rifarsi il letto e farsi da mangiare, ma si porta dietro una rabbia compressa e un senso di impotenza stratosferici, non dà nessuna garanzia di non esplodere da un momento all’altro. Idem per la femmina a cui è stato insegnato a giocare a pallone e a smontare un lavandino, in un habitat analogo.

CONFINE INDIVIDUALE. E’ sacro.

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Manolius 6:17 pm - 27th Ottobre:

Condivido quasi tutto degli ultimi interventi, Diait, Doctor, Fabrizio etc.; …mi piacerebbe riassumere tutto molto semplicemente così: a forza di castrare tutti i maschi per paura di una infima percentuale di violenti, il femminismo (quindi le donne) ha creato una massa di castrati repressi quindi pericolosissimi. Un raro esempio di totale idiozia applicata al management…mi domando cosa accadrebbe se una di queste spastiche – o un povero castrato maschio pentito – finisse a dirigere dall’alto, ma veramente dall’alto, una qualche combriccola a prevalenza maschile tipo una forza armata. Mi sa che la guerra termonucleare totale vedrà nella stanza dei bottoni una qualche Hillary Clinton.

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Manolius 6:27 pm - 27th Ottobre:

“Che gli uomini e i padri la smettano di rincorrere sempre l’approvazione delle donne, se ne sgancino emotivamente cioè, e ricomincino a fare quel che ritengono giusto per un uomo, con la consapevolezza che ciò che hanno fatto nei millenni non era contro le donne o per acquisire per sé vantaggi ingiusti, ma era per il bene di tutti.” Pur essendo io uno che non conta un cazzo, Arma’, spero che ti lusinghi almeno un po’che io sottoscriva col sangue quanto scrivi. Mi duole notare che soprattutto per il fatto che hanno in mano uno strapotere devastante non finiranno affatto a fare il tifo per noi se “ci sganciamo” da loro, ma anzi…quando mai si è visto Marchionne che scende dall’ufficio e va ai picchetti sotto la FIAT a distribuire tè caldo e pasticcini agli operai che scioperano? Io sono sicuro che vinceremo, ma altro che applausi ci riserveranno. Preparate i giubbotti antiproiettile, piuttosto.

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diait 7:54 pm - 27th Ottobre:

se fossi un uomo, prima di prefigurare una guerra totale all’ultimo sangue maschi contro femmine, farei una cosa forse più semplice e insieme efficace: comincerei a cambiare i critieri in base ai quali fino ad oggi ho scelto le mie femmine, premiando – evidentemente, se lo stato di cose è questo – i modelli peggiori sul mercato.

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diait 9:01 am - 28th Ottobre:

p.s. oltre ai suv e alle decappottate, ce stanno pure le diesel, eh, ragazzi.

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Fabrizio Marchi 10:48 am - 28th Ottobre:

“Mi duole notare che soprattutto per il fatto che hanno in mano uno strapotere devastante non finiranno affatto a fare il tifo per noi se “ci sganciamo” da loro, ma anzi…quando mai si è visto Marchionne che scende dall’ufficio e va ai picchetti sotto la FIAT a distribuire tè caldo e pasticcini agli operai che scioperano?” (Manolius)
Termine di paragone correttissimo. La dialettica conflittuale maschile/femminile (come qualsiasi altra relazione dialettica) è strutturale e inevitabile, per tante ragioni che abbiamo più volte spiegato (a prescindere dal fatto che chi scrive, come è ormai chiaro, è un sostenitore della Dialettica).
Non si tratta di negarla, piuttosto di affermarla e riconoscerla in quanto tale. Solo in questo modo sarà possibile affrontarla in modo positivo, anche e soprattutto per quelle che sono le sue intrinseche e oggettive contraddizioni, con le quali, sia chiaro, è necessario convivere, in un costante e continuo e molto probabilmente infinito (aveva ragione Fichte, da questo punto di vista, a mio modestissimo parere, e sbagliavano sia Hegel che Marx; spero naturalmente di essere perdonato dallo Spirito Universale per la mia presunzione e per la impropria e improvvida citazione dei giganti …smile ) su qualsiasi processo che consente, di volta in volta, di riposizionarsi su equilibri sempre più avanzati.
E’ proprio (o anche) la negazione di questa dialettica (che proprio in quanto tale, essendo data, per lo meno dal mio punto di vista, è costitutiva della vita stessa)che conduce invece ad un conflitto inevitabilmente distruttivo e in quanto tale destinato quindi a condurre in tutt’altra direzione rispetto a quegli equilibri più avanzati di cui sopra.
Badate che non è una questione di lana caprina: tutt’altro. Proprio l’ottimo esempio portato da Manolius ci aiuta in tal senso. Coloro che hanno, ad esempio, la pretesa (e la presunzione) di negare il conflitto sociale, negano contestualmente anche la dialettica, senza fornire nessuna alternativa concettuale e, per quanto mi riguarda, nessuna spiegazione filosoficamente convincente di questa loro negazione. Né tanto meno hanno interesse a darla.
Ma il discorso si amplierebbe troppo, come sempre, e quindi mi fermo.

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Manolius 2:17 pm - 28th Ottobre:

se fossi un uomo, prima di prefigurare una guerra totale all’ultimo sangue maschi contro femmine, farei una cosa forse più semplice e insieme efficace: comincerei a cambiare i critieri in base ai quali fino ad oggi ho scelto le mie femmine,”
Diait, scrivendo questo non fai altro che spostare il problema dal generale al particolare, come dire che se qualche uomo dà contro alle donne è perché finora è stato solo con delle stronze…mi sa che è un po’troppo semplicistico, non pensi? Come quando un lavoratore si fa rodere di fronte all’ennesimo abuso e gli vai a dire: “eh, ma vedi, sei stato sfortunato, quella è un’azienda di stronzi…alla prossima andrà meglio”. Magari lo puoi dire al metalmeccanico di vent’anni che ha cambiato due officine in tutto…

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Manolius 2:41 pm - 28th Ottobre:

Una piccola precisazione filosofica per Fabrizio: io penso che la dialettica più ce svolgersi per cicli eterni di tesi ed antitesi, si svolga per cicli eterni a spirale, (come diceva un russo con il pizzetto) tesi – antitesi – sintesi > tesi’ – antitesi’ > sintesi ‘ > tesi” – antitesi” – sintesi ” e così via…

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diait 3:16 pm - 28th Ottobre:

manolius: non trovi che il piagnisteo maschile sulla donna che pretende, che si fa campare, che ti dissangua (o che non te la dà) sia il corrispettivo del piagnisteo femminile sull’uomo che a casa non collabora, che ti tradisce, che ti bistratta (o che non ti sposa)?
SCEGLIETE MEGLIO, giovinotti e giovinotte. O datevi ad altri svaghi e interessi.

Effettivamente, per essere semplice è semplice.

Poi c’è il discorso (meno privato) della propaganda, dell’ideologia e delle politiche “femministe”, e quella è un’altra storia.

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Leonardo 4:59 pm - 28th Ottobre:

diait:
…non trovi che il piagnisteo maschile sulla donna che pretende, che si fa campare, che ti dissangua (o che non te la dà) sia il corrispettivo del piagnisteo femminile sull’uomo che a casa non collabora, che ti tradisce, che ti bistratta (o che non ti sposa)?
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No. Assolutamente. Il primo è dovuto quasi ad una regola fissa (e se tutti i maschi facessero quel tipo di piagnisteo forse non ci sarebbe una QM) , il secondo è fuggire da quella regola.

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Fabrizio Marchi 6:16 pm - 28th Ottobre:

“Diait, scrivendo questo non fai altro che spostare il problema dal generale al particolare, come dire che se qualche uomo dà contro alle donne è perché finora è stato solo con delle stronze…mi sa che è un po’troppo semplicistico, non pensi?” (Manolius)
Sottoscrivo. Diait è specializzata nel capovolgere il metodo aristotelico o quanto meno ad interpretarlo a senso unico.
La sua tesi potrebbe essere in linea teorica applicata a tutto lo scibile umano. Fai una lavoro alienante che non ti piace, magari precario e sottopagato? “Trovatene un altro invece di lamentarti…datti da fare, muovi il culo e vedrai che i risultati prima o poi arrivano…”. “Non trovi lavoro nel tuo paese? Bè, emigra, che aspetti…”. E così via…
E’ ovvio che con questa sorta di “filosofia della semplificazione” si chiude ogni discorso. Probabilmente non sarebbe neanche nato il pensiero filosofico, la letteratura, la poesia, neanche la politica avrebbe senso di esistere, se non come mera amministrazione dell’esistente. E infatti, non a caso, oggi la chiamano “governance”. Fa anche molto “british” e piace tanto alla nuova (si fa per dire…) ruling political (and financial) class che al latino e al greco preferisce l’inglese (specie quello che si parla a Wall Street) e ai miei cari vecchi filosofi classici preferisce l’economia politica. Questa sì, classica (la sola cosa classica che apprezzano…), quella senza la critica dell’economia…
E per la verità, se la vogliamo dire tutta, le correnti pragmatiste, leftist o rightist che siano, di anglosassone (e soprattutto americana) derivazione, non è che nutrano tutto questo irrefrenabile bisogno di filosofia…Non amano complicarsi la vita, anche perché una filosofia ce l’hanno già, e anche molto concreta. Sappiamo bene quale…
E va bè, in questo caso scontiamo le nostre diverse visioni del mondo e della vita stessa. Naturalmente anche in quello che dice Diait (come ho detto più volte) c’è del vero. Ma qualcosa di vero (poco o tanto, non è ora questo il punto) c’è in tutti o quasi i punti di vista, a meno di non essere degli ideologizzati con il paraocchi, cosa che avviene in moltissimi casi, specie in tempi di rifiuto delle ideologie. Non c’è nulla di più ideologico dell’antiideologia, che è essa stessa ideologia. Un margine di ideologia è infatti inevitabilmente contenuto in tutte le forme di pensiero, essendo queste comunque delle interpretazioni della realtà. Nè potrebbe essere altrimenti.
Si tratta naturalmente, come sempre, di trovare il giusto punto di equilibrio e di avere la necessaria lucidità per un’osservazione quanto più possibile lucida della realtà stessa.
P.S @ Diait. Questo post non vuole essere nel modo più assoluto una polemica personale con te. Anzi, proprio alcuni tuoi interventi mi offrono la possibilità di approfondire alcuni temi a me cari, come in questo caso quello della desertificazione delle coscienze operata dalla ideologia capitalistica post borghese e dalle “filosofie” pragmatiste e ultrapragmatiste anglosassoni. Queste ultime, a mio avviso, svolgono una funzione decisamente nefasta, molto più del cosiddetto “pensiero debole”, che comunque, a mio parere, ha sicuramente una sua dignità e un suo valore filosofico (ed è rappresentato da pensatori di assoluto valore).

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doctor doctor 6:22 pm - 28th Ottobre:

Completo il post precedente accennando ai trattamenti sugli uomini violenti che si basano sulle teorie di genere.
Il motivo per il quale lo faccio è perché si stanno promuovendo iniziative volte a offrire delle opportunità di cambiamento agli uomini che maltrattano la partner. Inoltre, alcune persone cominciano a pensare che la prevenzione nelle scuole può essere utile per i futuri aggressori (ma abbiamo visto che non è così), ma certamente non serve a nulla per gli uomini adulti.
Vi sono già alcuni centri come quello di Firenze (uno psicologo che lavora in questo centro scrive sul Fatto Quotidiano) che offrono aiuto a questi uomini (in modo molto discutibile, a giudicare da come presentano il loro modello di intervento); infine, ne parlo perché recentemente è uscito un volume intitolato “Uomini che maltrattano le donne che fare?” edito da Carocci che illustra come gli interventi, per essere efficaci devono assumere una prospettiva di genere quale requisito fondamentale.
I trattamenti basati sul genere che le autrici e gli autori auspicano sono detti psicoeducativi (la psicoterapia è ritenuta inefficace e deleteria in termini politici perché giustificherebbe gli uomini violenti facendo loro credere che hanno qualche problema che non dipende da loro e dalla volontà di opprimere le donne) e si rifanno ai modelli Duluth e Emerge.
Secondo questi modelli la violenza maschile è concepita come uno strumento di potere e di controllo che origina nel patriarcato e mira a rendere gli uomini dominanti e le donne dominate; questo è il frutto di una socializzazione maschile che vede gli uomini educati ad assumere ruoli di dominanza verso le donne. Niente di più e niente di meno. Se la donna usa violenza all’interno della coppia questa viene sempre letta come autodifesa dalle violenze dell’uomo, non importa quale sia la realtà.
Gli aspetti educativi di questi modelli (invocati dalle femministe a dalle paritarie che seguono le teorie di genere) consistono nel fatto che la violenza ha come obiettivo quello di mantenere e perpetrare i “privilegi maschili” che esistono all’interno delle strutture patriarcali (le donne dei vari paesi sembrano fare a gara a chi ha il paese più maschilista d’Occidente).
Vediamo quali sono alcuni di questi privilegi maschili: sono credenze quali “l’uomo deve essere il capo della famiglia, le donne considerano gli uomini come bancomat, le donne amano essere picchiate, le donne vogliono essere dominate, le donne che vogliono la parità odiano gli uomini, l’uomo ha diritto di scegliere quale persone la donna deve frequentare”, ecc. Secondo le femministe, i femministi, le paritarie e i sostenitori di questi interventi, questi privilegi sono epidemici e coinvolgono tutti gli aspetti delle relazioni uomo-donna.
Di fronte a questi dati uno si aspetta che gli autori di tali modelli abbiano svolto molte ricerche, accurate, approfondite e sufficientemente rappresentative della popolazione di riferimento per poter arrivare a questa conclusione; in realtà, se si legge il manuale Duluth (il modello più usato), alla base dell’affermazione che la violenza è causata da questi privilegi si scopre che tali giudizi derivano da un campione di 9 persone, 5 donne maltrattate e 4 uomini che hanno completato il programma (la popolazione statunitense è “leggermente superiore”). Potete dunque capire la scientificità e la portata generalizzante di tali affermazioni sulla popolazione maschile. E questo è il primo fallimento annunciato.
I Modelli di genere si focalizzano esclusivamente sul potere, il controllo, gli stereotipi negativi che gli uomini hanno sulle donne, come le donne vengono trasformate in oggetti sessuali o sminuite e oggettivate nelle barzellette sessualmente spinte o in altri tipi di interazioni o fenomeni sociali.
Per facilitare la presa di coscienza di come gli uomini dominano le donne, il facilitatore (il conduttore) si relaziona agli uomini adottando con loro una relazione di tipo schiavistico o coloniale (dal manuale a pp. 49), e inoltre accusa gli uomini violenti di essere degli schiavisti (provate ad immaginare questi uomini come vivono il programma “educativo”). Allo stesso tempo li incoraggia a rispondere in modo educato a rispettoso alla partner quando questa si arrabbia (provate a considerare l’ipotesi se questa è violenta) e a volte chiede loro di scrivere una lettera di scuse per aver causato le violenze.
In altre parole, anziché costruire una relazione sulla fiducia e sull’accettazione della persona (che è cosa diversa dal promuovere assunzione di responsabilità per ciò che uno ha fatto), basano i loro interventi provocando negli uomini umiliazione e vergogna.
Ora, come ho illustrato precedentemente, la vergogna è proprio quel sentimento che gli uomini violenti fanno di tutto per evitare e questo non solo non aiuta, ma non fa altro che peggiorare la situazione. Inoltre, i conduttori non considerano minimamente altri fattori che possono essere importanti quali abuso di sostanze, la violenza della partner, stress lavorativo, difficoltà di comunicazione, disturbi psicologici, scarso controllo degli impulsi, temperamento primariamente violento, ecc.
Tutti questi fattori vengono scartati come scuse che servono a giustificare la violenza e mantenere i privilegi maschili, sottolineando agli uomini che così facendo si comportano da oppressori che non si assumono la responsabilità oppure colpevolizzano la donna grazie al loro maschilismo per perpetrare il patriarcato e i privilegi maschili.
Tutto ciò è anti terapeutico non solo perché non prende in considerazione fattori decisivi per la riuscita del trattamento, ma soprattutto perché non si accoglie la realtà della persona che viene ritenuta menzognera a prescindere, dopo che questa ha fatto uno sforzo enorme per provare a comunicarla sperando di ricevere attenzione e conforto (per gli uomini violenti è difficile parlare delle loro debolezze). Provate a immaginare gli effetti.
Quando a questi uomini si dice che sono privilegiati a causa del patriarcato questi trasecolano: si considerano gli ultimi sulla faccia della terra a possedere dei privilegi; inoltre quando la loro realtà non viene accolta (ossia tutte quelle informazioni che non combaciano con la teoria femminista) imparano ben presto a non indispettire il conduttore, aderendo alle sue richieste pur ritenendole prive di senso (efficacia dell’intervento zero).
Infine, quando viene umiliato e il facilitatore spinge perché sperimenti vergogna per le sue credenze patriarcali, l’uomo per difendersi dalla vergogna comincia a provare rabbia, solo che a questo punto diventa cronica, in particolare se il facilitatore gli ha imposto di scrivere una lettera di scuse alla partner: sarà cronicamente arrabbiato verso la partner che l’ha denunciato e verso il sistema che lo costringe a fare questo percorso.
Questo aumenta il senso di impotenza che gli uomini violenti fanno di tutto per evitare che a sua volta aumenta la rabbia.
L’intervento non ha fatto altro che renderlo più violento.
I tassi di recidiva degli uomini che seguono questi trattamenti sono spaventosamente alti: dal 40% al 60%. I tassi di abbandono arrivano anche al 75%. Per i trattamenti psicologici si è visto che il tasso di recidiva arriva addirittura al 23% in un arco di tempo di 11 anni (un ottimo dato).
I trattamenti di genere sono un fallimento e a mio modo di vedere possono essere molto pericolosi.
Spero di non avere annoiato.

P.S. Ringrazio Fabrizio Marchi e Rita. Preferisco che il mio nome rimanga tale; potete tranquillamente pubblicare il mio intervento, non ho alcun problema al riguardo. Io sto poco in rete e non ho la possibilità di seguire l’andamento del sito ma se volete sapere altre cose sono disponibilissimo a offrire le mie conoscenze nei limiti di quello che so. Grazie per la fiducia.

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diait 9:45 pm - 28th Ottobre:

…. annoiato?
Un intervento superinformativo, concreto e illuminante. Sono andata a leggermi qualche documento sul modello Duluth, incredibile che qualcuno possa avere preso sul serio certe premesse!

La violenza non ha genere.
Soprattutto la violenza domestica, visto che i primi a subirla sono i figli, e dalle madri, stando alle statistiche e ai verbali di polizia.

Ma volendo fare un piccolo test di verifica di questo assunto, userei le cinque domande poste dalla locandina di una help-line per “uomini violenti” che ho trovato affissa in un Commissariato di zona:

1) Ti senti provocato dalla tua compagna e/o da chi ti sta vicino?
2) Ti capita di perdere il controllo quando sei arrabbiato?
3) Ti è mai successo di alzare la voce contro persone a cui vuoi bene?
4) Ti è mai capitato di fare del male fisicamente a una persona cara?
5) A volte ti senti travolto dalle tue emozioni e non sai come fare?

Le domande sono ottime e mirate. Solo che non capisco perché siano declinate al maschile. Una madre abusante potrebbe barrare tutte e cinque le caselle, e molto spesso fa più danni di un marito abusante. Allora perché la help-line è riservata agli uomini, se la violenza esercitata dal più forte sul più debole è UNA, e identica, e ugualmente distruttiva?
Mistero, come cantava Enrico Ruggeri.

Bene se nascono gruppi di aiuto e auto-aiuto per violenti: ma MASCHI E FEMMINE.

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armando 3:53 pm - 29th Ottobre:

Bè, il paragone con Marchionne vale fino ad un certo punto. Se è vero che è molto difficile se non impossibile che chi trae vantaggi da una situazione si adoperi per perderli, la dialettica uomini/donne non è dello stesso tipo. Perchè se diciamo che questa società mercifica ogni aspetto dell’esistenza etc. etc. , vuol dire che, oltre i vantaggi apparenti che concede loro, anche gran parte delle donne ne devono soffrire a livello psichico profondo, e più in particolare soffrono, a mio avviso, del fatto che mentre si trovano a confrontarsi con uomini che hanno dimenticato la loro virilità, loro stesse stanno perdendo la loro femminilità, quantunque non ne siano consapevoli o lo siano solo parzialmente. Da quì la possibilità che alcune donne, non saprei quantificare, più consapevoli di ciò che accade, facciano “il tifo” affichè i maschi/padri riconquistino se stessi. Perchè oscuramente o meno sanno che farebbe un gran bene anche a loro. Credo che chi ha frequentato un setting psicoanalitico lo possa capire bene, ma secondo me è comprensibile anche coi soli strumenti della ragione purchè applicati bene.
armando

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armando 4:01 pm - 29th Ottobre:

Dimenticavo. Altrimenti, se pensiamo che le donne odino ontologicamente gli uomini invece che essere abbagliate dal mainstream, allora se ne dedurrebbe che. 1) La guerra fra i sessi finirà solo quando uno di essi sarà annichilito da una sconfitta da cui non potrà più risollevarsi. 2) Ci poniamo, nei confronti delle donne come il femminismo pone le donne nei confronti degli uomini, cioè come chi si sente odiato indiscriminatamente dall’altro sesso.
E questa è la premessa affinchè quella tanto auspicata parità e reciprocità non si possa mai verificare, perchè fra chi odia ontologicamente e chi no, non ci potrà mai essere scambio e dialogo. Altro è analizzare la contingenza storica e vederne tutti gli aspetti. Ma si tratta di contingenze, non di ontologie.
Armando

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Fabrizio Marchi 9:29 pm - 29th Ottobre:

Armando, come sai bene, in questo caso scontiamo le diversità che ci sono tra la nostra impostazione da una parte e la tua e quella di altri movimenti maschili, dall’altra.
Nel caso specifico sembra quasi che le parti si siano rovesciate e tu assuma il tradizionale approccio “progressista-culturalista”, anche se capovolto rispetto alla vulgata “progressista” dominante.
E cioè, il problema della relazione MM/FF, sostieni sostanzialmente, non è di natura ontologica ma di ordine socio-culturale. Una volta liberi dall’ideologia femminista, costruzione culturale per eccellenza, i rapporti fra uomini e donne possono tornare ad essere armonici.
Magari così fosse. La questione è enormemente più complessa e l’abbiamo affrontata più e più volte, non solo io ma anche Rino. Non ci torno perché abbiamo scritto in proposito fiumi di inchiostro, tra articoli e libri che peraltro tu stesso hai letto, quindi non avrebbe senso insistere.
Mi limito a ribadire che quello di Marchionne (cioè del conflitto sociale) è in realtà, a mio parere, un termine di paragone calzante, magari non proprio del tutto, ma nel complesso coglie nel segno. Sempre se crediamo nella dialettica come metodo interpretativo della realtà; se poi non ci crediamo è un altro discorso, e allora cambia tutto (non per me, ovviamente…). Ma è su questo che dobbiamo intenderci.
Ora, è evidente che la dialettica fra sessi è diversa da quella sociale, questo è ovvio, però la logica (dal punto di vista filosofico) che la sottintende è la stessa. Se c’è una coppia di opposti nel mondo, questa è proprio la coppia maschile/femminile. Si può discutere un’intera esistenza se questa dialettica sia destinata a condurre ad una sostanziale armonia oppure, viceversa (come io credo), sia destinata a permanere pur, come ho spiegato mille altre volte,a riposizionarsi di volta in volta su equilibri più avanzati (o anche ad arretrare…). Ma sul fatto che quella MM/FF sia una coppia di opposti in relazione dialettica, a mio parere, non ci piove. Il problema nasce se mai probabilmente dal fatto che io, a differenza tua (credo), non solo riconosco la dialettica come metodo di conoscenza del mondo ma la ritengo costitutiva del mondo stesso (e su questo molto probabilmente divergiamo sostanzialmente).
Partendo da questo presupposto, non la considero affatto (la relazione dialettica,e conflittuale) come un fatto negativo. Tutt’altro. La vita stessa non si darebbe senza questa stessa relazione. Il fatto che esistano diversità di natura ontologica-antropologica fra i sessi, vedi asimmetria sessuale ma non solo (so che per te questa è una questione di secondaria importanza ma non possiamo farci nulla…) non comporta necessariamente che queste diversità debbano generare odio, come tu dici. Questa sarebbe una concezione negativa della dialettica stessa (che esiste, sia chiaro, non è un’invenzione, e ha autorevoli illustri pensatori che la sostengono), ma non è la mia. L’odio si genera nel momento in cui questa stessa relazione (dialettica) viene negata, e questo avviene necessariamente quando una delle due parti prende il sopravvento sull’altra, negandola e quindi disconoscendola. Proprio quello che avviene oggi per quanto riguarda la relazione MM/FF, dove sostanzialmente le ragioni maschili vengono non solo ignorate ma appunto disconosciute, appunto perché negate.
Su altri piani, vale lo stesso identico ragionamento. Le classi dominanti, per ovvie ragioni, hanno tutto l’interesse a negare la dialettica, perché riconoscerla significherebbe dichiarare apertamente, se vuoi, ufficializzare, il proprio dominio. E quindi rendere esplicito che esistono dei dominanti e dei dominati. Cosa che, naturalmente, non hanno interesse a fare.
La grande, anzi grandissima questione, è come mantenere questa relazione su un piano che consenta di mantenere le polarità fra loro in relazione dialettica in un sostanziale equilibrio. I grandi dialettici hanno fornito le loro risposte ma nessuno, per lo meno a me pare, ha trovato la soluzione definitiva a questo problema. Soluzione che probabilmente non si troverà mai (e questa è la mia personalissima e modestissima opinione). Personalmente, da questo punto di vista, mi sento molto vicino all’interpretazione fichtiana, come ho detto in altre occasioni, dove la questione è appunto concepita come un processo infinito che tende costantemente verso la “perfezione”, che naturalmente non verrà mai raggiunta. Quindi una dialettica infinita, lineare e progressiva, potremmo dire, a differenza di quella circolare hegeliana.
Io credo che la relazione fra i sessi non possa in alcun modo sfuggire alle leggi della Dialettica (come qualsiasi altro ente o relazione) . Ma, come ripeto, qui siamo nel campo dell’intepretazione filosofica, ed è giusto che ciascuno abbia la sua.
Ciò detto, non è un caso che il femminismo, in particolare quello della differenza, abbia preso in prestito la dialettica hegelo-marxiana (per poi sputarci sopra, ma questo è un altro discorso…) per, portare avanti le proprie tesi. Da un punto di vista metodologico (ovviamente non contenutistico), non hanno sbagliato affatto, anzi. E sempre da questo punto di vista non ho alcuna difficoltà ad affermare che in qualche modo, sia solo in parte, noi capovolgiamo il paradigma. Non completamente, ovviamente, altrimenti saremmo come delle femministe rovesciate nel loro contrario, cioè un movimento di genere altrettanto interclassista, politicamente trasversale, fondato sull’a priori dell’appartenenza di genere, sempre, comunque e dovunque, a prescindere. Se così fosse ci chiameremmo semplicemente “uomini”, e non “uomini beta”. La differenza, come sai, non è da poco…
Ma so che a questo punto le nostre strade si dividono…
P.S. Mi era sfuggita una cosa. La mercificazione degli esseri umani, che è il risultato dello sviluppo capitalistico alla sua estrema potenza , a cui fai giustamente cenno, non è un processo asettico, imparziale, che colpisce tutti e tutte nella stessa misura. Ci sono attori e attrici in “commedia”, con ruoli, funzioni, responsabilità e anche utili differenti. Se spostiamo il discorso su un altro piano e ragioniamo in termini assoluti (esempio che ho già portato diverse volte), dal mio punto di vista, se è per questo, anche il top manager (alla Marchionne, per intenderci) che vive per accumulare denaro, in linea teorica senza limiti (l’accumulazione capitalistica è intrinsecamente senza limiti), che lavora 12 ore al giorno e che ha come unico obiettivo nella vita quello di accumulare plusvalore (oltre a farsi spupazzare nei ritagli di tempo da qualche top escort nella jacuzi delle sue numerose suite), è un alienato.
Proviamo un po’, però, ad andare da Marchionne e spiegargli che anche lui è un prodotto della mercificazione capitalistica, e che in fondo anche lui è un alienato, e prima ne prende coscienza e molla tutto, e meglio è per lui e per tutti. Cosa ci risponderebbe?…
L’esempio, me ne rendo conto è (volutamente) esagerato. Ma in questo modo ci capiamo meglio…

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armando 11:12 pm - 29th Ottobre:

Dai Fabrizio, non ho mai sostenuto che Marchionne sia identico al suo operaio, e mi fai torto a pensarlo. Detto questo, mi fermo di fronte alle diversità di concezioni filosofiche perchè anch’io credo non sia questo il luogo per sviscerarle. Preciso soltanto, per amore della mia verità, che l’armonia non è un concetto assoluto e metafisico, e che il suo raggiungimento umanamente possibile non esclude affatto la dialettica fra le diversità costitutive di maschile e femminile. Ciò perchè diversità non significa, per me, incompatibilità ontologica, bensì complementarietà ontologica. L’ armonia possibile presuppone come condizione necessaria il riconoscimento di tale diversità, ossia che nessuno è totalmente autosufficiente, anche se qualcuno, le donne, tende a crederlo o qualcuno le spinge a crederlo. Credo che su questo anche U Beta concordi. Ne discende, per finire davvero, che il problema della relazione MM/FF ha aspetti ontologici e quindi eterni, ma che non necessariamente portano alla guerra. E’ a questo punto che entrano in gioco i fattori culturali, proprio quelli che oggi tendono a negare il maschile.
armando

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Fabrizio Marchi 9:10 am - 30th Ottobre:

Infatti, Armando, in parte ciò che affermi è quello che penso io. Personalmente credo che il “polemos”, cioè il conflitto fra gli opposti in relazione dialettica, sia costitutivo della vita stessa e ineliminabile ma, come ripeto, non attribuisco una valenza necessariamente negativa a questo, appunto perché credo che proprio da questa relazione scaturisca la vita, che è essa stessa dialettica. La differenza (diciamo una delle differenze) fra me e te è che per te l’armonia (concreta e reale, non astratta o metafisica) è possibile, per lo meno in linea teorica (ma credo anche pratica, tant’è che da quanto ho capito, sono esistiti, secondo te, dei contesti dove il maschile e il femminile si relazionavano in una relativa armonia) mentre secondo me l’armonia assoluta non è possibile e non si è mai realizzata (attenzione a non confondere un delicatissimo e fragilissimo “equilibrio” fondato su rapporti di forza e su una divisione sociale e di genere del lavoro e dei ruoli, con l’armonia), . Questo, fra l’altro, per la semplice ragione che la vita stessa finirebbe.
Anche e soprattutto nella vita quotidiana, anche se la maggior parte di noi non se ne avvede, noi (tesi) entriamo costantemente in un rapporto dialettico con qualcosa o qualcun altro da noi (antitesi) e necessariamente e inevitabilmente siamo spinti/costretti a cercare la sintesi , che secondo me è impossibile trovare definitivamente, ma solo momentaneamente e via discorrendo in un processo infinito. Ma, ripeto, questa è la mia concezione, che è poi quella fichtiana (non ho ancora partorito una personale teoria della dialettica…:-)smile ), e non pretendo certo che sia quella oggettiva. In questa sede mi limito solo a dire, con grande umiltà, che fino ad ora i tentativi di portare a compimento i due più grandi tentativi di sintesi mai concepiti, cioè lo Stato democratico-etico hegeliano e la società comunista marxiana, sono falliti. Il primo proprio in virtù o a causa della sua stessa filosofia, grande e bellissima ma strutturalmente ed esplicitamente “chiusa”, o circolare, per dirla meglio, e senza possibilità di vie d’uscita, dove soggetto e oggetto (tesi e antitesi) finiscono (sintesi) per essere completamente e perfettamente identificati nell’Idea o nello Spirito (fine della Storia). Naturalmente qui ci sarebbe da discutere per una vita intera…E va bè, chiudo e vado avanti…
Al secondo, a mio parere, suo malgrado, è stata applicata dai continuatori/sistematizzatori del suo pensiero, la stessa logica. E quello che era, per quelle che sono le mie modestissime conoscenze, un cantiere volutamente lasciato aperto, è stato trasformato in una dottrina chiusa. Anche qui, fine della Storia e chiusura del cerchio: leggi, assassinio del Marx-pensiero (e qui i positivisti hanno una grande responsabilità, prima ancora, parlo dal punto di vista temporale, dei terzinternazionalisti e degli stalinisti). E anche qui sarebbe da discutere per un’altra vita…
Tornando a noi, secondo me non c’è nulla di più evidente, proprio per spiegare la dialettica e le sue leggi, della relazione maschile/femminile, che è intrinsecamente ed estrinsecamente una relazione dialettica. E, per dirla con una battuta, mi pare proprio che siamo ben lontani dall’aver trovato una sintesi…
E credo che affermare con certezza che la diversità/complementarietà ontologica, costrutti socio-culturali -religiosi a parte che ci sono stati costruiti sopra e che giocano comunque un ruolo fondamentale (ricordiamoci sempre che, per quanto mi riguarda, cultura e natura non sono separabili e uomini e donne sono da sempre enti naturali e culturali nello stesso tempo), vada spontaneamente verso l’armonia (perché questa è inscritta, secondo la tua interpretazione, nella natura stessa della relazione MM/FF, una volta liberata dalle ruggini socio culturali), mi sembra quanto meno azzardato, per lo meno se leggiamo la Storia. Se poi osserviamo la situazione attuale allora non ne parliamo neanche…
Resta il grande sforzo, la grande tensione “versus”, anch’essa costitutiva dell’umano, per ciò che è possibile, per trasformare le cose del mondo. E naturalmente anche e soprattutto questo è un processo dialettico dove tutt’al più cambiano gli attori (e le attrici) ma, come ripeto, la logica che lo sottintende è la stessa.
A mio pare dobbiamo molto ai grandi classici, al di là e oltre i loro errori. Ma errare è parte costitutiva dell’umano, specie per chi, prendendo in prestito le parole del giovane allievo di Preve “sceglie di agire malgrado tutti i rischi che indurrebbero ad agire altrimenti o, semplicemente, a optare per quell’inerzia che, alleata della viltà, rappresenta uno degli opposti della fortezza”.

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