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TRIBUNALE PENALE NELLE SEPARAZIONI, UNA DENUNCIA DA PSICHIATRIA
Da un prima lettura si evince che si tratta di episodi avvenuti nel 2008 ma denunciati addirittura nel 2011, tre anni dopo la separazione! Inserita strumentalmente, come le altre denunce successivamente archiviate, nel procedimento civile per l’affido del figlio.
Con questa denuncia, vengo immediatamente rinviato a giudizio in sede penale sebbene non ci sono elementi a supporto della denuncia, ma subentra anche l’accusa di maltrattamenti psicologici, dove il padre, oltre a subire l’allontanamento forzato del figlio, risulta ancora una volta un violento per natura e quindi solamente la madre può dichiarare qualunque cosa, insomma creduta sulla parola!! .
Voi pensate, come credevo anch’io, che la giustizia fosse veramente uguale per tutti, purtroppo non è così!
Naturalmente non contenta delle tre denunce (oltre a quella pubblicata) e due del padre di lei, tutte archiviate, in quanto: “ la notizia del reato è infondata in quanto gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio”, nessun giudice si è ancora espresso per il reato di diffamazione e calunnia da me denunciato dopo l’archiviazione delle denunce ricevute.
Cosa posso altro aggiungere? Personalmente attendo la chiusura anche di questo procedimento, e speriamo di trovare oltre ad un giudice un buon psichiatra. Lascio a voi ogni riflessione e commento, se ancora ce ne fosse bisogno. Mi chiedo chi riuscirà a fermare questo sistema fatto di discriminazione di genere, di dolore, di perdita di un figlio ,di riduzione in povertà, perpetrate a danno dei nostri figli?
1 Commento
Vorrei qui allargare il discorso e risalire ad una fase precedente a quella in cui compaiono le denunce-querele, fondate o false e strumentali.
Nel secondo caso sappiamo perché vengono fatte le denunce. Vengono fatte per acquisire uno strategico vantaggio giudiziale in fase di separazione, dando un colpo all’ex marito o convivente tale che egli difficilmente potrà risollevarsi e quando lo farà, se potrà farlo, vedendo riconosciuta l’innocenza, ormai i giochi sono già stati fatti, la partita è già chiusa e il malcapitato non potrà più recuperare né la situazione iniziale né l’onore e soprattutto non potrà recuperare il rapporto frantumanto con i figli (vedi recente caso “Non violentò la figlia, assolto dopo 10 anni” http://lanuovaferrara.gelocal.it/cronaca/2013/09/21/news/non-violento-la-figlia-assolto-dopo-10-anni-1.7782974).
Le denunce false, cioè di fatti non avvenuti, sono l’80-90% delle denunce presentate (fonti delle Procure) e questo altissimo numero di denunce strumentali nuoce anche a chi la violenza la subisce per davvero e spesso non presenta denuncia, perché ha davvero a che fare con un coniuge che mena e mette paura.
Però la violenza c’è nelle relazioni ed è agita da entrambe le parti in misura pressoché paritaria, come dimostra un recente studio dell’Istituto Koch (Physical and psychological violence perpetration and violent victimisation in the German adult population). Purtroppo in Italia non abbiamo studi di quel livello e siamo sommersi, specie negli ultimi due anni, da una martellante campagna di propaganda.
Il punto su cui vorrei portare a riflettere è sul perché nell’ambito di una relazione (amorosa) si arriva alla violenza.
Di motivi ce ne saranno tanti, forse quanti ne risultano dalle molteplici combinazioni dei difetti caratteriali di entrambi, ma su uno mi vorrei soffermare: quello collegato con la nascita del figlio, la formazione del triangolo madre-figlio-madredellamadre, l’allontanamento, se non l’espulsione, dell’uomo-padre dalla relazione di coppia e la perdita di senso che questo subisce. E’ un processo molto frequente, più di quanto non si creda, che quando non produce conflitti è solo perché l’uomo subisce e si adatta ad uscire di casa e a dedicare il suo tempo al lavoro o a bighellonare invece che ad accudire il figlio. Gli uomini vengono educati, dalle loro mamme in primis, a cavarsela in questo modo. Ma da quarant’anni in qua, sarà per i grossi mutamenti sociali, sarà per l’emergere di una sensibilità nascosta, sarà per lo spirito del tempo, a molti padri proprio non va, in occasione della nascita del figlio, di seguire il consiglio della suocera, uscire di casa e andare a divertirsi (anche a donnine, come a volte suggerisce la suocera). Essi si ribellano alla riduzione a fornitore di gameti e di denaro, si ribellano alla sottrazione di senso cui sono soggetti dalle donne di casa e non sempre hanno gli strumenti per ristabilire i confini e le attribuzioni alle diverse parti. Anzi, spesso si mettono da se stessi nelle condizioni di non poter agire e da questa condizione e da questo senso di impotenza che partono le prime manifestazioni di violenza verbale, le prime posate sbattute sul piatto. E’ l’inizio, poi l’escalation.
Siamo partiti dall’azione del togliere senso all’esistenza.
Credo non ci sia azione più violenta.
Giuseppe Petrozzi(Quota) (Replica)