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1- Gerarchia e rapporti di Genere.
Le relazioni gerarchiche – rapporti di subordinazione – in quanto viste dalla prospettiva di Genere, possono essere di 4 tipi: M/m, M/f, F/f ed F/m. Ciascuna di esse avrà caratteri, sfumature, peculiarità diverse (tanto o poco) e questa diversità sarà in futuro oggetto di analisi della psicologia. Qui siamo solo al disegno dei primi abbozzi e lo stiamo facendo dal punto di vista maschile e considerando gli interessi maschili, nel rispetto dell’assunto secondo cui ciascuno dei due racconta la sua storia a 360°. Non importa se le due siano incompatibili o meno, sovrapponibili in parte o per nulla. Questa è un’altra questione. Stiamo analizzando la condizione psicologica maschile nella relazione di subordinazione gerarchica ad F, con ciò non facendo nulla di diverso da quel che le psicologhe femministe (e non) hanno fatto e fanno riguardo alla situazione M/f. Ora è certamente lecita la domanda sul cosa vi sia di nocivo per le DD subordinate nella relazione M/f (in quanto tale) a differenza della relazione F/f. E’ altrettanto lecita quella simmetrica: cosa vi sia di nocivo per gli UU subordinati nella relazione F/m (in quanto tale) a differenza della relazione M/m.
2- Psicologia nei luoghi di lavoro (e nelle organizzazioni in generale).
Il femminismo ha portato la tematica psicologica nei luoghi di lavoro. Ha posto cioè la questione delle condizioni psicoemotive negli ambienti lavorativi (e in altri campi) assegnandole una valenza pari (e persino superiore) a quella del salario e della sicurezza*. Poiché questi ultimi due temi (con altri) costituiscono da sempre i versanti delle piattaforme rivendicative dei lavoratori dipendenti, il femminismo ha di fatto potuto concentrare la sua battaglia proprio sulla questione psicologica. Il femminismo ha elevato la questione della dignità del(la) dipendente a valore di primo rango. Ne ha fatto un questione centrale, (declinandone però le forme nell’esclusivo interesse di F, secondo il punto di vista femminile e all’interno dell’ideologia femminista. Questo è ovvio). Nondimeno la questione è stata posta ed è stata posta dal femminismo stesso. Ci piaccia o no, questo è uno dei pochissimi esiti positivi del femminismo in quanto ha aperto davvero un nuovo fronte. Di questo aspetto i lavoratori maschi e le loro organizzazioni storiche non si sono quasi mai occupati. Si sono occupati dell’orario e dei salari, delle assicurazioni e della previdenza. In minor grado poi della sicurezza. La questione psicologica invece è sempre stata così marginale che si può dire (con piccola accentuazione) che non se ne sono mai occupati: l’hanno “signorilmente” ignorata. “Usi ad ubbidir tacendo” – come da sempre è nelle caserme – non hanno mai assegnato valore alla questione della loro dignità nei rapporti gerarchici (benché siano questi – e non il salario! – il tema fondamentale delle loro lagnanze quotidiane e delle loro sofferenze. Altra scatola delle sorprese che però qui tralascio)**. Ora, proprio questa dimensione è stata invece il fondamentale campo di battaglia del femminismo all’interno delle organizzazioni (produttive prima di tutto). Quando in guerra una delle due parti mette in campo una nuova arma (ad es. gli aerei) e combatte su una nuova dimensione (il cielo) anche l’altra, se non vuole soccombere, prima o poi dovrà attrezzarsi per combattere con le stesse armi nella stessa dimensione. Così, obtorto collo, anche i maschi prima o poi, volenti o nolenti, dovranno uscire dal loro “principesco” castello, abbandonare la loro vuota e autolesionistica presunzione di invulnerabilità psicologica ed entrare nella nuova dimensione. Una volta tanto sia lodato il femminismo per avere aperto finalmente quel fronte.
Un male possibile
3) Dati 1) e 2) è chiaro che le osservazioni sulla relazione F/m riguardano qui i suoi possibili aspetti negativi per gli UU. Ho individuato nella reinfantilizzazione (rebabysation) uno di essi. Le fonti e la dinamica che il termine vuole indicare vanno precisate, articolate e analizzate. Importante è che si incominci a pensare che la relazione F/m ha in sé (alcuni) caratteri diversi da quella M/m e che alcuni di essi possono essere negativi, inibitori, castranti per gli UU. Questo non ha nulla a che vedere con le capacità di comando delle DD. Nel modo più assoluto. Ecco perché.
Subordinazione indiretta
4) La problematica psicologica (per gli aspetti in questione qui) attiene alla relazione diretta MxF e ne è strettamente connessa. Perciò la subordinazione di M ad F se e quando puramente strutturale e indiretta è cosa completamente diversa. Non riguarda la relazione tra i cittadini maschi e la presidentessa della repubblica, tra bidello e ministra della P.I. né quello tra operaio e componente del CDA o tra vigile e assessora al traffico etc. Riguarda invece quello tra vigile e comandantessa del corpo dei VVUU, tra impiegato e capaufficio e così via.
Scopi e strumenti
5) Dall’ipotesi che la relazione F/m sia dannosa per gli UU non si può dedurre che F non sia in grado di comandare UU e DD al pari gli UU. Infatti il fine delle organizzazioni è sempre il raggiungimento di un obiettivo ed i prezzi che i subalterni pagano per raggiungerlo non ha in sé nessuna importanza (ce l’ha solo se questi hanno strumenti e forza per farsi sentire).
In un esercito i soldati sono strumenti al pari dei cannoni e il giudizio che si dà su un comandante dipende dai risultati che ottiene, non dai costi sostenuti (in armi, munizioni e uomini) né dalle angherie cui sottopone i soldati. Se con i maltrattamenti, le vessazioni (o – a suo tempo – le decimazioni) ottiene ubbidienza (e quindi una forma di efficienza) non per questo verrà rimosso dal comando. Ora, ogni ufficio, ogni reparto, ogni team operativo (ma anche ogni squadra sportiva) esistono per ottenere dei risultati. Non importa come vengano ottenuti. Se un ufficio funziona al pari degli altri o addirittura meglio, non ha alcuna importanza se poi i dipendenti finiscano in manicomio uno dopo l’altro e nessuno dirà che avevano un capo incapace. Non è sul male che provoca ai subalterni che viene misurata l’idoneità di un capo (a meno che ovviamente non si tratti – oggi – di lesioni della dignità della donna). E ciò che vale per un capo vale per una capa.
Maschi senza difesa
6) E’ un fatto che oggi la donna subalterna ha un potere nei confronti del capo che invece il maschio subordinato non ha nei confronti della capa e questo per le ragioni che conosciamo. Nella relazione F/m il maschio è senza difesa: se si lagna è perché è maschilista. Perciò, se anche esistono motivi per querele, proteste e rivendicazioni esse verrebbero liquidate come sappiamo (e come si è visto). I motivi della rivendicazione possono essere di due tipi: connessi alla condizione di subordinazione (in quanto universale) o al suo carattere particolare: la diversa appartenenza di Genere. Di questo secondo caso non è neppure contemplata l’esistenza. Infatti, come diceva Bersani, quella che va difesa è la donna, non l’uomo. E’ la dirigentessa da 4.500 al mese che va difesa, non lo spazzino che, in effetti, è pur sempre un potenziale stupratore.
Ma c’è anche altro. Se è vero, (come è innegabile) che sino ad oggi gli UU hanno posto la questione psicologica ai margini delle problematiche del lavoro (e della vita nelle strutture) perché mai dovrebbero interessarsene solo ora? Solo adesso che ricevono ordini dalle femmine? E’ una osservazione che imbarazza. Contro-obietteremo che le relazioni tra UU appartengono al racconto maschile (“cosa nostra é”) e che il male che ci facciamo tra noi non riguarda le FF, come non riguarda noi (sul piano del conflitto dei sessi) quello che si infliggono tra loro.
Ma a mio parere quella “nonchalance”, quella indifferenza alla lesione della propria dignità operata comunque dalla subordinazione gerarchica (M/m), che attraversa tutta la storia maschile è indice di una lacuna troppo vasta, di una falla troppo grande per non avere radici profonde. Ci si potrebbe chiedere: se abbiamo ubbidito per millenni a tutti i capi che ci sono piovuti addosso, capaci e incapaci, degni e indegni, leali e vili, saggi e criminali, perché non continuare, a capo chino, ad ubbidir …tacendo? …castrati o meno che ne usciamo?
Potrebbe venirci richiesto e sarebbe un’imbarazzante domanda.
46 Commenti
@ Rino
Il femminismo ha portato la tematica psicologica nei luoghi di lavoro. Ha posto cioè la questione delle condizioni psicoemotive negli ambienti lavorativi (e in altri campi) assegnandole una valenza pari (e persino superiore) a quella del salario e della sicurezza*.
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Se è così, allora in tal senso il femminismo è stato un bene, perché anch’io, in passato, quando non sapevo proprio nulla di femminismo e guerra dei sessi, consideravo importantissimo l’aspetto psicologico nei luoghi di lavoro.
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@ Rino –
Ma c’è anche altro. Se è vero, (come è innegabile) che sino ad oggi gli UU hanno posto la questione psicologica ai margini delle problematiche del lavoro (e della vita nelle strutture) perché mai dovrebbero interessarsene solo ora? Solo adesso che ricevono ordini dalle femmine? E’ una osservazione che imbarazza. Contro-obietteremo che le relazioni tra UU appartengono al racconto maschile (“cosa nostra é”) e che il male che ci facciamo tra noi non riguarda le FF, come non riguarda noi (sul piano del conflitto dei sessi) quello che si infliggono tra loro.
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Ho avuto colleghe donne, ma non cape donne, perciò non saprei dire con esattezza quale reale differenza ci sia fra un capo uomo e un capo donna.
Al tempo stesso, però, credo si possa pure obiettare che gli uomini di oggi vivono oggi e non ieri, pertanto di cosa fu il passato non ce ne può fregar di meno.
Comunque sia, confesso che per me essere uomo è per molti aspetti un peso. Ossia, avendo acquisito una certa consapevolezza riguardo alle questioni riguardanti la QM, sento sulla mia pelle il peso di essere nato maschio, perché mi sto rendendo conto sempre di più che non c’è nulla di noi uomini che non venga aspramente criticato e disprezzato, non solo dalle donne, ma anche e soprattutto dagli uomini.
La nostra sessualità è “sbagliata”, il nostro modo di porci, di relazionarci, di parlare, ecc. è “sbagliato”; il nostro rapporto con la natura è “sbagliato”; il nostro modo di relazionarci con le donne è “sbagliato”; eccetera eccetera..
Insomma, non c’è nulla che vada bene, siamo “sbagliati” a prescindere.
Marco(Quota) (Replica)
La gerarchia è la bandiera degli uomini alfa, il loro strumento di potere: a me, quando ne sento parlare, vengono istinti Goebbelsiani.
Il risultato della gerarchizzazione della società? Eccolo:
http://www.youtube.com/watch?v=Lvrl1n9nsnk
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“ricordate, figliuoli, di essere sempre disonesti. Di essere sleali con i colleghi. Non praticate amicizie disinteressate, ma usate il ricatto, il leccaculismo, e praticate spesso la delazione.
Solo così potrete assurgere ai più alti livelli”
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Alzi la mano chi non ci legge il ritratto del mondo del lavoro, anzi, della società, attuale.
sandro(Quota) (Replica)
“Ci si potrebbe chiedere: se abbiamo ubbidito per millenni a tutti i capi che ci sono piovuti addosso, capaci e incapaci, degni e indegni, leali e vili, saggi e criminali, perché non continuare, a capo chino, ad ubbidir …tacendo? …castrati o meno che ne usciamo?
Potrebbe venirci richiesto e sarebbe un’imbarazzante domanda”
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Io la risposta ce l’ho.
In primo luogo, non è vero che siamo sempre stati proni ad ogni abuso: se così fosse, non avremmo avuto la rivoluzione francese, l’ ottobre rosso e via dicendo.
Il problema sta nella soglia che noi consideriamo il limite oltre il quale spacchiamo tutto: soglia che, a mio parere, è altissima. In sostanza, deve essere messa in discussione la nostra sopravvivenza. E questo è un errore che paghiamo caro: chi ci comanda lo sa bene, e, se ha un minimo di intelligenza, si tiene sempre un centimetro più in qua.
Va inoltre considerato l’ aspetto psicologico: per l’ uomo medio si tratta di una cosa molto difficile da individuare e contrastare, e la propaganda, complice nei tempi passati una scarsissima scolarizzazione, ha dato sempre i suoi frutti.
Sul rapporto gerarchia/genere:
la differenza sostanziale tra me e la donna media sta nel fatto che io non voglio una società gerarchizzata (l’ apoteosi della gerarchizzazione è stato il ventennio fascista, e tutti abbiamo visto com’ è finita), lei sì, a vuole fortemente, a patto tuttavia che la categoria alla quale appartiene venga promossa per decreto ai livelli più alti della gerarchia (e si torna al discorso che facevo sulla mentalità femminile per cui per le donne è giusto tutto ciò che porta vantaggio a loro).
Se ne deduce che:
A) Per noi i nemici da abbattere sono uomini: questo vanifica, per quanto mi riguarda, ogni discorso relativo alla solidarietà di genere, che non può essere applicata a prescindere (è il fumo negli occhi che tentano di buttarci loro: non siamo affatto nella stessa barca).
B) Le donne, data la loro mentalità, non possono essere, tranne sparute eccezioni da valutare con estrema attenzione, dalla nostra parte: sono fatte della stessa pasta di quelli lì, e ci sono dunque, per questo, ostili.
sandro(Quota) (Replica)
Quando un dipendente uomo si trova di fronte al superiore donna, e in tante occasioni ho potuto assistere a situazioni del genere, al “leccaculismo” del primo, che spesso caratterizza questo genere di rapporti a presindere dall’appartenenza di genere dei protagonisti, si aggiunge la subordinazione psicologica che caratterizza il maschile al cospetto del femminile anche a parità di ruolo, figuriamoci in condizione non simmetriche come quelle prospettate: la critica del primo sarà considerata, spesso e volentieri, una critica venata di sessismo, mentre capovolgendo i ruoli di potere, la critica della dipendente donna al superiore uomo ne sarà esente, ma anzi potrà essere utilizzata volentieri dalla prima. Condivido, quindi, quanto scritto da Rino in proposito.
Sono dell’opinione, al contrario di quanto comunemente si pensi, che il sessismo nella società in cui viviamo venga espresso più dalle donne nei confronti degli uomini che viceversa. E’ sufficiente, per dimostrarlo, fare riferimento a come è strutturato il ministero delle “pari opportunità”. Non credo ci sia bisogno di aggiungere nient’altro. Ancora una volta la verità non ha niente a che fare con il pensiero dominante, che, oggi come ieri, non è nient’altro che strumento di conservazione degli interessi di gruppi, più o meno ampi. Ben vengano, comunque, i dirigenti seri e preparati, uomini o donne che siano.
Alessandro(Quota) (Replica)
http://www.youtube.com/watch?v=Lvrl1n9nsnk …fantastico…
Devo dire che ho sempre trovato geniale il personaggio “Fantozzi”…Azzardo un paragone con un’altra grande “maschera,” quella che abbiamo scelto come simbolo per gli Uomini Beta: Charlot.
Ad un primissimo e superficiale impatto i due personaggi potrebbero assomigliarsi. In realtà invece, sono profondamente diversi.
Il primo potrebbe essere quello che comunemente viene definito uno “sfigato”. E’ succube, genuflesso al potere, senza alcuna speranza e possibilità di riscossa o redenzione .E’ l’immagine vivente del “perdente”, l’incarnazione della sconfitta.
Il secondo è forse messo anche peggio del primo ,dal punto di vista delle condizioni materiali in cui versa, eppure non è mai succube, mai prono, non si da mai per vinto, è un indomito ribelle, combatte fino alla fine, rivendica se stesso e la sua alterità con tutte le sue forze, sempre pronto ad ingaggiare battaglia anche quando è evidente che di fronte a sé ha avversari soverchianti (che siano uomini in carne ed ossa oppure un intero sistema sociale) palesemente ed enormemente più potenti di lui.
Sono entrambi fisicamente fragili ma mentre il primo appare ed è di una vulnerabilità assoluta, non solo e non tanto dal punto di vista fisico quanto soprattutto da quello psicologico, il secondo trasmette invece una particolare e straordinaria sensazione di forza. Il primo è sconfitto in partenza, anzi, nasce già sconfitto. Il secondo vive combattendo.
Nondimeno, anche se in maniera completamente diversa, rappresentano entrambi due personaggi “politicamente scorretti”, estremi, anche se in direzioni opposte. Sia l’uno che l’altro hanno il grande merito di mostrare la realtà per quella che è, senza finzioni.
Dopo Fantozzi ecco un brevissimo ritratto della nostra “mascotte”:
http://www.youtube.com/watch?v=CSGXxWVCjvQ&feature=related
Fabrizio
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
beh ,Fabrizio sono completamente d’accordo ,anch’io trovo Fantozzi geniale (anche se ,nelle ultime uscite abbastanza ripetitivo) ,ma i primi film sono un qualcosa di grandioso ,molto al di sopra dei stupidi (quelli si ) cinepanettoni,eppure alla maggior parte delle donne se gli chiedi di fantozzi dicono “non fa ridere” ….
devo dire la verità ,forse perchè lo conosco decisamente di più ,mi ritrovo in Fantozzi ,sarà anche un perdente ma ,per come la vedo io ,è un eroe moderno …
mauro recher(Quota) (Replica)
Da un po’ di giorni sto leggendo un libro del 2004, scritto dalla psicologa Vera Slepoj, ed intitolato LE FERITE DEGLI UOMINI. Ne riporto un brano.
@
LE FERITE DI IERI
Se però vogliamo cercare di analizzare più a fondo le ferite degli uomini, non possiamo pensare di ricondurle unicamente al crollo del patriarcato e al disorientamento che questo ha prodotto. Lo scollamento fra l’ideale maschile patriarcale e la realtà attuale ha reso inoltre più evidenti le ferite generate dall’adeguamento a quell’ideale, che accanto agli onori ha comportato non pochi oneri anche per i suoi principali beneficiari. Lo stereotipo maschile, prodotto dal sistema patriarcale nel corso dei millenni, ha infatti avuto una precisa funzione normativa, condizionando la morale e il comportamento sociale degli uomini fino a oggi. Secondo la maggior parte degli antropologi, questo ideale, pur presente in certi aspetti fin dall’antichità, ha raggiunto una precisa codificazione proprio in epoca moderna, tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. Infatti, parallelamente all’affermarsi della borghesia e dei suoi valori, anche lo stereotipo maschile ha subìto un’ulteriore definizione dei propri caratteri, divenendo un modello uniformante, un insieme di regole, sia per il corpo sia per l’anima, al quale era impossibile sfuggire. Le virtù virili come l’onore, la forza, il coraggio, la volontà e l’autocontrollo si ritrovano, infatti, indistintamente in tutte le ideologie e i movimenti della storia moderna dell’Occidente, dal nazionalismo al fascismo, al socialismo, al comunismo.
Dalla attuale posizione, senza dubbio più libera e distaccata, gli uomini hanno la possibilità di conoscere le ferite che in loro ha generato lo sforzo costante per essere all’altezza del “modello uomo”. Ferite che ancora oggi sono attive nella psicologia maschile, e che generano quei vissuti di inadeguatezza e frustrazione che inevitabilmente accompagnano il confronto con uno stereotipo rigido e univoco. Nella nostra, come nella maggior parte delle culture, infatti, la costruzione dell’identità maschile non è, né è mai stata, un processo semplice e lineare. Infatti, mentre l’acquisizione dell’identità femminile è sostanzialmente contraddistinta da eventi fisiologici, sembra che per diventare maschi non sia sufficiente nascere tali, ma sia necessario affrontare e superare una serie di prove. Queste ultime, peraltro, non sanciscono mai in modo definitivo l’appartenenza al genere perché la maschilità, anche una volta raggiunta, richiede ulteriori dimostrazioni per essere conservata. Ne è un esempio l’esistenza, nella maggior parte delle società, di rituali di passaggio mediamente più cruenti per i ragazzi rispetto alle ragazze. Ma, anche nelle società contemporanee, dove i rituali sono meno specifici, si riscontra negli uomini una maggiore presenza di atteggiamenti, individuali e di gruppo, volti a confermare l’appartenenza al proprio genere, come l’omofobia e la misoginia. Gli uomini, infatti, sono molto più preoccupati e impegnati ad affermare la propria maschilità di quanto non lo siano le donne nei confronti della loro femminilità. Queste hanno dimostrato chiaramente negli ultimi decenni che, pur non riconoscendosi nei ruoli tradizionali e pur essendo spesso accusate di non avere più il fascino e la seduttività del passato, non sono particolarmente preoccupate di perdere la propria femminilità. Questo fa presupporre che le donne percepiscano la femminilità come un dato naturale e sostanziale, che non viene scalfito dai cambiamenti comportamentali né minacciato dall’assunzione di nuovi ruoli, perché è vissuto come intrinseco al loro corpo.
La percezione e la sicurezza della propria femminilità non sembrano peraltro basarsi esclusivamente sulla capacità di generare, perché sono già sufficientemente consolidate nelle bambine intorno ai tre anni. Anche i maschietti della stessa età, attraverso un diverso processo, come vedremo, raggiungono la medesima consapevolezza di appartenenza al proprio genere, ma essi sono senza dubbio più sollecitati a dover produrre continue prove che lo dimostrino. Come afferma Elisabeth Badinter, l’ordine tanto spesso udito:”Sii uomo” implica che la cosa non va da sé e che la virilità non è poi così naturale come si vorrebbe credere. Essere uomo comporta un lavoro, uno sforzo che non sembra richiesto alla donna. Capita più raramente di sentire:”Sii donna” come un richiamo all’ordine, mentre l’esortazione al bambino, all’adolescente e perfino all’adulto maschile è pratica corrente nella maggior parte delle società”. La costante preoccupazione nel dover difendere e ribadire la maschilità fa presupporre che questa sia percepita, a livello sociale e individuale, più come una costruzione culturale che come una condizione naturale. Come se per la costruzione di un individuo maschile sia necessaria l'”aggiunta” di un apparato comportamentale e simbolico, quasi a dover sopperire a una mancanza. E certamente l’adeguamento a questo apparato, che stabilisce cosa un maschio deve e non deve essere, fare e pensare, ha comportato per ogni uomo rinunce e fatiche, e anche ferite.
@
Fabrizio, Rino, (e naturalmente tutti gli altri) cosa ne pensate? Per quanto mi riguarda, mi sto rendendo conto sempre di più, di quanto avessero ragione quegli uomini che sul vecchio forum di U3000 sostenevano che “diventare ed essere uomini è molto più complicato e difficile che diventare ed essere donne”. Come si fa a non condividere? Inoltre, sono del parere che fra le varie cause che portano gli uomini a commettere più reati, nonché ad ottenere risultati mediamente peggiori in ambito scolastico, ci sia proprio la fatica, il lavoro mentale che gli/ci tocca fare per diventare uomini.
Simone M.(Quota) (Replica)
Mi sembra estremamente interessante quanto affermato da questa psicologa (che non a caso cita anche E. Badinter, di cui abbiamo pubblicato un amplissimo scritto nello spazio dei contributi).
In questo momento non ho tempo ma a strettissimo giro esprimerò la mia opinione nel merito.
E’ un tema fondamentale perchè riguarda anche la nostra concezione della maschilità.
Ottimo, Simone.
Fabrizio
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
a tal proposito a riguardo dell’ interessante post di simone , mi viene in mente un piccolo aneddoto ,a maggio un gruppo di amici è andato a fare rafting ,io non sapendo nuonare e non,mi vergogno a dirlo ,avevo anche paura ho rifiutato di farlo , giorni dopo una mia amica mi fa ,”potevi farlo in fondo sei un uomo” ,per di li non gli ho nemmeno risposto ,ma un uomo non può aver paura??
mauro recher(Quota) (Replica)
La Slepoj è la classica psicologa criptofemminista. Non è all’altezza della sessuologa Shere Hite (che è insuperabile) ma ne è un’ottima emula.
Non vi è praticamente passaggio, frase, periodo nei suoi scritti che non veicoli ambiguità, polivalenze, significati multipli, insinuazioni, catture etc.
Le contraddizioni sono clamorose ma sempre sfumate, controdeduttive, ambivalenti.
Verità intere e dimezzate, falsità palesi e occulte, congetture e rimandi al banale sono mescolati e cucinati con l’abilità di una maestra della psicochimica.
Ne escono prodotti di alta capacità seduttiva.
Ma non dice forse anche delle verità?
Certo che sì.
Ma noi sappiamo che si può mentire tanto con le verità che con le falsità. E meglio ancora con un bilanciato equilibrio tra le due.
Un solo esempio:
>>
Ma, anche nelle società contemporanee, dove i rituali sono meno specifici, si riscontra negli uomini una maggiore presenza di atteggiamenti, individuali e di gruppo, volti a confermare l’appartenenza al proprio genere, come l’omofobia e la misoginia.
>>
Attenzione: qui non dice che la maschilità si costruisce con l’omofobia e la misoginia. Non lo dice assolutamente!
…lo insinua,
il che è molto meglio…
Il resto a giorni.
Rn
Rino(Quota) (Replica)
Rino….Non vi è praticamente passaggio, frase, periodo nei suoi scritti che non veicoli ambiguità, polivalenze, significati multipli, insinuazioni, catture etc.
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Ho capito male o in quest articolo l’autrice insinua che non esiste un identità maschile e che quindi l’idendità naturale per eccellenza sarebbe quella femminile?
Ma la domanda che mi faccio io è,nella costruzione di questa identità maschile patriarcale costruita “culturalmente” quanto l’hanno determinata SOLO gli uomini o è frutto anche di una elaborazione consapevole femminile ??
Retiarius(Quota) (Replica)
Sembra le solite psicologhe che vogliono ribaltare le teorie di Freud, ma solo descrivendo le apparenze, non scavando nell’inconscio.
Vero che gli uomini non si accontentano di nascere tali ma devono dimostrare capacità, ma mi sembra che le dimostrino (anche con l’omofobia) per servire ancora meglio le femmine, come pure con il coraggio e le peggiori imbecillità.
Ma comunque l’uomo si dona sempre alla donna e le donne invece perché donando (neanche tutto e raramente) il loro corpo si fanno pagare e ce la fanno scontare in tutti modi?
Leonardo(Quota) (Replica)
Al di là delle astuzie e delle ambiguità contenute nel testo(di cui non ci deve importare nulla) giustamente evidenziate da Rino,il tema sollevato dalla psicologa in questione è decisamente interessante e offre lo spunto per una riflessione importante sul tema della maschilità (o meglio, di quale maschilità?), sul ruolo che ha ricoperto nelle varie epoche storiche e che ricopre tuttora (o meglio, che ha perso del tutto) .
Ormai da molto tempo sono giunto alla conclusione che l’ermeneutica , cioè l’interpretazione della realtà, e soprattutto l’utilizzo spregiudicato e manipolatorio che se ne fa, è ciò che conta veramente, indipendentemente dai fatti (che comunque sono sottoposti a interpretazioni diverse, opposte o contrarie)
E proprio le parole della Slepoj lo confermano. La divisione sociale del lavoro, delle funzioni e dei ruoli che si è andata sviluppando e che ha caratterizzato la complessa relazione fra i generi nel corso della storia, è stata reinterpretata e ridotta (in modo ideologico e manicheo)dal femminismo in modo unilaterale, come dominazione tout court del maschile sul femminile.
Questa interpretazione (anche se è improprio definirla tale, perché è un assunto ideologico a priori ) si guarda bene dall’interrogarsi sulle cause che sono all’origine di questo aspetto determinante della relazione uomo-donna e sulle ragioni per le quali quella stessa divisione del lavoro e dei ruoli di cui sopra si è trasformata di volta in volta, con il trasformarsi dei contesti economici, sociali, culturali e inevitabilmente anche antropologici (ontologia e processi culturali si compenetrano). Ma soprattutto evita accuratamente, e non potrebbe essere altrimenti, di prendere in considerazione un altro aspetto fondamentale: quali effetti ha avuto sull’uno e sull’altro sesso questa divisione dei ruoli? E in base a questa, qual è stato il diverso fardello, psicologico e fisico, materiale e immateriale, che gli uomini e le donne si sono rispettivamente caricati sulle spalle e hanno dovuto sopportare nel corso dei tempi? Quali conseguenze ha avuto sulla qualità della vita e sulla condizione psicologica degli uni e delle altre l’aver assunto responsabilità diverse in base alla rispettiva appartenenza di genere ?
E’ ovvio che se si parte dall’a priori ideologico che quella divisione sia stata esclusivamente il risultato della dominazione maschile sul femminile senza se e senza ma, sempre, dovunque e comunque, diventa molto facile capire come tutto possa essere letto da punti di vista e con approcci completamente diversi se non opposti. Non ci stupisce dunque che un povero cristo come tanti (la maggior parte degli uomini) che per secoli si è alzato tutti i santi giorni la mattina alle quattro quando è ancora buio, per andare a passare dodici ore della sua giornata in una miniera o in una fabbrica, senza vedere mai la luce del sole, per portare a casa un pezzo di pane per la propria famiglia, possa essere stato ridotto e “reinterpretato” dal femminismo-pensiero come una specie di bruto, padre e marito padrone che, forte della sua indipendenza economica (cioè il salario da fame che percepisce in cambio di un vita infernale, che lo porrebbe in una posizione di dominio rispetto alla propria donna), torna a casa la sera in preda all’alcool, picchia la moglie, la possiede indipendentemente dalla sua volontà (stupro domestico) e impone la (sua) legge del terrore nella (sua) casa.
Premesso che se fossi obbligato, ipotesi per assurdo, a scegliere tra fare il minatore o diventarne la moglie non avrei il minimo dubbio nell’optare per la seconda ipotesi (anche se mio marito fosse una specie di King Kong prima maniera), appare evidente qual è il nocciolo della questione. Due diverse condizioni di oppressione e di disagio (ho già detto quale secondo me è la più gravosa ma non è questo il punto), quella del marito-padre, operaio e salariato e quella della moglie-madre, casalinga e senza reddito (da lavoro salariato), vengono in questo caso interpretate in un’unica direzione che è quella che conosciamo (donna= oppressa- uomo=oppressore).
Ora, l’articolo in oggetto, a mio parere, pur tra contraddizioni e ambiguità (della buona o cattiva fede dell’autrice, come ripeto, non ce ne deve importare nulla, perché non è questo il problema),ha quanto meno il merito di non occultare la questione e di lasciare spazio anche alla possibilità di altre e diverse interpretazioni . Cito alcuni passaggi:” Se però vogliamo cercare di analizzare più a fondo le ferite degli uomini, non possiamo pensare di ricondurle unicamente al crollo del patriarcato e al disorientamento che questo ha prodotto…”. E ancora:”Dalla attuale posizione, senza dubbio più libera e distaccata, gli uomini hanno la possibilità di conoscere le ferite che in loro ha generato lo sforzo costante per essere all’altezza del “modello uomo”. Ferite che ancora oggi sono attive nella psicologia maschile, e che generano quei vissuti di inadeguatezza e frustrazione che inevitabilmente accompagnano il confronto con uno stereotipo rigido e univoco…”.
Al di là del giudizio e soprattutto delle conclusioni (che a noi non interessano) dell’autrice relativamente al “modello uomo” e a chi e/o cosa lo abbiano determinato e/o imposto (e non è affatto scontato, ovviamente, dal nostro punto di vista, che il “femminile” non abbia avuto nessuna voce in capitolo in questo processo), la stessa ammette di fatto che, anche all’interno di questa più o meno rigida divisione dei ruoli (sempre ammesso e non concesso, ovviamente, che la narrazione femminista sia infallibile), non tutto era “rose e fiori” per gli uomini, e che l’assunzione di determinati ruoli, o la loro accettazione più o meno passiva o consapevole (a seconda delle interpretazioni), ha comportato per questi ultimi non solo onori e privilegi ma anche e soprattutto un carico di sofferenza enorme, molto spesso intollerabile, che le donne, a parti invertite, non hanno dovuto sopportare. Questo la Slepoj non lo dice ma è di fatto implicito nel suo ragionamento, anche se lei stessa tende strumentalmente, né forse potrebbe fare altrimenti, ad individuarne le cause esclusivamente nello stereotipo maschile (leggi volontà maschile). Un risvolto della medaglia che viene per lo più negato dai vari femminismi o tutt’al più considerato come un inevitabile prezzo da pagare da parte degli uomini pur di mantenere una posizione di privilegio e predominio sulle donne . La vicenda del Titanic, con tutti i suoi risvolti metaforici, e neanche tanto, magistralmente commentata da Rino nel suo articolo pubblicato sulla homepage del sito, è emblematica, sotto questo profilo: gli uomini, secondo l’interpretazione femminista, preferiscono annegare nella acque gelide dell’oceano (oppure morire in miniera, in guerra o altrove…) pur di continuare a mantenere le donne in una condizione di subordinazione… .
A questo punto (ma rimando alla prossima puntata perché l’argomento è complesso e necessita di più tempo), le parole della psicologa ci sollecitano ad un’altra riflessione.
E cioè: chi e/o cosa (archetipi, contesti sociali, culturali, necessità oggettive, diversità di natura ontologica,) ha inchiodato la maschilità (che è quella che interessa a noi, il femminismo ci ha da tempo comunicato che non abbiamo titolo per entrare nelle vicende femminili) entro determinati ruoli, schemi, binari e via discorrendo? Quanto di positivo e di negativo (parlo per gli uomini in questo caso, sia chiaro) c’è stato in questa divisione dei ruoli? E in quale misura gli uomini, per lo meno nella loro grande maggioranza (cioè gli uomini beta), hanno determinato questi ruoli o vi hanno aderito consapevolmente e liberamente? E in che misura hanno invece scelto,o sono stati costretti, a fare buon viso a cattivo gioco?
Conoscete già la mia risposta. Ed è ovvio che partendo da questo presupposto, diventa implicita una rivisitazione del concetto di maschilità e una sua ridefinizione che per me, naturalmente, assume il significato di una liberazione del maschile da una gabbia (abilmente e astutamente camuffata) all’interno della quale è stato costretto per millenni…
In fondo, sotto il profilo metodologico, raccolgo l’invito della Slepoj a liberarmi di quel fardello (il dover corrispondere ad un determinato “modello uomo”) ma per andare ovviamente in tutt’altra direzione da quella da lei indicata…
A fra breve tornarci.
Fabrizio
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Fabrizio Marchi
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E cioè: chi e/o cosa (archetipi, contesti sociali, culturali, necessità oggettive, diversità di natura ontologica,) ha inchiodato la maschilità (che è quella che interessa a noi, il femminismo ci ha da tempo comunicato che non abbiamo titolo per entrare nelle vicende femminili) entro determinati ruoli, schemi, binari e via discorrendo?
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Non ho una risposta precisa né definitiva al riguardo, anche perché non possiedo delle competenze specifiche; ma credo che seppur solo in parte, siano state le forze della natura, quindi le necessità oggettive, ad indirizzare la maschilità su certi binari. Quindi anche l’origine dei conflitti, delle guerre, è da ricercare lì.
Andrea(Quota) (Replica)
L’argomento è di estremo, anzi fondamentale, interesse per chi si occupa di QM. Credo sia da svuluppare e discutere con calma per le implicazioni che ha. Natura/cultura, corpi, ruoli, divisione del lavoro, necessità sociali, tutto vi entra ed ha una sua influenza.
Intanto, però, vorrei fare una considerazione di base, a partire dalla quale possono essere sviluppate le altre.
Quando la Slepoj fa balenare il fatto che l’identità femminile è un dato spontaneo mentre quella maschile necessita di un processo di costruzione, secondo me non dice affatto una sciocchezza.
Il motivo è alquanto semplice. Tutti, anche i maschi, nascono da un corpo di donna, e sappiamo che nei primi tempi di vita il bambino non distingue il proprio corpo da quello materno. Per costituirsi come identità differenziata da quella materna, dunque femminile, il maschio deve per prima cosa conoscere e ri-conoscere coscientemente la propria diversità corporea da chi lo ha generato, e già questo atto di riconoscimento cosciente è di natura culturale. La vita psichica infantile del maschio oscilla continuamente fra la tendenza alla simbiosi col materno (ricordo inconscio del beato stato uterino, identificazione col corpo materno dei primi tempi di vita, in ciò favorito anche dalla reciprica e corrispondente tendenza materna di simbiosi col figlio), e l’esigenza insopprimibile di affrancarsi da tale simbiosi per costituirsi la propria identità di maschio. Detto in altri termini, cioè, il primo atto maschile per affermarsi come maschio è la dimostrazione a se stesso e al mondo di non essere femmina. Il distacco dal materno è FONDAMENTALE per un maschio, molto più che per una femmina. Anche per quest’ultima il mancato distacco porterà dei guai, ad esempio un rapporto problematico con gli uomini, ma non mette in discussione la sua identità femminile,al contrario di ciò che avviene per un maschio. Quando si insiste sulla assoluta necessità del padre che operi e favorisca in ogni modo questo distacco, che per le ragioni dette sopra, è doloroso e dificile per il giovane maschio, ci si riferisce proprio a quella ferita che è necessario imprimere , e subire, al maschio perchè diventi uomo adulto.
E quando, come spesso accade, questa ferita non è impressa nel giusto modo si potranno avere due tipologie maschili apparentemente opposte ma nel profondo rivelatrici entrambre di un problema non risolto. Il maschio soft, matrizzato, che disprezza tutto ciò che è maschile (aggressività, forza, coraggio fisico), oppure il macho che tende alla prepotenza e all’arroganza. Nel primo caso il maschio ha rinunciato alla propria maschilità e guarda alla femmina come un “ideale”, nel secondo il maschio sente di dover essere sempre sopra le righe per paura di non essersi differenziato abbastanza. Nel macho, anche il disprezzo ostentato verso l’omosessualità quasi sempre identificata come atteggiamento femmineo, è la spia della paura di sentirsi femmina. E d’altra parte, il maschio soft che pur non essendo gay guarda a quel mondo con particolare ammirazione riconoscendone la superiorità rispetto alla virilità asciutta e spiccia considerata sintomo di rozzezza, non fa altro che ammirare nel gay la femminilità. Non è un caso, infine, che le due tipologie sono quasi sempre unite dall’idolatria per la propria madre.
Dunque è vero che l’identificazione di sè come maschio è molto più difficile, lunga e dolorosa dell’identificazione di sè come femmina. Altro che maschio privilegiato. Così è la realtà, e non rimane che prenderne atto, attenti però ad una sua fondamentale implicazione. Che è quella che associa la natura al femminile e la cultura al maschile. Se l’identificazione di sè come femmina è un dato spontaneo e invece quella di maschio richiede un processo conoscitivo, quelle associazioni sono del tutto vere. E quì possiamo notare una coincidenza interessante. Ida Magli, l’antropologa, sostiene che il fallo è lo strumento di conoscienza per eccellenza perchè ha permesso di concettualizzare l’io e il tu. Il che fa coincidere l’elemento corporeo (il fallo) con quello psichico, l’atto di conoscienza necessario a differenziarsi dal materno/femminile.
Su questa considerazione base se ne possono sviluppare molte altre. Ma intanto spiega molto della differenza sessuale e soprattutto spiega ilperchè sia l’autoscoscienza che la cultura (e le due cose coincidono) sono simbolicamente (ed anche storicamente) maschili. Quindi qualsiasi deficit di maschilità (nel senso sopra detto) significa immediatamente una regressione. Compreso, a parte ogni critica contingente ai così detti eccessi del patriarcato, un ipotetico ritorno (o, se si preferisce, l’entrata ex novo) in uno stato psischico (già in essere) e sociologico (prossimo venturo) di tipo matriarcale. Il quale non sarebbe affatto l’era della libertà ma quella della regressione dell’umanità ad uno stato infantile.
armando
armando(Quota) (Replica)
Retiarius
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Ho capito male o in quest articolo l’autrice insinua che non esiste un identità maschile e che quindi l’identità naturale per eccellenza sarebbe quella femminile?
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1- Qui la Slepoj fa sue affermazioni che sono acqua liquida per il movimento maschile da sempre e sembra presentarle come farina del suo sacco e come una novità (affermazioni peraltro in netto contrasto con la tesi della tabula rasa originaria). Ci comunica la fondamentale scoperta che “uomini si diventa” nel senso che la maturazione dei caratteri della maschilità ha bisogno di prove, esperienze, di passaggi etc. mentre non è così per le FF (o almeno non si tratta della stessa cosa).
Proprio per questo le diverse culture hanno predisposto (in modo inconscio) momenti-soglia, esperienze anche traumatiche, che cmq prevedevano momenti di separazione dal mondo femminile. ed è precisamente contro queste pratiche, contro l’idea che i MM abbiano bisogno di percorsi diversi e di momenti di separazione che ha combattuto la sua battaglia il femminismo sin dagli anni 60: e l’ha vinta. La Slepoj finge di non saperlo.
Non so se la suddetta intenda che “l’identità naturale per eccellenza” sia quella femminile né se con ciò voglia assegnarle un valore superiore a quella maschile.
Certo è questo, che nessun psicologo (serio) e cmq nessun attivista del movimento maschile intende come inferiore il diverso modo di maturare dell’identità maschile. Al contrario, essa viene sostenuta anche per significare che gli UU (in tale impresa) hanno bisogno di fattori culturali in misura maggiore che le DD e che perciò – appunto – quei percorsi e quelle esperienze non devono essere moralmente liquidati e socialmente impediti (che è invece ciò che accade).
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Ma la domanda che mi faccio io è, nella costruzione di questa identità maschile patriarcale costruita “culturalmente” quanto l’hanno determinata SOLO gli uomini o è frutto anche di una elaborazione consapevole femminile ??
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2- Bisogna uscire dall’idea che i fatti culturali, le tradizioni, i miti, le strutture educative etc. siano il prodotto di una sola parte (M o F) e che siano modellate in modo conscio. Questo modo di vedere va abbandonato. Non è possibile costruire forme culturali a tavolino e non è possibile che nell’intreccio indissolubile delle due psicologie uno dei due possa creare strutture e forme rilevanti e durature senza la compartecipazione (inconscia) dell’altro (questo può essere vero solo per parti minimali, momenti e ambiti limitati). Non è la coscienza che crea la le civiltà e i suoi costumi e non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: ad es. il machismo latino è più una creazione della psiche femminile (la Madre Mediterranea) che di quella maschile. E ciò vale anche per la “costruzione culturale dell’identità maschile patriarcale” qualsiasi cosa si intenda per “identità “ e per “patriarcale”.
3- Nel commentare le affermazioni altrui si finisce con il condividere il significato di molti termini essenziali che l’autore usa e che invece dovrebbe venir sempre vagliato (il che comporterebbe ogni volta la stesura di …papiri). Ma in qualche caso bisogna chiarire. Come qui.
Cosa si intende per “patriarcato-ale” ? Cosa intenda la Slepoj è ovvio: la condizione di dominio maschile totale con connesso terrorismo domestico, durata per millenni sino alla metà del XX secolo in Occidente. A questo dominio era correlata una data forma psichica maschile che ora mostra le crepe, le c.d. “ferite”. Ma cosa intendiamo noi?
Che il patriarcato (nella versione femminista=Slepoj), possa esistere – in generale – e che sia esistito storicamente non ci sono dubbi, benché sia necessario definire dove e quando. Che invece meriti quel nome la condizione dei rapporti M/F in Occidente negli ultimi secoli è da rifiutarsi in modo assoluto (Fabrizio ne ha disegnato qualche tratto). Quella è una costruzione puramente criminalizzatrice e colpevolizzatrice.
Ed essendo falso (strumentale) l’assunto non può che essere falsa (strumentale) anche la deduzione secondo la quale: “Dalla attuale posizione, senza dubbio più libera e distaccata, gli uomini hanno la possibilità di conoscere le ferite che in loro ha generato lo sforzo costante per essere all’altezza del ‘modello uomo’”. Ne derivo che: il “modello uomo” è una costruzione artificiale del patriarcato che adesso crolla insieme con esso. Dunque non vi è alcun bisogno di un modello per gli UU in piena contraddizione con quanto affermava all’inizio.
Fabrizio:
“ Ed è ovvio che partendo da questo presupposto, diventa implicita una rivisitazione del concetto di maschilità”.
Questo è uno dei nostri compiti fondamentali.
Rn
Va da sé che nella propaganda femminista il “patriarcato”:
è sempre esistito in ogni parte del mondo
anzi no: non è sempre esistito e cmq non in ogni parte del mondo
anzi sì ma è finito 50 anni fa
anzi no: non è mai finito
però è moribondo
anzi no: è ancora vivo, vegeto e in rinascita…
Rino(Quota) (Replica)
Riporto un altro brano del sopracitato libro di Vera Slepoj.
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LA GUERRA E LA VIOLENZA COME VALORI SOCIALI DOMINANTI
Nel bellissimo film di Kubrick, 2001: Odissea nello spazio, vediamo che il primo salto evolutivo compiuto dall’uomo (o, meglio, dal primate, suo diretto antenato) è la scoperta della possibilità di servirsi di un osso come arma per migliorare la propria capacità offensiva. La suggestiva immagine di Kubrick corrisponde all’opinione molto diffusa secondo la quale i primi rudimentali arnesi furono coltelli e clave, costruiti dall’uomo cacciatore o dall’uomo guerriero per uccidere gli animali e sterminare il prossimo. Sembra quindi di poter dire che le più importanti scoperte tecnologiche siano connesse alla violenza e alla sopraffazione, attributi considerati tipicamente virili e innati nella natura maschile (se non addirittura nella natura umana tout court). E’ indubbio che nella società patriarcale il modello maschile si è strutturato in rapporto alla forza fisica, alla violenza e al coraggio. Abbiamo visto come secondo molti storici e antropologi sia la maggiore prestanza dell’uomo a legittimare il suo predominio sociale. Il vigore fisico maschile sarebbe insomma un surplus che va riconosciuto e premiato con l’assegnazione del posto di comando, e cioè in definitiva del potere, che appartiene a chi ha la forza, e quindi anche la forza di prenderselo. Non a caso nel nostro linguaggio i due termini “forza” e “potere” sono usati spesso come sinonimi.
In questa prospettiva, è la forza che legittima il potere, e non viceversa, in quanto si parte dal presupposto che essa sia il valore più importante in una società: chi detiene più forza fisica, detiene più potere. Questo assioma è vero, però, solo all’interno di un contesto sociale in cui la forza assume una funzione sociale prioritaria, in cui cioè la necessità di attaccare, di difendersi, di dimostrare maggiore resistenza e vigore diventa vitale per la sopravvivenza del gruppo. Se per esempio una comunità dipende solo dalle risorse alimentari fornite dalla caccia, è molto probabile che in essa le abilità connesse alla cattura degli animali assumano un rilevante valore sociale; parimenti, se una civiltà fonda la propria ricchezza prevalentemente sul saccheggio (come per esempio i Mongoli di Gengis Khan o alcuni Stati barbareschi delle sponde del Mediterraneo), è certo che in essa i valori connessi alla forza fisica occupino i primi posti della gerarchia del prestigio e del potere. E’ altrettanto ovvio che in una società in cui le armi più distruttive sono quelle nucleari o batteriologiche, che per sprigionare la loro furia devastante richiedono più la conoscenza dell’informatica e della chimica che delle arti marziali, la forza fisica abbia perso la sua importanza primitiva. Ciò non esclude che essa sia sempre stata uno degli attributi più qualificanti dell’identità maschile, dato che ancora oggi si parla di “sesso forte” o di “sesso debole” in un contesto in cui la superiorità fisica non sembra più avere una funzionalità predominante. Per capire come mai la forza fisica ha assunto, nella storia della nostra civiltà, questo valore simbolico prioritario, dobbiamo ancora una volta tornare agli albori della nostra civiltà. E’ ovvio che ci sono diversi tipi di forza, da quella intellettuale a quella psicologica; sappiamo anche come l’egemonia maschile è stata fondata non solo sulla superiorità fisica, ma anche su quella intellettuale e morale. Classificando l’uomo come spirito e la donna come materia, Aristotele ha infatti attribuito esclusivamente all’uomo il dominio del logos, dell’intelligenza, della ragione e del pensiero, escludendo la donna da qualsiasi attività razionale, speculativa e contemplativa. Però, nell’analisi di queste due figure archetipiche, quella del guerriero e quella dell’eroe, ci si concentrerà quasi esclusivamente sulla forza fisica e sul suo valore culturale, per cercare di capire come essa abbia fondato il modello virile patriarcale e la sua trasmissione culturale e sociale.
Gordon Childe, uno dei più famosi studiosi della preistoria, definisce la cultura dell’antica Europa come essenzialmente pacifica e democratica, priva cioè di “capi che accentrassero le ricchezze della comunità”. Sembra infatti che i cacciatori preistorici vivessero armati, ma in pace. Egli rileva però come in seguito questa situazione si sia gradualmente modificata con l’avvento della guerra e in particolare delle armi di metallo, la cui comparsa si è accompagnata a quella di tombe e abitazioni di capi, segno evidente dell’esistenza di una stratificazione sociale:”La competizione per il territorio assunse un carattere bellicoso, e si misero a punto per la guerra armi come le asce da battaglia”. Parallelamente, lo storico nota la progressiva scomparsa delle statuette femminili legate al culto della fertilità, che egli spiega con l’avvenuta supremazia maschile e con il passaggio dell’organizzazione della società da matrilineare a patrilineare. Secondo molti storici, questo cambiamento è stato provocato dalle invasioni dei Kurgan, i popoli indoeuropei che si sono violentemente abbattuti a ondate successive sull’Europa, alterandone profondamente il corso della storia. Si trattava di popoli nomadi, dediti alla pastorizia e conoscitori dei metalli, con una organizzazione sociale marcatamente gerarchizzata e patrilineare, basata essenzialmente sulla forza bellica e sul saccheggio. La storica Gimbutas rileva come le culture degli antichi Europei fossero antitetiche:”Gli antichi Europei erano sedentari, propensi a vivere in grandi città ben progettate. L’assenza di fortificazioni e di armi dimostra la convivenza pacifica di questa civiltà egualitaria, probabilmente matrilineare e matrilocale. Il sistema kurgan era composto da unità di allevatori patrilineari, socialmente stratificate, che vivevano in piccoli villaggi o in accampamenti stagionali. Un’ideologia basata sull’agricoltura e una basata sull’allevamento e il pascolo produssero due ideologie contrastanti. L’ideologia kurgan, come si evince dalla mitologia comparata indoeuropea, esaltava gli dei guerrieri del cielo fulgido e tonante, eroici e virili. Le armi non esistono nelle immagini degli antichi Europei, mentre la daga e l’ascia da combattimento sono simboli dominanti dei Kurgan, che, come tutti gli Indoeuropei della storia, glorificano il potere letale della spada affilata”. L’arrivo in massa di queste popolazioni bellicose è stato catastrofico per le società agricole europee, che hanno visto progressivamente mutare i loro presupposti culturali e i loro sistemi di valori.
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Simone(Quota) (Replica)
Rino…..Non so se la suddetta intenda che “l’identità naturale per eccellenza” sia quella femminile né se con ciò voglia assegnarle un valore superiore a quella maschile.
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Io mi riferivo a questi passi dell’articolo:….1 Questo fa presupporre che le donne percepiscano la femminilità come un dato naturale e sostanziale, che non viene scalfito dai cambiamenti comportamentali né minacciato dall’assunzione di nuovi ruoli, perché è vissuto come intrinseco al loro corpo.
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E poi 2 La costante preoccupazione nel dover difendere e ribadire la maschilità fa presupporre che questa sia percepita, a livello sociale e individuale, più come una costruzione culturale che come una condizione naturale. Come se per la costruzione di un individuo maschile sia necessaria l’”aggiunta” di un apparato comportamentale e simbolico, quasi a DOVER SOPPERIRE A UNA MANCANZA__________________________________________
Rino…..Bisogna uscire dall’idea che i fatti culturali, le tradizioni, i miti, le strutture educative etc. siano il prodotto di una sola parte (M o F) e che siano modellate in modo conscio. Questo modo di vedere va abbandonato. Non è possibile costruire forme culturali a tavolino e non è possibile che nell’intreccio indissolubile delle due psicologie uno dei due possa creare strutture e forme rilevanti e durature senza la compartecipazione (inconscia) dell’altro (questo può essere vero solo per parti minimali, momenti e ambiti limitati). Non è la coscienza che crea la le civiltà e i suoi costumi e non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: ad es. il machismo latino è più una creazione della psiche femminile (la Madre Mediterranea) che di quella maschile.
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Sono daccordo, è credo che determinate culture modi di essere e assetti sociali siano determinati da entrambi i generi sessuali probabilmente in modo inconscio inconsapevole come lo è anche il motore dell’evoluzione biologica.Questo smentirebbe le tesi femministe di una storia di oppressori che hanno determinano tutto.E sul machismo latino e le donne credo sia passata alla storia un intervista della giornalista Leosini a Leonardo sciascia.Se si può reperire è una cosa utile!
Retiarius(Quota) (Replica)
“Gli antichi Europei erano sedentari, propensi a vivere in grandi città ben progettate. L’assenza di fortificazioni e di armi dimostra la convivenza pacifica di questa civiltà egualitaria, probabilmente matrilineare e matrilocale. Il sistema kurgan era composto da unità di allevatori patrilineari, socialmente stratificate, che vivevano in piccoli villaggi o in accampamenti stagionali. Un’ideologia basata sull’agricoltura e una basata sull’allevamento e il pascolo produssero due ideologie contrastanti. L’ideologia kurgan, come si evince dalla mitologia comparata indoeuropea, esaltava gli dei guerrieri del cielo fulgido e tonante, eroici e virili. Le armi non esistono nelle immagini degli antichi Europei, mentre la daga e l’ascia da combattimento sono simboli dominanti dei Kurgan, che, come tutti gli Indoeuropei della storia, glorificano il potere letale della spada affilata”. L’arrivo in massa di queste popolazioni bellicose è stato catastrofico per le società agricole europee, che hanno visto progressivamente mutare i loro presupposti culturali e i loro sistemi di valori”
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Sta tipa mi dovrebbe spiegare in base a cosa possa supporre che, questa civiltà pacifica ed egualitaria, dovesse essere matriarcale.
Pace ed egualitarismo sono forse appannaggio esclusivo delle donne?
sandro(Quota) (Replica)
Infatti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Marija_Gimbutas#Critiche
“I critici sostengono che gli oggetti ritrovati nelle sepolture, di cui la Gimbutas non tiene conto, suggeriscano in realtà che nel Neolitico vi fossero ruoli sociali più usuali per i sessi; contestano l’enfasi data alla figura femminile quando in realtà sono presenti anche molte figure maschili o asessuate”
sandro(Quota) (Replica)
Francamente non attribuirei alcuna importanza a questo secondo stralcio della Slepoj e passerei oltre.
Nel primo c’erano importanti spunti di riflessione sui quali tornerò a breve.
Questo invece è solo propaganda, e anche delle più becere e scontate. Il cui obiettivo è dimostrare che prima dell’avvento delle orde maschili violente, predatorie e gerarchizzate, il mondo viveva nella pace, nella serenità e nell’eguaglianza di comunità dominate dal “femminile”.
Questa l’avrò sentita qualche migliaio di volte…E non vale la pena neanche soffermarcisi.
Ragazzi, prendiamo dagli avversari ciò che è giusto prendere e soprattutto ciò che è utile ai fini della nostra crescita personale e collettiva.
Questa è veramente paccottiglia, sciacquatura di piatti…
Fabrizio
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Fabrizio
Questo invece è solo propaganda, e anche delle più becere e scontate. Il cui obiettivo è dimostrare che prima dell’avvento delle orde maschili violente, predatorie e gerarchizzate, il mondo viveva nella pace, nella serenità e nell’eguaglianza di comunità dominate dal “femminile”.
Questa l’avrò sentita qualche migliaio di volte…E non vale la pena neanche soffermarcisi
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Per fortuna gli uomini siamo davvero importanti altrimenti ci avrebbero sterminati queste pacifiste.
Leonardo(Quota) (Replica)
armando
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E quando, come spesso accade, questa ferita non è impressa nel giusto modo si potranno avere due tipologie maschili apparentemente opposte ma nel profondo rivelatrici entrambre di un problema non risolto. Il maschio soft, matrizzato, che disprezza tutto ciò che è maschile (aggressività, forza, coraggio fisico), oppure il macho che tende alla prepotenza e all’arroganza. Nel primo caso il maschio ha rinunciato alla propria maschilità e guarda alla femmina come un “ideale”, nel secondo il maschio sente di dover essere sempre sopra le righe per paura di non essersi differenziato abbastanza. Nel macho, anche il disprezzo ostentato verso l’omosessualità quasi sempre identificata come atteggiamento femmineo, è la spia della paura di sentirsi femmina. E d’altra parte, il maschio soft che pur non essendo gay guarda a quel mondo con particolare ammirazione riconoscendone la superiorità rispetto alla virilità asciutta e spiccia considerata sintomo di rozzezza, non fa altro che ammirare nel gay la femminilità. Non è un caso, infine, che le due tipologie sono quasi sempre unite dall’idolatria per la propria madre.
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Sono sostanzialmente d’ accordo con te, e al riguardo vorrei evidenziare un altro particolare.
Questo genere di maschi “moderni”, soprattutto quelli piu’ giovani, nella maggior parte dei casi sono talmente castrati e indefiniti da attribuire alle femmine anche delle superiori capacita’ fisiche…!?! E il bello e’ che nel dirlo, o nello scriverlo, denotano spesso un notevole grado di soddisfazione!
A me, che sono stato un pugile dilettante (ancora oggi, quando posso, continuo ad allenarmi), nonche’ un karateka, quando ero ragazzino, cascano veramente le braccia! (per non dire altro). Non credo debba spiegarne le ragioni.
Daniele(Quota) (Replica)
Concordo con Rino quando afferma che una cultura non è mai frutto di un solo sesso ma è uno stadio dell’evoluzione umana in cui uomini e donne, pur nell’ovvio conflitto e nella divisione di ruoli e funzioni, anzi proprio per questo, elaborano uno statuto antropologico condiviso.
Quanto al patriarcato, sostengo che possa essere definito come lo stadio decisivo dell’emergere della coscienza umana separata dal cosmo, dunque dell’autocoscienza, dunque della cultura. Come tale non ha tanto a che vedere con strutture sociologiche con cui lo si confonde spesso, quanto invece con strutture psichiche. Sociologicamente poteva benissimo esistere una predominio maschile in ambito di strutture psichiche matriarcali. L’esempio del machismo mediterraneo, bacino nel quale il culto della Grande Madre era (ed è) fortissimo, serve benissimo a spiegare. L’effetto più importante del patriarcato in termini concreti non è il dominio maschile, è invece un nuovo concetto di norma (di legge, appunto del “padre” o patriarcale) il cui fulcro è lo sforzo di essere elaborata “erga omnes”, di avere quindi un valore oggettivo e universale in contrasto col diritto di sangue matriarcale. Il mito di Medea nell’Orestiade, in cui signficativamente ebbe parte importante e positiva Atena, la dea nata da una coscia del padre Zeus, serve a capire anche la questione dello statuto antropologico condiviso di cui dicevo prima.
Per tutto questo si può affermare che coscienza e cultura sono simbolicamente maschili, sebbene possano naturalmente avere parte importante anche le donne. Tutto ciò non piace, è vissuto come “lesa maiestatis” dell’archetipo della Grande Madre, ed è per questo che si vuole oggi annichilire come in sè oppressivo il patriarcato e rivalutare come liberatore il matriarcato. Ma è vero esattamente l’opposto. Su questa faccenda si era ingannato Engels (L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato), che prende a prestito le tesi di Bachofen su un matriarcato sociologico originario. Ciò non è mai stato dimostrato, ma in ogni caso lo stesso Bachofen sostiene che il patriarcato fu un superamento “necessario” del matriarcato la cui struttura sociale e psichica era puramente conservativa. La confusione a proposito del patriarcato/matriarcato è interessata e serve a intorbidire le acque. Si usa quel che pare secondo convenienza. Tutto ciò che poi è stata la società occidentale in termini di predominio di un sesso sull’altro (cosa che sarebbe peraltro da non dare per scontata come assiomatica e studiata non solo sui testi giuridici ma nella realtà concreta dei rapporti M/F) non è descrivibile come patriarcato e necessiterebbe di altri termini.
Infine, concordo con chi ha detto che quello che sostiene la Slepoij sull’invasione da parte di popoli guerrieri della pacifica Europa, sono ipotesi dette e ridette ma assai deboli sul piano storico e soprattutto teorico. Non spiegano,ad esempio, perchè il Patriarcato , nella sua accezione limitante e sociologica, si sarebbe diffuso in tutto il globo e in continenti diversi che all’epoca non avevano contatti di sorta.
Su questi temi, se a qualcuno può interessare, mi permetto di segnalare un mio mini-saggio su Il Covile, unitamente ad una recensione di un libro ormai introvabile (non a caso) di Ivan Illich
http://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_587.pdf
armando
armando(Quota) (Replica)
Guardate qua:
http://www.youtube.com/watch?v=oyOVMyfPzFM
Non ci vuole molto a capire che e’ tutto preparato, ma al di la’ di questo, vorrei chiedervi: vi prestereste ad una pagliacciata simile ? Voi vi “arrapereste” di fronte a questa povera complessata ? Quello che voglio dire e’ che solo in questa epoca si riscontrano fatti del genere; gli uomini di un tempo, NON avrebbero mai accettato di prestarsi a simili puttanate.
Detto questo, immaginate la situazione contraria, ipotizzate che al posto di quel coglioncello ci sia il sottoscritto, che a un certo punto – vero o falso che sia…- rifila un cazzotto sulle tette della tizia oppure un calcio nello stomaco, mettendola KO…
Cosa pensate accadrebbe? Quante femmine credete che si ecciterebbero ? Scommettete che verrei pure denunciato per violenza, o per istigazione alla violenza sulle donne ?
Per concludere: come ebbe modo di farmi notare un mio caro amico, gia’ diversi anni fa, “i primi da rifondare sono gli uomini e non le femmine”… Se queste stronzette qua si “allargano” – come si suol dire dalle mie parti – e’ solo perche’ dall’ “altra parte” percepiscono debolezza.
Mentre le femmine devono assolutamente percepire la forza. Piaccia o meno, loro sono fatte cosi’.
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(*) Circa dieci anni fa, quando praticavo gia’ da qualche anno il pugilato, in palestra mi capito’ di combattere con un tizio (maschio) cintura nera di karate, che misi KO con un gancio destro. Be’, avrei fatto altrettanto se si fosse trattato di una femmina; anzi, in verita’, avrei fatto pure di peggio. Il tutto in nome delle pari opportunita’ tanto reclamate dalle appartenenti al “vero sesso forte”.
Asseriva il senatore romano Marco Porcio Catone (234 a.C. – 149 a.C.):
“La donna è un animale violento e senza freni, ed è inutile lasciar andare le redini e poi aspettarsi che non si metta a scalciare. Bisogna tenerle sotto stretto controllo. Le donne vogliono la libertà totale, o piuttosto, per chiamare le cose col proprio nome, totale impunità. Se permetterete loro di raggiungere la completa parità con gli uomini, pensate forse che sarà più facile viverci insieme ? Per niente. Una volta che avranno raggiunto la parità, diventeranno le vostre padrone…”
P.S. Asseriva il senatore romano Marco Porcio Catone (234 a.C. – 149 a.C.):
“La donna è un animale violento e senza freni, ed è inutile lasciar andare le redini e poi aspettarsi che non si metta a scalciare. Bisogna tenerle sotto stretto controllo. Le donne vogliono la libertà totale, o piuttosto, per chiamare le cose col proprio nome, totale impunità. Se permetterete loro di raggiungere la completa parità con gli uomini, pensate forse che sarà più facile viverci insieme ? Per niente. Una volta che avranno raggiunto la parità, diventeranno le vostre padrone…”
Daniele(Quota) (Replica)
“La donna è un animale violento e senza freni, ed è inutile lasciar andare le redini e poi aspettarsi che non si metta a scalciare. Bisogna tenerle sotto stretto controllo. Le donne vogliono la libertà totale, o piuttosto, per chiamare le cose col proprio nome, totale impunità. Se permetterete loro di raggiungere la completa parità con gli uomini, pensate forse che sarà più facile viverci insieme ? Per niente. Una volta che avranno raggiunto la parità, diventeranno le vostre padrone”
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Se solo noi avessimo un terzo della lucidità che avevano gli antichi romani, non solo riguardo la natura femminile, ma riguardo la natura umana in generale, il mondo sarebbe semplicemente un altro pianeta.
Non c’è bisogno di scoprire nulla: avevano già capito tutto loro.
Il bello è che ai ragazzi che studiano latino a scuola, col cazzo che gliele fanno leggere, queste cose.
sandro(Quota) (Replica)
Vabbè che gli antichi spesso sfoderavano perle di saggezza , però attenzione a dire che le donne bisogna tenerle sotto stretto controllo, così sembra che siamo maschilisti .
PS siccome sono piuttosto pignolo vi dico che in realtà è la razza umana a prendersi tutto il braccio, se dai una mano…
Silent Hill(Quota) (Replica)
Se permetterete loro di raggiungere la completa parità con gli uomini, pensate forse che sarà più facile viverci insieme ? Per niente. Una volta che avranno raggiunto la parità, diventeranno le vostre padrone”
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A me una cosa simile fa sorridere…ma pensate veramente che con l’uomo sia diverso ? E cosa starebbe a significare questo passo, che l’uomo debba dominare la donna ? Ma siamo antifemministi o maschilisti (*) ? Tenete presente che è giusto che la donna viva in parità con l’uomo, poi sta all’uomo stesso non lasciarsi approfittare .
(*) non vi offendete, il mio è un modo particolare per dire di stare attenti alle parole per come possono essere interpretate, e soprattutto nom diventare maschilisti ( prego fare anche qui attenzione ai termini, antifemminismo è ben altra cosa )
Silent Hill(Quota) (Replica)
“A me una cosa simile fa sorridere…ma pensate veramente che con l’uomo sia diverso ?”
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Io no.
Ma molti pensano che le donne siano diverse.
E pensano male.
sandro(Quota) (Replica)
Silent Hill
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(*) non vi offendete, il mio è un modo particolare per dire di stare attenti alle parole per come possono essere interpretate, e soprattutto nom diventare maschilisti ( prego fare anche qui attenzione ai termini, antifemminismo è ben altra cosa )
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Silent, non offenderti neanche tu, ma si vede che sei molto giovane. Tu sei troppo timoroso, mentre io non lo sono per niente. Inoltre, se permetti, so bene che essere antifemministi e’ cosa ben diversa dall’ essere maschilisti… Il fatto che si possano riportare certe frasi degli antichi, non equivale a condividerne in toto il contenuto. Esse servono semplicemente a far pensare (si spera…) gli smidollati maschietti di oggi. E in ogni caso, sappi che io parlo (e provoco) sempre a titolo personale.
Daniele(Quota) (Replica)
E invece caro Daniele, Silent Hill ha ragione, a mio parere, e raccolgo il suo invito a soppesare bene quello che scriviamo.
E’ da quasi un anno che mi sforzo di dire a tutti che è fondamentale ponderare le nostre parole. Specialmente da quando mi sono reso conto che la grande maggioranza dei visitatori tende a farsi un‘ opinione del sito e di noi stessi principalmente in base alla discussione che avviene nello spazio commenti piuttosto che sugli editoriali o sui nostri manifesti e documenti ufficiali. Le ragioni di questo fenomeno sono diverse e di vario genere. Le analizzeremo e ci rifletteremo (personalmente ho già delle opinioni in proposito).
In ogni caso, ci piaccia o meno, così stanno le cose. C’è chi lo fa in perfetta buona fede e chi (molti) no. Sta di fatto che il dibattito nel blog ci qualifica e contribuisce in modo determinante a costruire la nostra immagine pubblica.
Ora, la domanda che rivolgo a tutti voi (e da tutti mi piacerebbe,a questo punto, avere una risposta, specialmente dopo che avrò ripetuto questo concetto qualche decina di volte) è la seguente:”.Preferiamo essere considerati (e soprattutto sentirci noi per primi) una congrega di rancorosi e livorosi (indipendentemente dalla buona o cattiva fede di chi pensa questo) che ha trovato l’opportunità di sfogare le proprie incazzature e frustrazioni personali su un blog, oppure un movimento di uomini evoluti e consapevoli che cerca di costruire un percorso personale e collettivo?”.
Sia chiaro: non c’è nulla di male se qualcuno di noi cova sentimenti di frustrazioni e risentimento. Direi che è umano e certamente non deve essere colpevolizzato per questo (il senso di colpa è abolito in questo luogo). Dirò di più. E’ giusto anche che li esprima e questo spazio serve anche a dare voce a questa rabbia (e anche questo concetto l’avrò ripetuto decine di volte).
Però, stabilito questo, e una volta dato sfogo a tutto quello che abbiamo accumulato e sepolto nel nostro pozzo più profondo, ce la facciamo a fare un salto di qualità? A superare questa condizione interiore traducendola e trasformandola in una dimensione più alta e consapevole? Guardate che ne guadagneremmo tutti e a tutti i livelli, anche e soprattutto sul piano personale, cioè psicologico ed esistenziale. Non solo. Cambierebbe radicalmente anche il nostro modo di relazionarci nei confronti del femminile nel suo complesso . Credetemi.
E naturalmente ne guadagnerebbe la prospettiva di crescere come movimento, di incidere concretamente sulla realtà e soprattutto di essere protagonisti , ciascuno di noi, in prima persona, di un processo di cambiamento profondo della realtà e della nostra esistenza.. Vi sembra poco? O forse è qualcosa che dà e costruisce senso, che trasforma RADICALMENTE le nostre vite, per la quale vale la pena di impegnarsi e investire energie?
Credo che sia opportuno riflettere su questi risvolti, specie quelli che hanno una ricaduta personale e diretta (assolutamente positiva) sul nostro modo di essere e stare al mondo.
Fabrizio
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
l’ho ripetutto varie volte che la parità tra uomo e donna , quella vera fatta di diritti ma anche di doveri ,è l’unica via possibile. Certo che ,leggendo tra i blog cosiddetti femministi o postfemministi (che sono i peggiori ), tipo femministe a sud, sai già che cosa vai incontro. Se leggi invece vari blog che precisano “niente contro gli uomini” ma se succede uno stupro ,un omicidio passionale o un omicidio che coinvolga un uomo e una donna ,ne fanno subito una questione maschile ,ebbene ,è chiaro che la rabbia sale. Di solito poi questi blog sono di una certa pseudo sinistra (ne abbiamo parlato varie volte del femminismo e della sua collocazione di comodo a sinistra) e riescono nel non facile compito di rendere simpatico anche uno come Berlusconi ,visto che tutti gli uomini ,secondo loro ,si indentificano in quel personaggio, poco importa che ci siano uomini operai ,precari ,disoccupati ,spazzini ecc ecc ,che hanno una vita difficile. Invece ,secondo loro, alla sera ci aspetta sempre il bunga bunga quando arriviamo a casa ,e quindi ,anche qui, la rabbia incomincia ad esplodere ,e si può capire certi post di rancore verso l’universo femminile …Ma allora dobbiamo comportarci come loro ?? O invece dobbiamo dimostrare che esiste un altro tipo di uomo che lotta e soffre ,in definitiva esiste anche un uomo diverso da quello che i media ci vogliono propinare ?’
mauro recher(Quota) (Replica)
Fabrizio
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”.Preferiamo essere considerati (e soprattutto sentirci noi per primi) una congrega di rancorosi e livorosi (indipendentemente dalla buona o cattiva fede di chi pensa questo) che ha trovato l’opportunità di sfogare le proprie incazzature e frustrazioni personali su un blog, oppure un movimento di uomini evoluti e consapevoli che cerca di costruire un percorso personale e collettivo?”.
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Fabrizio, premesso che resto dell’opinione che Silent non abbia affatto ragione, mi permetto di farti notare che a prescindere da quello che si puo’ scrivere in questa sede, come in altre, chiunque ragioni, parli e scriva come noi sara’ SEMPRE e comunque considerato un rancoroso, livoroso, “sfigato” che non scopa, sia dalle donne che dagli uomini.
Inoltre non mi sembra un gran problema il fatto che possano essere riportate le parole di uomini vissuti e morti oltre duemila anni fa, perche’ le stesse servono semplicemente a far capire meglio tanti piccoli particolari, che agli uomini di oggi sfuggono alla grande.
Questo non significa far proprie quelle parole, anche perche’, detto molto chiaramente, per me le femmine sono libere di fare tutto quello che gli pare: compreso l’andare a combattere contro i talebani in Afghanistan.
Ma figurati quanto puo’ importarmene di “dominarle”…
L’importante e’ che non se “ne passino” ne’ con le parole, ne’ con gli atteggiamenti.
Daniele(Quota) (Replica)
sandro
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Io no.
Ma molti pensano che le donne siano diverse.
E pensano male.
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Appunto: pensano male, proprio perche’ credono che le femmine siano migliori.
Daniele(Quota) (Replica)
@ Daniele –
Questo genere di maschi “moderni”, soprattutto quelli piu’ giovani, nella maggior parte dei casi sono talmente castrati e indefiniti da attribuire alle femmine anche delle superiori capacita’ fisiche…!?! E il bello e’ che nel dirlo, o nello scriverlo, denotano spesso un notevole grado di soddisfazione!
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Sì, è vero, molto spesso è proprio così.
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@ Silent Hill –
PS siccome sono piuttosto pignolo vi dico che in realtà è la razza umana a prendersi tutto il braccio, se dai una mano…
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Ma guarda che questo ciascuno di noi lo sa e, di certo, non sei tu il primo a sostenerlo.
http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=Hobbes.html
Non lo conosco, così come non conosco personalmente nessuno degli uomini che scrivono nel blog di uomini beta, ma a me è chiarissimo il fatto che Daniele ami “stuzzicare” a modo suo. Basti dire che è riuscito a farti credere il contrario di quello che sicuramente pensa.
Marco(Quota) (Replica)
Daniele, non ce l’avevo con la citazione di Catone che ci può benissimo stare, ma ad atteggiamenti che spesso emergono, come sappiamo bene, e che non servono veramente a nulla.
Il fatto che siamo e saremo comunque sottoposti al tentativo di pestaggio psicologico e morale non comporta che noi gli si offra il fianco. E in ogni caso io credo che nella vita ci si debba sempre sforzare di dare il meglio di noi stessi. E anche questo è ciò che fa la differenza tra un uomo consapevole e uno che non lo è.
Concordo quindi con quanto detto da Mauro Recher a tal proposito. Proprio noi abbiamo il dovere (e non perché qualcuno ce lo imponga ma per nostra scelta deliberata) di dimostrare che esiste un altro tipo di uomini rispetto a quelli descritti dalla vulgata corrente.
Fabrizio
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
“Proprio noi abbiamo il dovere (e non perché qualcuno ce lo imponga ma per nostra scelta deliberata) di dimostrare che esiste un altro tipo di uomini rispetto a quelli descritti dalla vulgata corrente”
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Io credo che, prima ancora, dovremmo sobbarcarci il compito di dimostrare che LE DONNE sono MOLTO, ma MOLTO diverse da come le rappresenta, appunto, la vulgata corrente.
Le magagne nostre sono spiattellate in faccia a tutti da decenni, le loro vengono occultate come fossero scorie nucleari: è questo, e non altro, che permette loro di mettersi su un piedistallo e giudicare.
E quello che preme a me è proprio dimostrare che non hanno il credito morale per giudicare proprio un cazzo: sono tutto fuorché migliori degli uomini, lo aveva capito già Catone due millenni fa.
sandro(Quota) (Replica)
Marco
Daniele ami “stuzzicare” a modo suo. Basti dire che è riuscito a farti credere il contrario di quello che sicuramente pensa
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Daniele non lo conosco, quindi se lui ama “stuzzicare così” allora mi sono sbagliato io.
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sandro
Ma molti pensano che le donne siano diverse.
E pensano male.
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Sandro, gente del genere la disprezzo pure io, questo è appurato
Silent Hill(Quota) (Replica)
In passato era molto diffusa l’idea che un certo tipo di mansioni dovessero essere assegnate all’uomo in quanto più in grado dell’altro sesso di esercitarle proficuamente, anche attività di natura intellettuale e non meramente fisica. Oggi si tende, in maniera un pò subdola, a far passare l’idea opposta, e cioè che assegnare, per esempio, più potere politico alle donne abbia sempre ricadute positive per tutti in ambito sociale. Combattere una simile posizione di stampo femminista è un dovere civico, così come lo sarebbe nel caso si propagandasse ancor oggi un’idea opposta. L’infondatezza di una simile posizione è d’altronde dimostrata dai tanti esempi di donne al potere: dalla Tatcher, alle tante americane, fino ai tristissimi esempi nostrani, tra cui merita una citazione l’attuale ministro(a) dell’istruzione. Non fanno eccezione tante donne di “sinistra”, le quali piangono continuamente “miseria” per se stesse e per l’intero genere femminile in base a non si sa quale discriminazione patita. Come può un uomo farsi rappresentare da simili esponenti politici? Ben vengano quindi più donne al potere, ma che in tante inizino a liberarsi del loro sessismo più o meno mascherato, perchè sta diventando sempre più insopportabile.
Alessandro(Quota) (Replica)
“Io credo che, prima ancora, dovremmo sobbarcarci il compito di dimostrare che LE DONNE sono MOLTO, ma MOLTO diverse da come le rappresenta, appunto, la vulgata corrente.
Le magagne nostre sono spiattellate in faccia a tutti da decenni, le loro vengono occultate come fossero scorie nucleari: è questo, e non altro, che permette loro di mettersi su un piedistallo e giudicare.
E quello che preme a me è proprio dimostrare che non hanno il credito morale per giudicare proprio un cazzo: sono tutto fuorché migliori degli uomini, lo aveva capito già Catone due millenni fa”. (Sandro)
Sono assolutamente d’accordo, Sandro, ma noi questo già lo facciamo. Ciò che voglio dire è che potremmo farlo molto, ma molto meglio, se mettessimo da parte determinati atteggiamenti che di certo non giovano alla nostra causa. E siccome, sarai d’accordo con me, quello che conta è il risultato, credo che sia opportuno da parte di tutti regolarsi di conseguenza.
Preferisci giocare bene (anzi, in questo caso male, ma ci siamo capiti…) e perdere, oppure fare una partita accorta, lucida, se vuoi anche cinica ma determinata, e vincere?
Ti sei già dato la risposta. Ed è la risposta che qualsiasi uomo di buon senso (e noi lo siamo) si darebbe.
Fabrizio
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Credo che in merito al giudizio sociale e mediatico sulle donne ci si trovi di fronte oggi alla difficoltà propria di un paradosso:
come si fa a dire la verità sulle donne quando tutti mentono proprio perchè credono di sapere la verità?
Voglio dire che la lode acritica del femminile e l’autoaccusa maschile (che è l’altra forma ma invertita della medesima lode), è fondata a mio avviso sulla disistima acritica e pregiudiziale del femminile. Dal che ne consegue che solo chi ha stima delle donne ritiene sensato considerarle degne della propria critica, e si considera degno di esercitare la critica proprio perchè maschio. E risulta anche che costui dice cose ritenute da tutti assolutamente ovvie. Per cui come può essere ascoltato da chi esalta le donne perchè non le stima? L’unica via è che le donne non temano la verità e giudichino sincero e credibile chi esercita la critica verso di loro. Ma ad oggi risulta che considerano tale solo chi le adula e chi denigra se stesso e il proprio genere maschile (un altro paradosso). E questa è una delle evidenze più deludenti e incredibili del comportamento delle donne ai nostri giorni.
ckkb(Quota) (Replica)
Daniele
chiunque ragioni, parli e scriva come noi sara’ SEMPRE e comunque considerato un rancoroso, livoroso, “sfigato” che non scopa, sia dalle donne che dagli uomini.
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Premetto che è un'opinione personale dettata dall'esperienza ( anche se non molta), è un bene che ti rispondano così , perchè vuol dire che sono incapaci di argomentare . A chiunque gliel'ho fatto presente….beh puntualmente se l'è svignata dal confronto (*) . Alle tue argomentazioni ti risponde che sei un misogino quando in realtà non lo sei affatto ( oppure magari sei pure fidanzato ) ? Bene, vuol dire che hai centrato la piaga dolente .
(*) Che poi il confronto con molta gente non ha senso è un altro discorso
Silent Hill(Quota) (Replica)
CKKB:L’unica via è che le donne non temano la verità e giudichino sincero e credibile chi esercita la critica verso di loro. Ma ad oggi risulta che considerano tale solo chi le adula e chi denigra se stesso e il proprio genere maschile (un altro paradosso). E questa è una delle evidenze più deludenti e incredibili del comportamento delle donne ai nostri giorni.>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
Vero, soprattutto per le donne dai 30 ai 50 anni, cresciute nella “bambagia”, tra uomini adulatori, quote rosa, privilegi vari… La responsabilità di tutto questo è però principalmente maschile, perchè è difficile che chi è stato posto sul piedistallo vi discenda di sua spontanea iniziativa. Il maschietto di sinistra o di destra che sia, continuando a celebrare acriticamente il femminile, a dar ragione a qualsiasi fesseria venga pronunciata da una donna, e quante fesserie hanno trovato spazio e considerazione negli ultimi anni, contribuisce allo svilupparsi di una generazione di viziate a cui sembra tutto dovuto. Voglio soffermamrmi soprattutto sull’uomo di “sinistra”, femminista, figura caricaturale, che crede di rappresentare un esempio di progressismo ed è invece solo un povero ingenuo nel migliore dei casi o un semplice opportunista nel peggiore. E’ tempo che la critica, così come viene attuata, spesso anche a ragione, nei confronti del maschile, e chi tra di noi non ha sperimentato anche la stupidità maschile sulla propria pelle scagli la prima pietra, venga estesa in maniera costruttiva anche al femminile, affinchè la relazione tra i generi possa migliorare, perchè l’attuale rapporto reginette-sudditi non credo che faccia piacere, soprattutto a una parte. Questo è però un compito principalmente maschile e sarà forse un compito di cui, nella migliore delle ipotesi, si farà carico la futura generazione. Ciò non toglie che fare da apristrada sia comunque di grande importanza.
Alessandro(Quota) (Replica)
“La responsabilità di tutto questo è però principalmente maschile”
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Se vogliamo essere precisi, è di quella parte del genere maschile che va dai 40/50 anni in su.
Un under 40 in questa situazione ci si trova semplicemente suo malgrado, certamente non può aver contribuito a crearla: è stata creata prima.
Uno dei tanti regali delle generazioni che ci hanno preceduto.
Bravi, complimenti.
sandro(Quota) (Replica)
In effetti dovrebbero avere più esperienze, conoscenze e trasmetterle agli altri, ma ciò accade raramente. In verità la capacità di osservare e interpretare la realtà al di fuori degli stereotipi, dei luoghi comuni, delle visioni ideologiche, è una prerogativa di pochi. Riuscire a cogliere le reali motivazioni che si celano dietro ai bei principi e progetti rimane, per la maggior parte degli individui, un obiettivo quasi irragiungibile. Vi è poi chi, pur cogliendo quel pò di verità che ci è concessa, se la tiene stretta, perchè strumento prezioso per raggirare gli altri e conservare il proprio privilegio. Non è da oggi che la conoscenza viene utilizzata più per ingannare gli altri che per “aprir loro gli occhi”. Ecco perchè, fatte le dovute differenze, dietro i Berlusconi, le femministe, i tanti ipocriti “vincenti” ecc., c’è così tanto consenso. Da una parte i furbi, dall’altra i tanti fessi che non hanno ancora capito che la realtà non è mai quella che gli opinion leaders propongono loro, ma è una costruzione frutto di un faticoso sforzo individuale, di messa in discussione di tutto ciò che appare “credibile”. Ovviamente c’è anche chi per conto suo ha già intrapreso questo cammino critico. A lui/lei spetta il compito, nel suo piccolo, di aiutare gli altri a emanciparsi dall’ideologia dominante.
Alessandro(Quota) (Replica)
Questa immagine-verità non svela forse l’effetto “blocco” nei maschi, indotto da un femminile in panni aggressivi? Come può reagire un maschio e difendersi se chi l’attacca è un Robocot che in realtà, pisciando, si svela femmina? Una tenerissima pisciatina paralizzante più di qualunque arma. Il Diavolo fa i mimetici, ma non i coperchi. Meditiamo gente, meditiamo.
http://multimedia.lastampa.it/multimedia/cultura-e-arte/lstp/11082/
ckkb(Quota) (Replica)