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Qualche settimana fa scrivevo un articolo “WHY #FEMINISM LOVES RADICAL #ISLAM” (perché il femminismo ama l’Islam radicale ).
In sostanza il messaggio era il seguente:
il femminismo non può accettare la dimensione contingente, culturale e situazionale del sessismo e delle discriminazioni, perché altrimenti dovrebbe accettare il fatto che non è una questione di genere; e se accettasse questo assunto dovrebbe poi contemplare l’ipotesi che nella nostra contingenza/cultura occidentale le donne non sono affatto oppresse e magari le discriminazioni e il sessismo esistono a parti invertite. Il femminismo non può accettare questa ipotesi, in premessa. Se accettasse tale ipotesi, si dissolverebbe.
Una femminista irrideva, ovviamente, su twitter il contenuto dell’articolo.
Ovviamente i fatti, pochi giorni dopo, mi hanno dato ragione.
Il femminismo non può accettare la dimensione culturale del sessismo, della misogninia e della misandria (parola, quest’ultima che neanche contempla).
Per il femminismo la violenza e il sessismo sono di genere. Di un genere.
Così anche davanti ai fatti (ipergonfiati per speculazioni politico-ideologiche in opposte direzioni) il femminismo non accetta che se ne faccia una questione culturale legata all’Islam, perché altrimenti saprebbe di razzista. Meglio, molto meglio farne una questione di genere, perché …. perché farne una questione di “genere” non è affatto un concetto razzista…
Ascoltavo allibito, ma non stupito, i dibattiti di questi giorni.
Chi ne faceva, prevalentemente dal fronte maschile, una questione di civiltà: “l’Islam è misogino”, in chiave xenofobo-razzista.
Chi ne faceva, dal fronte femminile, una questione di genere: “i maschi sono violenti e misogini”, in chiave misandrico-razzista.
Una giornalista cinquantenne, con lauto stipendio, fresca di parrucchiere, in tallieur e tacchi a spillo ricordava quale violenza subiva 37 anni fa, quando doveva sfilare tra gli sguardi degli uomini. Gli sguardi. … a Sabaudia.
A Sabaudia? Nel 1979? Non so se piangere o ridere. Trentasette anni fa io c’ero a Sabaudia, con le mie sorelle che dismettevano la minigonna per esibire il bikini, mentre io e mio padre andavamo a telline. Oggettificazione maschile, ovviamente.
Eh, che tempi. Siamo al femminismo del piagni e fotti.
E’ il caso di chiamare costoro col loro nome: “sciacalle di genere“.
FONTE: IL REIETTO
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