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Ho appena letto questo articolo di Geraldina Colotti pubblicato sulla rivista “Cumpanis” e ripreso da “Sinistra in rete” https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/25970-geraldina-colotti-in-venezuela-la-casa-e-un-diritto-non-una-merce.html che ho trovato assai interessante.
Secondo quanto riportato – e non ho ragione per negarlo perché la Colotti è una reporter e una attivista seria le donne di alcune comunità venezuelane, dette “viviendas”, stanno partecipando attivamente al progetto di autocostruzione delle case. Un progetto, naturalmente, sostenuto finanziariamente dal governo.
Le donne che partecipano a questo progetto svolgono normalmente altri lavori come infermiere, insegnanti, operaie, sarte, parrucchiere o altro e ogni otto giorni svolgono un turno per la costruzione del palazzo in cui abiteranno. Per fare questo – spiegano le donne intervistate – hanno dovuto superare la resistenza di quegli uomini che, intrisi di cultura patriarcale non ne volevano sapere di donne a lavorare nell’edilizia.
Racconta Irseria, femminista e “comunera” – cito testualmente dall’articolo – che “uno dei muratori più vecchi, che avrebbe dovuto formare le donne all’edilizia, all’inizio non ne voleva sapere e aveva espresso reticenze e commenti sarcastici. Donne nell’edilizia? Non scherziamo… La prima obiezione, riguardava il peso del materiale da trasportare. Le donne, però, hanno risposto: “Se non ce la fa una, ce la faremo in due”. E così, alla fine, anche il vecchio muratore ha dovuto riconoscere che le donne “imparano più in fretta, lavorano meglio, lasciano il cantiere ordinato e sono anche migliori amministratrici”.
“Il patriarcato prosegue Irseria – è difficile da smontare, ma stiamo rompendo un paradigma. La rivoluzione ha liberato l’eroina che è nascosta in ognuna di noi, e ha dato visibilità alle precursore, come Juana Ramira la Avanzadora o Manuelita Saenz, che hanno dovuto vestirsi da uomini affinché vedessimo la storia di un’altra maniera. Nel corso dei secoli, ci hanno tenute nell’ignoranza per dominarci meglio. Oggi, tocca a noi insegnare il contrario di quel che ci hanno imposto”.
Bene, anzi, benissimo, perché mi fa molto piacere sapere che le donne venezuelane, liberate dalla condizione di subordinazione e ignoranza in cui si trovavano, chiedono ora di lavorare come gli uomini e insieme agli uomini anche in quei mestieri che la cultura patriarcale impediva loro di svolgere.
Più o meno nell’ex Unione Sovietica le cose andavano quasi nello stesso modo. Le donne andavano nello spazio insieme agli uomini nella stessa misura in cui spalmavano il catrame sulle strade a – 30 gradi sotto zero sempre insieme agli uomini. Ho scritto quasi perché in effetti anche nell’URSS i mestieri più pesanti e rischiosi, come ad esempio lavorare in miniera o prestare servizio su sommergibile o su un peschereccio, erano appannaggio esclusivo degli uomini. Nella stessa misura a bonificare (e a morire) fin dalla prima ora e nei mesi e anni a venire l’area della centrale nucleare di Chernobil furono soltanto uomini, ingegneri, tecnici, soldati, operai ecc. Però non c’è dubbio che, tolti questi aspetti più “gravosi” che da sempre sono prerogativa maschile (anche se coloro che hanno dichiarato guerra al genere maschile fingono di non saperlo) nell’Unione Sovietica almeno l’eguaglianza fra uomini e donne, fra tante sconfitte e fallimenti, era stata in larga parte raggiunta.
Non mi pare però di vedere femministe occidentali seguire l’esempio di quelle donne. Evidentemente si preferisce mantenere alcune “discriminazioni” tipiche della società patriarcale, fra cui quella di non svolgere i lavori più pesanti e rischiosi per la salute. Del resto nessuno ha mai visto femministe europee o anglosassoni impegnate nello sforzo di convincere i muratori o i minatori che è necessario superare la cultura patriarcale che impedisce alle donne di lavorare in un cantiere edile, in una acciaieria o in una miniera. Al contrario, si preferisce spartire e compartire il potere con quello stesso patriarcato che si dice di volere combattere e superare.
Che dire, se il femminismo è quello venezuelano – dando per buono e oggettivo quanto scrive Geraldina Colotti – che ben venga.
P.S. qualcuno potrà pensare che questo mio post sia venato da una certa dose di sarcasmo, e un pochino in effetti è vero, ma se ci pensate bene non dipende dal sottoscritto ma dalla realtà oggettiva che è quella che è (e che viene sistematicamente occultata e/o manipolata).
2 Commenti
“Venghino venghino” nel paradiso patriarcale dove si suda ci di fa il mazzo e si crepa in nome dei privilegi maschili!! mah, e ancora mah. Io sono un retrogrado, si sa, ma andare a letto con una femmina dotata di bicipiti forgiati del portare,pesi, e che magari usi un linguaggio scurrile tipico dei maschi , proprio non mi attira . Per niente! Al similmaschio preferisco la femmina femmina, naturalmente a condizione di esseri consapevoli dei suoi lati “oscuri” o manipolatori e di sapersene difendere. E credo anche che nonostante tutte le chiacchiere insulse , le femmine femmine preferiscano un maschio “tradizionale” , o meglio normale, ad un uomo che ami agghindarsi, truccarsi, vestirsi, atteggiarsi, al modo femminile. È la diversità che attrae, non l’omologazione. A ciascuno il suo, insomma. Una donna muratora o minatora o che pratichi il rugby, mi da una sensazione di stonatura, così come un uomo che pratichi la ginnastica ritmica. Insomma, i gesti, i movimenti di quei lavori o discipline sportive devono essere in sintonia con la natura orofonda, ossia col corpo e la psiche di chi li pratica.
armando(Quota) (Replica)
armando,
Pensa però che molte femmine fanno palestra o vanno a correre per avere un fisico tonico e non devastato dalla cellulite come fino a qualche decennio fa, e riguardo alle parolacce, non c’è bisogno di lavorare perché ne dicono già molte quando vogliono, più che altro è una facciata la gentilezza. Riguardo al trucco degli uomini è sempre esistito, tra i nativi americani, tra le tribù africane e di altre civiltà e epoche senza doverlo per forza ricondurre a qualcosa di femminile
Leonardo(Quota) (Replica)