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07 Mag 2012  |  738 Commenti

Un brusco risveglio ….

Per una volta una corretta informazione ci mette al corrente di una amara ma anche ovvia, a nostro parere, verità, e cioè che la violenza non è prerogativa di un solo genere, quello maschile, ma, ahinoi, di tutto il genere umano.

La realtà che emerge da questa inchiesta è che negli USA il 50% degli abusi, dei maltrattamenti e degli stupri sui minori (e molto probabilmente anche di più perché, come spiega la stessa Giovanna Botteri, è estremamente difficile per un bambino denunciare la propria madre e accettare di riconoscerla come sua aguzzina) sono commessi da donne e in particolari da madri.

Questo non è un servizio giornalistico come tanti, è una testimonianza concreta di qualcosa che fino ad ora era stato semplicemente sottaciuto, di una realtà che era stata occultata, e di un’altra che è stata raccontata in sua vece; quella secondo cui la violenza, e in particolare quella domestica e sui minori, è solo e sempre stata opera degli uomini e in particolare dei padri.

Ormai sappiamo che in  America, e possiamo ipotizzare in tutto il mondo occidentale di cui in genere gli USA sono i battistrada, non è così. E il fatto che tutto questo accada oggi, nel più grande paese del mondo occidentale, patria del femminismo, toglie ogni alibi.

E’ il crollo di un “mito”, di una verità assoluta e incontrovertibile, una vera e propria “caduta degli idoli”, perché questo è stato e ancora è per molti e soprattutto per molte: il mito dell’innocenza femminile, della incapacità e della impossibilità da parte delle donne non solo di praticare la violenza ma addirittura di concepirla. Una prerogativa che, secondo una lettura che non esitiamo a definire sessista e razzista,  apparterrebbe esclusivamente al genere maschile.

Naturalmente noi non facciamo certo i salti di gioia per questa “scoperta” e non ci sfiora neanche lontanamente l’idea, come è invece stato fatto nei confronti degli uomini, di criminalizzare un intero genere.

Non siamo dei manichei, né tanto meno degli integralisti, né ancor meno  dei difensori  a priori del genere. Al contrario, riteniamo questo atteggiamento, oltre che intriso di sessismo e razzismo, anche profondamente stupido.

Non pensiamo che ci sia sempre il bene da una parte e il male dall’altra così come non pensiamo che sia possibile andare “al di là del bene e del male”.

Crediamo  che la realtà sia sempre estremamente più complessa rispetto a come spesso tendiamo a vederla (o meglio, a come la vogliamo vedere) e che la ricerca e l’individuazione delle cause,  della origine dei problemi e delle responsabilità, sia un lavoro che richiede pazienza e fatica e che soprattutto deve essere animato da una profonda laicità e onestà intellettuale.

Assumere un punto di vista “parziale”, che è anche il nostro metodo, non significa sconfinare nella pretesa di avere in tasca la verità assoluta. Una cosa è essere convinti delle proprie idee e un’altra è trasformarle in una religione, in un teorema chiuso, impenetrabile e immodificabile.  Sappiamo che è impossibile arrivare a delle verità condivise, come probabilmente è giusto che sia, ma forse è possibile cercare di convivere nel riconoscimento e nel rispetto reciproco. Anche fra i generi .

Ci auguriamo che testimonianze concrete come questa possano offrire l’opportunità a molte e a molti di riflettere su convincimenti che si fondavano su opzioni ideologiche piuttosto che sulla effettiva realtà.

Fabrizio Marchi


738 Commenti

Silver 3:08 pm - 25th Marzo:

In Occidente, si dice spesso o si diceva fino a poco tempo fa:
“I serial killer sono sempre uomini”.
Questa convinzione era così radicata che quando nel 1990 fu arrestata in Florida l’assassina di uomini Ailleen Wuornos, i giornalisti subito diedero notizia della “sconvolgente scoperta” del primo serial killer donna. Niente di più lontano dalla verità.
In effetti, il primo serial killer di cui si hanno notizie fu una femmina, cioè Locusta l’avvelenatrice (di cui ho già parlato).
Quando si parla di omicidio in serie le criminali sono una minoranza, come in tutti gli altri casi di omicidio: le femmine sono accusate nel 12% dei casi in cui sono stati identificati dei serial killer.
(Complessivamente le femmine killer sono responsabili del 10% degli omicidi commessi in America ogni anno.)
In termini di modus operandi, le femmine solitamente invertono la tendenza dei serial killer uomini: mentre i killer americani “stazionari” sono in media soltanto l’8% del totale, le assassine che rientrano in questa categoria sono ben il 29%, compresa la massa delle vedove nere e delle infermiere o aiuto infermiere, coinvolte negli omicidi in ambito medico.
Per quanto riguarda i moventi, mentre soltanto il 14% dei serial killer americani uccide per motivi strettamente economici, ben il 41% delle donne pratica l’omicidio per denaro.
Il resto condivide gli altri moventi con gli omologhi maschili, compresi gli omicidi per pietà o per eroismo, quelli per vendetta e i rari casi di sadismo sessuale.
Quando le femmine agiscono come killer in squadra, esse uccidono il più delle volte in coppia con un altro uomo e si presume spesso (a volte contro ogni evidenza) che siano strumenti consenzienti nelle mani di maschi dominanti.
Questo atteggiamento sessista, ha indotto molte serial killer che hanno agito con un complice, a difendersi in giudizio invocando “la sindrome della moglie maltrattata”, ma le giurie sdegnate di fronte al tasso di criminalità in crescita vertiginosa, sono (o sarebbero…?) sempre meno inclini a tener conto di questi argomenti, infliggendo lunghe pene detentive – o la condanna a morte – senza badare al sesso.
Le femmine assassine beneficiano, in realtà, di un senso di cavalleria e/o di una “diversa sensibilità” nei loro confronti quando si avvicina la data dell’esecuzione…
Mentre circa cinquanta donne americane risultano attualmente condannate (*) a morte (tra queste 6 serial killer), soltanto 3 sono state giustiziate da quando la pena di morte è stata ripristinata nel 1976.
Due di queste erano “vedove nere”: Velma Barfield e Judias Buenoano.
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(*) Dati risalenti a dieci anni fa.

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Silver 3:10 pm - 25th Marzo:

Aggiungo dell’altro riguardo alle vedove nere.
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Presa a prestito dal ragno velenoso che uccide il proprio compagno dopo l’accoppiamento, questa definizione si applica in criminologia alle femmine omicide che prendono di mira i loro mariti, i parenti o gli amanti. Il guadagno che ne deriva, attraverso assicurazioni sulla vita o eredità, è spesso il movente di questo tipo di crimini, sebbene possa non essere l’unico.
Nanny Doss, secondo quanto da lei confessato, uccise i successivi mariti in cerca dell’amore romantico, quello stato di perfetta felicità di cui si parla nelle riviste femminili.
Quando una madre uccide suo figlio- specialmente quando la vita della vittima non è stata oggetto di una polizza assicurativa – vi è chiaramente qualche movente psicologico all’origine del crimine.
La sudafricana Daisy De Melker uccise i propri figliastri in uno sconsiderato “sforzo”..di ottenere “maggiori attenzioni” dal marito..
Altre madri omicide, come Marybeth Tinning, apparentemente..soffrono di SINDROME DI MUNCHAUSEN PER PROCURA, essenzialmente una patologica richiesta del tipo di attenzione e di compassione che esse ricevono nei momenti tragici..
Al pari del loro omonimo tessitore di ragnatele, le vedove nere spesso utilizzano il veleno per liberarsi di compagni e genitori, fratelli ed altri parenti vari.
Dove sono coinvolti dei bambini, il metodo omicida preferito dal “gentil sesso” è il soffocamento.
Naturalmente vi sono delle eccezioni.
Le ferite d’arma da fuoco sfuggono a qualsiasi tentativo di classificazione come cause naturali, ma i colpi possono essere sparati in modo da simulare un suicidio o una morte accidentale, una delle tattiche preferite da Barbara Stager, nel North Carolina.
La corpulenta Belle Gunness non soltanto prendeva a randellate, ma a volte smembrava le sue vittime, mentre Velma Barfield diede fuoco a uno dei suoi mariti, mentre egli dormiva.
In Texas, Betty Beets preferì far sparire suo marito completamente, attendendo poi la dichiarazione ufficiale di morte per intascare la polizza dell’assicurazione sulla vita.
Le vedove nere, infine, nonostante i fiumi d’inchiostro utilizzati per descrivere i loro delitti come “tranquilli” e “gentili” sono annoverate tra i killer più spietati mai registrati.
Il calcolo estremo con cui esse preparano i loro crimini può contribuire a spiegare perché due delle tre donne giustiziate in America dal 1976, Velma Barfield e Judas Buenoano, figurano in questa categoria.
Altre sono state condannate a morte in North Carolina e Texas.

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Silver 3:12 pm - 25th Marzo:

La prima vedova nera del XX secolo nacque come Brynhild Paulsdatter Storset l’11 novembre 1859, nel piccolo villaggio di pescatori di Sebu, sulla costa occidentale della Norvegia.
Figlia di un commerciante che fallì, Brynhild emigrò negli Stati Uniti nel 1881; tre anni dopo si stabilì a Chicago, americanizzando il suo nome in Belle (a volte Bella). Nel 1884, all’età di 25 anni, sposò un immigrato norvegese, Mads Sorenson.
La coppia aprì una pasticceria nel 1896, ma il negozio fu distrutto dal fuoco l’anno seguente.
Belle disse agli agenti dell’assicurazione che era esplosa una lampada al kerosene e la società pagò la polizza, anche se tra le macerie non venne trovata nessuna lampada.
I Sorensen usarono l’imprevista somma di denaro per acquistare una casa, che il fuoco rase al suolo nel 1898, comportando altri pagamenti da parte dell’assicurazione.
La “sfortuna” […] perseguitava la coppia e un’altra casa bruciò prima che trovassero un’abitazione che potesse soddisfare le loro esigenze, ad Alma Street.
Così come tutto quello che Belle toccava si riduceva presto in cenere, allo stesso modo la sua famiglia verso la fine degli anni Novanta, cominciò ad assottigliarsi.
La prima ad andarsene fu la figlia maggiore, Caroline, nel 1896. Due anni dopo toccò ad Axel, il primo figlio.
In entrambi i casi, si disse che i bambini erano stati vittime di “colite acuta”, mostrando sintomi che, a ripensarci, avrebbero potuto indicare un avvelenamento.
Il 30 luglio 1900, Mads Sorenson morì in casa, mostrando i classici sintomi dell’avvelenamento da stricnina. Belle ammise di aver dato al marito una “polvere”, per tentare di “fargli passare il raffreddore”, ma il medico di famiglia non richiese l’autopsia.
Essendo già in cura per una forma di dilatazione cardiaca, la sua morte fu automaticamente attribuita a cause naturali.
La vedova Sorensen riscosse il pagamento dell’assicurazione e se ne andò da Chicago, per stabilirsi appena fuori La Porte, nell’Indiana, con tre figli sotto la propria ala. Due figlie erano sue: Myrtle, nata nel 1897 e Lucy, nata nel 1899. La nuova componente della famiglia, Jennie Olsen, era adottiva, affidata a Belle dai genitori naturali che, a quanto sembra, non volevano più occuparsi di lei.
Nell’aprile 1902, Belle sposò un agricoltore norvegese di nome Peter Gunness.
Meno resistente del precedente marito, Gunness durò soltanto otto mesi.
Il 16 dicembre 1902, egli rimase ucciso quando una pesante griglia per cuocere la carne “cadde” dallo scaffale dove si trovava, fratturandogli il cranio.
Dalla loro breve unione nel 1903, nacque un bambino, Philip.
Tre anni dopo Jennie Olsen sparì dalla fattoria.
Quando i vicini s’informavano, Belle rispondeva che la figlia adottiva era stata mandata “a scuola di buone maniere in California”.
Rimasta vedova per la seconda volta, con i figli soltanto ad aiutarla a mandare avanti la fattoria, Belle cominciò ad assumere dei vagabondi che lavoravano per qualche tempo e poi, a quanto pare, se ne andavano. Essa iniziò anche a mettere sui giornali di tutto il Midwest degli annunci in norvegese nella rubrica dei cuori solitari, intrattenendo nella sua azienda una serie di potenziali mariti.
In qualche modo però, nessuno di loro rispondeva ai requisiti richiesti… e nessuno fu mai rivisto.
Il 28 aprile 1908, la proprietà dei Gunness fu completamente distrutta dal fuoco.
Gli investigatori, scavando tra le macerie, trovarono nel seminterrato quattro corpi inceneriti; tre erano chiaramente bambini, mentre un quarto – il cadavere decapitato di una donna, privo dunque dell’eventuale prova del cranio – fu ritenuto quanto restava della signora Gunness.
Lo sceriffo del luogo arrestò con l’accusa di omicidio e incendio doloso, Ray Lamphere, l’uomo tuttofare alle dipendenze di Belle dal 1906 fino al suo licenziamento nel febbraio 1908.
Il caso si complicò il 5 maggio, quando gli investigatori cominciarono a trovare nel ranch dei Gunness altri corpi. Smembrati, avvolti in sacchi di iuta e cosparsi di soda caustica, alcuni ridotti a scheletri, i cadaveri raccontavano la cruda storia di un massacro su larga scala, che continuava da anni.
Il numero finale delle vittime è oggetto di perenne controversia.
Senza citare le sue fonti, The Guinness Book of World Records, attribuì a Belle sedici vittime riconosciute e altre dodici “possibili”.
Il rapporto del coroner locale fu più modesto, elencando, oltre ai corpi rinvenuti nel seminterrato, dieci cadaveri di uomini, due corpi di donne e una quantità non specificata di frammenti ossei.
I pretendenti di Belle erano stati seppelliti insieme nel letame del recinto dei maiali, mentre le donne erano state sepolte in un giardinetto.
Soltanto sei delle vittime furono identificate con certezza.
Tra queste Jennie Olsen, ben lontana dalla mitica scuola di buone maniere.
I braccianti Eric Gurhold e Olaf Lindblom avevano finito i loro giorni nel recinto dei maiali, insieme agli agricoltori John Moo di Elbow Lake, Minnesota, e Ole Budsberg di Iola, Wisconsin.
Questi ultimi avevano entrambi risposto agli annunci di Belle sul giornale e così avevano fatto probabilmente i sei anonimi compagni che ne avevano condiviso il destino.
La donna sconosciuta sepolta vicino a Jennie Olsen è un’anomalia, ancora oggi inspiegata.
Il coroner aprì un’inchiesta il 29 aprile e le deposizioni dei testimoni si susseguirono fino al primo maggio, dando al caso l’aspetto di una normale udienza preliminare “sul cadavere di Belle Gunness”.
Dopo il 5 maggio, con la scoperta dei nuovi corpi, i documenti ufficiali cominciarono a descrivere la donna decapitata come “una donna adulta non identificata”, lasciando presumere che Belle potesse aver finto la propria morte per fuggire.
Una vana ricerca del cranio scomparso iniziò il 19 maggio e portò al rinvenimento della protesi dentale di Belle, completa di denti.
Ignorando le varie domande ancora senza risposta, il coroner emise il suo rapporto finale il 20 maggio, dichiarando che Belle Gunness era morta “per mano di uno sconosciuto”.
Ray Lamphere, dalla sua cella, fu irremovibile nell’affermare che Belle era ancora viva.
Il 28 aprile, egli raccontò, dopo che Belle ebbe incendiato la casa, egli l’aveva portata alla stazione ferroviaria di Stillwell, nell’Indiana.
La polizia inizialmente prese il suo racconto alla lettera, arrestando una vedova innocente, Flora Heerin, in viaggio da Chicago a New York City, per visitare alcuni parenti.
Trascinata giù dal treno a Syracuse e brevemente fermata come Belle Gunness, la signora Heerin si rivalse facendo causa alla polizia di Syracuse per errato arresto.
Accusato di quattro omicidi e incendio doloso, il caso di Ray Lamphere andò in giudizio nel novembre 1908.
Il 26 novembre, egli fu riconosciuto colpevole soltanto di incendio doloso, facendo intendere dunque che i giurati ritenevano che la morte di Belle non fosse stata provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Nei due anni che sopravvisse in prigione, Lamphere continuò incessantemente a parlare del caso, attribuendo a Belle quarantanove omicidi, sostenendo che essa tra il 1903 e il 1908 aveva ricavato più di 100.000 dollari dalle sue vittime.
La donna trovata nel seminterrato, egli sosteneva, era stata trovata in un locale, ingaggiata per la serata e uccisa per fungere da controfigura.
Belle aveva promesso che si sarebbe messa in contatto con Lamphere, una volta stabilitasi altrove, ma sembrava aver cambiato programma..
Il primo avvistamento di Belle fu registrato il 29 aprile, sei giorni prima della scoperta alla fattoria dei nuovi corpi. Il capotreno Jesse Hurst era certo che la “signora” Gunness fosse salita sul treno alla stazione di Decatur, nell’Indiana.
Giaceva su una barella e sembrava piuttosto sofferente.
Forse, ma che dire allora della notizia di un altro avvistamento a La Porte, il 30 aprile?
Mentre si trovava in visita presso Almetta Hay, la migliore amica di Belle, un agricoltore locale disse di aver visto la donna scomparsa seduta a bere caffè.
Quando Almetta nel 1916 morì, i vicini, rovistando nel disordine del suo tugurio, rinvennero un cranio di donna infilato tra due materassi.
Malgrado l’ipotesi che potesse appartenere alla vittima decapitata del seminterrato, la traccia non fu seguita.
Nel corso degli anni vi furono altri presunti avvistamenti.
Nel 1917, un vicino d’infanzia riconobbe Belle Gunness in una paziente ricoverata all’ospedale di South Bend, dove stava lavorando come infermiere tirocinante.
Egli chiamò la polizia, ma Belle era già riuscita a svignarsela prima dell’arrivo dei poliziotti.
Nel 1931 un procuratore distrettuale di Los Angeles scrisse allo sceriffo di La Porte, dichiarando che l’imputata di omicidio Esther Carlson – accusata di aver avvelenato August Lindstrom, 81 anni, per motivi di denaro – poteva essere Belle Gunness.
La Carlson aveva con sé le fotografie di tre bambini molto somiglianti a lei, ma La Porta non poteva permettersi in tempi di depressione, di mandare all’ovest il suo sceriffo e la sospettata morì di tubercolosi prima del processo, lasciando la questione in sospeso per sempre.
Nel 1935, gli abbonati a una rivista della polizia riconobbero nella foto di Belle una notevole somiglianza con la tenutaria di un bordello nell’Ohio.
Un detective dilettante, avuta di fronte l’anziana donna e rivoltosi a lei come “Belle”, fu colpito dalla veemenza della sua reazione.
Poiché continuava tramite amici a occuparsi della faccenda, gli fu insistentemente consigliato di lasciar perdere…ed egli così fece.
Se la Gunness effettivamente, come pare, sopravvisse alla sua “morte”, essa con Bela Kiss fa parte del ristretto gruppo di assassini/e che – sebbene identificati/e, con prove tali da meritare dei verdetti di colpevolezza – sono riusciti/e a sfuggire all’arresto e vivono dunque anonime esistenze.
Il lascito di Belle sono dicerie e una manciata di pessime rime, tra le quali si legge:
“E’ rossa dell’Indiana la luna
Perché Belle forte e cupa era una;
E pensa a tutti quegli uomini di Norvegia
Che St. Paul mai più rivedranno”.

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Silver 3:13 pm - 25th Marzo:

Di Giulia Fazekas si sa poco prima del 1911, quando comparve improvvisamente nel villaggio ungherese di Nagyrev, situato a un centinaio di chilometri a sud-est di Budapest sul fiume Tisza.
Era una femmina di mezz’età, vedova, a quanto da lei riferito, anche se nessuno sapeva esattamente cosa fosse successo a suo marito. Tra il 1911 e il 1921, l’ostetrica Fazekas era stata arrestata dieci volte per aver praticato aborti illegali, ma giudici comprensivi […] l’avevano ogni volta assolta.
Nel frattempo, a quanto pare senza destar sospetti, aveva dato inizio a una delle “sagre” più micidiali d’Europa.
L’ondata di delitti è da far risalire alla prima guerra mondiale, quando gli uomini idonei alle armi di Nagyrev furono arruolati per difendere l’impero austro-ungarico.
Al tempo stesso, il piccolo centro rurale di Nagyrev fu ritenuto luogo ideale per l’allestimento dei campi nei quali rinchiudere i prigionieri di guerra alleati, circostanza questa che scatenò le più sfrenate fantasie di femmine che erano state improvvisamente private della presenza degli uomini.
Molto probabilmente i prigionieri godevano, all’interno del villaggio, di una relativa libertà, per cui divenne presto motivo d’orgoglio per le mogli di Nagyrev, rimaste sole, vantare un amante straniero, se non tre o quattro.
Prevaleva dunque un’atmosfera di dilagante promiscuità e gli uomini, che poco alla volta tornavano a casa dalle zone dei combattimenti, trovavano le loro donne stranamente “emancipate”, spesso inappagate con un solo uomo nel loro letto.
Dato che le mogli cominciarono a lamentarsi per la noia o per le violenze che subivano, l’ostetrica Fazekas offrì il suo aiuto fornendo loro arsenico, ottenuto facendo bollire la carta moschicida per poi separare il letale residuo. Nel 1914 Peter Hegedus fu la prima vittima accertata e altri mariti seguirono col tempo, prima che l’avvelenamento si trasformasse in mania, per cui l’elenco delle vittime arrivò a comprendere genitori, figli, zie, zii e vicini.
A metà degli anni Venti, Nagyrev si era guadagnato il soprannome di “distretto degli omicidi”.
In questo periodo si calcola che circa 50 donne fecero uso dell’arsenico per sfrondare l’albero genealogico della loro famiglia.
Julia Fazekas era quanto di più vicino a un medico vi fosse nel villaggio e suo cugino era l’impiegato che archiviava tutti i certificati di morte, minando così ogni investigazione fin dall’inizio.
Il numero finale delle vittime è ancora sconosciuto, ma la maggior parte dei rapporti indica in 300 la cifra più verosimile di persone uccise in 15 anni di omicidi su larga scala.
Le “Fabbricanti di angeli” videro il loro mondo sgretolarsi nel luglio 1929, quando un maestro del coro del vicino villaggio di Tiszakurt accusò la signora Ladislaus Szabo di avergli servito del vino avvelenato.
Una lavanda gastrica gli salvò la vita e gli investigatori stavano ancora valutando l’accusa, quando un altro uomo si lamentò per essere stato avvelenato dalla sua “infermiera”, la stessa signora Szabo.
Quest’ultima fu arrestata e nel tentativo di ottenere clemenza, denunciò un’amica, la signora Bukenoveski, come sua complice. La signora Bukenoveski, a sua volta, fu la prima a fare il nome di di Julia Fazekas.
Nel 1924, raccontò, la Fazekas aveva fornito l’arsenico utilizzato per uccidere la madre settantasettenne della Bukenoveski, che fu poi gettata nel Tisza per simulare un annegamento accidentale.
La Fazekas fu fermata per essere interrogata e negò tutto risolutamente.
Non disponendo di prove concrete, la polizia fu costratta a rilasciarla, ma si mise a sorvegliarla, seguendola in giro per Nagyrev mentre andava ad avvertire le sue clienti, che furono arrestate una per una.
Vennero incarcerate trentotto donne sospettate di omicidio e la polizia piombò a casa della Fazekas per prendere il (la…) capobanda.
Trovarono la donna morta per una dose della sua stessa medicina, circondata da recipienti pieni di carta moschicida a mollo nell’acqua.
Ventisei donne di Nagyrev sospettate furono sottoposte a giudizio a Szolnok, dove otto vennero condannate a morte, sette ebbero l’ergastolo e le altre ebbero pene minori.
Tra le condannate vi erano Susannah Olah, una sedicente “strega” che si vantava di addestrare dei serpenti velenosi ad attaccare le sue vittime a letto e faceva a gara con la Fazekas nel vendere “la polvere dell’eredità di zia Susi”; Lydia, sorella settantenne della Olah, che negò con decisione la sua colpevolezza, ma non riuscì a impressionare la giuria; Maria Kardos, che uccise suo marito, un amante e il figlio malaticcio di 23 anni, convincendo il giovane a cantarle una canzone sul letto di morte; Rosalie Sebestyen e Rose Hoyba, condannate per l’omicidio dei loro “noiosi” mariti; Lydia Csery, condannata per l’uccisione dei genitori; Maria Varga, che confessò di aver acquistato il veleno dalla Fazekas per uccidere suo marito, un eroe di guerra rimasto cieco, che si lamentava perché lei portava a casa gli amanti; Juliana Lipke, tra le cui sette vittime si trovavano la suocera, una zia, un fratello, una cognata e il marito, che avvelenò alla vigilia di Natale; infine Maria Szendi, una vera “paladina della liberazione delle donne”, […] che dichiarò alla corte di aver ucciso suo marito perché “riusciva sempre ad averla vinta. E’ terribile come gli uomini abbiano tutto il potere”. […]

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Silver 3:14 pm - 25th Marzo:

Nata nel 1560, Erzsebet Bàthory era figlia di un militare aristocratico e sorella del re di Polonia in carica. La sua famiglia, infatti, era una delle più antiche casate nobiliari d’Ungheria: la sua insegna araldica portava l’emblema del drago, incorporato da re Sigismondo nell’Ordine del Dragone.
Il clan dei Bàthory comprendeva cavalieri e giudici, vescovi, cardinali e re, ma la casata era ormai decaduta dalla metà del XVI secolo: la nobile discendenza era stata guastata da incesti ed epilessia, i rami più recenti della famiglia annoveravano alcolizzati, sadici e assassini, omosessuali (considerati al tempo dei criminali) e satanisti. Nonostante fosse bellissima, Erzsebet era chiaramente il frutto di una genetica “corrotta” e di un’educazione perversa. Per tutta la vita soffrì di atroci emicranie ed era vittima di improvvisi svenimenti – probabilmente di natura epilettica – che i superstiziosi membri della famiglia ritenevano segnali di possessione demoniaca. Cresciuta nella dimora dei Bàthory ai piedi della cupa catena dei Carpazi, Erzsebet fin dall’adolescenza fu introdotta al culto del demonio da uno zio seguace di Satana.
La zia preferita, una delle più note lesbiche d’Ungheria, insegnò a Erzsebet i piaceri della flagellazione e altre perversioni, ma la giovane Erzsebet aveva sempre creduto che fosse meglio infliggere il dolore, piuttosto che provarlo.
Quando Erzsebet aveva solo 11 anni, i genitori decisero il suo futuro matrimonio con il conte Ferencz Nadasdy, un aristocratico guerriero. Le nozze furono rinviate fino al momento in cui Erzesebet compì 15 anni e furono celebrate solennemente il 5 maggio 1575.
La sposa conservò il proprio cognome, a significare che la sua famiglia era di rango superiore ai Nadasdy.
I novelli sposi si stabilirono al castello di Csejthe, nella zona nordoccidentale dell’Ungheria, ma il conte Nadasdy disponeva anche di altri palazzi in varie parti del Paese, ciascuno provvisto di una prigione sotterranea e di una sala di tortura, appositamente concepita per soddisfare le “esigenze” di Erzsebet.
Nadasdy si assentava spesso, ogni volta per settimane o mesi, lasciando la sua sposa “sola e annoiata” in cerca di “svaghi”.
Erzsebet si dilettava d’alchimia, soddisfava i suoi capricci sessuali con uomini e donne senza distinzione, cambiava abiti e gioielli cinque o sei volte al giorno, rimirava se stessa per ore in specchi a figura intera.
Ma soprattutto, quando era arrabbiata, nervosa o semplicemente annoiata, la contessa torturava le domestiche per divertimento.
Nei primi anni di matrimonio una delle maggiori fonti di irritazione per Erzsebet era sua suocera.
Impaziente di avere dei nipoti, la madre di Nadasdy tormentava incessantemente Erzsebet per la sua incapacità di concepire.
Erzsebet avrebbe poi avuto “finalmente” dei figli dopo dieci anni di matrimonio, ma non provava alcun istinto materno allora, poco più che ventenne.
Le giovani donne del suo personale di servizio arrivarono ben presto a temere le visite della madre di Nadasdy, sapendo che alla partenza della vecchia signora avrebbe fatto inevitabilmente seguito un’altra serie di brutali violenze.
In materia di torture la contessa bisessuale possedeva una feroce immaginazione.
Alcune delle sue diavolerie erano state apprese fin dall’infanzia, altre provenivano dall’esperienza che Nadasdy aveva acquisito durante le guerre contro i Turchi, ma Erzsebet aveva anche inventato delle tecniche personali.
Aghi e spilli erano tipici ferri del mestiere: con essi forava le labbra e i capezzoli delle vittime, a volte infilava loro degli aghi sotto le unghie.
“Piccola sgualdrina!”, sogghignava mentre la sua prigioniera si contorceva per il dolore.
“Se fanno male, non deve far altro che levarseli”.
A Erzsebet piaceva anche mordere le sue vittime sulle guance, sui seni, ovunque, cavando loro il sangue con i denti. Altre venivano spogliate, ricoperte di miele ed esposte all’assalto di formiche e api.
Il conte Nadasdy, a quanto si sa, si univa a Erzsebet in alcune delle sedute di tortura, ma con gli anni arrivò ad aver paura della moglie, trascorrendo sempre più tempo in viaggio o nelle braccia della sua amante.
Quando alla fine il marito morì nel 1600 o 1604 (le fonti variano), Erzsebet perse ogni ritegno, dedicandosi a tempo pieno al tormento e all’umiliazione sessuale di giovani donne.
In breve ampliò il proprio orizzonte, dal personale di servizio alle fanciulle sconosciute.
Domestici fidati perlustravano la campagna alla ricerca di nuove prede, attirando le giovani contadine con l’offerta di un lavoro, ricorrendo alla droga o alla forza brutale, mentre si diffondevano voci allarmanti che assottigliavano le fila delle reclute volontarie.
Nessuna delle persone che andò a servizio da Erzsebet ne uscì mai viva, ma i contadini dell’epoca avevano ben pochi diritti e una nobildonna non veniva biasimata dai suoi pari se a casa esagerava con la “disciplina”..
Poco più che quarantenne, Erzsebet Bàthory presiedette un olocauso in miniatura di sua invenzione.
Con la complicità dell’anziana balia, Ilona Joo e della mezzana Doratta Szentes – alias “Dorka” – Erzsebet imperversò per le campagne, esigendo tra i contadini vittime a volontà.
Essa portava con sé speciali pinze d’argento, concepite per strappare la carne, ma era altresì a suo agio con aghi e spilli, ferri per la marchiatura e attizzatoi roventi, fruste e forbici…di tutto un po’.
Alcuni complici nella famiglia delle vittime le spogliavano, tenendole ferme mentre Erzsebet riduceva loro i seni a brandelli o bruciava loro la vagina con la fiamma delle candele, a volte mordendo via grossi lembi di carne dal viso o dal corpo.
Una delle vittime fu costretta a cuocere e mangiare un pezzo del suo stesso corpo, mentre altre furono bagnate e lasciate a congelare nella neve.
A volte Erzsebet apriva loro la bocca con una tale forza da lacerarne le guance.
In altre circostanze, i servi si occupavano del lavoro sporco, mentre Erzsebet andava e veniva lì accanto gridando:”Di più! Di più! Ancora più forte!”, fino a quando sopraffatta dall’eccitazione, crollava a terra priva di sensi.
Un “giocattolo” del tutto particolare di Erzsebet era una gabbia cilindrica, all’interno della quale erano state poste delle lunghe punte.
Una ragazza nuda veniva costretta a entrarvi, per essere poi sollevata a diversi metri da terra per mezzo di una puleggia.
Erzsebet o uno dei suoi servitori, girava intorno alla gabbia con un attizzatoio rovente che spingeva contro la ragazza, costretta così, per sfuggirvi, a finire contro i ferri appuntiti.
Sia nel ruolo di spettatrice che in quello di esecutrice, Erzsebet era sempre “brava” a fornire il suo commento in diretta, con “suggerimenti e battute” disgustose, che con il trascorrere della notte diventavano crude oscenità e incoerente balbettìo.
Liberarsi dei corpi senza vita delle vittime era una faccenda relativamente semplice nel Medioevo.
Alcuni venivano sepolti, altri erano lasciati in giro per il castello a decomporsi, mentre certi venivano gettati all’esterno in pasto ai lupi e agli altri predatori della zona.
Se ogni tanto veniva ritrovato un cadavere smembrato, la contessa non doveva temere alcuna incriminazione.
In quel luogo e a quel tempo, il sangue reale costituiva una protezione assoluta.
A questo contribuiva la circostanza che uno dei cugini di Erzsebet era il primo ministro d’Ungheria e che un altro cugino rivestiva la carica di governatore della provincia nella quale essa viveva.
Nel 1609, alla fine, Erzsebet andò troppo oltre, passando dalle sventurate contadine alle figliole dei nobili di rango inferiore e aprì le porte del castello di Csejthe per offrire a 25 fanciulle selezionate “istruzione nel contegno da tenere in società”.
Questa volta, quando nessuna delle sue vittime sopravvisse, le lamentele giunsero alle orecchie di re Matthias, il cui padre era stato presente alle nozze di Erzsebet.
Il re, a sua volta, assegnò al conte Gyorgy Thurzo, il più vicino al castello di Erzsebet, il compito di indagare.
Il 26 dicembre 1610, Thurzo organizzò un’incursione a tarda notte al castello di Csejthe e sorprese la contessa in flagrante, nel bel mezzo di una seduta orgiastica di torture.
Una mezza dozzina di complici di Erzsebet furono arrestati per essere poi giudicati; la contessa fu costretta agli arresti nella sua dimora, mentre il parlamento emetteva una speciale legge che la privava dell’immunità da procedimenti giudiziari.
Il processo si aprì nel gennaio del 1611 e durò fino a febbraio inoltrato, con il Primo Giudice Theodosius Syrmiensis a presiedere un gruppo di venti giuristi minori.
Dinanzi alla corte furono dichiarati ottanta capi d’accusa per omicidio, sebbene la maggior parte dei resoconti storici collochi il conto finale delle vittime di Erzsebet tra 300 e 650.
La stessa Erzsebet fu dispensata dal presenziare al processo e venne tenuta rinchiusa nel suo appartamento sotto stretta sorveglianza, ma la condanna per tutti i capi di imputazione era una conclusione scontata. Il tempo della contessa sanguinaria era finito.
I domestici complici di Erzsebet furono giustiziati, Dorka e Ilona dopo essere state pubblicamente torturate, ma la contessa venne risparmiata e condannata alla prigione a vita in una piccola suite del castello di Csejthe. Le porte e le finestre del suo appartamento furono murate, lasciando solo delle piccole aperture per la ventilazione e per il passaggio dei vassoi con le vivande.
Là visse in isolamento per tre anni e mezzo, fino a quando fu trovata morta il 21 agosto 1614.
Non si conosce la data esatta della morte di Erzsebet, dato che molti vassoi erano rimasti intatti prima che fosse trovato il suo corpo.
La “leggenda” della Bàthory è andata crescendo racconto dopo racconto, fino alle narrazioni più recenti che comprendono storie di vampirismo e di bagni rituali nel sangue, ritenuti da Erzsebet un aiuto per “restare giovane”.
Il culto sanguinario di Erzsebet è in genere collegato al sangue versato da una giovane domestica sconosciuta, schizzato per caso sulla contessa, in seguito colpita dal fatto che la sua pelle sembrasse ancora più pallida e diafana del solito, una caratteristica considerata all’epoca segno di grande bellezza.
In realtà, durante le ampie deposizioni rese al processo di Erzsebet non si fece alcun accenno a veri e propri bagni di sangue.
Alcune delle vittime rimasero dissanguate per le brutali ferite inferte o per un piano particolare, ma il dissanguamento intenzionale era legato alla pratica alchemica di Erzsebet e alla magia nera, piuttosto che all’idea di un “bagno caldo”.
In ogni caso, la carneficina di Erzsebet cominciò quando era sulla ventina, molto prima che la paura di invecchiare potesse farsi strada nella sua mente.

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Silver 3:16 pm - 25th Marzo:

Nata come Lofie Louise Preslar a Bienville, in Louisiana, una delle principali vedove nere d’America era figlia dell’editore di un giornale di rilievo.
Frequentò le migliori scuole private di New Orleans, dove diventò famosa per le sue avventure sessuali.
Espulsa da un esclusivo collegio, Louise tornò a casa a Bienville e si diede alla ricerca del piacere.
Nel 1903 sposò Henry Bosley, un commesso viaggiatore, seguendolo nei suoi spostamenti.
Mentre si trovava per lavoro a Dallas, nel Texas, nell’estate del 1906, Henry sorprese sua moglie a letto con un petroliere locale e, distrutto dal dolore, si uccise due giorni dopo.
Louise vendette la proprietà di Henry e si trasferì a Shreveport, dove si mise a fare la prostituta fino a quando non poté permettersi il viaggio fino a Boston.
Il drammatico cambio di situazione non sconvolse affatto Louise.
La sua occupazione era sempre la stessa e come prostituta che girava per le case, diventò la prediletta della locale aristocrazia. Oltre a ciò, rubava i gioielli delle mogli assenti dei suoi ricchi clienti, vendendo quelli che decideva di non tenere per sé.
Col tempo si spinse troppo in là e fu scoperta. Minacciata di denuncia, si ritirò a Waco, in Texas, dove riuscì a conquistare Joe Appel, un petroliere ben noto per i diamanti che montava sugli anelli, sulle fibbie delle cinture e persino sui bottoni dei vestiti.
Una settimana dopo che aveva incontrato Louise per la prima volta, Joe fu trovato morto con un proiettile in testa, mentre i diamanti erano spariti.
Convocata davanti a una giuria per le indagini preliminari, Louise ammise di aver sparato ad Appel per “autodifesa”.
Il petroliere aveva cercato di violentarla – dichiarò – e lei era stata costretta ad agire di conseguenza.
Nessuno si ricordò dei gioielli mancanti e i membri della giuria applaudirono apertamente quando venne lasciata libera.
Nel 1913 a Dallas, mentre la buona sorte e il denaro stavano per esaurirsi, Louise sposò un dipendente di un albergo del posto, Harry Faurote.
Quello di Louise fu principalmente un matrimonio di convenienza e il comportamento apertamente adultero della sposa spinse Faurote a impiccarsi nel seminterrato dell’albergo.
Trasferitasi a Denver nel 1915, Louise sposò Richard Peete, un venditore porta a porta.
Nel 1916 gli diede una figlia, ma le magre entrate di Peete non erano all’altezza dei suoi standard, così nel 1920 se ne andò da sola a Los Angeles.
Qui, mentre era alla ricerca di una casa in affitto, Louise conobbe il dirigente minerario Jacob Denton.
Questi aveva una casa da affittare, ma si convinse presto a tenere per sé la proprietà per andare a convivere con Louise.
Dopo molte settimane di infuocati rapporti, Louise chiese a Denton di sposarla, ma egli rifiutò.
Fu un “errore” fatale.
Facendo buon viso davanti al rifiuto, Louise ordinò al custode di Denton di scaricare una tonnellata di terra nel seminterrato, dove aveva progettato di “far crescere funghi”, il piatto preferito di Denton, come prelibato regalo per il suo amante.
Quando Denton sparì il 30 maggio 1920 non era cresciuto nessun fungo, ma Louise aveva molte spiegazioni per i visitatori curiosi.
Innanzitutto, diceva loro che l’uomo aveva litigato con “una donna, una spagnola dall’aspetto”, che si era infuriata e gli aveva fatto a pezzi un braccio con una spada.
Nonostante fosse riuscito a sopravvivere, raccontava, il povero Jacob era così imbarazzato dal suo handicap da chiudersi in una volontaria reclusione!
Incalzata dall’avvocato di Denton, revisionò la storia e vi aggiunse una gamba amputata; l’uomo d’affari scomparso sarebbe tornato in circolazione solo quando si fosse sentito a suo agio, dopo l’innesto di un arto artificiale.
Incredibilmente, questi racconti tennero tutti a distanza per molti mesi mentre la “signora Denton” dava una serie di feste lussuriose a casa del suo amante assente.
A settembre l’avvocato di Denton si fece sospettoso e chiamò la polizia per perquisire la casa.
Dopo aver scavato per un’ora nel seminterrato emerse il cadavere di Denton, con un proiettile nella testa.
I detective cominciarono a dare la caccia a Louise e la ritrovarono a Denver, dove aveva ripreso una tranquilla vita familiare accanto a Richard Peete.
Riconosciuta colpevole di omicidio nel gennaio 1921, Louise ebbe una condanna all’ergastolo.
All’inizio Louise scrisse fedelmente al marito Richard, ma la lontananza non aumentò il suo affetto per l’uomo che si era lasciata alle spalle.
Nel 1924, dopo che molte sue lettere non avevano avuto risposta, Peete si uccise.
Il direttore di San Quintino, Clinton Duffy, una volta descrisse Louise come una donna “da un’aria d’innocente dolcezza che nascondeva un cuore di ghiaccio”.
Si disse che le piaceva vantarsi degli amanti che aveva spinto ad uccidersi e che aveva a cuore in modo speciale il suicidio di Richard: dimostrava che nemmeno le mura della prigione potevano contenere il suo fascino letale.
Nel 1933 Louise fu trasferita da San Quintino al carcere di Tehachapi e sei giorni dopo, al suo decimo tentativo di ottenere la libertà condizionale, fu rilasciata dal carcere.
La sua scarcerazione era dovuta in buona parte all’intercessione di un’operatrice sociale, Margaret Logan, e di suo marito Arthur.
In libertà condizionale sotto la vigilanza della signora Latham a Los Angeles, a Louise fu consentito di chiamarsi Anna Lee, dal nome della sua star del cinema preferita.
Durante la seconda guerra mondiale trovò lavoro in una mensa militare; nel 1942 un’anziana collega scomparve inspiegabilmente e la sua casa fu trovata nel più completo disordine.
I detective andarono a trovare Anna Lee, la persona più vicina alla donna scomparsa, ma fu loro risposto che essa era morta per le ferite riportate in una caduta.
Con un atteggiamento che potrebbe essere eufemisticamente definito di gigantesca negligenza, credettero alla storia, senza mai preoccuparsi di controllare il passato di Anna o di ottenere un certificato di morte.
La premurosa signora Latham morì nel 1943 e Louise fu affidata alla custodia dei Logan.
Nel maggio 1944 sposò Lee Judson, un anziano direttore di banca, e il 30 maggio Margaret Logan scomparve senza lasciare tracce: Louise raccontò all’anziano marito di Margaret che lei era in ospedale e non era in grado di ricevere visite.
Verso la fine di giugno Louise aveva convinto le autorità che Arthur era pazzo; egli venne rinchiuso in un manicomio statale, dove morì sei mesi dopo.
Per risparmiarsi le spese del funerale, Louise mise il cadavere a disposizione della facoltà di medicina.
Louise si trasferì a Judson a casa dei Logan, dove però non tutto era a posto.
In poco tempo il marito scoprì il buco di un proiettile in una parete, un tumulo di terra sospetto nel giardino e una polizza d’assicurazione in cui si nominava Louise unica beneficiaria di Margaret Logan.
Malgrado ciò, Judson non disse nulla, e toccò alla stessa Louise svelare il groviglio di inganni.
Nel dicembre 1944 l’ufficiale incaricato di sorvegliare la libertà condizionale di Louise si era insospettito per i rapporti regolari, presentati con la firma incerta di Margaret Logan, troppo lusinghieri nei confronti della vigilata. Poco prima di Natale la polizia fece irruzione a casa dei Logan, spingendo finalmente Lee Judson ad esporre i suoi sospetti.
In giardino fu disseppellito il corpo di Margaret Logan, al che Louise fu pronta con un’altra delle sue fandonie.
Questa volta, il decrepito Arthur Logan era diventato improvvisamente pazzo, picchiando a morte la moglie in un attacco di follia.
Terrificata all’idea di attirare i sospetti per via dei suoi precedenti, Louise aveva seppellito il cadavere e aveva temporeggiato per un mese prima di fare internare Arthur.
Louise non fu creduta e fu accusata dell’omicidio di Margaret, mentre la morte del marito fu registrata come accessoria.
Prosciolto il 12 gennaio 1945, Judson si uccise il giorno dopo, gettandosi dal tredicesimo piano di un edificio di uffici a Los Angeles.
Louise, fu notato, sembrò soddisfatta della sua reazione alla loro separazione.
Riconosciuta colpevole di omicidio di primo grado da una giuria che comprendeva undici donne, Louise questa volta fu condannata a morte.
I suoi appelli furono respinti ed essa fu giustiziata nella camera a gas del carcere di San Quintino l’11 aprile 1947.

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Silver 3:18 pm - 25th Marzo:

I delitti a Manor House cominciarono con un giochino. All’inizio le omicide decisero di scegliere le loro vittime in base all’alfabeto: le iniziali dei loro nomi dovevano formare la parola MURDER, uno scherzo riservato alla polizia. Il caso volle, però, che le donne anziane inizialmente selezionate fossero ancora troppo combattive, per cui le criminali dovettero cambiare la loro strategia.
Poco importa. Alla fine esse riuscirono a trovare facili prede per soddisfare il loro desiderio omicida.
Nata nel 1963, Gwen Graham è originaria della California, creciuta a Tyler, nel Texas.
“Tranquilla e rispettosa” con gli insegnanti, “aveva sempre un’espressione triste sul viso”.
Negli anni successivi essa dichiarò che la sua tristezza era dovuta alle molestie del padre, ma l’accusa, che egli respinge, non fu mai provata in tribunale. Dopo il trasferimento nel Michigan nel 1986, Graham trovò lavoro come aiuto infermiera all’Alpine Manor Nursing Home di Walker, un sobborgo di Grand Rapids.
Diretta superiore della Graham all’Alpine Manor era la ventiquattrenne Cathy Wood.
Sposatasi ancora adolescente, la Wood, rimasta sola e senza amici a Grand Rapids, era ingrassata fino a pesare oltre 200 chili, dopo il fallimento del suo matrimonio durato sette anni.
Assunta all’Alpine Manor nel luglio del 1985, fu presto promossa supervisore delle aiuto infermiere, ma la sua vita sociale rimase vuota fino a quando non conobbe Gwen Graham sul lavoro.
La loro amicizia presto si trasformò in una relazione lesbica e la Wood cominciò a buttar via chili e a godersi il turbinio dei bar gay, delle feste, del sesso casuale. La Graham restava comunque l’oggetto della sua dedizione principale e verso la fine del 1986 le due donne si promisero solennemente amore eterno, qualunque cosa fosse accaduta.
Gwen affrontò l’argomento dell’omicidio premeditato nell’ottobre di quell’anno, ma la sua amante pensava che si trattasse soltanto di un gioco. Durante i loro rapporti, Gwen aveva preso il vezzo di legare Cathy e di soffocarla fino a farla tremare, al limite dello svenimento.
Cathy avrebbe forse voluto lamentarsi per il gioco, ma tenne le proteste per sé.
Lentamente, essa imparò che il dolore e il piacere possono essere le due facce della stessa eccitante medaglia. Gli omicidi di Alpine Manor riguardarono un periodo di tre mesi, dal gennaio all’inizio di aprile 1987. Il piano iniziale di Gwen, il “giochino” di MURDER, andò in fumo quando le vittime prescelte opposero una tale resistenza che fu costretta a rinunciare.
Nonostante i suoi tentativi falliti di omicidio, non vi fu alcuna querela.
Sia la Wood che la Graham ottenevano rapporti esemplari da parte dei superiori ed erano “molto apprezzate” dalle pazienti in reparto.
In futuro, decise Gwen, avrebbe scelto soltanto donne di età troppo avanzata per opporre resistenza.
La sua amante stava di guardia, in un punto dal quale poteva tenere d’occhio la scena del crimine e al tempo stesso la postazione delle infermiere, pronta a deviare chiunque si fosse trovato a passare troppo vicino mentre la Graham soffocava le sue vittime premendole un asciugamano sul viso.
A volte la pura eccitazione suscitata dall’atto di uccidere era tale, che esse si ritiravano subito in una stanza vuota per fare sesso mentre il ricordo era ancora fresco.
In molti casi Gwen si teneva un “souvenir”: un calzino o un fazzoletto, una spilla, una dentiera.
L’omicidio era un affare rischioso, ma le amanti assassine sembravano godersi la situazione, vantandosi delle loro vittime con le colleghe, che liquidavano i loro commenti come “battute schifose”.
Almeno tre aiuto infermiere videro la mensola dei souvenir nell’abitazione che la Wood e la Graham dividevano, ma nessuna prese seriamente i loro racconti gongolanti di omicidi…fino a un certo punto.
Nell’aprile 1987, la luna di miele tra la Wood e la Graham finì.
Cathy si rifiutò di uccidere personalmente chiunque “come prova del suo amore” e a soccorrerla intervenne di lì a breve il suo trasferimento in un altro reparto.
In quel periodo, Gwen trascorreva il suo tempo con Heather Barager, un’altra lesbica, con la quale alla fine fece il viaggio di ritorno in Texas, lasciando Cathy allo sbando.
Si arrivò ad agosto e Cathy disse tutto al suo ex marito, ma Ken Wood temporeggiò per altri quattordici mesi prima di chiamare la polizia.
Gwen Graham, nel frattempo, era andata a lavorare al Mother Frances Hospital di Tyler, rimanendo in contatto con Cathy per telefono.
La polizia di Grand Rapids all’inizio non credette alla storia di Ken Wood.
Nel primo trimestre del 1987 all’Alpine Manor erano morte quaranta pazienti, tutte di morte naturale, anche se a pensarci bene otto casi sembravano diversi.
Tre di questi furono esclusi dai detective, rimase dunque un elenco che comprendeva Marguerite Chambers, 60 anni; Edith Cole, 89; Myrtle Luce, 95; Mae Mason, 79 e Belle Burkhard, 74.
In nessun caso vi era la dimostrazione scientifica che si fosse trattato di un omicidio, ma le dichiarazioni di Ken Wood e le riflessioni dei dipendenti dell’istituto bastarono a creare il caso.
Entrambe le donne furono arrestate nel dicembre 1988, la Wood fu trattenuta senza cauzione a Grand Rapids per l’omicidio della Cole e della Chambers.
In Texas, dove le notizie sull’indagine in corso nel Michigan erano già costate il posto a Gwen, una cauzione di un milione di dollari fu sufficiente per tenerla in prigione.
La battaglia sull’estradizione si protrasse e la Graham presto rinunciò alle manovre legali, tornando nel Michigan per affrontare di sua spontanea volontà le accuse a suo carico.
Il personale dell’Alpine Manor fu “sopraffatto” dalla notizia degli arresti, anche se qualcuno ricordava Gwen come un tipo “imprevedibile”, accennando casualmente al temperamento focoso della Graham.
Le ex aiuto infermiere Deborah Kidder, Nancy Harris, Lisa Lynch, Dawn Male e Russell Thatcher considerarono in modo diverso le “battute schifose” e i souvenir che erano riuscite a ignorare mentre delle vite umane erano in pericolo.
Al processo, tutte e cinque deposero contro Gwen Graham per la pubblica accusa, mentre Cathy Wood diventò da un giorno all’altro il testimone più importante dello Stato.
Nel settembre 1989 l’ammissione di colpevolezza per omicidio di secondo grado risparmiò alla Wood l’ergastolo, facendole ottenere una condanna da venti a quarant’anni.
In cambio della relativa clemenza, tre mesi dopo depose contro la Graham, decidendo così le sorti della sua ex amante.
Oltre alle cinque vittime assassinate, disse Cathy, Gwen cercò di soffocare almeno altre cinque donne che sopravvissero. La confessione decisiva al marito da parte della Wood era stata dettata più che dal senso di colpa, dal timore che la Graham continuasse a uccidere nel suo nuovo posto di lavoro nell’ospedale texano, questa volta scegliendo dei bambini come vittime.
“Quando ammazzava quelle persone all’Alpine e io non facevo niente”, disse la Wood alla corte, “era molto brutto. Ma quando mi chiamò per dirmi quanto avrebbe desiderato uccidere un bambino, ho pensato che dovevo fermarla in qualche modo. Sapevo che lavorava in un ospedale laggiù. Disse che voleva prendere uno dei bambini e lanciarlo contro una finestra. Dovevo fare qualcosa. Non m’importava più di me stessa”.
L’avvocato della Graham cercò di ritrarre la Wood come una bugiarda gelosa e vendicativa, che aveva montato l’accusa contro di lei, facendone “l’agnello sacrificale”, ma i giudici non furono di questo avviso.
Essi deliberarono per sette ore prima di giudicare Gwen colpevole di cinque omicidi di primo grado e di complotto in omicidio di primo grado.
Il 2 novembre 1989 la Graham fu condannata a sei ergastoli senza possibilità di libertà condizionale.

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Silver 3:22 pm - 25th Marzo:

Nata nel 1875 in un piccolo villaggio di pescatori della Francia settentrionale, Jeanne Weber se ne andò da casa diretta a Parigi all’età di 14 anni, facendo umili lavori fino al matrimonio nel 1893.
Suo marito era un alcolizzato e nel 1905, dopo la morte recente di due dei loro tre figli, anche Jeanne cominciò a bere molto e si trasferì in un misero caseggiato popolare di Parigi con il marito e il figlio di sette anni. Il 2 marzo 1905 la Weber stava facendo la baby sitter per sua cognata quando una delle due figlie della donna, la piccola Georgette di 18 mesi, improvvisamente “si ammalò” e morì.
Alcuni strani lividi sul collo furono ignorati dai medici che la visitarono e Jeanne fu di nuovo chiamata l’11 marzo. Suzanne di 2 anni non sopravvisse alla sua visita ma il dottore attribuì la causa della seconda morte a inspiegabili “convulsioni”. Il 25 marzo la Weber stava occupandosi dei bambini del fratello quando una nipote, Germaine di 7 anni fu colta da un improvviso attacco di “soffocamento”, con la comparsa di segni rossi sulla gola. La bambina sopravvisse all’episodio ma fu meno fortunata il giorno dopo quando tornò zia Jeanne. La difterite fu indicata come causa della sua morte e di quella del figlio della Weber, Marcel, appena quattro giorni dopo. Ancora una volta i segni evidenti di strangolamento furono ignorati.
Il 5 aprile 1905 la Weber invitò a pranzo due sue cognate, restando a casa con il nipote Maurice di 10 anni mentre le altre donne uscivano a fare spese. Tornarono prima del previsto e trovarono Maurice rantolante sul letto, con la gola chiazzata dai lividi e Jeanne in piedi accanto a lui con un’espressione da folle sul viso.
Formalmente imputata, il processo alla Weber cominciò il 29 gennaio 1906, con la dichiarazione da parte della pubblica accusa di otto omicidi (tra cui quelli dei tre bambini della Weber e di altri due bambini – Lucie Aleandre e Marcel Poyatos – deceduti mentre erano affidati a lei).
La Weber fu accusata di aver ucciso il figlio a marzo per allontanare i sospetti, ma i giurati respingevano la terribile ipotesi di fronte a una madre addolorata, e la Weber fu prosciolta il 6 febbraio.
Quattordici mesi dopo, il 7 aprile 1907, un medico di Villedieu fu chiamato a casa di un contadino di nome Bavouzet. Egli fu accolto da una baby sitter, una certa Madame Moulinet, che lo condusse al lettino dove Auguste Bavouzet di nove anni giaceva morto, con la gola piena di lividi.
Causa della morte:”convulsioni”. Ma il dottore cambiò la sua diagnosi il 4 maggio quando si scoprì che Madame Moulinet era Jeanne Weber. Trattenuta in carcere per essere processata, la Weber fu liberata in dicembre dopo che una seconda autopsia attribuì la morte del ragazzo alla febbre tifoidea.
La Weber sparì rapidamente, per ricomparire poi come inserviente all’ospedale dei bambini di Faucombault, e spostarsi poi da lì in un istituto per l’infanzia abbandonata di Orgeville, gestito da amici che cercavano di “compensare i torti che la giustizia aveva inflitto a una donna innocente”.
Prestando servizio come Marie Lemoine, la Weber lavorava da meno di una settimana quando fu sorpresa nell’istituto a strangolare un bambino.
Imbarazzati dalla loro stessa ingenuità i proprietari la licenziarono in fretta e l'”incidente” fu tenuto nascosto.
Tornata a Parigi, la Weber fu arrestata per vagabondaggio e rinchiusa per qualche tempo nel manicomio di Nantere, ma i dottori la dichiararono sana di mente e la fecero uscire.
Jeanne si diede alla prostituzione, prendendosi nel frattempo un amante con il quale l’8 maggio andò a vivere in una pensione di Commercy.
Poco tempo dopo Jeanne fu scoperta mentre strangolava il figlio dell’albergatore, Marcel Poirot di 10 anni, con un fazzoletto insanguinato. Il padre della vittima dovette colpirla a pugni in faccia per ben tre volte con tutta la sua forza, prima che si decidesse a lasciare la presa del corpo senza vita.
Fermata in attesa di processo per nuove accuse di omicidio, la Weber fu giudicata inferma di mente il 25 ottobre 1908, e internata in un manicomio di Mareville.
Ritenuta responsabile di almeno dieci omicidi, “L’Ogresse de la Goutte d’Or” sopravvisse due anni in cattività, prima di strangolare se stessa nel 1910.

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Silver 3:23 pm - 25th Marzo:

Nata nel 1892 a Montella, in provincia di Avellino, Leonarda Cianciulli (nota come “la saponificatrice di Correggio”) ebbe un’infanzia difficile e quando si sposò restò incinta dodici volte, ma otto figli morirono.
La Cianciulli disse che i piccoli perirono in seguito al malocchio lanciatole dalla madre il giorno del suo matrimonio. A seguito del terremoto abbattutosi, nel 1939, in Irpinia, si trasferì con la famiglia in Emilia, a Correggio. In breve, dopo essersi separata dal marito (formalmente ma non legalmente) diede vita ad un fiorente commercio di abiti usati; inoltre era piuttosto nota come fattucchiera e aveva molti clienti, in particolare donne, intenzionate a conoscere il loro futuro, sia dal punto di vista sentimentale che da quello professionale. In sogno ebbe la “visione” della Madonna la quale la “invitò” ad uccidere una vittima per ogni figlio: in questo modo i ragazzi si sarebbero salvati dalla maledizione che pendeva su di loro.
Le vittime furono individuate in tre delle sue “clienti”: Faustina Setti, Francesca Soavi e Virginia Cacioppo.
A tutte diceva di aver trovato, in altre città, un potenziale marito o un lavoro.
Le vittime vendevano i loro beni lasciandone la gestione per procura a Leonarda ma immediatamente dopo sparivano. In genere i corpi venivano sezionati, le parti più grandi fatte bollire con soda caustica e quindi buttati nel pozzo nero. Il sangue, mischiato a zucchero, margarina, farina e cioccolato, serviva per realizzare torte e pasticcini che erano offerti alle amiche.
Secondo numerosi testimoni i dolci erano di notevole qualità! Altre parti erano utilizzate per produrre sapone. Quando venne arrestata, in seguito all’indagine avviata dopo la denuncia della parente di una delle donne scomparse, la Cianciulli si dimostrò quasi sempre consapevole dei propri crimini e non pentita di aver tolto la vita a tre innocenti. Fu però scandalizzata dalle accuse che la indicavano come un’assassina mossa dal solo interesse.
Disse che gli omicidi si erano resi necessari per salvare i figli. Il tribunale la ritenne inferma di mente e la condannò al carcere e all’OPG dove morì, il 15 ottobre 1970, all’età di 78 anni.

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Silver 3:26 pm - 25th Marzo:

Nata da genitori facoltosi di Bucarest agli inizi del ‘900, Vera Renczi mostrò un precoce interesse per il sesso già all’età di 10 anni, quando la sua famiglia si trasferì a Berkerekul. A 15 anni fu trovata di notte nel dormitorio di una scuola maschile, e in seguito Vera fuggì insieme a vari amanti, per poi tornare a casa quando si stancava delle loro attenzioni. Se era Vera a lasciare un amante, tutto andava bene, ma nessuno poteva osare cambiare idea, poiché lei aveva cominciato a dare segni di una gelosia patologica. Il suo primo marito era un ricco uomo d’affari, di molti anni più anziano di lei, ed essa gli diede un figlio prima che l’uomo sparisse improvvisamente senza lasciare traccia. Vera disse che il marito l’aveva lasciata senza alcuna spiegazione, e trascorse un anno in lutto, dopo aver dato la “notizia” della morte del marito in un incidente d’auto.
Si risposò presto con un uomo più giovane, che fu colto in flagranza di adulterio e sparì alcuni mesi dopo per un lungo viaggio, disse Vera. Passò un altro anno prima che lei annunciasse di aver ricevuto una lettera, scritta da suo marito, in cui egli dichiarava la sua intenzione di lasciarla per sempre.
Vera Renczi non si sposò di nuovo, ma ebbe molti amanti – trentadue in tutto – nel corso degli anni.
Non sembravano rimanere a lungo, e nessuno fu rivisto dopo che aveva “abbandonato” Vera, ma lei aveva sempre una spiegazione per i vicini… e un altro uomo in attesa dietro le quinte.
La polizia entrò in scena quando l’ultimo amante fu dichiarato scomparso dalla moglie; una perquisizione del seminterrato della Renczi portò alla scoperta di trentacinque bare di zinco contenenti i corpi dei mariti, del figlio e degli amanti scomparsi.
Fermata con l’accusa di omicidio, Vera rese una piena confessione, dichiarando che aveva ucciso i mariti e gli amanti con l’arsenico, quando essi avevano cominciato a concedersi delle scappatelle, preparando a volte “romantiche ultime cene” per completare un appuntamento galante. La morte del figlio era stata una faccenda diversa, provocata dalle sue minacce di ricatto, dopo aver trovato per caso la cripta nel seminterrato. A volte la sera a Vera piaceva sedersi in una poltrona in mezzo alle bare, a “godersi” la compagnia dei suoi “corteggiatori adoranti”. Ritenuta colpevole in base alla sua stessa confessione, Vera ebbe una condanna all’ergastolo e morì poi in carcere.

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Silver 3:28 pm - 25th Marzo:

Costruito nel 1839, il Lainz General Hospital è il quarto maggiore complesso sanitario di Vienna, in Austria, e conta circa 2000 dipendenti. Al Lainz il padiglione 5 è solitamente riservato ai casi problematici: pazienti sulla settantina e anche più anziani, molti dei quali allo stadio terminale.
In un simile contesto la morte non è un fatto insolito. Anzi, a volte sopraggiunge come una liberazione; ma ci sono comunque dei limiti. Dalla primavera del 1983 e fino alle prime settimane del 1989, la morte al Lainz fu aiutata. Ufficialmente il numero dei decessi ammonta a 42, ma ipotesi plausibili indicano in quasi 300 il numero finale delle vittime dei laboriosi “Angeli della morte” dell’ospedale.
Waltraud Wagner, un’aiuto infermiera del turno di notte del padiglione 5, aveva 23 anni quando fece la sua prima vittima. Come fu in seguito ricostruito dalle autorità, la Wagner ebbe l’idea di eliminare dei pazienti quando una donna di 77 anni le chiese di “porre fine alle sue sofferenze”.
Waltraud le fece la cortesia di servirle un’overdose di morfina, scoprendo in tal modo che le piaceva, come un dio, possedere nelle sue mani il potere di vita e di morte. Era troppo “divertente” per smettere, troppo “bello” per non dividerlo con le sue amiche intime.
Col tempo la Wagner reclutò tre complici, tutte impiegate nel turno di notte al padiglione 5.
Maria Gruber, nata nel 1964, era una ragazza madre ritiratasi dalla scuola per infermiere.
Irene Leidolf, di due anni più anziana, era sposata ma preferiva la compagnia delle ragazze.
Stephanija Mayer, una nonna divorziata di vent’anni più vecchia di Waltraud, emigrò dalla Jugoslavia nel 1987 e finì al Lainz, unendosi al gruppo della Wagner e delle sue criminali amichette.
Come descritto dalla pubblica accusa durante il suo processo, la Wagner era la sadica Svengali del gruppo e istruiva le sue allieve sulle tecniche più efficaci per praticare un’iniezione letale, insegnando loro “la cura dell’acqua”, che consisteva nel chiudere il naso al paziente, abbassargli la lingua e versargli dell’acqua giù in gola. La morte della vittima, dopo una lenta agonia, appariva “naturale” in un reparto nel quale i pazienti più anziani morivano spesso per la presenza di liquido nei polmoni.
Secondo la polizia “la Wagner risvegliava i sadici istinti delle sue complici. Presto si ritrovarono a gestire non un reparto ospedaliero, bensì un campo di concentramento. Al minimo segno di disturbo o lamento da parte di un paziente, ne pianificavano l’uccisione per la notte seguente”.
Per Waltraud “disturbare” significava: russare, sporcare le lenzuola, rifiutare i trattamenti medici o chiamare l’infermiera con il cicalino in orari inopportuni. In questi casi la Wagner dichiarava:”Questo ha un biglietto per il Creatore”, compiendo poi l’omicidio lei stessa o con l’aiuto di una delle sue complici. Anche se nel reparto operavano quattro killer, ci volle un po’ di tempo prima che il gioco mortale diventasse più rapido. La maggior parte degli omicidi da ricollegare alla Wagner e alla sua compagnia avvennero dopo l’inizio del 1987, quando la Mayer arrivò a completare la squadra, ma Waltraud rimase la leader e il carnefice principale di quello che fu presto soprannominato “il padiglione della morte”. Le voci circa la presenza di un killer all’interno del padiglione 5 si fecero diffuse nel 1988 e il dottor Xavier Pesendorfer, responsabile del reparto, fu sospeso nell’aprile del 1989 per non aver avviato delle indagini tempestive.
Alla fine, fu una certa disattenzione nel comportamento delle assassine a causarne la caduta.
Alla Wagner e alla sua coorte piaceva bere qualche drink dopo il lavoro, rievocando alcuni casi particolari che le avevano divertite, ridacchiando dell’espressione di questa o quella vittima in punto di morte, o delle convulsioni di qualche altra. Nel febbraio 1989 stavano sogghignando a proposito della morte dell’anziana Julia Drapal – sottoposta alla “cura dell’acqua” per aver rifiutato i trattamenti medici e per aver dato della “volgare sgualdrina” alla Wagner – quando un dottore che sedeva nelle vicinanze colse alcuni frammenti della loro conversazione. Inorridito andò alla polizia e un’indagine di sei settimane portò il 7 aprile all’arresto delle quattro sospettate.
In carcere gli “Angeli della morte” confessarono in modo specifico 49 delitti; di questi, a quanto affermato dalla Wagner, 39 furono commessi da lei personalmente. “Quelli che mi davano sui nervi”, ha spiegato, “venivano mandati direttamente in un letto libero presso il buon Dio”.
Non era sempre facile, ha ammesso:”Naturalmente i pazienti facevano resistenza, ma noi eravamo più forti. Potevamo decidere se questi vecchi decrepiti dovevano continuare a vivere o morire. Il biglietto del loro viaggio all’altro mondo era in ogni caso scaduto da tempo”.
Subito si ipotizzò un numero più alto di vittime e le complici della Wagner accusarono il loro mèntore nel tentativo di salvare se stesse. Alois Stacher, responsabile dei servizi sanitari di Vienna, riportò la dichiarazione di Irene Leidolf che si disse “convinta che cento pazienti furono uccisi dalla Wagner in ciascuno degli ultimi due anni”. Stephanija Mayer ammise di aver aiutato la Wagner a compiere numerosi omicidi che Waltraud era riuscita a “dimenticare”.
In effetti, mentre il caso avanzava verso il processo, la Wagner diventava sempre più restia a discutere del suo ruolo nei delitti. Verso la fine del 1990 aveva fatto marcia indietro sul numero di 39 vittime inizialmente vantato, affermando di aver ucciso al massimo 10 pazienti allo scopo di “ridurre la loro sofferenza”. Il cancelliere Franz Vranitzky non si fece impressionare dal voltafaccia, definendo l’ondata di omicidi al Lainz “il più brutale e raccapricciante crimine della storia austriaca”. Nemmeno il giudice e la giuria furono comprensivi quando le quattro imputate comparvero in giudizio nel marzo 1991. Il pubblico ministero non riuscì a fare accettare la sua tesi che imputava loro 42 delitti, ma riuscì comunque a fornire un buon numero di prove a loro carico.
Waltraud Wagner fu riconosciuta colpevole di quindici delitti, diciassette tentati omicidi, accusata di due episodi di violenza aggravata e condannata all’ergastolo. La stessa pena fu comminata a Irene Leidolf, colpevole di cinque uccisioni e due mancati omicidi. Stephanija Mayer ebbe quindici anni per omicidio colposo e sette tentati omicidi, mentre Maria Gruber fu condannata alla stessa pena detentiva per due tentati omicidi.

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Silver 3:29 pm - 25th Marzo:

Marybeth Roe Tinning, per essere una madre devota, sembrava non avere per niente fortuna nel crescere i figli. In tredici anni, dal 1972 al 1985, essa perse a Schenectady, nello Stato di New York, nove bambini. La polizia in seguito disse che otto di questi erano stati deliberatamente uccisi, per moventi così bizzarri da sembrare incredibili. La prima ad andarsene fu la piccola Jennifer: aveva solo otto giorni quando morì il 3 gennaio 1972. L’autopsia indicò in una meningite acuta la causa del decesso, e poiché la neonata non era mai uscita dal St. Clare Hospital dopo la sua nascita, le autorità considerano la sua morte l’unico caso al di sopra dei sospetti.
Meno di tre settimane dopo, il 20 gennaio, Joseph Tinning Jr. di 2 anni, fu dichiarato morto appena giunto all’Ellis Hospital di Schenectady. I dottori attribuirono la morte a un’infezione virale e “alle conseguenze di una crisi epilettica”, ma non fu effettuata un’autopsia per confermare quelle indicazioni. Barbara Tinning, 4 anni, morì sei settimane dopo, il 20 marzo, e i medici che eseguirono l’autopsia, in mancanza di una causa di morte evidente, attribuirono il suo decesso a una “crisi cardiaca”. La morte di Barbara fu la prima a essere riferita alla polizia, ma i poliziotti chiusero il dossier sul caso dopo una breve consultazione con i medici dell’ospedale. E i decessi continuarono.
Quando il piccolo Timothy, di due settimane, morì all’Ellis Hospital, i dottori furono ancora una volta incapaci di determinare una causa, definendo la morte un caso di SIDS (Sudden Infant Death Syndrome – SINDROME DELLA MORTE IMPROVVISA DEL NEONATO). Il 2 settembre 1975, Nathan Tinning morì a soli cinque mesi, e l’autopsia attribuì il decesso a “edema polmonare”.
La SIDS fu nuovamente indicata come responsabile il 2 febbraio 1979, quando Mary Tinning morì poco meno di sei mesi dopo il suo terzo compleanno, ma non fu mai scoperta la causa della morte di Jonathan, tre mesi, avvenuta il 24 marzo 1980. Erano ancora in corso le procedure per l’adozione di Michael Tinning, 3 anni, quando il 2 agosto 1981 il bambino fu portato d’urgenza al St. Clare Hospital.
I medici non riuscirono a salvargli la vita, e mentre considerarono il suo decesso in modo “molto sospettoso”, si disse che la causa della morte era stata una polmonite bronchiale. Le domande vere cominciarono il 20 dicembre 1985, quando Timmi Lynne Tinning, di tre mesi, fu trovata svenuta nel suo letto, con il cuscino macchiato di sangue. Nonostante il trasporto urgente al St. Clare Hospital, non c’era più nulla da fare, e pur attribuendo la morte a un caso di SIDS, i medici chiamarono la polizia. Un’indagine portò il 4 febbraio 1986 all’arresto di Marybeth Tinning, dopo che confessò di aver premuto un cuscino sul viso di Tammi Lynne, perché la bambina “si agitava e piangeva”. In prigione confessò anche di aver assassinato Timothy e Nathan ma negò risolutamente di aver ucciso gli altri. “Li ho soffocati con un cuscino”, disse ai detective, “perché non sono una buona madre”. In realtà, stabilirono gli psichiatri, il problema era più profondo. Marybeth Tinning era affetta da una condizione chiamata SINDROME DI MUNCHAUSEN PER PROCURA, nella quale le persone responsabili della cura dei bambini, invalidi e simili a volte cercano di attirare l’attenzione facendo del male alle persone che sono state affidate loro. Gli amici e i parenti ricordavano Marybeth pavoneggiarsi ai funerali, crogiolarsi al centro della generale compassione, mentre recitava fino in fondo il suo ruolo di madre addolorata. Si ipotizzò che l’ondata di condoglianze seguite alla morte della sua prima bambina nel 1972 avesse creato in lei una sorta di dipendenza, inducendo Marybeth a uccidere un bambino dopo l’altro alla ricerca delle “dosi” di compassione di cui aveva un disperato bisogno. Il 17 luglio 1987 la Tinning fu dichiarata colpevole di omicidio di secondo grado per la morte di Tammi Lynne: i giudici la prosciolsero dall’accusa di aver “deliberatamente” ucciso la bambina, e la ritennero responsabile di un’imputazione meno grave di omicidio, dovuta alla sua “depravata indifferenza nei confronti della vita umana”. Si trattò di una sentenza di compromesso – ancora comprensione per Marybeth – ma portò a una condanna da 20 anni di carcere all’ergastolo. Il marito Joseph Tinning rimase sconcertato dall’intera vicenda. Nelle interviste apparse sui giornali, egli ammise di aver sospettato a volte della moglie, ma di essere riuscito ad accantonare i dubbi. “Devi fidarti di tua moglie”, disse. “Ha molte cose di cui occuparsi, e finché si dedica alle sue faccende non devi fare domande”. […]

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Silver 3:32 pm - 25th Marzo:

Anna Schonleben, nata nel 1760 a Nuremburg, in Germania, era figlia di un noto locandiere.
Sposò ancora giovane un sedicente avvocato di nome Zwanziger, il quale si rivelò un ubriacone prepotente, che quando morì per il troppo bere, la lasciò oberata di debiti. Descritta in un documento come “brutta, rachitica, senza alcuna attrattiva nel viso, nella figura o nel parlare; una donna deforme che qualcuno paragonava a un rospo”, Anna cercò di rientrare dalle perdite vendendo dolciumi e giocattoli, ma i suoi tentativi nel commercio fallirono ripetutamente. Alla fine, scoraggiata, offrì i suoi servizi come domestica, spostandosi in lungo e in largo in Germania e in Austria, evitando di poco l’arresto per aver rubato a uno dei suoi datori di lavoro un anello con diamante.
Nel 1806 Anna pensava a un nuovo matrimonio, mancava soltanto un candidato. Essa progettava di trovare un datore di lavoro ricco e single, e di farsi strada nel suo cuore, diventando una presenza indispensabile in casa, per poi indurre l’uomo giusto a sposarla. Il primo obiettivo della Zwanziger fu un giudice di nome Glaser, che viveva a Pegnitz, vicino Bayreuth. Anna scambiò il giudice Glaser per un vedovo, mentre egli era in realtà separato dalla moglie, con la quale sperava di riconciliarsi. Anna intervenne come intermediaria tra i due, scrivendo a Frau Glaser per conto del giudice, insistendo perché tornasse a casa. Frau Glaser era da poco tornata quando si ammalò gravemente, colpita da forti dolori allo stomaco e vomito, che dopo tre giorni ne causarono la morte. Anna si aspettava a questo punto una proposta di matrimonio, invece il giudice Glaser la licenziò, lasciandola risentita e disoccupata. Si trasferì quindi a casa del giudice Grohmann, assistendo lo scapolo trentottenne durante un doloroso attacco di gotta, ma Anna ribollì di rabbia quando questi annunciò la sua intenzione di sposare una donna giovane e attraente. Una dose di arsenico per Grohmann annullò il matrimonio; come stoccata finale, la Zwanziger avvelenò anche altri due domestici, che riuscirono però a sopravvivere. Venne poi un altro giudice di nome Gebhard, che assunse Anna come cuoca per lui, la moglie incinta e i suoi molti figli. Con Anna in cucina la signora Gebhard presto si lamentò di dolori allo stomaco e pasti dal sapore amarognolo, ma il giudice ignorò i sospetti della moglie e parve sorpreso quando morì. Anna proseguì e avvelenò due domestici di Gebhard, entrambi sopravvissuti, ma il giudice la licenziò dopo che “un errore di ingredienti” per poco non costò la vita agli invitati a un pranzo. Il suo ultimo giorno di lavoro, Anna insaporì il pasto di mezzogiorno con l’arsenico; uno dei domestici di Gebhard, in preda alla nausea, insistette perché egli facesse analizzare il cibo, ma Gebhard si trattenne dal chiamare la polizia per timore di uno scandalo. Rientrando a casa quella sera, non avrebbe più trovato Anna, e sarebbe stato un problema altrui. Liberarsi di lei non fu tuttavia così facile. Prima di andarsene la Zwanziger diede al più piccolo dei figli di Gebhard, un biscotto inzuppato nel latte avvelenato. Il bambino morì e Gebhard finalmente mandò a chiamare la polizia. I detective perquisirono la casa, scoprendo che nelle ultime ore passate sotto il tetto di Gebhard, Anna era stata piuttosto indaffarata: i contenitori del sale, dello zucchero e del caffè erano stati riempiti di arsenico.
Le autopsie effettuate dopo la sua partenza, rilevarono la presenza dell’arsenico nei resti di Frau Glaser, della moglie e del bambino di Gebhard.
Per quell’epoca Anna era ritornata a Nuremburg, illudendosi che il giudice Gebhard potesse darle una seconda opportunità. Ella gli scrisse diverse lettere, alternando minacce a suppliche, prima di essere rintracciata e arrestata dalla polizia il 18 ottobre 1809. Nelle sue tasche furono trovati dei sacchetti di arsenico, ma essa negò risolutamente i suoi crimini. Il suo processo si trascinò per oltre un anno, prolungato da una curiosa legge bavarese che richiedeva una confessione a supporto di ogni imputazione di omicidio. Alla fine, senza preavviso, Anna crollò in tribunale singhiozzando:”Sì, li ho uccisi tutti e ne avrei uccisi altri se ne avessi avuto l’occasione”.
Condannata a morte, la Zwanziger fu decapitata nel luglio 1811. In un’ultima dichiarazione ai suoi carcerieri, essa disse:”E’ forse meglio per la comunità che io muoia, poiché sarebbe impossibile per me smettere di avvelenare le persone”.

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Silver 3:34 pm - 25th Marzo:

Lila Coleen, figlia di una coppia di ferventi “avventisti del settimo giorno”, nacque a Fox Point, Nuova Scozia, nel 1899. A 26 anni conobbe e sposò William Peach Young, nativo dell’Oregon stabilitosi a New Brunswick, dove aspirava al ruolo di “medico missionario” avventista, senza aver ricevuto alcuna ordinazione o formazione di carattere medico. Subito dopo il loro matrimonio, mentre Lila aspettava il primo dei loro cinque figli, gli Young si trasferirono a Chicago, dove nel dicembre 1927 William prese il diploma di chiropratico. Due mesi dopo tornarono in Nuova Scozia, a Fast Chester, poco più di 60 chilometri a sud di Halifax, dove aprirono il Life and Health Sanitarium. Lila prese servizio come ostetrica professionale, e il loro istituto presto diventò l’Ideal Maternity and Sanitarium, con William nel ruolo di supervisore e Lila in quello di amministratore delegato. I clienti accorrevano numerosi alla “casa”, in risposta agli annunci sul giornale che dicevano:
“IDEAL MATERNITY HOME “Rifugio della madre”, reparto anche per i giovani. MASSIMA RISERVATEZZA per nido annesso. Scrivere per informazioni. East Chester, N.S.”.
Gli opuscoli dell’istituto garantivano la massima riservatezza per le madri in attesa, ma ogni servizio ha il suo prezzo. Le donne sposate che si rifugiavano presso gli Young i primi tempi pagavano in media 75 dollari ciascuna per il parto e due settimane di convalescenza, ma le donne nubili, per timore dello scandalo, dovevano affrontare una spesa più consistente. Gli Young chiedevano in media da 100 a 200 dollari di anticipo per vitto e alloggio, per il parto e le successive pratiche d’adozione, oltre a 12 dollari per i pannolini e le provviste, e due dollari alla settimana in media, come parcella per la custodia dei bambini nel periodo tra il parto e l’adozione. Se un bambino moriva nell’istituto, la madre doveva pagare 20 dollari per il funerale, che era officiato da un addetto degli Young al costo di 50 centesimi l’uno, con le scatole di legno bianco per l’imballaggio del burro utilizzate come bare.
In breve, si trattava del classico giro dei nidi d’infanzia elevato al rango di professione.
Le ragazze che non avevano denaro potevano saldare i loro debiti lavorando nell’istituto, fornendo così agli Young un flusso continuo di collaboratrici domestiche non retribuite. Le cure mediche erano un altro settore in cui i due coniugi avevano semplificato le cose, anche se Lila e William si definivano “dottori” nella loro corrispondenza. In effetti, Lila faceva nascere i bambini, mentre William inginocchiato accanto al letto pregava, ma alcune clienti avevano modo di sperimentare il loro lato più duro, lamentandosi dei modi bruschi – persino brutali – di Lila. “Era fisicamente enorme”, ricordava una cliente. “Aveva un aspetto opprimente e molto autoritario. Riusciva a terrorizzare le persone. Nessuno osava contraddirla”.
In breve, l’Ideal Maternity Home diventò soprattutto un nido, ospitando decine di ragazze madri di età media intorno ai 17 anni. Tra il 1928 e il 1935, Lila riportò 148 nascite e 12 decessi, un tasso di mortalità dell’8,1%, quasi il triplo rispetto al 3,1% di media nella Nuova Scozia. Il 4 marzo 1936 Lila e William furono accusati di omicidio colposo, per i due decessi avvenuti nel mese di gennaio di Eva Nieforth e del suo bambino appena nato, a quanto sembra a causa delle precarie condizioni igieniche dell’istituto. Nel maggio 1936 furono entrambi prosciolti dopo un processo di tre giorni, ma la Royal Canadian Mounted Police decise di svolgere indagini regolari sui successivi eventuali decessi all’Ideal Maternity Home. Il problema, naturalmente, erano le morti di neonati non riportate.
L’inserviente Glen Shatford avrebbe in seguito ammesso di aver seppellito tra 100 e 120 bambini, in un campo di proprietà dei genitori di Lila vicino a Fox Point, adiacente al cimitero avventista.
“Li seppellivano formando delle file”, disse, “così era semplice vedere quanti erano”. In un caso tipico, avvenuto nell’ottobre del 1938 e rievocato da Shatford, un bambino senza nome rimase nel capanno degli attrezzi degli Young per cinque giorni, coperto da una scatola, prima di essere portato a Fox Point per essere seppellito. Motivo di queste eliminazioni discrete potrebbe essere la retta di 300 dollari, richiesta generalmente da Lila per alloggiare il bambino “per il resto della sua vita”. Alcuni erano affidati ai vicini, che provvedevano a loro per tre dollari alla settimana, mentre altri giungevano velocemente alla fine dei loro giorni. I bambini rifiutati per l’adozione – tra questi bimbi di razza mista o con difetti fisici – a quanto riferito morivano di fame per una dieta a base di acqua e melassa. Nonostante le cifre pagate a Lila e a suo marito dalle clienti in stato interessante, i due traevano la parte più consistente dei loro guadagni dai genitori adottivi, facendo pagare in media da 800 a 1000 dollari per ogni bambino all’inizio degli anni Trenta, per arrivare a 5000 dollari a testa durante la seconda guerra mondiale. Negli anni Quaranta, l’Ideal Maternity guadagnava 60.000 dollari l’anno per le clienti alloggiate, compresa una speciale quota di 50 dollari per ogni madre che specificava la confessione religiosa dei genitori adottivi. Dall’altra parte, Lila e William tra il 1937 e il 1947 intascarono almeno 3.500.000 per le “adozioni” – ossia la vendita – di bambini. Nel 1946 una cliente che aveva cambiato idea e voleva riavere il bambino, si sentì dire che il piccolo era già stato adottato, ma avrebbe potuto essere recuperato se la madre si fosse presentata con 10.000 dollari in contanti… Nel 1943 gli Young ospitavano ogni giorno 70 bambini. La loro villetta iniziale era cresciuta fino a diventare un esteso complesso con 54 stanze, 14 bagni e vari nidi, per un valore di 40.000 dollari, senza ipoteche. Le clienti potevano chiedere stanze singole o semiprivate, se il pensiero di dormire in una camerata le sconcertava. Gli affari, in effetti, andavano talmente bene, che Lila cominciò a vantarsene… provocando così a se stessa guai a non finire. I funzionari del Ministero della salute sorvegliavano l’attività della coppia da una decina d’anni, ma trovarono la prima prova concreta di negligenza nel 1945, quando gli ispettori riferirono di squallide condizioni, nugoli di mosche e letti sudici; inoltre alcuni bambini pesavano la metà rispetto alla norma. Lila rispose con accuse di vessazione, ma il suo tempo stava per concludersi. Un nuovo emendamento al Maternity Boarding House Act del 1940 aumentava i requisiti per le società che vi aderivano: la richiesta di autorizzazione degli Young fu subito respinta e nel novembre 1945 fu ordinata la chiusura dell’Ideal Maternity.
Naturalmente non era così semplice chiudere un’impresa così redditizia e gli Young continuarono la loro attività senza licenza, dopo aver fatto ricorso in appello. I funzionari del controllo immigrazione all’inizio del 1946 allungarono l’elenco delle loro malefatte, dimostrando che Lila aveva fatto entrare clandestinamente dei bambini negli Stati Uniti. In marzo gli Young furono chiamati in giudizio per otto imputazioni, comprese la violazione del Maternity Boarding House Act e la pratica della professione medica senza titolo, ma la loro condanna per tre imputazioni il 27 marzo ebbe come risultato un’insignificante multa di 150 dollari. Il 4 giugno 1946 essi furono riconosciuti colpevoli di aver venduto illegalmente dei bambini a quattro coppie americane, e furono multati per la cifra complessiva di 428,90 dollari. William, diventato all’epoca un forte bevitore, fu in seguito giudicato colpevole di falsa testimonianza per la sua deposizione al processo di giugno, e nonostante tutto all’inizio del 1947 all’Ideal Maternity nascevano ancora dei bambini. La fine, quando arrivò, si deve più all’arroganza di Lila che all’azione delle autorità. Furibonda per il risalto che i media diedero al suo caso, Lila intentò una causa di 25.000 dollari a un giornale locale, dando così libero sfogo a testimonianze schiaccianti provenienti da ogni parte. Dopo una breve delibera i giurati respinsero la sua azione legale e il processo rivelò quanto fosse crudele e mercenaria la frode messa in atto con la sua attività.
L’Ideal Maternity fu chiusa prima della fine dell’anno, gli Young in bancarotta e travolti dai debiti dovettero vendere le loro proprietà e trasferirsi nel Quebec. L’istituto, che sarebbe dovuto diventare un albergo, andò completamente distrutto in un incendio il 23 settembre 1962. Alla fine dello stesso anno il cancro aveva portato William alla morte, mentre Lila morì di leucemia nel 1967, dopo essere tornata in Nuova Scozia. La sua tomba porta la scritta:
“Fino a quando non ci incontreremo di nuovo”.

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Silver 3:35 pm - 25th Marzo:

Catherine Deshayes (?-1680), alias: La Voisin
Data(e): anni ’60 XVII secolo.
Luogo: Parigi, Francia.
Vittime: 2500 confessate.
“Strega” e “veggente” che sacrificava bambini in rituali satanici per ricchi clienti.
Provvedimento: bruciata sul rogo il 22 febbario 1680.
Complice: abate Guibourg (1612-82), prete rinnegato che prendeva parte alle messe nere; morto in prigione.

Aida Nourre din Mohammed Abu Zeid (1973-).
Data(e): 1996.
Luogo: Alessandria, Egitto.
Vittime: 18 confessate.
Infermiera che uccideva i pazienti per poter dormire.
Provvedimento: condannata a morte per un capo d’accusa, 1998; condanna annullata in appello.

Catherine Wilson (1822-62).
Data(e): 1854-62.
Luogo: Inghilterra.
Vittime: cinque.
Vagabonda avvelenatrice di conoscenti per profitto.
Provvedimento: impiccata il 20 ottobre 1862.

Stella Williamson (1904-80).
Data(e): 1923-33.
Luogo: Gallitzin, Pennsylvania.
Vittime: cinque.
Madre nubile che ha ucciso i suoi cinque bambini, stipandone i cadaveri in una valigia in soffitta.
Deceduta per cause naturali, agosto 1980, ha lasciato in una lettera le indicazioni per ritrovare i resti.

Mary Elizabeth Wilson (1891-1961).
Data(e): 1956-57.
Luogo: Windy Hook, Inghilterra.
Vittime: quattro.
“Vedova nera” avvelenatrice di mariti/amanti per profitto.
Provvedimento: condanna a morte, 1958 (commutata in appello); morta in prigione, 1961.

Martha Hasel Wise (1883-?), alias: Borgia d’America.
Data(e): 1924-25.
Luogo: contea di Medina, Ohio.
Vittime: tre.
“Vedova nera”, ha avvelenato i parenti; anche piromane molto attiva.
Provvedimento: ergastolo, 1925; morta in prigione.

Shirley White (1932-).
Data: 1971-92.
Luogo: Kinston, North Carolina.
Vittime: tre sospettate.
“Vedova nera” assassina dei mariti e del figliastro.
Provvedimento: ergastolo per un omicidio, 1992.

Margaret Waters (1835-70).
Data(e): 1866-70.
Luogo: Brixton, Inghilterra.
Vittime: diciannove.
Organizzatrice di “nidi d’infanzia”; drogava e faceva morire di fame i bambini.
Provvedimento: impiccata l’11 settembre 1870.

Annette Washington (1958-).
Data(e): 1986.
Luogo: New York City.
Vittime: due.
Assistente sanitaria; ha derubato/pugnalato donne anziane nelle loro case.
Provvedimento: da 50 anni all’ergastolo, 1987.

Dorothea Nancy Waddingham (1899-1936).
Data(e): 1935-36.
Vittime: due.
Uccise con la morfina i pazienti di una casa di riposo per l’eredità.
Provvedimento: impiccata nell’aprile 1936.

Louise Vermilyea (?-1910).
Data(e): 1893-1910.
Luogo: Illinois.
Vittime: nove.
“Vedova nera” che avvelenò il marito e i bambini per l’assicurazione sulla vita; avvelenò anche gli inquilini della sua pensione senza motivo apparente.
Si suicidò con il veleno dopo l’arresto.

Elizabeth Van Valkenburgh (?-1846).
Data(e): anni ’40 XIX secolo.
Luogo: Fulton, New York.
Vittime: due.
“Vedova nera”, ha avvelenato i mariti.
Provvedimento: impiccata il 24 gennaio 1846.

Maria Velten (1916-).
Data(e): 1963-80.
Luogo: Kempten, Germania.
Vittime: cinque confermate.
“Vedova nera” che ha avvelenato il padre, la zia, mariti/amanti; per i primi due omicidi dichiarato come movente la “compassione”; gli altri sono stati commessi per denaro.
Provvedimento: ergastolo, 1983.

Lydia Trueblood (?-?).
Data(e): 1915-19.
Luogo: Missouri/Montana/Idaho.
Vittime: cinque.
“Vedova nera”, ha avvelenato i mariti e un cognato per l’assicurazione sulla vita.
Provvedimento: ergastolo nell’Idaho, 1921.

Tofania (1653-1723).
Data(e): 1670-1719.
Luogo: Napoli, Italia.
Vittime: 600 stimate.
Femminista estremista, avvelenava su commissione mariti indesiderati.
Provvedimento: giustiziata con la garrota, 1723.

Jane Toppan (1854-1938).
Data(e): 1880-1901.
Luogo: New England.
Vittime: da 70 a 100 sospettate.
Infermiera convivente che avvelenava pazienti e i loro parenti.
Provvedimento: confessati 31 omicidi, 1901; internata nel manicomio dove è morta nell’agosto 1938.

Gloria Tannenbaum (?-1971).
Data(e): 1969.
Luogo: Boulder, Colorado.
Vittime: tre sospettate.
Ha avvelenato due vicini; collegata alla scomparsa del suo amante.
Provvedimento: internata in ospedale psichiatrico, 1969; suicida con il veleno in istituto, 9 marzo 1971.

Barbara Stager (1948-).
Data(e): 1977-96.
Luogo: Oklahoma.
Vittime: due.
“Vedova nera” assassina di mariti per l’assicurazione, in finti “incidenti” con armi da fuoco.
Provvedimento: condanna a morte per un omicidio, 1989 (commutata in appello).

Diane Spencer (1968).
Data(e): 1983-90.
Luogo: Michigan/Pennsylvania.
Vittime: tre sospettate.
Ha soffocato i suoi bambini, imputando le morti a casi di SIDS.
Provvedimento: ergastolo per un’imputazione nel Michigan, 1992.

Hieronyma Spara (?-1659).
Data(e): anni ’50 XVII secolo.
Luogo: Italia.
Vittime: “numerose”.
“Strega” e avvelenatrice di mariti su commissione.
Provvedimento: impiccata con un complice e tre clienti, 1659.

Mariam Soulakiotis (1900-?).
Data(e): 1940-50.
Luogo: Keratea, Grecia.
Vittime: 177.
Leader di una setta calendarista i cui seguaci morirono di percosse, torture e fame.
Provvedimento: due anni per detenzione illegale di minore, 1951; 14 anni per altri reati gravi, 1953; nessuna accusa di omicidio.

Paula Marie Sims (1959-).
Data(e): 1986-89.
Luogo: Illinois.
Vittime: due.
Ha ucciso i suoi bambini attribuendo la responsabilità a “intrusi mascherati”.
Provvedimento: ergastolo senza libertà condizionale, 1990.

Lydia Sherman (1825-79), alias: Avvelenatrice regina.
Data(e): 1864-71.
Luogo: New York/Connecticut.
Vittime: dieci.
“Vedova nera” avvelenatrice di mariti e figli per l’assicurazione.
Provvedimento: ergastolo; morta in carcere, 16 maggio 1879.

Antoinette Scieri (?-?).
Data(e): 1924-26.
Luogo: St. Gilles, Francia.
Vittime: 12.
Infermiera che derubava/uccideva pazienti anziani.
Provvedimento: condanna a morte, 1926 (sentenza commutata in ergastolo in appello).

Gail Savage (1963-).
Data(e): 1991-93.
Luogo: Waukegan, Illinois.
Vittime: tre.
Ha ucciso i suoi bambini; le morti attribuite a casi di SIDS.
Provvedimento: 20 anni per essersi dichiarata colpevole di tre omicidi colposi, 1994.

Michaela Roeder (1950-).
Data(e): anni ’80 XX secolo.
Luogo: Wuppertal Barmen, Germania.
Vittime: da 10 a 17.
Infermiera d’ospedale che ha ucciso pazienti in terapia intensiva.
Provvedimento: confessati dieci omicidi; ergastolo, 1989.

Sarah Jane Robinson (?-1905).
Data(e): anni ’80 XIX secolo.
Luogo: Boston, Massachusetts.
“Vedova nera” avvelenatrice di parenti/amici per l’assicurazione.
Provvedimento: condanna a morte (commutata in ergastolo in appello); morta in prigione, 1905.

Mary Rose Robaczynski (?-?).
Data(e): 1977-78.
Luogo: Baltimore, Maryland.
Vittime: quattro confessate.
Infermiera che scollegava le apparecchiature di ausilio vitale dei pazienti di unità intensiva.
Provvedimento: processo annullato per mancato accordo da parte della giuria, 1979; accuse ritirate in cambio della revoca permanente della licenza professionale.

Martha Rendall (?-1909).
Data(e): 1907-8.
Luogo: Australia.
Vittime: tre.
Ha ucciso tre figliastri somministrando loro acido cloridrico.
Provvedimento: impiccata, 6 ottobre 1909.

Mary Read (?-1721).
Data(e): 1719-20.
Luogo: Caraibi.
Vittime: “numerose”.
Rapita dai pirati, si è unita alla ciurma in vari raid.
Provvedimento: morta in prigione, aprile 1721.

Virginia Rearden (1932-).
Data(e): 1972-87.
Luogo: Kentucky, California.
Vittime: tre.
“Vedova nera” assassina del marito, della figlia e di un’amica per l’assicurazione.
Provvedimento: ergastolo senza libertà condizionale in California, 1992.

Jean Raies (?-?).
Data(e): 1880.
Luogo: Ginevra, Svizzera.
Vittime: 12.
Infermiera che uccise pazienti per intascare il “premio” offerto dai locali impresari di pompe funebri per nuovi clienti.
Provvedimento: ergastolo, morta in prigione.

Terri Eden Maples Rachals (1962).
Data(e): 1985.
Luogo: Albany, Georgia.
Vittime: sei confessate.
Infermiera d’ospedale che avvelenava i pazienti in terapia intensiva.
Provvedimento: giudicata colpevole ma malata di mente in un caso di violenza personale aggravata; condanna a 17 anni più tre anni di libertà vigilata.

Dorothea Helen Puente (1929).
Data(e): 1982-88.
Luogo: Sacramento, California.
Vittime: nove.
Proprietaria di casa “vedova nera”; avvelenava gli inquilini per riscuotere gli assegni della pensione.
Provvedimento: ergastolo senza libertà condizionale per tre omicidi, 1993.

Madame Popova (?-1909).
Data(e): anni ’80 XIX secolo-inizi XX secolo.
Luogo: Samara, Russia.
Vittime: 300 confessate.
Avvelenatrice su commissione, specializzata nell’eliminazione di mariti violenti.
Provvedimento: giustiziata, marzo 1909.

Milka Pavlovich (?-1935).
Data(e): 1935.
Luogo: Belovar, Jugoslavia.
Vittime: sei.
“Vedova nera” avvelenatrice del marito e di altri parenti.
Provvedimento: impiccata, maggio 1935.

Stella Maudine Nickell (1944).
Data(e): 1986.
Luogo: contea di King, Washington.
Vittime: due.
Ispirata dagli omicidi con il tylenol dell’Illinois, ha avvelenato il marito per l’assicurazione e uno sconosciuto per deviare le indagini della polizia.
Provvedimento: condanne a 90 anni per ognuno degli omicidi; condanne concorrenti di 10 anni per adulterazione di prodotto.

Sarah Jane Newman (1813-?).
Data(e): 1830-64.
Luogo: Texas.
Vittime: cinque.
“Vedova nera” assassina di mariti.
Provvedimento: scomparsa con l’ultimo marito, 1867.

Blanche Taylor Moore (1933-).
Data(e): 1966.
Luogo: Burlington, North Carolina.
Vittime: quattro.
“Vedova nera”, ha avvelenato il padre, il marito, la suocera e il suo ragazzo.
Provvedimento: condannata a morte, 1991.

Annie Monahan (?-?).
Data(e): 1906-17.
Luogo: New Haven, Connecticut.
Vittime: quattro.
“Vedova nera”, ha avvelenato i mariti e una nipote per l’assicurazione.
Provvedimento: ergastolo, 1919.

Mildred McSparen (?-1988).
Data(e): 1981.
Luogo: Lomax, Illinois.
Vittime: due.
“Vedova nera”, ha avvelenato due figli piccoli.
Provvedimento: tentato suicidio in carcere per impiccaggione, 4 dicembre 1981; conseguente stato di coma, morte sopravvenuta in ospedale a seguito di polmonite, 4 novembre 1988.

Rhonda Belle Martin (1907-57).
Data(e): 1934-55.
Luogo: Ubly, Michigan.
Vittime: sette confessate.
“Vedova nera”, ha avvelenato i mariti, la madre e i figli.
Provvedimento: giustiziata l’11 ottobre 1957.

Anjette Donovan Lyles (1917-77).
Data(e): 1952-57.
Luogo: Macon, Georgia.
Vittime: quattro.
Praticante di riti vudu e “Vedova nera” che ha avvelenato i due mariti, la suocera e la figlia.
Provvedimento: condannata a morte per un capo d’accusa, 1958; dichiarata inferma di mente e mandata nel 1960 in un istituto psichiatrico statale, dove è morta nel dicembre 1977.

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Silver 3:37 pm - 25th Marzo:

Christa Lehman (1922-).
Data(e): 1952-54.
Luogo: Worms, Germania.
Vittime: tre.
“Vedova nera”, ha avvelenato il marito, il suocero e una vicina di casa.
Provvedimento: ergastolo, 1954.

Tillie Klimek (1865-?).
Data(e): 1914-20.
Luogo: Chicago, Illinois.
Vittime: sei.
“Vedova nera”, ha avvelenato i mariti e una vicina di casa.
Provvedimento: ergastolo, 1921.

Sharon Kinne (1940-).
Data(e): 1960-62.
Luogo: Missouri/Messico.
Vittime: tre.
“Vedova nera” assassina del marito, della moglie dell’amante e del suo ragazzo.
Provvedimento: 13 anni per un capo d’accusa in Messico, 1963.

Mary Kelliher (?-?).
Data(e): 1905-8.
Luogo: Boston, Massachusetts.
Vittime: sei.
“Vedova nera” avvelenatrice di marito e parenti.
Provvedimento: sfuggita all’incriminazione per aver attribuito i decessi a un materasso contaminato con l’arsenico.

Martha Johnson (1955-).
Data(e): 1977-82.
Luogo: Georgia.
Vittime: quattro sospettate: due confessate.
Ha soffocato i suoi figli; le morti sono state scambiate per casi di SIDS.
Provvedimento: condannata a morte, 1990 (pena capitale commutata in appello).

Helene Jegado (1803-51).
Data(e): 1833-51.
Luogo: Francia.
Vittime: 23.
Domestica ladra; avvelenò i datori di lavoro e i colleghi.
Provvedimento: decapitata, dicembre 1851.

Marie Jeanneret (1836-84).
Data(e): 1866-67.
Luogo: Losanna, Svizzera.
Vittime: otto.
Sedicente infermiera che avvelenò alcuni pazienti e il datore di lavoro.
Provvedimento: ergastolo per sei capi d’accusa; morta in prigione, 1884.

Mary Jane Jackson (1836-?), alias: Testarossa.
Data(e): 1856-61.
Luogo: New Orleans, Louisiana.
Vittime: quattro.
Prostituta dal carattere violento; accoltellò delle conoscenze maschili.
Provvedimento: dieci anni per un capo d’accusa, 1861; pena sospesa da parte del nuovo governatore quando nove mesi dopo i Nordisti occuparono New Orleans.

Waneta Ethel Hoyt (1943-98).
Data(e): 1965-71.
Luogo: Oswego, New York.
Vittime: cinque.
Ha ucciso i suoi figli facendo passare gli omicidi per casi di SIDS.
Provvedimento: da 75 anni all’ergastolo per i cinque capi d’accusa, 1995; morta in prigione, 13 agosto 1998.

Audrey Marie Hilley (1933-87).
Data(e): 1975-79.
Luogo: Anniston, Alabama.
Vittime: quattro.
“Vedova nera”, ha avvelenato parenti e altre persone.
Provvedimento: ergastolo per omicidio del marito, più di 20 anni per tentato omicidio della figlia, 1983; evasa dal carcere nel 1987 e deceduta per cause naturali mentre era latitante.

Susan Hey /1959-).
Data(e): 1996.
Luogo: Austin, Texas.
Vittime: due.
Infermiera in casa di riposo; ha iniettato potassio a due uomini anziani.
Provvedimento: rea confessa, 1998; condanna a 50 anni con minimo di 25 anni.

Anna Marie Hahn (1906-38).
Data(e): 1932-37.
Luogo: Ohio/Colorado.
Vittime: cinque.
Sedicente infermiera e “Vedova nera” avvelenatrice di uomini anziani.
Provvedimento: giustiziata nell’Ohio, 20 giugno 1938.

Caroline Grills (1885-?), alias: Zia Thally.
Data(e): 1947-48.
Luogo: Sydney, Australia.
Vittime: quattro.
“Vedova nera”, ha avvelenato dei parenti (con il tallio).
Provvedimento: ergastolo, 1949.

Gessina Margaretha Gottfried (1798-1828).
Data(e): 1822-25.
Luogo: Brema, Germania.
Vittime: 16 confessate.
“Vedova nera” avvelenatrice di parenti e conoscenti.
Provvedimento: decapitata, 1828.

Jane Lou Gibbs (1932-).
Data(e): 1966-67.
Luogo: Cordele, Georgia.
Vittime: cinque.
“Vedova nera”, ha avvelenato il marito, i figli e il nipote per riscuotere l’assicurazione sulla vita.
Provvedimento: internata in manicomio, 1968; ritenuta idonea al processo nel 1974; cinque ergastoli consecutivi, 1976.

Anne Gates (1949).
Data(e): 1978-87.
Luogo: Indiana/Louisiana.
Vittime: due sospettate.
“Vedova nera” assassina dei mariti per profitto.
Provvedimento: verdetto di “parità” per un capo d’accusa nella Louisiana, 1989; ricevuti 25.000 dollari dal patrimonio della vittima, 1992.

Guinevere Falakassa Garcia (1959-).
Data(e): 1977-91.
Luogo: Chicago, Illinois.
Vittime: due.
Ha ucciso la figlia (1977) e l’anziano marito (1991).
Provvedimento: 20 anni per dichiarazione di colpevolezza nella morte della figlia, 1982 (in libertà condizionale 1991); pena capitale, 1992 (commutata in ergastolo).

Julia Fortmeyer (?-?).
Data(e): anni ’70 del XIX secolo.
Luogo: St. Louis, Missouri.
Vittime: ufficialmente quattro.
Praticante di aborti e omicida; rinvenuti a casa sua tre cadaveri e “dozzine” di ossa.
Provvedimento: cinque anni per omicidio colposo, 1875.

M. van der E. (1946).
Data(e): 1997.
Luogo: Leeuwarden, Paesi Bassi.
Vittime: due.
Inquilini della pensione uccisi a martellate.
Provvedimento: otto anni per omicidio colposo.

Amelia Dyer (1839-96).
Data(e): 1880-96.
Luogo: Inghilterra.
Vittime: sei nel solo anno 1896.
Organizzatrice di “nidi d’infanzia” che uccideva i bambini di madri nubili.
Provvedimento: impiccata, 10 giugno 1896.

Daisy Louisa De Melker (1886-1932).
Data(e): 1909-31.
Luogo: Sudafrica
Vittime: sei.
“Vedova nera”, ha avvelenato il marito e i figli.
Provvedimento: impiccata, 30 dicembre 1932.

Anna Cunningham (1873-?).
Data(e): 1918-25.
Luogo: Gary, Indiana.
Vittime: cinque.
“Vedova nera”, ha avvelenato il marito e i figli.
Provvedimento: ergastolo per un capo d’accusa, 1925.

Mary Frances Creighton (?-1936).
Data(e): 1923-35.
Luogo: New Jersey/New York.
Vittime: tre.
“Vedova nera”, ha avvelenato il fratello, la suocera, la moglie dell’amante.
Provvedimento: giustiziata il 19 luglio 1936.
Complice: Earl Applegate (1898-1936), giustiziato il 19 luglio 1936 per concorso nell’omicidio della moglie.

Mary Ann Cotton (1832-73).
Data(e): 1857-72.
Luogo: Inghilterra.
Vittime: ufficialmente 21.
“Vedova nera” avvelenatrice di familiari.
Provvedimento: impiccata il 24 marzo 1873.

Tammy Corbett (1965).
Data(e): 1987-89.
Luogo: Carlinsville, Illinois.
Vittime: quattro.
Ha ucciso i suoi bambini.
Provvedimento: ergastolo per quattro imputazioni, 1993.

Jill Coit (1943-).
Data(e): 1969-76.
Luogo: Texas/Colorado.
Vittime: due.
“Vedova nera” assassina dei mariti per profitto.
Provvedimento: ergastolo senza libertà condizionale più 48 anni per un capo d’accusa nel Colorado, 1996.

Styllou Christofi (1900-54).
Data(e): 1925-53.
Luogo: Cipro/Inghilterra.
Vittime: due.
Omicidio della madre e della nuora.
Provvedimento: impiccata in Inghilterra.

Pearl Choate (1907-).
Data(e): anni ’30-1965.
Luogo: Inghilterra.
Vittime: sette sospettate.
“Vedova nera” assassina di anziani e ricchi mariti.
Provvedimento: scontati 12 anni per un’imputazione di omicidio.

Lucretia Patricia Cannon (1783-1829).
Data(e): 1802-29.
Luogo: Reliance, Delaware.
Vittime: 24 confessate.
Uccise il marito e il figlio prima di entrare nel traffico di schiavi e di gestire una taverna nella quale gli avventori venivano derubati e assassinati; schiavi e domestici torturati/uccisi per divertimento.
Provvedimento: condannata a morte, aprile 1829; avvelenatasi in prigione.

Marie de Brinvilliers (1630-1676).
Data(e): 1655-73.
Luogo: Parigi, Francia.
Vittime: 54 confessate.
50 pazienti d’ospedale avvelenati per fare “pratica” prima di uccidere il padre, i fratelli e l’amante per profitto.
Provvedimento: decapitata il 17 luglio 1676.

Clover Boykin (1975).
Data(e): 1993/95.
Luogo: West Palm Beach, Florida.
Vittime: due confessate.
Omicidio dei suoi bambini, a quanto pare ispirato da alcuni sogni.
Provvedimento: ergastolo più 40 anni per due omicidi.

Cecile Bombeek (1933-), alias: Sister Godfrida.
Data(e): 1976-77.
Luogo: Wetteren, Belgio.
Vittime: da 3 a 21.
Pazienti di casa di riposo uccisi da iniezioni d’insulina.
Provvedimento: rea confessa di tre omicidi; ergastolo, 1978.

Anne Bonny (1700-?).
Data(e): 1714-20.
Luogo: Caraibi.
Vittime: “numerose”.
Domestica di famiglia pugnalata a morte; unitasi a ciurma di pirati “non si è mai tirata indietro davanti all’omicidio” durante le scorrerie.
Provvedimento: fuggita dalla prigione, 1721; mai ricatturata.

Ilfriede Blaunsteiner (1932-), alias: Vedova Nera.
Data(e): 1981-85.
Luogo: Austria.
Vittime: cinque confessate.
Avvelenatrice per profitto del marito e di altri.
Provvedimento: ergastolo per un capo d’accusa, 1997.

Marie-Louise Victorine Bessarabo (1868-?), alias: Hera Myrtle.
Data(e): 1892/1914/20.
Luogo: Messico/Francia.
Vittime: tre.
“Vedova nera” assassina di marito e amanti.
Provvedimento: ergastolo per un capo d’accusa, 1920.

Marie Besnard (1896-?), alias: Regina delle avvelenatrici.
Data(e): 1927-49.
Vittime: 13.
Mariti e parenti avvelenati per eredità.
Provvedimento: prosciolta anche se rea confessa nel dicembre 1961.

Mary Flora Bell (1957-).
Data(e): 1968.
Luogo: Newcastle, Inghilterra.
Vittime: due.
Bambini di tre e quattro anni uccisi e mutilati.
Provvedimento: incarcerata ancora minorenne per due imputazioni di omicidio colposo.

Betty Lou Beets (1937-).
Data(e): 1981-83.
Luogo: contea di Dallas, Texas.
Vittime: due.
“Vedova nera” assassina dei mariti per intascare l’assicurazione sulla vita.
Provvedimento: condannata a morte per un capo d’accusa, 1985.

Marie Alexandrine Becker (1877-194?).
Data(e): 1932-36.
Luogo: Liegi, Belgio.
Vittime: oltre 12 stimate.
Avvelenò il marito, l’amante e alcune clienti (anche derubate).
Provvedimento: ergastolo, 1936; morta in prigione durante la seconda guerra mondiale.

Margie Velma Barfield (1932-84).
Data(e): 1969-78.
Luogo: North Carolina.
Vittime: cinque.
“Vedova nera” assassina di mariti e altri.
Provvedimento: giustiziata il 2 novembre 1984.

Marie Dean Arrington (1933-).
Data(e): 1964-68.
Luogo: Florida.
Vittime: due.
Ha sparato al marito; ha ucciso una donna rapita per estorcere il rilascio del figlio dal carcere.
Provvedimento: 20 anni per omicidio colposo, 1965; condanna a morte, 1969; pena commutata in ergastolo, 1972.

Winifred Ankers (?-).
Data(e): 1911-12.
Luogo: Brooklyn, New York.
Vittime: otto confessate.
Dipendente d’ospedale; neonati uccisi nel reparto maternità per dispetto verso le infermiere.
Provvedimento: rea confessa, febbraio 1912; provvedimento non riportato.

Beverly Allitt (1968-), alias: Angelo della morte.
Data(e): 1991.
Luogo: Grantham, Inghilterra.
Vittime: tre.
Ha ucciso pazienti d’ospedale.
Provvedimento: 13 ergastoli per varie accuse, 1992.

Shirley Goude Allen (1941-).
Data(e): 1978-82.
Vittime: due.
“Vedova nera”, ha avvelenato i mariti per riscuotere l’assicurazione sulla vita.
Provvedimento: ergastolo con minimo di 50 anni, 1984.

  (Quota)  (Replica)

Silver 3:39 pm - 25th Marzo:

E per concludere, le GROUPIE, ossia le ammiratrici dei serial killer.
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Nonostante la cupa atmosfera di violenza e perversità che circonda i serial killer, essi talvolta esercitano un effetto quasi ipnotico sul “gentil sesso”, attirando le groupie in una bizzarra variante della sindrome della celebrità.
Il vecchio Charles Manson è famoso per la tenace devozione delle componenti femminili della sua “famiglia” (e di una nuova generazione di fan che crede ostinatamente sia stato incastrato), ma altri assassini se la cavano piuttosto bene per conto loro, senza beneficiare di discepoli già disponibili.
In Arizona Charles Schmid – “Il pifferaio pasticcione di Tucson” – aveva il suo seguito ben radicato di teenager al processo in cui fu condannato a morte.
Theodore Bundy riceveva numerose lettere d’amore da giovani femmine attraenti, molte delle quali, con le loro lunghe capigliature brune divise nel mezzo, assomigliavano alle sue vittime preferite; scegliendone alla fine una come moglie mentre era in carcere, Bundy sconfisse il tempo e diventò padre di un bambino dal braccio della morte, attraverso l’inseminazione artificiale, prima di essere giustiziato nel 1989.
Nel Nevada, Carrol Cole riceveva visite a strazianti poesie d’amore da una donna che aveva la metà dei suoi anni.
La presunta fidanzata di John Gacy, due volte divorziata e madre di otto figli, rimediò una serie di apparizioni in alcuni talk-show televisivi, ed entrambi gli “Strangolatori della collina” – Kenneth Bianchi e Angelo Buono – si sono sposati dopo essere stati condannati all’ergastolo.
Una ex di Bianchi, Veronica Compton, si guadagnò il carcere per conto suo con l’accusa di tentato omicidio, mentre cercava di liberare il suo amante imitando la tecnica dello strangolatore con un bersaglio casuale, munita di un suo campione di sperma, fatto uscire clandestinamente dalla prigione.
La Compton si mise poi con il “Killer del Sunset” Douglas Clark.
In una lettera della Compton a Clark, in un esempio classico di eufemismo, hanno trovato scritto:”Il nostro senso dell’umorismo è poco comune. Mi domando perché gli altri non vedano, come noi, gli aspetti necrofili dell’esistenza”..
Per ironia della sorte, considerando il suo aspetto fisico e la natura dei suoi crimini, nessun altro psicopatico attirò ammiratrici più ferventi del “Cacciatore della notte” Richard Ramirez, l’adoratore di Satana dall’aspetto cadaverico condannato a morte per 13 omicidi a Los Angeles.
Una sorta di fan club assisteva regolarmente a Los Angeles alle sedute del suo processo, durato 14 mesi; alcune delle giovani femmine prendevano appunti ed esprimevano il loro interesse in termini di “ricerche scolastiche”, mentre altre ammettevano francamente la loro attrazione nei confronti di Ramirez e del suo satanismo dichiarato.
Una di loro confessò alla stampa:”Volete sapere se lo amo? Sì, nel mio modo infantile. Provo una tale pietà per lui. Quando lo guardo, vedo un gran bel ragazzo che si è rovinato la vita perché non ha mai avuto nessuno che lo guidasse”.
Altre due groupie, una delle quali posava per foto pornografiche, fecero circolare per la prigione della contea delle foto che le ritraevano nude e una delle giovani donne minacciò la rivale – e per ragioni ignote, il presidente degli Stati Uniti…- in violenti attacchi di gelosia.
Sposatosi alla fine con una delle sue ammiratrici, un’altra seguace di Satana, Ramirez riceveva anche le visite regolari di una componente della giuria che lo aveva condannato a morte, tardivamente convinta che “Richard non aveva avuto un processo equo”.
Un caso ancora più significativo..riguarda Henry Lucas e Phyllis Wilcox.
Follemente innamorata dello psicopatico con un occhio solo, dopo una lunga corrispondenza e varie visite in carcere, la Wilcox – una donna sposata che ancora oggi vive col marito […] – si convinse dell’innocenza di Henry e tramò un complotto per liberarlo dal braccio della morte.
Dopo essersi procurata una falsa patente e una nuova carta d’identità, la Wilcox si presentò ai media nelle vesti di Frieda Powell, l’ex fidanzata che Lucas aveva in precedenza confessato di aver ucciso nel 1983, quando questa aveva appena 15 anni.
L’improvvisa riapparizione della Powell dopo 13 anni naturalmente riempì le pagine dei giornali, ma la polizia seppe presto la verità da vari documenti della Wilcox.
Phyllis riuscì ad evitare il carcere con l’accusa di ostacolo alla giustizia, ma il suo stupido tentativo di liberare Lucas fu sventato.
Anzi, anche se il suo travestimento avesse avuto successo, la Wilcox non avrebbe ottenuto alcun risultao: Lucas è stato riconosciuto colpevole di dieci omicidi e non è stato il caso della Powell a mandarlo nel braccio della morte.
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Fonte: DIZIONARIO DEI SERIAL KILLER (2000), di Michael Newton.

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Silver 6:33 pm - 25th Marzo:

Dimenticavo…
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Killer di professione, vissuta a Roma nel primo secolo d.C., Locusta (o Lucusta, in alcuni documenti) sembra proprio avere l'”onore” di essere stata la prima assassina, di cui si ha notizia, ad aver praticato l’omicidio in serie.
Nel 54 d.C. essa fu assoldata da Agrippina, madre di Nerone, per preparare i funghi avvelenati che uccisero il marito di Agrippina, l’imperatore Claudio.
In seguito a questo episodio Nerone ascese al trono e quando Locusta nel 55 d.C. fu accusata di aver avvelenato un’altra vittima, l’imperatore riconoscente inviò un tribuno della guardia pretoriana a salvarla dall’esecuzione.
In cambio di quel favore, Locusta ricevette l’ordine di avvelenare Britannico, figlio di Claudio e legittimo erede al trono, che aveva definito Nerone un usurpatore.
Il primo tentativo di Locusta di uccidere Britannico andò a vuoto, ma la seconda dose di veleno ebbe effetto e le fece guadagnare l’immunità da procedimenti giudiziari, fintanto che Nerone fosse stato in vita.
Il suicidio di quest’ultimo nel giugno del 68 d.C. lasciò Locusta alla mercé dei suoi nemici e mentre la donna sopravvisse a Nerone per sette mesi, il suo destino era ormai segnato.
Condannata dall’imperatore Galba, per breve tempo successore di Nerone, andò incontro a una terribile fine nel gennaio del 69 d.C.
Come descritto da Apuleio un secolo dopo, l’esecuzione di Locusta fu programmata in coincidenza con uno dei frequenti festeggiamenti romani, probabilmente gli Agonalia (in onore di Giano), che si tenevano il 9 gennaio. Per ordine di Galba, Locusta fu pubblicamente violentata da una giraffa appositamente addestrata, per poi essere dilaniata dalle bestie feroci.
Galba la seguì poco tempo dopo, il 15 gennaio, decapitato dai ribelli delle guardie pretoriane e la sua testa fu mostrata in parata a Roma nei Castra Praetoria.
I resoconti alludono ad altre cinque vittime sconosciute, ma è possibile che più persone siano state assassinate da questa famosa avvelenatrice.

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Silver 9:07 am - 18th Aprile:

Marco Vantaggiato, Violenza domestica: la fallacia dei paradigmi di genere,

.Il fenomeno della violenza domestica continua ad occupare sempre più spazio non solo all’ interno della cronaca locale e politica del nostro paese, ma vede un costante e progressivo spiegamento di forze (a livello europeo, nazionale e regionale) che si adoperano attraverso campagne di sensibilizzazione, iniziative di prevenzione e di recupero delle vittime, a contrastare e ad arginare un fenomeno che ormai è uscito dalla sfera privata ed è divenuto un vero e proprio crimine che coinvolge l’ intera comunità.

Nonostante gli enormi progressi che sono stati compiuti vi è purtroppo la tendenza, da parte dei ricercatori e delle istituzioni a considerare la violenza domestica come una violenza “sessuata”, intendendo con ciò una forma di violenza che non solo ha come unici aggressori gli uomini e come uniche vittime le donne, ma che nasce dallo squilibrio relazionale dei sessi ed ha come obiettivo il totale controllo della donna al fine di perpetuare il suo stato si sottomissione (French, 1993; Longo, 1995; Pence e Paymar, 1993; Parsi, 2000, 2008; Stock, 1991, 1998; Worcester, 2002).

Queste posizioni fanno soprattutto capo alle teorie femministe e alle teorie di genere che vedono nel patriarcato la causa fondamentale della violenza domestica, intendendo con la parola patriarcato una struttura sociale che educa gli uomini al dominio e al controllo pressoché totale delle donne, limitandone le scelte e l’ autonomia decisionale.

Che sia la paura ancestrale nei confronti delle donne (Valcarenghi, 2007), l’ invidia del grembo (Parsi, 2000, 2008) o la messa in atto di un comportamento culturalmente e socialmente approvato da una società misogina (Dobash e Dobash, 1979) ciò che le teorie femministe e di genere fanno è ritrarre un quadro in cui la violenza domestica è originata esclusivamente da fattori socioculturali e dove gli uomini sono gli unici aggressori mentre le donne le uniche vittime.

Questo tipo di approccio, così rigido e monolitico è stato duramente criticato da numerosi studiosi (Archer, 2002; Corvo e Johnson, 2003; Dutton e Nicholls, 2005; Dutton, 1994, 2006; Farrell, 2001; George, 2003; Hamel, 2005; Pimlatt-Kubiak e Cortina, 2003; Sarantakos, 2001) in quanto veicolante una serie di errori e di personali convinzioni che hanno a che vedere con la visione del fenomeno secondo un’ ottica femminista capace di distorcere in modo grave le realtà dei fatti e, di conseguenza, di non essere in grado di proporre validi interventi sia di prevenzione che di trattamento verso chi commette tali violenze e verso le vittime stesse.

Cerchiamo dunque di illustrare quali sono gli errori più comuni che si ritrovano nel momento in cui si seguono le ricerche, i risultati e gli interventi dei ricercatori e dei clinici che aderiscono alle teorie di genere.

Selettività nelle ricerche e nelle citazioni

I ricercatori che aderiscono alle teorie di genere hanno come scopo quello di mostrare i dati della violenza domestica esclusivamente come violenza sulle donne; questo perché vi è la convinzione, come riportato sopra, che la violenza sia dettata dal mantenimento del potere e dei “privilegi maschili” conservati dal patriarcato. La conseguenza di questo atteggiamento produce una serie di errori metodologici in quanto vi è l’ errore di fondo di voler a tutti i costi confermare le proprie teorie piuttosto che cercare di falsificalre. Tra le scelte metodologiche più comuni troviamo il fare ricerca su campioni specifici della popolazioni i cui risultati vengono poi indebitamente riversati sulla popolazione generale, come ad esempio chi effettua inchieste e misurazioni sulle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza o sugli uomini arrestati e mandati in terapia per ordine del tribunale (Dutton, 2005; Hamel, 2005); un altro errore viene anche da alcune ricerche nazionali promosse dallo stato che solitamente mostrano maggiori tassi di vittimizzazione femminile e di perpetrazione maschile.

Riguardo a questo genere di ricerche le obiezioni da rivolgere sono le seguenti:

* in alcune ricerche nazionali l’ indagine viene presentata come una ricerca volta a rilevare la “violenza contro le donne”, di fatto ponendo dei filtri che impediscono una corretta stima delle violenze verso gli uomini (Dutton e Nicholls, 2005); quanto segue è confermato dal National Violence Against Women Survey (Tjaden e Thoennes, 1998) e dall’ ISTAT che nel 2006 ha promosso un’ indagine comprendente anche gli episodi di violenza domestica dove gli uomini non erano contemplati come vittime ma solo come autori di reato;

* in Canada è stata promossa un’ indagine denominata Canadian Violence against Women survey (Johnson e Sacco, 1995) attraverso la CTS, uno strumento in grado di rilevare gli episodi violenti all’ interno della coppia/famiglia, episodi valutati come la conseguenza di una situazione conflittuale tra i partner (Straus, 1979). La CTS è una scala che viene somministrata ad entrambi i partner, uomini e donne, tuttavia Johnson e Sacco hanno omesso di somministrare la parte relativa alle violenze perpetrate alle donne le quali hanno dovuto rispondere solo in riferimento agli episodi di vittimizzazione subiti;

* in riferimento al NVAWS (Tjaden e Thoennes, 1998, 2000) Johnson e Leone (2005) hanno cercato di studiare le coppie in cui venivano commesse le violenze più gravi ma lo hanno fatto prendendo solo gli uomini in qualità di aggressori; le donne non sono state considerate né si è cercato di valutare se potevano rientrare in questo profilo (intimate terrorist);

* riportiamo infine il report molto acclamato e stimato dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità (Krug, Dahlberg, Mercy, Zwi, Lozano, e World Health Organization, 2002) secondo il quale la maggior parte delle violenze commesse dalle donne è dovuta all’ autodifesa, ovvero alla minaccia alla propria incolumità; tale conclusione si basa erroneamente su tre studi: il primo (Saunders, 1986) aveva rilevato che solo un terzo delle donne aveva ricorso alla violenza per proteggersi (31% del gruppo che aveva commesso violenze lievi vs. 39% che aveva commesso violenze gravi), dunque i due terzi delle donne avevano aggredito per altri motivi; il secondo (DeKeseredy, Saunders, Schwartz, e Shahid, 1997) aveva trovato che solo il 7% delle donne aveva utilizzato forme di violenza per difendersi dal partner, mentre il terzo (Johnson e Ferraro, 2000) è un articolo che riprende anche l’ autodifesa delle donne quale motivo principale per usare la violenza, senza confermare quanto detto dal report, citando i due studi precedenti (Saunders, 1986; DeKeserdy et al., 1997) e non fornendo dati originali.

L’ uso di tali metodologie unito alle iniziative governative che mostrano le donne come uniche vittime influisce sulla percezione della violenza domestica nei confronti degli uomini come un crimine. Questo potrebbe influire non poco sulla capacità di rilevare gli uomini vittime di violenza da parte della partner in quanto si è visto che gli uomini si rivolgono alla polizia con una frequenza dieci volte inferiore rispetto alle donne (Stets e Straus, 1992a).

Sempre per quanto riguarda la metodologia di conduzione della ricerca tra gli operatori e i ricercatori sostenitori delle teorie femministe e di genere vi è la tendenza a porre domande alle donne unicamente sugli episodi di vittimizzazione, mentre agli uomini sono solitamente riservate le domande che fanno riferimento alle violenze commesse; è inoltre possibile osservare la selettività con cui vengono scelte le persone alle quali porre i questionari: trattasi solitamente di donne provenienti dai centri antiviolenza e da uomini condannati dal tribunale; in altre occasioni i comportamenti degli uomini vengono rilevati dalle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza o alle case-rifugio (“shelters”). Occorre rendere chiaro che le donne che si rivolgono a questo tipo di strutture non sono rappresentative della popolazione generale e nemmeno delle donne che hanno subito violenza, così come non possono essere rappresentativi della popolazione maschile gli uomini presi dal tribunale o le cui descrizioni sono fornite dalle partner che si sono rivolte a strutture specialistiche antiviolenza. In altre occasioni è possibile osservare come alcuni ricercatori omettano di rilevare la violenza femminile nel momento in cui esaminano entrambi i partner oppure non propongono le stesse interpretazioni dei comportamenti degli uomini quando devono analizzare le condotte violente femminili: Coker, Davis, and Arias (2002) hanno analizzato i risultati del NVAW il cui campione consisteva di 6790 donne e 7122 uomini per evidenziare le conseguenze sulla salute fisica e psicologica delle vittime; i risultati hanno mostrato come uomini e donne manifestano conseguenze simili dovute agli abusi, tuttavia gli autori hanno spiegato che, poiché gli uomini vittime possono essere anche gli autori degli abusi, le conseguenze fisiche e psicologiche potevano essere dovute più al fatto di essere i perpetratori piuttosto che le vittime. Questa ipotesi non è stata considerata per le donne e gli autori non hanno presentato alcuna ragione per questa scelta.

Johnson (1995) presenta, in un articolo molto citato, due differenti forme di violenza che si manifesta all’ interno della coppia: una forma di violenza minore che produce danni di lieve entità e investe entrambi i partner (common couple violence) e una forma grave e cronica di violenza chiamata terrorismo patriarcale, le cui vittime risultano essere le donne; naturalmente, la distinzione della violenza in queste due categorie e l’ esclusione di un terrorismo matriarcale sono dovute al fatto che Johnson ha tratto le sue conclusioni sulle donne ospitate nei centri antiviolenza, per cui tale operazione presenta un limite molto grave (Hamel, 2005). Le inchieste nazionali (Stets e Straus, 1992a, b) mostrano invece come la frequenza violenza grave da parte della donne/violenza lieve da parte dell’ uomo e violenza grave da parte della donna/nessuna violenza da parte dell’ uomo siano rispettivamente intorno al 12% e al 11.8%, il triplo rispetto al pattern inverso.

DeKeserdy e Schwartz (1998) hanno chiesto ad un campione di donne violente con il proprio partner se avevano aggredito quest’ ultimo per difendersi dai suoi attacchi; nonostante il campione fosse composto anche da uomini a nessuno di questi sono state poste domande su eventuali vittimizzazione subìte o sull’ uso della violenza al fine di difendersi, bensì solo domande relative alle violenze perpetrate verso la partner. Per quanto riguarda invece l’ uso della violenza a scopi difensivi, nonostante la maggior parte delle donne aveva dichiarato di non aver mai usato la violenza per tali scopi (sia nel gruppo che aveva impiegato forme lievi, 422 donne su 678 che gravi, 205 donne su 356) DeKeserdy e Schwartz hanno concluso che la maggior parte delle donne è violenta verso il partner al fine di difendersi dai suoi attacchi (gli attacchi del partner!).

Babcock, Waltz, Jacobson e Gottman (1993), Jacobson, Gottman, Waltz, Rushe, Babcock e Holtzworth-Munroe (1994) e Jacobson e Gottman (1998) hanno classificato gli uomini che commettono violenze verso la partner in due categorie: pit bull (impulsivi) e cobra (freddi e strumentali); sulla base di questa classificazione Babcock, Waltz, Jacobson e Gottman (1993) hanno condotto un indagine sulle donne maltrattate dal proprio partner. Le violenze che queste donne potevano aver inflitto al proprio uomo non sono state prese in considerazione, ma ciò che colpisce di più è il lavoro empirico che ha portato gli autori alla classificazione degli uomini violenti in “cobra” e “pit bull”; tale lavoro si è basato sui resoconti di un campione di 57 donne, ma l’ aspetto più interessante sono le considerazioni degli autori sulla metodologia d’ intervento. Infatti, secondo i resoconti delle donne metà di loro sarebbe potuta essere inclusa nel gruppo di coloro che avevano commesso violenza verso il partner se il criterio di scelta avesse incluso la violenza da parte delle mogli (Jacobson, Gottman, Waltz, Rushe, Babcock e Holtzworth-Munroe, 1994, pp. 983). La conseguenza di questa scelta naturalmente si riflette sulla rappresentazione della violenza domestica poiché il lettore, il ricercatore e il clinico sono indotti a pensare che tale violenza sia esclusivamente unilaterale, ovverosia dell’ uomo verso la donna.

Altri errori di questo tipo possono essere tranquillamente riscontrati in numerosi autori che adoperano le teorie femministe e di genere per leggere i dati sulla violenza (Jaffe, Lemmon e Poison, 2003; Saunders, 1988; Dobash e Dobash, 1979, Dobash, Dobash, Wilson, e Daly, 1992, Hirigoyen, 2006; Pence e Paymar, 1993; Yllo e Bogard, (Eds.) 1988; Walker, 1989) che non esitano ad etichettare qualsiasi critica scientificamente fondata e qualsiasi dato sulla violenza femminile come un “contrattacco” (“Backlash”, vedere Faludi, 1981) al movimento femminista (DeKeserdy e Schwartz, 2003; Worcester, 2002) con lo scopo di perpetuare la dominazione maschile.

L’ omettere i dati della violenza femminile è anche reso evidente dal minimizzare l’ impatto che questa può avere sugli uomini; spesso è possibile riscontrare ciò in una breve citazione corroborata da ricerche vecchie e che non tengono conto dei dati più recenti.

Luberti (2005) sottolinea, citando un contributo di Serra (1999), come, sebbene le donne possano essere responsabili di episodi di violenza verso gli uomini, le ricerche abbiano dimostrato che in caso di violenze fisiche le donne subiscano ferite nel 99% dei casi. Luberti tuttavia ignora sia i risultati emersi negli Stati Uniti (Stets e Straus, 1992a, b) sia i risultati del General Social Survey (Brown, 2004; Laroche, 2005), sia infine i risultati dello studio meta analitico di Archer (2000) e l’ analisi dei dati del NVAWS condotta da Pimlatt-Kubiak e Cortina, (2003). Tutte queste ricerche si distinguono dalle indagini solitamente svolte dai ricercatori che fanno capo alle teorie di genere in quanto traggono i loro risultati dai dati presi dalla popolazione generale.

Specificamente e sinteticamente, queste ricerche hanno messo in luce che:

* le donne sono risultate violente tanto, se non di più degli uomini (Archer, 2000);

* la maggior parte della violenza in famiglia o all’ interno di una coppia è reciproca, seguita dalla violenza grave da parte di una donna, seguita dalla violenza grave da parte dell’ uomo (Stets e Straus, 1992a, b); sono molti di più gli uomini a non reagire di fronte ad una violenza grave perpetrata da una donna che non il contrario;

* uomini e donne sono risultati ugualmente “unilateralmente terrorizzati” nei confronti della violenza esercitata dalla/dal partner, hanno riportato numerose ferite che hanno richiesto un intervento medico ed hanno visto le loro attività quotidiane compromesse (Laroche, 2005);

* le donne sono risultate più propense a riportare ferite e a richiedere un trattamento medico ma la differenza rispetto agli uomini non è risultata così ampia come si è soliti credere; lo studio meta analitico di Archer (2000) ha evidenziato per la possibilità di rimanere feriti durante il corso di un episodio violento un effect size di 0.15 pari a circa 1/6 di una deviazione standard, mentre per quanto riguarda il richiedere un trattamento medico l’ effect size è risultato essere 0.08, pari a un 1/12 di una deviazione standard. In conclusione, uomini e donne non differiscono così tanto rispetto alle conseguenze che le violenze possono lasciare a livello fisico;

* a livello psicologico occorre infine notare che l’ analisi del NVAWS, molto citata dai ricercatori aderenti alle teorie femministe e di genere ha visto negli uomini e donne soffrire in modo simile gli effetti dalle violenze da un punto di vista psicologico (Pimlatt-Kubiak e Cortina, 2003). La conclusione di questo imponente studio (N = 16,000) è che è la durata all’ esposizione alla violenza e non il genere, a determinare l’ estensione e la gravità delle conseguenze negli uomini e nelle donne.

Per quanto riguarda la violenza psicologica, sebbene continuamente si dichiari che le donne sono solite esercitare questo tipo di violenza, allo stato dei fatti rarissimi sono stati i tentativi di misurare gli effetti di tali comportamenti sugli uomini, mentre le ricerche abbondano per quanto riguardano le violenze psicologiche subite dalle donne. L’ ultima indagine in Italia è stata effettuata dall’ ISTAT che, lo ricordiamo, non ha incluso gli uomini nella sua rilevazione. Ciò non si spiega in quanto, se è vero che il genere influisce dal punto di vista della resistenza fisica alle ferite, non si capisce in che modo questo possa essere considerato un fattore protettivo nel caso delle violenze psicologiche.

Il Patriarcato e il dominio maschile quale causa della violenza domestica

I sostenitori delle teorie femministe e di genere ritengono che alla base della violenza domestica (da leggersi esclusivamente come violenza sulle donne) vi siano la volontà e gli sforzi da parte degli uomini di mantenere le donne in un perenne stato di sottomissione, di impedire loro qualsiasi movimento emancipatorio verso l’ autonomia e di reagire a qualsiasi tentativo di insubordinazione con la violenza. Il patriarcato è probabilmente l’ argomento preferito delle sostenitrici delle teorie femministe e dei ricercatori e ricercatrici che analizzano la violenza domestica esclusivamente attraverso il genere.

Fondamentalmente le ricerche hanno cercato in tutti i modi di trovare una relazione tra patriarcato e violenza domestica e dove non l’ hanno trovata hanno fatto comunque in modo che il patriarcato, i “privilegi maschili” e il “dominio maschile” risultassero i principali responsabili della violenza contro le donne.

Cerchiamo dunque di vedere in cosa consistono questi errori e che cosa hanno prodotto gli studi più accreditati dal punto di vista scientifico. Per quanto riguarda l’ Italia è bene precisare che la variabile patriarcato non è mai stata empiricamente indagata su un campione rappresentativo della popolazione nazionale, tuttavia questa viene chiamata in causa attraverso due elementi male interpretati:

* la mancanza di dati sulle violenze femminili e sulle vittimizzazioni maschili;

* una forte eterogeneità di dati per quanto riguarda le caratteristiche degli autori di violenze.

Il primo aspetto può convincere gli operatori che la violenza domestica sia in realtà una violenza sulle donne e che le donne non utilizzino le stesse condotte violente verso il partner; di fatto quando si analizza il fenomeno la maggior parte degli autori non prende in considerazione la possibilità che anche le partner possano essere violente verso i loro uomini (Robustelli, 2007; Lacangellera). Ciò perché nella maggior parte dei casi la violenza viene vista come uno strumento di mantenimento del “dominio maschile” e pertanto non può investire le donne.

A sentire i numerosi autori e autrici (Dobash e Dobash, 1979; Parsi, 2000, 2008; Hirigoyen, 2006; French, 1993; Longo, 1995) parrebbe che le questioni di dominio e di controllo siano esclusivamente una prerogativa maschile, mentre le donne sarebbero mosse da caratteristiche quali la condivisione, la cooperazione e uno stile relazionale non basato sulle gerarchie. Ciò che si crea utilizzando queste assunzioni e una visione opposta dei due generi, quasi manichea, che non trova alcun fondamento scientifico (ma nemmeno nella vita quotidiana) e che non aiuta certo a comprendere le violenze e le strategie volte alla prevenzione e al recupero.

Sebbene molti autori dipingano gli uomini e le donne, i primi con caratteristiche assolutamente negative, le seconde con caratteristiche e aspetti assolutamente positive, a proposito della violenza è opportuno segnalare che:

* nelle indagini sulla violenza domestica le motivazioni di dominio e di controllo del partner raramente sono state considerate e questo poiché vi è la convinzione che tali motivazioni siano intrinseche al genere maschile o quanto meno al patriarcato;

* nelle ricerche in cui tali variabili sono state considerate i ricercatori hanno trovato anche nelle donne il desiderio di dominare e di controllare il partner attraverso i racconti di questi ultimi (Cook, 1997; Pearson, 1997; Migliaccio, 2001, 2002; George, 2002). Stets (1991) ha mostrato che entrambi i generi mettono in atto strategie per controllare il comportamento del partner così come Follingstad, Wright, Lloyd e Sebastian (1991) non hanno riscontrato differenze legate al genere per quanto riguarda il mettere in atto comportamenti atti a controllare le attività del partner.

Per quanto riguarda poi la volontà maschile di dominare la partner vi sono ulteriori difficoltà nel momento in cui tale affermazioni vengono smentite dalle indagini nazionali. Sappiamo dall’ ISTAT che il 31.9% delle donne ha subito una violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Riguardo alle violenze subite Lacangerella (2008) afferma che “dietro molte tragedie c’ è spesso una grande frustrazione maschile, il desiderio di tappare la bocca ad un altro. C’ è un uomo che di fronte ad una donna autonoma e sicura di sé, non sa più qual è il suo ruolo, perde autorevolezza; ha un comportamento regressivo, quasi schizofrenico, come un bambino pretende tutto dalla partner e se lei non l’ accontenta la picchia o l’ ammazza” (pp. 25). In questo passaggio Lacangerella chiarisce che il motivo principale della violenza che risiederebbe nella perdita di autorevolezza dell’ uomo legata al suo ruolo di genere. Dal momento che però non sono state effettuate particolari analisi sugli autori di reato risulta difficile stabilire con certezza che la volontà di perpetuare quell’ “autorevolezza” sia la causa della violenza. Questa considerazione, inoltre, non tiene conto della recente indagine dell’ ISTAT svolta nel 2003 e pubblicata nel 2006 dove è stato rilevato chi prendeva le maggiori decisioni all’ interno della coppia/famiglia: dai risultati è emerso che entrambi i partner decidono di comune accordo sulla spesa per gli svaghi (72.5%), sulla spesa per la casa (53.9%), l’ abbigliamento (51.1%), la gestione dei risparmi (61.4%), le persone da frequentare (86.6%), l’ educazione dei figli (83.1%), dove andare in vacanza (83.5%) e cosa fare nel tempo libero (85.2%). Se si esclude questa categoria (decisioni prese da entrambi) che domina quella dove uno dei due partner prende le decisioni, si può osservare che le donne all’ interno della coppia e della famiglia prendono le maggiori decisioni ad eccezione della gestione dei risparmi. Questo dato non coincide assolutamente con l’ immagine della famiglia patriarcale che molti autori dipingono e non spiega altresì il 31.9% di donne che sono state picchiate o sessualmente abusate; questo dato inoltre è assolutamente in linea con i risultati di Coleman e Straus (1986) i quali hanno documentato su un campione nazionale che negli Stati Uniti solo il 9.4% delle famiglie può essere considerato di tipo patriarcale, segue un 7.5% di famiglie matriarcali, ovverosia dove è la donna a prendere le decisioni. In entrambe le categorie si sono riscontrati valori più elevati di violenza tra partner.

L’ errore delle teorie femministe e di genere, nonché di tutte quelle spiegazioni che vedono nel “dominio maschile” la causa delle violenze è quella non solo di ignorare le violenze femminili, ma anche quello di non considerare il fatto che la maggior parte degli uomini non abusa della partner e non tutti quelli che commettono violenza lo fanno in modo grave e pervasivo.

Trattare inoltre la violenza domestica come una violenza “di genere” e sessuata non consente di conoscere i dati relativi delle violenze che le donne esercitano su altre donne: numerosi studi hanno evidenziato che spesso nelle coppie lesbiche i tassi di violenza fisica, sessuale e psicologica si equivalgono con quelli delle coppie eterosessuali con motivazioni del tutto simili a quelle degli uomini, ovverosia la gelosia nei confronti della partner e il desiderio di controllarne ogni aspetto della vita (Bologna, Waterman e Dawson, 1989, cit. in Dutton, 2006; Lie et al., 1991; Renzetti, 1992), nonché una percentuale non indifferente di vittimizzazione femminile ad opera di altre donne (Personal Safety Survey a cura del Australian Bureau of Statistics, 2005).

Negli Stati Uniti il desiderio di trovare nel patriarcato la causa delle violenze domestiche ha raggiunto livelli così esasperanti che, come riporta Lenton (1995), la maggior parte delle ricerche sulle violenze contro le donne si è focalizzata esclusivamente su di esso.

Vi sono stati tentativi di misurare la presenza del dominio maschile attraverso le cosiddette attitudini verso l’ abuso (Smith, 1990; Hanson, Cadsky, Harris e Lalonde, 1997; Reitzel-Jaffe and Wolfe, 2001) ma quasi tutte le ricerche hanno risentito di numerosi errori dal momento che volevano a tutti i costi provare che l’ abuso della donna rientrasse tra le facoltà dei partner (Vantaggiato, in attesa di pubblicazione). L’ aspetto più importante da sottolineare è che è assolutamente controindicato misurare le attitudini dopo che un comportamento si è verificato e poi sostenere che le prime sono causa del secondo (Dutton, 2006) in quanto, specie nel caso di violenze che si protraggono per anni, gli esseri umani tendono a modificare le proprie convinzioni sulla base della congruenza che queste ultime possono avere con il comportamento emesso; gli psicologi parlano in questo caso di dissonanza cognitiva che può influire sulla valutazione dei ricercatori e di conseguenza sull’ attuazione di un programma preventivo o di trattamento.

Le teorie del patriarcato rimangono dunque delle teorie debolissime che escludono di fatto le donne dall’ esercizio di qualsiasi comportamento violento nei confronti del partner (se non in casi di autodifesa) e non spiegano l’ incredibile eterogeneità dei comportamenti violenti degli uomini.

Le teorie femministe e di genere allo stato attuale, con le loro immagini monolitiche sugli uomini e sulle donne, non sembrano destinate ad offrire delle valide alternative volte, non diciamo ad arginare, ma quanto meno a prevenire ulteriori episodi di un fenomeno che coinvolge individui di tutte le età ed estrazione sociale.

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Vargan 1:43 pm - 18th Aprile:

O_O
Silver e che ca..o sei la biblioteca del conflitti di genere?

Impressionante come al solito.

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Luke Cage 9:50 pm - 1st Maggio:

http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo480372.shtml

Senegal, boom turismo sessuale rosa

Donne europee a caccia di avventure
Non solo gli uomini vanno in vacanza in cerca di “emozioni”, l’emancipazione femminile spinge migliaia di donne, europee e spesso di mezza età, a cercare sole, mare e soprattutto sesso. Il turismo sessuale femminile è particolarmente diffuso sulle spiagge della Giamaica, della Giordania e ora anche del Senegal. Donne che sperano in un’avventura romantica e giovani ragazzi che cercano di sopravvivere.
Signore pronte a pagare per qualche settimana di passione con uno dei tanti giovani che affollano le spiagge di Dakar. Il GlobalPost ha messo in luce che nel Senegal le radici del fenomeno sono nella povertà del Paese. Il tasso di disoccupazione dei giovani, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, è stimato al 30% mentre la Banca Mondiale calcola uno stipendio medio di 3 dollari al giorno.

“E’ una questione di sopravvivenza. La vita è dura. Se non avessi queste donne, io sarei in difficoltà” racconta Moussa, 31enne, che con i suoi dreadlocked conquista facilmente le turiste. “Le donne vengono qui da sole e cedono subito alla corte di un suonatore di djembe, sanno che gli uomini che suonano le percussioni sono potenti a letto”.

Il playboy conserva le foto di tutte le sue “ragazze”. In una di queste è insieme ad una donna spagnola in sovrappeso. Lei gli avrebbe dato 500 dollari, prima di ripartire. In un’altra foto c’è una “fidanzata” italiana che lo avrebbe aiutato ad aprire il suo negozio di souvenir, regalandogli 650 dollari. “Io non chiedo soldi – prosegue il giovane – usciamo, loro pagano per tutto, facciamo sesso e prima di partire, mi danno dei soldi, per aiutarmi a vivere.

I ragazzi delle spiaggie di Dakar si considerano delle “guide turistiche che offrono alcuni servizi aggiuntivi”, tra cui il sesso. Ma, in Senegal temono che questa nuova tendenza possa macchiare la reputazione del paese e corrompere i giovani senegalesi. Moussa invece non si preoccupa di quello che pensano gli altri “non ho incontrato la donna giusta, quella non troppo anziana, che mi ama e che sia disposta a fare qualsiasi cosa. La donna che mi farà ottenere un visto e un biglietto aereo per andare via da qui”

http://current.com/shows/current-doc/92253522_current-doc-turismo-sessuale-femminile.htm

Ovviamente tutto ciò deve esserci propinato dal postfemminismo più reazionario come legittimo segno dei tempi e della raggiunta parità fra i sessi, nel bene (?) e (soprattutto sembrerebbe) nel male.

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Fabrizio Marchi 11:39 am - 2nd Maggio:

Ottimo spunto di riflessione Luke. Naturalmente c’è un “errore”, se così vogliamo chiamarlo, metaforicamente parlando, nell’articolo che tu riporti. E cioè che quel comportamento viene considerato dall’articolista come una forma di emancipazione femminile quando in realtà siamo in presenza della più bieca compravendita sessuale. Donne bianche, benestanti e occidentali vanno a farsi scarrozzare, pagandoli, da giovani uomini di colore dei paesi del terzo e quarto mondo. Crolla quindi un altro tabù. Il turismo sessuale non è appannaggio esclusivo degli uomini ma viene praticato ormai già da molto tempo anche da un numero sempre più crescente di donne.
Ma qui si aprono tanti interrogativi. Perché quelle donne vanno fin laggiù per praticare sesso fine a se stesso, per il puro piacere di farlo, e non lo fanno nel loro paese? Ci sarebbero tanti vantaggi, per tutti, non solo per loro. Vivremmo tutti più felici e sereni, e nessuno, neanche soprattutto gli uomini, avrebbe la necessità di attraversare un oceano con l’illusione di fare del sesso liberamente e giocosamente quando in realtà sta semplicemente comprando un essere umano.
E invece così non è perché il sesso dalle nostre parti non è libero. Altrimenti il turismo sessuale non avrebbe neanche ragione di esistere. La contraddizione è talmente esplosiva (e ormai esplosa) che è arrivata a riguardare anche le donne. Le quali, pur di mantenere il loro ruolo, la loro posizione, la loro immagine e il loro potere nella relazione con gli uomini, preferiscono andare a trastullarsi, senza nessun freno in quel caso, con i giovani virgulti del terzo mondo. Si concedono questa “libertà”, al riparo da occhi e orecchie indiscreti. Lì possono “giocare”, possono fare quello che nel loro (nostro) mondo non farebbero mai neanche lontamente. Vivere il sesso ludicamente in casa propria con degli extracomunitari poveri e di colore…magari passeggiarci mano nella mano e sposarseli pure…Sembra quasi una barzelletta, e senza il quasi…
Ma la scusa è già pronta:”Se lo facessimo nel nostro paese verremmo giudicate”.
Bè, è un po’ deboluccio come alibi, se consideriamo che nella storia milioni di persone si sono fatte squartare, bruciare, incarcerare, torturare per le loro idee, aver paura del giudizio di qualche ipocrita benpensante, mi sembra quanto meno eccessivo…e chi se ne frega se ci saranno uomini e/o donne di quella pasta, pochi/e o tanti/e che siano, a giudicarci. Sono degli imbecilli, che vadano a quel paese, non abbiamo certo bisogno di loro! E poi, se non ho il coraggio delle mie idee, specie quando non rischio nulla al di fuori di un giudizio, che razza di nullità umana sono!…
No, sinceramente non credo che sia questa la ragione che impedisce alle donne di viversi liberamente il sesso anche in casa propria. Quella è appunto un alibi. Una volta il condizionamento di derivazione moralistica era molto forte, è vero. Ma ormai ha perso terreno.
La ragione vera è un’altra. E cioè che decidere di comportarsi in modo diverso, libero, spontaneo, naturale, giocoso, significherebbe mettere in discussione innanzi tutto se stesse, il proprio modo di vivere, di concepirsi e di concepire la relazione con gli uomini. Significherebbe scendere dal piedistallo e misurarsi con gli uomini da pari a pari, nella reciprocità e nella spontaneità. Significherebbe gettare alle ortiche tutti i condizionamenti, tutte quelle sovrastrutture ma anche tutte quelle rendite di posizione e di potere che sono state costruite ad arte e che hanno creato la situazione in cui troviamo e nella quale siamo “incartati”. Ma, siamo alle solite, chi avrebbe da guadagnare e chi avrebbe da perdere se andassimo in questa direzione? Quelle (e quelli) che stanno sul piedistallo hanno interesse a scendere?
L’articolo in oggetto ci offre lo spunto anche per un’altra riflessione, che riporta all’annosa questione del rapporto fra natura e cultura. Le donne, potenzialmente libere da qualsiasi legaccio o catena di ordine culturale e sociale, sono in grado di viversi il sesso liberamente. Certo, rimane e rimarrà sempre una diversità biologica e una asimmetria sessuale fra donne e uomini; è evidente e nessuno di noi si sogna di negarlo.
Però, paradossalmente ma neanche tanto, proprio il fenomeno della migrazione sessuale femminile, ci dice che questa diversità non è poi così incolmabile. E che in un ipotetico e al momento certamente utopistico e futuribile contesto, non è detto che questa stessa diversità non possa rappresentare motivo di ricchezza e non di conflitto e sofferenza, come è invece oggi.
Fabrizio

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Leo 12:18 pm - 2nd Maggio:

Ieri alla televisione ho visto questo servizio sugli animali maltrattati nei circhi, dove nel finale si vedono donne che fanno i calendari:
http://www.video.mediaset.it/video/studioaperto/edizione_servizio/165327/la-politica-contro-lutilizzo-degli-animali-nei-circhi.html
Sarò paranoico, poi si vanno ha cercare i messaggi subliminali satanici nei dischi dei Led Zeppelin che deviano i giovani.
C’è l’eterno criminalizzare i fumetti: oggi pare che la pedofilia sia data dai fumetti manga giapponesi.

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Lestat 1:19 pm - 2nd Maggio:

@Fabrizio Marchi
Quelle (e quelli) che stanno sul piedistallo hanno interesse a scendere?
>
Scusa, ma secondo me le donne vogliono starci di loro sul piedistallo, e non perché lo vogliono “quelli”, cioè gli “alpha”. La realtà, caro Fabrizio, è che al di là delle apparenze, gli uomini – beta, alpha o gamma – contano quanto il due di picche.
E’ il “ficapower” che muove il mondo: il denaro e la posizione sociale sono solo degli strumenti per arrivare dove altrimenti non è possibile arrivare.

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Fabrizio Marchi 1:39 pm - 2nd Maggio:

Caro Lestat, non ho mai sostenuto che siano i maschi alpha dominanti ad obbligare le donne a mettersi sul piedistallo. Mai detta una cosa del genere e non so come tu abbia potuto pensarla. Ho solo detto che anche taluni maschi alpha, in virtù della loro posizione (e del potere che deriva loro da questa), possono mettersi sul piedistallo e infatti ci si mettono. Inoltre non ho mai negato il potere della sessualità femminile. Se l’avessi negato o lo negassi non avrebbe neanche senso che stessi qui a sostenere le cose che sostengo. Non trovi?
Al contrario, anche nel mio ultimo post, quello che hai appena letto, ho sostenuto proprio questo. E cioè che le donne (nella loro grande maggioranza) non hanno interesse a cambiare il loro modo di porsi proprio perché perderebbero quel potere che oggi hanno nella relazione con la grande maggioranza degli uomini.
Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro ma va bene lo stesso.
Ciò detto, ti do il benvenuto perché non mi pare di averti mai visto finora.
Fabrizio

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Strider 7:04 pm - 2nd Maggio:

Lestat
>>>>>>>>>>>>>>>>>
E’ il “ficapower” che muove il mondo: il denaro e la posizione sociale sono solo degli strumenti per arrivare dove altrimenti non è possibile arrivare.
>>>>>>>>>>>>>>>>>

Al riguardo credo vadano fatte delle precisazioni.
Si’, è vero che la fica ha un potere enorme sugli uomini e consequenzialmente sui destini del mondo, ma e’ anche vero che questo puo’ accadere soprattutto – forse quasi esclusivamente – in un mondo civilizzato come il nostro, dove anche i cani e i gatti hanno piu’ valore di un uomo adulto…
Dico questo perche’ non credo affatto che in un mondo primordiale (tanto per fare un esempio) sia il ficapower a “muovere il mondo”: casomai è la forza maschile, unita all’intelligenza, a muovere il tutto.
Cerchero’ di spiegarmi meglio: a cosa serve il potere della fica in una savana o in una foresta, dove bisogna quotidianamente sopravvivere alle belve feroci, ai serpenti, agli scorpioni e a tutto il resto?
Senza la forza e l’ intelligenza maschile che, nel bene e nel male, hanno portato all’ odierna civilta’, cosa potrebbero mai combinare le femmine…?
Quello che voglio dire (ma che gia’ altri hanno evidenziato prima di me) e’ che l’ odierno contesto sociale ha aumentato, e di molto, il potere sessuale femminile.

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Strider 7:28 pm - 2nd Maggio:

Notizia del 14 maggio 2006 – 10:29
Turismo sessuale al femminile

Vanno a Cuba, in Giamaica, in Kenya e a Capo Verde. Sono ragazze di 30 e 40 anni…

di: Alberto Cherti

Regola numero uno: preservativo in borsetta. Regola numero due: cuore in frigorifero. E quale delle due sia la più importante è una verità ancora tutta da dimostrare. «Io alle mie pazienti le raccomando caldamente entrambe» assicura Alessandra Graziottin, direttore del centro di ginecologia del San Raffaele Resnati, a Milano.
Una che le sue pazienti le vede partire adesso, con gli occhi stellanti e i corpi eccitati, verso la loro estate caliente; e che le vedrà tornare poi, verso settembre-ottobre: una avrà il cuore a pezzi, un’altra il dubbio di essersi presa «qualcosa».

Perché le regole del gioco sono solo due, l’abbiamo detto, e oltretutto chiarissime; ma là sulle spiagge dei Caraibi, tra mare e sole e bei ragazzi che sussurrano «te quiero», come si fa a tenere il cuore sempre sotto chiave e il profilattico sempre a portata di mano?
Ma così è e via dunque: in questi giorni cominciano a partire, le ragazze italiane, con i tacchi a spillo in valigia e il preservativo in borsetta. Ragazze di trent’anni, ma anche di 50 e di 60. Single impenitenti, single frustrate, separate, divorziate. Sole o a piccoli gruppi. A Cuba o in Giamaica, a Capo Verde o nel Maghreb, ma anche in Senegal e in Belize, e dicono pure in Burkina Faso. Le rotte più calde dell’amore.

In quante partono? «Dalle 30 alle 50 mila l’anno» azzarda Pierre Orsoni, presidente di Telefonoblu-Sos turisti. Ma sono stime molto a spanne: «Dati precisi ovviamente non esistono. Si suppone però che le donne rappresentino dal 3 al 5 per cento di quel milione di italiani che pratica, abitualmente o meno, turismo sessuale».
Ovvio, se lo chiedete a loro, alle ragazze, non ne trovate una che lo ammetta. Che dica: io lo faccio. Turismo sessuale? «Figurarsi!» ride la sessuologa Chiara Simonelli.
«In tutto il mio giro di amiche, colleghe, studentesse, mai una volta che si affronti apertamente l’argomento». Però? «Però un paio di amiche che sono tornate dalla Giamaica insieme a un bel rasta, ecco, quelle le ho. Felicemente sposate, oltretutto».

E allora? Provate a guardarvi intorno. A chiedere alle amiche e alle amiche delle amiche, al parrucchiere, alla ginecologa, all’estetista. Scoprirete che ha ragione da vendere Charlotte Rampling, la splendida protagonista di Vers le Sud, uno dei film più applauditi all’ultima Mostra del cinema di Venezia: «Il turismo sessuale sta aumentando in modo vertiginoso. Le donne ne parlano poco ma lo praticano molto». Perché, giura, «a un certo punto la vita sessuale femminile diventa qualcosa di molto segreto, quasi imbarazzante da ammettere».

Chiedete in giro ma con discrezione. Troverete la professionista romana che magnifica i beach boy di Capo Verde, che «hanno la pelle scura ma i lineamenti occidentali», e oltretutto «parlano l’italiano», una gran bella comodità. O la giornalista romana che ormai da anni fa avanti e indietro con Cuba, ogni 3-4 mesi un bel viaggio, e divide felicemente la sua vita tra il lavoro in Italia e l’amore all’Avana.
O la pierre milanese che va pazza per la Giamaica e narra meraviglie dell’Hedonism II di Negril, villaggio vacanze programmaticamente vietato ai minori di 18 anni, «dove l’unico imbarazzo è la scelta fra il rimanere al club, e cuccare tra i tanti single americani che ci vanno, o uscire fuori dal ghetto e fare amicizia con gli splendidi ragazzi del posto».

Alti, belli, muscolosi, tutti ben dotati di treccine e sorrisi incantatori da elargire, molto generosamente, alle turiste bianche come il latte: tedesche anzitutto, poi britanniche, americane, svizzere, italiane. Donne come quella Ellen, appunto, impersonata da Charlotte Rampling in Vers le Sud, che ad Haiti si concede l’amore di Legba, tanto più giovane di lei. Diceva nel film Ellen: «Quando sarò vecchia pagherò i giovani per amarmi. Perché di tutte le cose l’amore è la più dolce, la più viva, la più sensata. Non importa quale sia il prezzo».

Il prezzo non è spaventoso, dopotutto. Due settimane in Giamaica, o in un villaggio a Capo Verde, sono alla portata di (quasi) tutte le Ellen d’Italia. E a Cuba ci puoi andare perfino con il sindacato, con tariffe di favore, come quelle due milanesi sbarcate un paio d’anni fa all’Avana per i festeggiamenti del 1º maggio. «Mica eravamo andate lì per fare sesso, eh» avverte una. «Ma il preservativo in borsetta l’avevamo messo ugualmente» avverte l’altra. «Non si sa mai».
È andata così: una si è innamorata dell’autista dell’autobus che portava il gruppo in giro per l’isola, l’altra di un musicista di salsa. «E che meraviglia di uomini» sospira una. «Mai conosciuto uno, in Italia, bravo a corteggiare una donna come fanno i cubani» sospira l’altra. Come no? «Mi amor» di là, «mi vida» di qua, «te quiero» da tutte le parti.

Altro che certi italiani che ti notano solo se sei alta 2 metri e hai un fisico da copertina, e il resto merita l’attenzione che normalmente si riserva a una tenda: nessuna. Le nostre due quarantenni, dopo aver provato il brivido di essere guardate con virile desiderio, sono perciò tornate a Milano con gli occhi sognanti. «E sia chiaro che non abbiamo mai pagato un solo dollaro» giurano. «Solo qualche cena, un regalino, una serata in balera».

Poi, certo, sono cominciate ad arrivare le email. «Mi amor», e vai con la lista della spesa. «Mi vida», puoi mandarmi un mp3? Un computer, un videoregistratore? E le ultime Nike per mio figlio, un telefonino, un lettore di compact? E gli occhiali per la vecchia madre, grazie mille, che ti saluta tanto e aspetta con ansia il tuo ritorno?
Ma le rotte dell’amore funzionano esattamente così. «Uno scambio alla pari, in cui tutti sono felici» l’ha definito il regista di Vers le Sud, Laurent Cantet. «Tutti guadagnano qualcosa: chi soldi e cibo, chi desiderio e amore». Per dirla con Alessandra Graziottin: «Non sono storie di mero sfruttamento. Non è come il turismo maschile, con la nevrosi della conquista sempre diversa, una botta e via. Le donne tendono comunque a costruire un rapporto affettivo, che magari dura negli anni; e in questo legame, anche se fluido, ognuna delle parti dà quello che ha in abbondanza: giovinezza e virilità, o denaro e aiuti per la famiglia. Ci sono famiglie, nel Terzo mondo, che campano grazie alle donne del Primo».

Le nostre Ellen, le 35-45enni in carriera, single o scoppiate, e le 50-60enni separate o divorziate, quelle che proprio non riescono a rimettersi dallo shock di essere rimaste sole. Fascia perlopiù medio-alta, metropolitana, settentrionale. Più sportive sessualmente le giovani, più segretamente romantiche le altre. Nessuna delle due categorie raggiunge per ora l’acre cinismo di quelle manager americane (le statistiche le descrivono single, senza figli, molto curate, molto deluse, molto evitanti) che fanno del «no engagement, no commitment» il loro must emotivo-sentimentale.

Le italiane no: partono con il preservativo in borsetta «ma poi si dimenticano di usarlo perché si innamorano» sospira Graziottin. Partono ben decise a tenere il cuore in frigorifero «ma poi il sogno romantico le tradisce sempre». Partono piene di aspettative e tornano… come tornano?
«Più belle, più cariche, più consapevoli della loro femminilità. Più gratificate e più felici» dice la ginecologa. Ma una volta a casa la depressione è dietro l’angolo; il ritorno al tran tran le uccide, il sogno esotico rischia di logorarle. Quand’è che si riparte?
«Soprattutto a quarant’anni la botta rischia di essere micidiale» riflette Manuela Stefani, giornalista (e madre di tre figli) che per Airone ha girato il mondo, vedendone di cotte e di crude. Nel suo primo romanzo, La casa degli ulivi (Mondadori), racconta per l’appunto di una milanese quarantenne, single intristita, che decide di darsi una botta di vita e parte per un viaggio.

Anziché in Giamaica va in Calabria (la storia è ambientata negli anni Ottanta, quando la Giamaica era ancora di là da venire), ma incontra comunque un «indigeno», e ovviamente se ne innamora. Sostiene Stefani che il meccanismo è quasi matematico: «A 40 anni parecchie di noi si sono già scontrate con la vita, hanno fatto un po’ di conti, hanno visto naufragare più di un sogno romantico, anche quelli molto, molto ragionevoli. Il quotidiano ci ha deluso, le prospettive sono deprimenti. Ecco allora che il viaggio diventa l’occasione per ridare slancio alla propria esistenza. Anche emotivamente. Anche sessualmente».

E allora ecco che sono evitate, come la peste, le rotte verso lo Sri Lanka che tanto piacciono alle tardone americane, là dove «i ragazzi sono dolci, e carini, e un po’ femminili, e omaggiano le turiste in continuazione» come racconta la scrittrice Roberta Tatafiore, una delle prime ad aver indagato l’universo degli Uomini di piacere e donne che li comprano (Frontiera).
Alla larga dai centri di Bangkok specializzati in massaggi sadomaso, che secondo il Telefonoblu sono «la meta preferita dei charter carichi di donne giapponesi».
Le mete più care alle Ellen di casa nostra sono ben altre, là dove regnano il maschio di tipo latino e l’adone di pelle scura, simbolo a tutto tondo dell’uomo che non deve chiedere mai. Ossia: «Cuba, i Caraibi, il Marocco, la Tunisia, il Kenya, il Senegal, Capo Verde» elenca Pierre Orsoni, che a Telefonoblu monitorizza rotte e mete preoccupandosi di un possibile sfruttamento sessuale degli adolescenti indigeni (denunce e segnalazioni al 199443378).

Ma anche il Maghreb va forte. Alzi la mano chi non ha mai palpitato per Sean Connery, sensualissimo capo berbero in Il vento e il leone, o non ha mai avuto un fremito sul mito erotico del maschio arabo, instancabile e virilissimo, cui persino Carmen Covito, grande esegeta delle bruttine stagionate, ha dedicato pagine infuocate e struggenti.
Ricordate come, negli anni Novanta, le aziende hanno addirittura cominciato a mandarci commesse e rappresentanti in viaggio premio? Ad Agadir ancora si favoleggia dello sbarco di 700 estetiste italiane; a Marrakech non si è appannato il ricordo del convoglio di parrucchiere scatenate a spese di una grande industria cosmetica.

Ma così va la vita per le ragazze d’oggi. Persino la Svizzera, visto l’andazzo, ha deciso di puntare le sue atout turistiche sulle bellezze più naturali del posto. Registratevi lo spot: è splendido. Tanto per dire: un mungitore biondissimo, un rocciatore sensuale, un autista di autobus, un contadino a torso nudo.
Uno più bello dell’altro. E vi guardano dritto negli occhi. Vi fanno un sorriso francamente assassino. Poi una voce maschia sussurra: «Venite a passare l’estate dove gli uomini si preoccupano poco del calcio e quindi più di voi». Chi avrebbe mai pensato, prima, alla Svizzera? Comunque, buon viaggio.

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ilmarmocchio 9:47 pm - 2nd Maggio:

ragazze di 40, ma anche di 50 e 60. E come no, anche di di 80 e di 90. Assurde. E non e’ sfruttamento, no i soldi loro non glie lidanno, loro danno amore. Che ridicole. per fortuna che c’e’ , il turismo sessuale, almeno queste carampane si tolgono di mezzo.
ter quiero, mi vida ah ah ah ah.
Impagabile.
La graziottin : un monumento della scienza (occulta)

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Luke Cage 9:55 pm - 2nd Maggio:

Allucinante…
Siamo proprio nel paese della “prostituzione intellettuale ” : emancipazione e libertà come prerogative femminili vs sfruttamento e cinismo quando
si parla del cliente “maschio”.
Che ipocrisia di m….

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Alessandro 8:07 am - 3rd Maggio:

Chiunque, maschio o femmina che sia, può andare dove vuole e stare con chi vuole, anche solo per fare del sesso, semprechè si tratti di persone consenzienti e di età adeguata. Ciò che emerge da questo tipo di articoli è però sempre il solito doppiopesismo: il sesso mercenario ricercato dalle donne è segno di emancipazione, è positivo, perfino romantico, mentre quello ricercato dagli uomini è violento, brutto, sporco, da vietare, come sta accadendo in Italia e nei “progressisti” Paesi scandinavi. Ciò è valido per tutto ciò che attiene la sfera della sessualità: lo sguardo maschile rivolto a una donna deve essere punito perchè molestatore, quello femminile innocente, l’uomo che va nei “locali a luci rosse” è uno sporcaccione, la donna che ci va è “emancipata”.
Ovviamente tutto ciò vale soprattutto per l’uomo comune, perchè quello di potere avendo il denaro sistema tutto, sebbene sia tenuto anch’egli, in certe circostanze, a fare il mea culpa.

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ilmarmocchio 8:08 am - 3rd Maggio:

@ Luke Cage : gia’, prostituzione intellettuale. Quello che mi dispiace e’ che questa gente prende anche dei soldi per scrivere quelle oscenita’.

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Icarus.10 11:06 am - 3rd Maggio:

Leggere queste notizie mi fa esplodere dalla rabbia. Perchè sono proprie queste donne qui che in estate vanno a zoccoleggiare in Africa e ai caraibi, ad infierire poi senza pietà contro quei poveri uomini soli e sfigati(che nessuna donna caga) che pagano una donna adulta e consenziente per soddisfare quel bisogno fisiologico sessuale cui sono stati ingiustamente preclusi.
Il turismo sessuale, femminile o maschile che sia, è sempre sbagliato(meglio pagare qui una prostituta). Però, avendo già visto come per una donna è molto più facile trovare un partner sessuale rispetto a quanto non lo sia per un uomo, è evidente che quello femminile è ancora più ingiustificato. Eppure, eppure, la tv, mentre condanna senza pietà il turismo sessuale maschile, quasi elogia quello femminile(o cmq dà la colpa al “maschio” che non sarebbe capace di soddisfare le donne occidentali). Il paradosso, quindi, è che i mass media condannano senza pietà un povero uomo solo e sfigato che va all’estero per cercare di appagare il suo bisogno fisiologico al sesso, mentre elogia una donna piena di corteggiatori(e le donne, chi più chi meno, hanno sempre corteggiatori, a meno che non sia di una bruttezza esagerata), che però va a fare la disinibita all’estero.
Forti con i deboli e deboli con i forti.
La cattiveria di questa società occidentale femminista, senza cuore, senza misericordia, sa di nazismo.

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Lestat 5:54 pm - 3rd Maggio:

Negli ultimi mesi, facendo un po’ di ricerche su google, mi sono imbattuto non solo in uomini beta, ma anche in altri siti e forum che si occupano degli argomenti relativi alla guerra dei sessi, ed in molti posts ho notato che alcuni sostenevano, tutti convinti, che certi comportamenti delle donne sarebbero da attribuire al femminismo, alla perdita di valori, alla disgregazione della famiglia, bla bla bla.
Opinione mia: le donne non si comportano così perché indotte da qualcuno o da qualcosa a farlo, ma soltanto perché quella è la loro natura… Signori, ma voi le sentite mai le madri, quando parlando dei loro figli maschi, li confrontano con le femmine? Sì? E allora come fate a non accorgervi che li percepiscono e li descrivono come dei deficienti, in confronto alle loro coetanee? E le maestre? E le professoresse? Forse sono più tenere? Casomai lo sono i professori, verso le ragazze… Non credo debba raccontarvi dei favoritismi di cui godono quest’ ultime, all’università, proprio da parte degli insegnanti uomini, vero? E al tempo stesso dei NON favoritismi delle insegnanti donne verso i ragazzi, vero? Amici miei, prendetene atto: per le donne noi siamo soltanto dei poveri deficienti, ma non perché gli sia stato inculcato dal femminismo, ma perché questo è quello che sentono e pensano da sempre.

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Red. 9:05 pm - 17th Maggio:

Un saluto a tutti, questo è il mio primo intervento su questo sito; premetto che non mi trovo d’accordo su molte cose che ivi si trovano scritte, che però sono ugualmente felicissimo della nascita e dell’esistenza di questo sito.
Premetto inoltre che mi occupo da anni di QM su altri lidi virtuali.
Ciò detto, vorreio replicare a Lestat e dire che se pensa che quello che descirve sia l’atteggiamento naturale delle donne verso i figli, è molto probabile che si sbagli alla grande. Le madri di quelle madri si comportavano molto diversamente, ergo si deve parlare di condizionamento culturale e quindi di neofemminismo che, ricordo, nasce negli anni 70 e con ogni probabilità riflette i suoi effetti propro sulle madri d’oggi, quarantenni o neocinquantenni.
Si guardi inoltre alle madri di altre culture (ad es. l’islam) e si noti se il loro atteggiamento verso i figli maschi è uguale come da noi.
Ergo, in questo caso, non è un problema di natura, ma di cultura, a mio modesto avviso.
Nel mondo umano esiste infatti la natura, la cultura e il condizionamento culturale, ed è assolutamente possibile distinguerli, sia pur solo a grandi linee. E questo è uno dei punti su cui non mi trovo d’accordo con voi, pur rispettando molto le vostre opinioni.
Ancora un caloroso saluto a tutti voi.
Red.

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Fabrizio Marchi 10:00 pm - 17th Maggio:

Benvenuto Red, so che sei il gestore di un altro sito che si occupa di QM e che siete su posizioni completamente diverse dalle nostre. Poco male, la libertà e la democrazia esistono proprio per questo. D’altronde il nostro blog è assolutamente libero e tutti possono esprimere le proprie opinioni a patto di rispettare quelle degli altri e di non assumere atteggiamenti provocatori.
Sono certo che ciò avvenga nel sito che tu gestisci. Nondimeno sono stato informato che un nostro utente e aderente al MUB, Icarus 10, è stato in qualche modo estromesso dal tuo/vostro blog. Se così fosse sarebbe un atto poco corretto oltre che sgradevole sia nella forma che nella sostanza. Mi auguro che la questione si possa chiarire fra voi pacificamente e serenamente. Mi permetto di dirti queste parole sia perché noi non abbiamo scheletri nell’armadio di nessun genere e sia perché ti sei presentato con garbo e con rispetto e l’ospitalità, non per dovere ma per convinzione, sul nostro sito, è pane quotidiano. D’altronde moltissimi altri, con opinioni diametralmente opposte alle nostre, fra cui diversi utenti proprio del blog da te gestito, hanno potuto esprimersi liberamente sul nostro senza nessun problema.
Mi dispiacerebbe che questi rapporti di buon vicinato, pur nella totale diversità di vedute, debbano interrompersi. Sono quindi certo che la nostra ospitalità verrà ricambiata. In caso contrario saremmo costretti a regolarci di conseguenza. D’altro canto tu stesso sei certamente al corrente del fatto che Icarus è un nostro utente e aderente e quindi, conseguentemente, accolgo la tua visita “ufficiale” sul nostro blog come un segnale di apertura e disponibilità. La stessa che noi riserviamo a te accogliendoti con piacere. Viceversa, come ripeto, saremmo costretti a prendere atto di un atteggiamento “asimmetrico” da parte tua/vostra, e ciò, oltre ad essere fastidioso, potrebbe nuocere alle nostre relazioni.
Sono convinto del buon esito di tutta la vicenda. Ancora grazie per la tua visita.
Fabrizio Marchi

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Red. 11:19 pm - 17th Maggio:

Ciao Fabrizio, permettimi una virtuale stretta di mano, a significare tra l’altro la mia stima per il lavoro che hai fatto e che stai facendo.
Quanto al resto, mi spiace che la “polemica” si trasferisca qui, non era esattamente mia intenzione, per la verità. Procedo comunque con alcune doverose precisazioni:
Non sono più il responsabile del forum sulla QM, oggi se ne occupa Cosimo T, nickname Cosmos1. Faccio parte dello staff, ma più che altro a titolo onorifico, in quanto fondatore del primo forum. Ho seguito a grandi linee la vicenda di Icarus ed è andata, in breve, in questo modo:
egli chiedeva di essere ammesso in una sezione riservata, in cui si entra solo previa (libera e democratica) votazione ed autorizzazione dello staff.
Egli si è proposto, lo staff ha votato, l’esito è stato negativo, Icarus non è stato ammesso.
Egli a quel punto ha chiesto di essere cancellato dall’intero forum e per la verità non so se sia stata accolta ed esaudita praticamente la richiesta.
Icarus quindi non è stato escluso dal forum, egli può comunque accedere e scrivere; nel caso in cui gli admin lo avessero cancellato (su sua richiesta, ripeto) si potrebbe registrare con un altro nick e nessuno gli impedirebbe di scrivere, come è stato sinora.
Questo è, per amor di verità. Icarus non è stato escluso dal forum, solo non gli è stato concesso di entrare in una sezione riservata. Ma spero che questo ci sia concesso farlo, senza con ciò incorrere in incidenti diplomatici con UominiBeta.
Anche perchè, seguendo la stessa logica, io potrei allora chiedere di entrare nel direttivo del vostro movimento e, in seguito ad un vostro eventuale rifiuto, “dichiararvi guerra”. (Qui ci starebbe la faccina che ride).
Non siamo per nulla contrari a che ognuno dica la sua senza censure di parte, ci mancherebbe. Però i diktat di quel tipo sarebbe bene evitarli.
Io con questo chiuderei la questione, nn saprei che altro aggiungere…se nn che a volte non tutto è come sembra e ci vuole tempo per capirlo.
Un cordiale saluto.
Red.

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Fabrizio Marchi 7:08 am - 18th Maggio:

Prendo atto delle tue parole. Ciò detto di questa questione da ora in avanti se ne parlerà eventualmente solo in privato, trattandosi di questioni “interne” che non sono di interesse pubblico nè hanno a che vedere con il dibattito sul blog. Mi correva però l’obbligo di rispnderti pubblicamente dato il fatto che per la prima volta intervenivi sul blog e anche a titolo “ufficiale”.
Buon lavoro.
Fabrizio

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armando 9:53 am - 18th Maggio:

per Lestat e Red. Si è sempre saputo, ed è assolutamente normale, che a parità di anni, le ragazzine maturano prima dei loro coetanei. Il motivo è anche abbstanza semplice. Il maschio deve affermare se stesso e identificarsi come maschio staccandosi dalla madre, prendendo le salutari distanze da lei, e ciò in piena tempesta ormonale. Un “lavoro” faticosissimo, improbo a volte, tanto più oggi che il padre, che di questo distacco è artefice principale, o è stato cacciato o si è autoemarginato. La femmina non ha di questi problemi, e dunque dal punto di vista dell’identificazione, è molto facilitata. Non solo, anche gli effetti sono diversi. Anche la femmina necessità di staccarsi dalla madre per diventare adulta, ma anche se non riesce a farlo completamente, non per questo la sia identità femminile sarà irrimediabilmente compremessa come accade per l’identità maschile.
L’atteggiamento lamentato circa il modo con cui le mamme trattano i figli maschi nasce dalla perdita di questa conoscenza istintuale in nome di parametri identici, ossia i propri, ed anche perchè, ripeto, non c’è più la figura paterna che si interpone fra madre e figlio.
Sinceramente non credo che le donne disprezzino “naturalmente” i maschi, piuttosto che non siano più abituate e capaci di pensare in termini di differenza e di apprezzamento delle qualità maschili che sono oggettive e provate da millenni di storia e che erano riconosciute. Questo è lo stato di fatto di una cultura centrata sul femminile come parametro del giusto e dello sbagliato, e che tende irrimediabilmente ad omologare (anche per ragioni economiche). Ma nelle madri c’è anche una contraddizione “mostruosa” che manda i figli maschi completamente in tilt psichico. Perchè da un lato li trattano come deficienti, ma dall’altro sono attratte da loro sul piano erotico (l’edipo funziona in entrambe le direzioni), il che determina atteggiamenti non espliciti ovviamente, ma sottili e subliminali nonchè inconsci, che però dall’esterno del rapporto si notano. Così la frittata è completa.

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Icarus.10 10:41 am - 18th Maggio:

Si dà il caso che in questa sezione cosiddetta “riservata” rientrano gran parte degli utenti attivi maschili del forum, quindi sono esclusi solamente gli utenti da poco iscritti e/o quelli apertamente ostili alla QM(femministe, maschi pentiti, conformisti e provocatori vari) e/o quelli che non intervengono quasi mai sul forum. Quindi questa sezione non rappresenta lo Staff del forum(lo staff è rappresentato in Codice Azzurro) nè è un gruppo “ristretto” o “dirigenziale” che segue una ristretta e univoca visione della QM: vi sono clericali, anticlericali, laici, laicisti,leghisti, fascisti, sinistri, libertari, ecc. Tant’è che in questa sezione(ora da pochi giorni, non più “Codice Giallo”, ma “Wiki”) fa parte anche Filomeno(Bhisma), politicamente di sinistra, che è anche aderente a questo gruppo del MUB. Quindi la loro esclusione nei miei confronti è puramente pretestuosa e strumentale,e a mio avviso sa di “incidente diplomatico” all’ interno del movimento della QM, il quale pur avendo anime diverse, non dovrebbe essere soggetto a litigi o espulsioni. Non vorrei tediarvi(e già ne ho parlato a Fabrizio per email) nel raccontarvi lo scherzetto umiliante e mortificante che mi è stato fatto proprio ieri, allorchè mi sono ritrovato ammesso in una fantomatica e fittizia “sezione codice giallo” in cui solo io sono presente(“moderatore” di me stesso), con il messaggio mp del founder del forum in cui mi augurava “buon divertimento”. Uno scherzetto di pessimo gusto, volto ad umiliarmi e burlarmi, che non dimenticherò mai.
Aspetto un loro gesto di buona volontà..
La questione è chiusa, qui. E chiudo la polemica(non aperta da me).

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Fabrizio Marchi 11:43 am - 18th Maggio:

Abbiamo scelto di pubblicare questo intervento di Icarus perché è la persona direttamente chiamata in causa ed è giusto che abbia la possibilità di esprimere la sua opinione relativamente al suo rapporto con Metro Maschile, dal momento che la sua vicenda personale è stata comunque portata all’attenzione pubblica.
Ora la questione è veramente chiusa, per lo meno per quanto riguarda Uomini Beta, nè verranno pubblicati altri post nel merito. Eventuali sviluppi della discussione potranno proseguire per via privata.
Fabrizio

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Strider 12:42 pm - 18th Maggio:

armando
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Il motivo è anche abbastanza semplice. Il maschio deve affermare se stesso e identificarsi come maschio staccandosi dalla madre, prendendo le salutari distanze da lei, e ciò in piena tempesta ormonale. Un “lavoro” faticosissimo, improbo a volte, tanto più oggi che il padre, che di questo distacco è artefice principale, o è stato cacciato o si è autoemarginato. La femmina non ha di questi problemi, e dunque dal punto di vista dell’identificazione, è molto facilitata. Non solo, anche gli effetti sono diversi. Anche la femmina necessità di staccarsi dalla madre per diventare adulta, ma anche se non riesce a farlo completamente, non per questo la sia identità femminile sarà irrimediabilmente compromessa come accade per l’identità maschile.
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Non a caso nel primo forum sulla QM, sia il “sottoscritto” che altri, erano soliti scrivere che essere e diventare uomini e’ ben piu’ duro e complicato che essere e diventare donne (fermo restando il fatto che io non vorrei mai essere una femmina, per tutt’ altri motivi). Prendiamo la societa’ attuale: le femmine sono la maggior parte delle diplomate e delle laureate, non sono costrette a lavorare nei cantieri, in fonderia, in officina o in certe fabbriche di M.; dal punto di vista sessuale fanno il bello e il brutto tempo; sono spesate, riverite, corteggiate e scopate quando lo dicono loro. Sostanzialmente, finche’ sono relativamente giovani e attraenti, esercitano un potere assoluto sulla grandissima maggioranza degli uomini.
Nonostante cio’ non fanno altro che lamentarsi della “sporca societa’ maschilista” nella quale vivrebbero, e che impedirebbe loro di esprimersi compiutamente.
Io mi chiedo fino a che punto siano ottuse e fino a che punto ci prendano per il culo.

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Icarus.10 2:19 pm - 18th Maggio:

“Nonostante cio’ non fanno altro che lamentarsi della “sporca societa’ maschilista” nella quale vivrebbero, e che impedirebbe loro di esprimersi compiutamente.”(Strider)

Già.In questa società “maschilista” le donne e gli uomini possono divorziare come e quanto pare loro (e senza che poi debbano affrontare le comprensibili insistenze dell’ex lasciato..si veda ad es. la legge sullo Stalking), oltre l’80% dei divorzi sono chiesti da donne (e nell’ oltre 94% dei casi a loro vengono affidati i figli). Alla faccia del “maschio-marito padrone”.Ora se si considera anche il fatto che oggi come oggi i divorzi sono in aumento esponenzile ogni anno, e che ormai le famiglie “separate”,e che quindi hanno solo la madre come genitore e capofamiglia- incominciano a superare quelle “stabili”(cioè con padre e mamma come genitori e capofamiglia) notiamo che ci stiamo incamminando in una società Matriarcale, nel senso più letterale del termine. Ma poi viene la Klara di Notte di turno per dirci che invece vige il Patriarcato e per “dimostrarlo” magari ci citerà qualche famiglia di qualche isolato e sperduto villaggio rurale della calabria o della sicilia. La malafede di certa gente è mostruosa.

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Silver 5:45 pm - 18th Maggio:

Tratto da IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell.
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Difesa per omicidi in appalto… Difendersi assaltando qualcuno
L’omicidio in appalto è un metodo prettamente femminile?
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Quando per la prima volta consultai i miei archivi per preparare questa sezione sull’omicidio in appalto, rimasi colpito da alcuni modelli affascinanti. Innanzitutto, tutte queste donne assoldavano ragazzi o uomini. In secondo luogo, il loro bersaglio era di solito il marito, l’ex marito o il padre – uomini che un tempo avevano amato. Terzo, di solito l’uomo da colpire aveva una polizza assicurativa notevolmente più elevata del suo reddito negli ultimi cinque anni. Quarto, le donne spesso non venivano mai seriamente sospettate finché qualche coincidenza non smascherava il loro complotto. Quinto, per uccidere di solito la donna sceglieva uno di questi tre metodi: 1) convinceva il fidanzato a uccidere (in stile Svengali al contrario); 2) assoldava ragazzi sfavoriti dalla sorte per cifre modeste; 3) assumeva un killer professionista, usando così, per ucciderlo, il denaro guadagnato dal marito.
«Dixie Dyson rimboccò le coperte al marito prima della sua ultima notte di sonno. Aveva predisposto tutto: un vecchio amico e un amante avrebbero fatto finta di ‘introdursi in casa scassinando la porta’, di ‘stuprarla’, uccidere il marito e ‘fuggire’. Lei avrebbe riscosso il denaro dell’assicurazione.
«All’ultimo momento il vecchio amico si ritirò, ma l’amante e Dixie riuscirono a uccidere il marito con ventisette pugnalate. Furono presi. Dixie riuscì a negoziare una riduzione della sua pena denunciando l’amante e l’amico. L’amico che si era rifiutato fu condannato a venticinque anni di carcere per complotto. »
«Deborah Ann Werner aveva diritto a un terzo delle proprietà paterne. Chiese alla figlia di trovare qualche ragazzo disposto a uccidere il padre piantandogli un coltello nel collo.»
«Diana Bogdanoff fece in modo di trovarsi con il marito in una zona appartata di una spiaggia nudista.
«Diana aveva assoldato due giovanotti che lo avrebbero ucciso mentre lei stava a guardare. Gli spararono alla testa e lei denunciò i killer, ma senza presentare giustificazioni per l’omicidio – non era stato rubato nulla e lei non aveva subito molestie sessuali.
«Diana diventò sospetta soltanto quando un anonimo si mise in contatto con la speciale linea telefonica che in tutto il territorio nazionale raccoglie denunce per fatti criminosi. Per puro caso quell’individuo aveva sentito parlare, alla radio, dell’omicidio e si era rammentato di un amico che gli aveva raccontato di essere stato contattato e di essersi rifiutato di uccidere un uomo… su una spiaggia isolata per nudisti, mentre una donna di nome Diana sarebbe stata a guardare. Senza questa segnalazione, Diana non sarebbe mai stata sospettata.»
«Roberta Pearce, insegnante, offrì 50.000 dollari a testa a due suoi studenti quindicenni – e anche sesso e una macchina – se avessero fatto una cosa sola: ucciso il marito. Roberta avrebbe ottenuto la casa per la cui proprietà lei e il marito stavano litigando, e 200.000 dollari di assicurazione.»
«Mary Kay Cassidy e il suo giovanissimo amante uccisero il marito di Mary Kay. Sebbene l’uomo avesse confidato ad amici il timore che la moglie tentasse di ucciderlo, sulla donna non furono fatte particolari indagini. Lei e il giovanissimo amante ‘piansero’ la morte del marito e per mesi continuarono la relazione, ottenendo tutta la comprensione e la simpatia degli abitanti di Monongahela, in Pennsylvania.
«Casualmente i parenti del marito, pulendo la casa, scoprirono un registratore collegato al telefono: sul nastro era incisa una conversazione tra Mary Kay e l’amante mentre stavano complottando per uccidere l’uomo. Evidentemente lui aveva cominciato a tenere sotto controllo il telefono soltanto alcune ore prima di essere ucciso, e non aveva neppure potuto ascoltare la conversazione. Soltanto quando fu messa a confronto con il nastro Mary Kay confessò.»
«Pamela Smart, un’insegnante del New Hampshire, convinse il giovanissimo amante a uccidere il marito. I due cercarono di coinvolgere nell’omicidio anche una ragazza. Quando quest’ultima consegnò alla polizia il nastro con la conversazione avuta con Pamela Smart, che stava preparando l’omicidio, la donna assunse un killer per ucciderla. Pamela non accusò mai il marito di violenze. II suo movente? Il marito era un agente delle assicurazioni. Eppure nessuno dei 500 articoli comparsi sui giornali citò come possibile movente il denaro dell’ assicurazione.
«La reazione? Fu appoggiata da un club internazionale di fan chiamato Friends of Pamela Smart. Quando organizzarono una veglia davanti alla prigione in cui era rinchiusa, i funzionari le consentirono di rivolgersi a una folla di oltre 400 persone con un telefono collegato ad altoparlanti stereo.»
Personalmente non conosco nessun esempio di club di fan a favore di un uomo che ha ucciso una donna – soprattutto una donna che mai aveva commesso una violenza contro di lui.
Forse l’aspetto più spaventoso negli omicidi su commissione eseguiti da non professionisti è il ricorso, da parte di molte di queste donne, a ragazzi assai giovani – di solito poveri e sfortunati. Queste donne, oltre a commettere un omicidio, sono anche responsabili dello stupro psicologico di un ragazzo. Qualsiasi uomo adulto, se avesse assoldato una quindicenne per uccidere la moglie, sarebbe nella cella della morte, in attesa di esecuzione. Soprattutto se con quella ragazza avesse anche fatto del sesso.
Quando invece vengono assoldati dei killer di professione, le risorse economiche necessarie per pagare un professionista implicano un’appartenenza alla classe media. Le donne che assumono dei professionisti sono spesso donne della classe media che uccidono i mariti con il denaro guadagnato da questi ultimi. Per esempio, Constantina Branco ritirò dal conto in banca del marito la somma necessaria per assoldare un uomo che lo uccidesse.
La donna povera che cosa ha in comune con la donna della classe media? Tendenzialmente nessuna delle due uccide il marito il cui stipendio la protegge, a meno che l’ammontare dell’assicurazione non superi complessivamente lo stipendio degli ultimi anni. In sostanza, queste donne non uccidono la loro fonte di reddito, ma uccidono per crearsi un reddito.
L’omicidio su commissione offre uno spunto per analizzare a fondo la differenza tra lo stile femminile e lo stile maschile adottato per uccidere persone un tempo amate. L’uomo uccide di sua mano. La donna assume un altro uomo. In genere, quando un uomo ammazza una donna, lo fa in un accesso di collera. Egli «perde il controllo.» L’omicidio su commissione è premeditato. Quando un uomo ha premeditato un delitto, spesso uccide la moglie, i figli e poi se stesso. La donna di rado si uccide.
Capita qualche volta che degli uomini assoldino dei killer per uccidere delle donne? Capita, ma poi subentra qualche ostacolo. Il killer non se la sente di uccidere una donna e denuncia alla polizia l’uomo che l’ha assoldato per farlo! (Anche il killer pagato ha un istinto protettivo quando si tratta di una donna.) Pertanto, non è che gli uomini rifiutino del tutto di usare il metodo dell’omicidio su commissione, ma quando vi ricorrono quasi invariabilmente si ritorce contro di loro.

Se esistessero difese per soli uomini, come sarebbero?
Non esiste una difesa prettamente maschile per giustificare l’omicidio di una donna. Né deve esserci. Ma se ci fosse, l’equivalente maschile della «difesa al progesterone» delle donne sarebbe la «difesa al testosterone», l’equivalente della «difesa della donna innocente» sarebbe la «difesa dell’uomo razionale» – la concezione parimenti sessista che un uomo non commetterebbe un delitto se non avesse un motivo razionale per farlo; ci sarebbero difese per i padri, sindromi dell’uomo maltrattato, e speciali difese per gli oneri del ruolo maschile… per esempio, la «difesa della guardia del corpo».
La difesa della guardia del corpo
Vi rammentate di quando il figlio di Marlon Brando, Christian, s’infuriò tanto con il ragazzo della sorellastra Cheyenne -schiaffeggiata e maltrattata – da prendere la rivoltella? Nel corpo a corpo che seguì, gli sparò e lo uccise. Disse che il colpo era partito accidentalmente.
Brando avrebbe potuto appellarsi alla «difesa della guardia del corpo»? Per quale motivo? Se una donna uccide un uomo che le ha fatto violenza e poi resta in libertà, perché mai un altro uomo non potrebbe uccidere un uomo che fa violenza a una donna e restare a sua volta in libertà?

Ecco come alle singole donne è dato più potere di uccidere che a tutto il governo degli Stati Uniti
Nel loro complesso, le dodici difese per sole donne permettono quasi a ogni donna di «eseguire una condanna a morte». Paradossalmente, consideriamo ora persino liberale favorire la donna che decreta la pena di morte e opporci al governo che ricorre alla pena capitale. Il governo non può assolutamente prima uccidere una persona e poi dichiararla colpevole di violenze: soltanto una donna può permetterselo… ai danni di un uomo. Ma forse è ancor più sorprendente il fatto che il rifiuto del giusto processo è detto «liberai» se è una donna che lo nega a un uomo, «totalitario» se qualcuno rifiuta il debito processo a una donna.

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Silver 9:04 pm - 18th Maggio:

IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell.
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Sono più gli uomini a uccidere le donne, o più le donne a uccidere gli uomini? I Sei Paraocchi
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II dipartimento della Giustizia ci informa che gli uomini uccidono il doppio delle donne, rispetto al numero di uomini ucciso dalle donne. Ma diamo un’occhiata un po’ più da vicino. Sicuramente è più probabile che degli uomini uccidano un certo numero di donne. Quasi sempre questi omicidi seguono un modello, e a un certo punto l’uomo viene catturato. Pertanto le statistiche del dipartimento della Giustizia riflettono questa realtà. Altri delitti commessi dagli uomini costituiscono una chiara prova: l’uomo involontariamente spara alla moglie o a un’amica, e poi si punta la rivoltella alla testa. La prova è sul pavimento.
Peraltro, sei paraocchi ci impediscono di vedere i metodi di omicidio femminili. Innanzitutto, è più facile che una donna avveleni un uomo, invece di sparargli, e l’avvelenamento viene spesso registrato come infarto o incidente. Così Bianche Taylor More (il caso Arsenico e vecchi merletti) per un quarto di secolo poté continuare a uccidere prima di essere scoperta. E dei delitti all’Excedrin di Stella Nickell furono ritenuti responsabili dei vandali.
Anche l’omicidio su commissione è meno identificabile perché e premeditato, e spesso affidato a un professionista. Quando viene scoperto, il dipartimento della Giustizia lo registra come «delitto con molteplici colpevoli» – non viene mai registrato come uccisione di un uomo da parte di una donna. Ciò crea un secondo paraocchi.
Gli uomini che uccidono le donne di solito appartengono a classi socioeconomiche inferiori, mentre le donne che uccidono il marito o l’amante sono in genere di livello sociale più elevato. Ecco dunque il terzo paraocchi: il fattore denaro. Per esempio,
Jean Harris (che uccise l’autore di La dieta Scarsdale) era stata preside di una scuola privata; Elizabeth Broderick era stata un’insegnante/elementare e, sposandosi, era entrata a far parte dell’alta società; Pamela Smart faceva la maestra nel New Hampshire. Con il denaro si possono assumere i migliori avvocati e si ottengono più assoluzioni e diminuisce così il numero di donne assassine che rientrano nelle statistiche del dipartimento della Giustizia.
Probabilmente i paraocchi più importanti sono il «fattore Cavalleria» e il «fattore Donna Innocente» che, tanto per cominciare, evitano a molte donne di essere seriamente sospettate. Per giunta, la difesa basata sulle attenuanti talvolta porta al ritiro delle accuse. Per esempio, quando una donna assolda un minore o un uomo, amante o professionista che sia.
Quando si combinano i Sei Paraocchi – l’avvelenamento mascherato, gli omicidi su commissione camuffati da incidenti e registrati come omicidi con molteplici colpevoli, il fattore denaro, il «fattore Cavalleria», il «fattore Donna Innocente» e la difesa basata sulle attenuanti – possiamo facilmente renderci conto che, consciamente e inconsciamente, siamo stati ciechi rifiutando di vedere delle donne che uccidono degli uomini.
Dai Sei Paraocchi deriva una distorsione delle statistiche. Ma una distorsione della percezione deriva dalla tendenza dei media a dare risalto alla notizia quando sono gli uomini a uccidere le donne (l’assassino dell’università di Montreal, gli strangolatori di Hillside e di Boston).
In breve, è impossibile sapere in quale misura i sessi si ammazzano tra loro. L’unica cosa che sappiamo per certo è che entrambi i sessi uccidono più uomini che donne.

Verso una soluzione
Nessuno s’impegna a proprio svantaggio
Le leggi che rendono un sesso più potente dell’altro si ritorcono come un boomerang contro entrambi i sessi – nessuno s’impegna a proprio svantaggio. E quando un sesso non s’impegna, entrambi i sessi perdono l’amore. Come sta accadendo in Australia, per esempio, dove nella definizione di violenza domestica ora è incluso anche l’uomo che alza la voce con la moglie – «la norma del decibel domestico». Ma se è la donna ad alzare la voce con il marito, ciò rientra nelle comprensibili difese contro il predominio maschile. Questo doppio metro di valutazione fa sì che in Australia gli uomini abbiano una gran paura del matrimonio.
E le femministe australiane stanno cercando di ottenere che le leggi del matrimonio siano applicabili anche ai conviventi. Leggi simili finiscono per separare i sessi.
Come ridurre violenza e delitti in futuro?
Se una donna uccide il marito perché si sente indifesa e impotente, forse anche l’uomo che picchia la moglie si sente impotente. Per entrambi i sessi, la violenza nasce non dal potere ma dall’impotenza. La violenza è una temporanea esibizione di potere che emerge di solito da sentimenti di impotenza e di sconfitta.
La soluzione contro la violenza non consiste perciò nel creare divisioni artificiali tra la violenza fisica e la violenza emotiva, ma nell’educare i due sessi ad ascoltare in modi nuovi – modi che per lo più i nostri genitori non si sono mai potuti permettere il lusso di apprendere. Così i due sessi potranno scegliere partner abbastanza sicuri da ascoltare prima di attaccare, e abbastanza sicuri da andarsene se gli attacchi – verbali o fisici – si ripetono.
Nulla garantisce la sicurezza dell’esistenza, ma la soluzione consiste nell’evitare le zone pericolose di una città, invece che scegliere quelle pericolose e uccidere le persone che ci fanno temere per la nostra vita.
La soluzione arriva esigendo la comunicazione nelle scuole, nel non trovare giustificazioni all’omicidio nel matrimonio.
In breve, le soluzioni alla violenza cominciano con la riflessione e non con l’uccisione, con i due sessi che sanno come proteggersi, e non con un sesso soltanto che può permettersi di usare il governo come protettore.

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armando 9:11 pm - 18th Maggio:

Icarus: “Ora se si considera anche il fatto che oggi come oggi i divorzi sono in aumento esponenzile ogni anno, e che ormai le famiglie “separate”,e che quindi hanno solo la madre come genitore e capofamiglia- incominciano a superare quelle “stabili”(cioè con padre e mamma come genitori e capofamiglia) notiamo che ci stiamo incamminando in una società Matriarcale, nel senso più letterale del termine”.
Questa frase dovrebbe far molto riflettere. Una società fatta di famiglie con la madre capofamiglia perchè il padre è stato cacciato o non si conosce, è matriarcale. Verissimo. Ne consegue che o i maschi si devono rifiutare di far figli, e dunque il paese diverrà vecchio quindi più povero e meno energico, oppure la legislazione sul divorzio e sull’affido dei figli va profondamente rivista. A partire da una spinta fortissima degli uomini a contare di più in queste faccende, ossia a riprendere in mano la paternità-
armando

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Damien 10:00 am - 19th Maggio:

La vedo dura riprendere la paternità visto che chi emana tali leggi sono in maggioranza uomini di potere spinti dal potere della vulva e dal meccanismo piu’ volte citato in altre sedi e ben noto a chi legge in questo sito. Purtroppo a mio avviso credo che la soluzione sia ardua, rendendosi conto che: 1) una sempre piu’ crescente quantità di uomini e’ schifata/impaurita/delusa dal matrimonio e dalle leggi provulva, e 2) questo potere uterino ha una controindicazione: la solitudine; Le sostenitrici del potere della vulva hanno trovato le soluzioni, nel primo caso la danno solo a chi dimostra di donarle di piu’, in qualsiasi campo (economico/emotivo che dir si voglia) anche se questo poi non e’ indice di realizzazione dei propri fini, mentre per il secondo caso optano sempre più spesso per i matrimoni misti e le convivenze di comodo in tarda età, magari con uno dei tanti ometti col quale continuare a fare i propri comodi e lamentandosi con le amiche che….esatto!.. che non ci sono più gli uomini di una volta.. ma per piacere..

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Lestat 12:45 pm - 19th Maggio:

Riemergo per un attimo, solo per rispondere a Red, il quale scrive,
>>
Ciò detto, vorreio replicare a Lestat e dire che se pensa che quello che descirve sia l’atteggiamento naturale delle donne verso i figli, è molto probabile che si sbagli alla grande. Le madri di quelle madri si comportavano molto diversamente, ergo si deve parlare di condizionamento culturale e quindi di neofemminismo che, ricordo, nasce negli anni 70 e con ogni probabilità riflette i suoi effetti propro sulle madri d’oggi, quarantenni o neocinquantenni.
Si guardi inoltre alle madri di altre culture (ad es. l’islam) e si noti se il loro atteggiamento verso i figli maschi è uguale come da noi.
Ergo, in questo caso, non è un problema di natura, ma di cultura, a mio modesto avviso.
>>
Opinione mia: il femminismo ha soltanto scoperchiato il vaso di Pandora. I comportamenti e i discorsi delle donne di oggi, non sono la conseguenza dell’indottrinamento femminista, ma, al contrario, sono insiti nelle donne. La differenza tra oggi e ieri, sta nel fatto che oggi possono dircelo in faccia, senza pagare alcun prezzo. Caro amico, credere che le donne siano degli angioletti, deviati dal femminismo, è veramente ingenuo. Le donne, da certi punti di vista, sono peggio degli uomini. Molto più cattive.

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Lestat 12:47 pm - 19th Maggio:

>
Temo che tutte le donne apprezzino la crudeltà, la crudeltà pura, più di qualsiasi altra cosa. I loro istinti sono meravigliosamente primitivi. Le abbiamo emancipate, ma esse rimangono schiave sempre in cerca di un padrone. Amano essere dominate. (Oscar Wilde)
>

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armando 5:18 pm - 19th Maggio:

E’ dura Damien, durissima. Ma gli uomini sono abituati da sempre a lottare, anche contro se stessi. La trasformazione e il cambiamento sono maschili.
armando

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Leo 6:19 pm - 19th Maggio:

Lestat:….Le abbiamo emancipate, ma esse rimangono schiave sempre in cerca di padrone. Amano essere dominate. (Oscar Wilde) 1854-1900.
Oltre a non essere d’accordo, mi sembra che in ogni epoca si parli di emancipazione delle donne, in realtà penso che in ogni epoca alle donne vengano aggiunti i nuovi privilegi dovuti al progresso, e si pensa che nel passato siano state schiave: è una presa in giro che dura da sempre.
Il Divin Marchese De Sade 1740-1814 che le voleva schiave sul serio ha passato la vita in galera.
Da “Le 120 giornate di Sodoma, arringa alle donne: Esseri deboli e incatenati, destinate unicamente ai nostri piaceri, non vi siete certo lusingati, spero, che quella libertà tanto ridicola quanto assoluta che vi si lascia nel mondo vi sia accordata in questi luoghi. Mille volte più sottomesse di quanto non lo sarebbero delle schiave, non dovete aspettarvi che umiliazione, e l’obbedienza deve essere la sola virtù di cui vi consiglio di fare uso…..

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Strider 6:50 pm - 20th Maggio:

Lestat
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Temo che tutte le donne apprezzino la crudeltà, la crudeltà pura, più di qualsiasi altra cosa. I loro istinti sono meravigliosamente primitivi. Le abbiamo emancipate, ma esse rimangono schiave sempre in cerca di un padrone. Amano essere dominate. (Oscar Wilde)
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Lestat, innanzitutto vorrei dirti che sono in gran parte d’ accordo con te, quando scrivi che “il femminismo ha soltanto scoperchiato il vaso di Pandora”, vorrei pero’ invitarti a non prendere per oro colato le parole di Oscar Wilde o di qualche altro cervellone del passato, e sai perche’ ? Perche’ in materia di donne gli uomini sono sempre stati dei grandi ingenui (basti pensare alle leggende sulle “superiori voglie sessuali femminili”). Personalmente, sono del parere che i livelli di crudelta’ a cui possono giungere certi uomini (non “gli uomini”…), le donne possono solo sognarselo.

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Leo 12:48 pm - 22nd Maggio:

Non credo che le donne (alcune) siano meno crudeli degli uomini (alcuni) la crudeltà femminile si manifesta in maniera diversa, e viene meno propagandata, ma in questa discussione Silver sta elencando parecchi casi di violenza femminile Agghiacciante.
Riguardo ai cervelloni del passato: la filosofia, le idee e la scienza vanno sempre aggiornate, migliorate, secondo le nuove scoperte. Schopenhauer ha intuito cose geniali nella sua epoca; tutti ricordano Nietzsche, ma che ha detto in conclusione?
Riguardo alla minore propensione al sesso delle donne, bisogna ricordare che esse hanno un pene in miniatura chiamato clitoride.

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Silver 5:26 pm - 22nd Maggio:
Silver 11:38 pm - 25th Maggio:
Silver 12:35 pm - 1st Giugno:

http://www.leggonline.it/articolo.php?id=64779

Leggete attentamente il commento di Alessia, del 31/05/2010, ore 12:43.

(…)

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ilmarmocchio 3:38 pm - 1st Giugno:

Bello quel commento. Il corpo femminile , un tempio. la DPP colpa del marito. Come volevasi dimostrare.
Io invece sono convinto che tutti questi casi non sono depressioni, in quanto il depresso non e’ mai lesivo per altri ma, eventualmente, per se. Invece, queste uccidono il figlio e NON si suicidano,
E’ il sentimento di potere che fa loro considerare il figlkio come una loro esclusiva proprieta’ sul quale hanno dirittoi di vita e di morte.
perche’ anche la maternita’ e’ una questione di potere: un potere molto forte, altro che depressione

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Leo 6:14 pm - 1st Giugno:

Si penso anche io il sentimento di potere, o anche lo scatto di rabbia al pianto di un bambino di quell’eta; ci sono donne che si offendono se un bambino si ritira al loro gesto di affetto o scoppia in lacrime, anche se non è il loro figlio.
Poi c’è sta stronzata di sentirsi vere donne o veri uomini se si hanno bambini.

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Strider 7:47 pm - 10th Giugno:

Ieri sera, per la prima volta, ho visto questo vecchio film con protagonista principale Jennifer Lopez,
http://it.wikipedia.org/wiki/Via_dall%27incubo
e devo dirvi che mi e’ venuto il latte alle ginocchia, non solo per la ridicolaggine relativa alla cameriera, vittima del marito violento, che nel giro di pochi mesi si trasforma in una esperta di krav maga – metodo di combattimento di origine ebraica, utilizzato dal Mossad, dalla CIA, ecc -, ma anche per la solita tiritera a senso unico, riguardo alla violenza maschile contro le donne che, detto molto chiaramente, ha proprio rotto.

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Damien 7:12 am - 11th Giugno:

@Strider: .. e meno male che nel tuo commento non hai asserito che tale krav maga “è roba da uomini”, non sia mai ti arriva una denuncia dalla Cassazione…

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Leonardo 11:56 am - 11th Giugno:

Io ultimamente ho rivisto ALIEN 3 dove in una colonia penale di soli uomini dicono di avere il doppio cromosoma YY ( Il maschile è XY, il Femminile XX ) Poi ho rivisto IL GATTO A NOVE CODE dove si studia una teoria che i delinquenti abbiano i cromosomi XYY
che farebbe fallire la psicoanalisi.
Insomma più si è maschi più si è delinquenti, ma Einstein che cromosomi aveva?

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giosby 9:12 am - 19th Giugno:

Invece di gioire ogni volta che una donna commette un turpe reato, come prova della crudeltà femminile, e pensando di avere scoperto l’America, della gente come voi che vorrebbe essere di sinistra (lasciamo perdere …) potrebbe anche rendersi conto che la follia non riguarda soltanto o particolarmente un genere e che spesso è indotta da una società e da un potere che non guarda in faccia a nessuno, né uomini né donne.

Meglio continuare andare a caccia di streghe, no?

Buon divertimento!

http://www.medicinenon.it/modules.php?name=News&file=article&sid=139

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Fabrizio Marchi 11:25 am - 19th Giugno:

Caro Giosby, qui nessuno va a caccia di streghe né tanto meno gioisce della violenza commessa dalle donne così come per qualsiasi altra forma di violenza, ovviamente. Stiamo solo cercando di smascherare quelli che sono dei luoghi comuni scontati e stereotipati che tanti danni hanno provocato, soprattutto al fine di una più lucida e laica comprensione della realtà. Uno di questi è proprio quello della violenza di genere a senso unico, che sarebbe perpetrata esclusivamente dagli uomini nei confronti delle donne. Un’osservazione più attenta, lucida, razionale, anche solo un pochino meno manichea e ideologizzata della realtà stessa non può che clamorosamente smentire questi ritornelli preconfezionati. Il servizio di Giovanna Botteri andato in onda alcuni mesi fa su Rai 3 Notte (e archiviato nel “dimenticatoio” mediatico) che abbiamo pubblicato nello spazio “articoli” dal titolo “Un brusco risveglio”, va proprio in questa direzione ed è uno dei rarissimi esempi di informazione corretta, fuori dal coro e dalle liturgie.
Ci guardiamo bene quindi dal criminalizzare le donne. Al contrario. Questo se mai è stato fatto nei confronti dell’intero genere maschile, individuato come unico e solo responsabile nonchè tenutario della violenza stessa. La violenza, insomma, secondo questa scellerata (e questa sì, criminale) interpretazione, apparterrebbe solo ed esclusivamente al genere maschile. Un concetto che noi non esitiamo a definire sessista e razzista, che purtroppo è passato a livello di immaginario psicologico di massa. Un’operazione lucida e scientifica di manipolazione psicologica e culturale finalizzata al mantenimento di rapporti di dominio all’interno del contesto sociale.
Il nostro obiettivo, come dovresti sapere, se hai letto il nostro Manifesto (il Movimento Beta) e la nostra Carta dei Principi, è lavorare per costruire una relazione all’insegna di una vera eguaglianza, parità e reciprocità fra i sessi. Non potremo mai sperare di avvicinarci, sia pure per difetto, a questo obiettivo, finchè non saranno smascherate tutta una serie di menzogne che sono stata costruite ad arte da un sistema dominante altamente sofisticato e pervasivo.
Naturalmente il discorso sarebbe estremamente lungo e complesso e ci torneremo. Abbiamo molto tempo…
Ciò detto, permettimi un’osservazione, per fatto personale. Non è la prima volta che intervieni sul nostro blog, e lo hai fatto sempre con toni estremamente provocatori se non aggressivi, di dileggio e irrisione nei nostri confronti.
Non solo credo che questo atteggiamento non serva a nessuno, a te come a noi, ma penso anche che sia profondamente immaturo. Se sei interessato ad un confronto serio ed equilibrato, noi siamo i primi ad accoglierti a braccia aperte (e non è un modo di dire). Se invece sei interessato solo alle modalità di cui sopra, credo che non valga neanche la pena di perdere tempo. Non trovi?
Una donna come Natalia Aspesi, che certo non è una nostra simpatizzante, ci ha ospitato ieri nella sua rubrica sul Venerdì della Repubblica con toni assolutamente più rispettosi e interlocutori dei tuoi, pur ovviamente nella divergenza di opinioni e interpretazioni. Credo quindi che anche tu possa fare uno sforzo in tal senso. In caso contrario, se nei nostri confronti nutrissi solo un sentimento di livore e disprezzo (sul quale io, fossi in te, ragionerei a fondo per capirne le motivazioni profonde e nascoste), non vedo per quale motivo continuare a tornare e a ritornare sul nostro sito. Perché? A che scopo? Cosa c’è dietro questo incaponimento? Io non perdo neanche un minuto del mio tempo per insultare delle persone che disprezzo profondamente, che so, nel mio caso, un covo di razzisti, ad esempio. Posso andarci una volta, tutt’al più, esporgli il mio pensiero, o al limite mandarli a quel paese, ma poi non ci metto più piede. Tu invece continui, reiteratamente. D’altronde non sei il solo, anche altre/i lo hanno fatto e lo fanno. Sarebbe giunta l’ora che ti interrogassi sulle ragioni di questo tuo comportamento. Non credi? Io a tal proposito, ho la mia opinione, ma se te la dicessi, non servirebbe a nulla. O meglio, non farei la cosa più giusta , perché sono certo che tu la risposta ce l’hai già, dentro di te. Ma devi essere tu, socraticamente parlando, a farla emergere.
Fabrizio Marchi
P.S ribadisco che il blog è assolutamente libero e ciascuno, nel rispetto degli altri, può esprimere liberamente la sua opinione, ma la linea politica, la filosofia, i valori e gli orizzonti del Movimento degli Uomini Beta, si evincono dal Manifesto, dai Principi e dagli articoli pubblicati nello spazio “editoriali” ed “articoli”. Estrapolare commenti o stralci di commenti dal blog (che è uno spazio assolutamente libero al punto che pubblichiamo anche post denigratori e spesso offensivi come i tuoi e di tanti altri/e) e metterli in bocca al nostro Movimento è operazione falsa e strumentale. Spero che questo concetto ti sia chiaro una volta per tutte.

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Silver 11:38 am - 19th Giugno:

giosby, cosa ne pensi di articoli come questo?
(Volendo, potrei postarne una caterva di simili…)
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SESSUALITA’ MASCHILE – PERVERSIONE

La società patriarcale è basata sul rapporto autoritario-sfruttatore e la sessualità è di tipo sado-masochista. I valori del potere, del dominio dell’uomo sull’altro, si riflettono nella sessualità dove storicamente la donna viene data all’uomo per il suo uso. Anche il linguaggio sessuale incorpora questo concetto: non a caso si dice che l’uomo “prende” la donna e lei “si dà” a lui, oppure che l’uomo “possiede” la donna. L’idea della donna come proprietà dell’uomo è basilare alla sua oppressione ed è spesso l’unica proprietà permessa dagli uomini dominanti agli uomini che loro sfruttano. La stessa espressione “classe proletaria” significa “colui che possiede la prole” e va da sé che significa anche “colui che possiede il mezzo” ossia la donna per produrre la prole. In altre parole la donna viene data all’uomo (sfruttato) come compenso per il suo stato di nullapossidente. Inoltre le frustrazioni dell’uomo come essere subordinato in un rapporto di potere vengono attenuate dalla possibilità di trasformarsi da oppresso in oppressore. Il mutamento della sessualità in un modello sado-masochista di potere e di sottomissione, vuol dire che in effetti nel mondo maschile quella che viene definita ”sessualità” altro non è che perversione. La frigidità maschile, ossia l’impossibilità di esprimere un’autentica sessualità è fondamentale per questa perversione. L’uomo tenta di mascherare questa sua frigidità attraverso un comportamento definito “virile” e “attivo” e che in realtà è un concetto ideologico per mistificare la violenza.

Nella società patriarcale la virilità è uguale alla violenza.

Il simbolo della virilità, IL FALLO ERETTO, è quindi simbolo della violenza. Ma nella misura in cui virilità=violenza non è una forza vitale, ma solo paravento della vera frigidità, l’erezione del pene non è segno di vitalità sessuale, ma solo riflesso condizionato. L’uomo, mentre cerca di nascondere la propria frigidità, tenta di costringere la donna ad una frigidità scoperta ed accettata. La donna deve essere l’oggetto inerte e passivo che plasmato e manipolato con la violenza, darà l’illusione di vigore all’uomo frigido. Questo comporta la totale oppressione della sessualità della donna e della sua stessa identità. Sopraffare la sessualità della donna vuol dire schiacciare la sua vitalità, la sua creatività, creare in lei il masochismo che la rende oggetto più facile da sfruttare. L’autentica sessualità è la spontanea reazione agli stimoli sia psicologici che fisiologici che si gestiscono per ottenere un piacere sessuale ed è anche la presa di coscienza di tutto il corpo come fonte di creatività sessuale. La spontaneità e la capacità di gestire il piacere sono indispensabili a questa creatività e non possono esistere nella società patriarcale dove vengono represse per canalizzare la spinta sessuale in una perversione basata sulla violenza, la paura e la frigidità. Noi denunciamo come la più nuova forma di oppressione della donna il concetto di “rivoluzione sessuale”, dove la donna viene indotta a passare da oggetto di uno ad oggetto di tutti e dove la pornografia sado-masochista nei films, nelle riviste, in tutti i massmedia che brutalizzano e violentano la donna, viene contrabbandata come un trionfo della libertà sessuale. Questa è la libertà per la donna nello stesso senso della libertà intesa dai nazisti quando scrivevano sulle porte di Auschwitz: “Lavoro è libertà”. Scoprire che l’oppressione sessuale è il perno del potere maschile rendendoci diverse da qualsiasi gruppo oppresso, è stato possibile solo quando abbiamo cominciato a renderci autonome da tutte le strutture e le ideologie di oggi.

MOVIMENTO FEMMINISTA ROMANO

Via Pompeo Magno, 94- Tel. 386503

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giosby 11:43 am - 19th Giugno:

Siccome la speranza è l’ultima a morire, ogni tanto, ma devo dire molto raramente perché il tempo è tiranno, lancio un semino.

Si sa mai che qualcuno rifletta.

Se poi vuoi leggerci dietro quello che vuoi fa parte, ovviamente, delle tue libertà.

La libertà di scrivere ciò che mi pare e dove mi pare mi sembra non vada neanche discussa.
Se per te è una nota di merito pubblicare qualcosa che è anche critico è un segno INEQUIVOCABILE che il tuo concetto di libertà è alquanto limitato.

Non temere, vi lascerò a sguazzare nel vostro brodo…

Ops, perdona la mia sincerità, spero non sia troppo osè…

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Icarus.10 12:07 pm - 19th Giugno:

Carissimo Giosby, qui nessuno sta facendo generalizzazioni: se elenchiamo anche violenze commesse da donne non è perchè crediamo che le donne siano tutte violente o cattive, ma per per mostrare che la violenza e la cattiveria possono manifestarsi anche nelle donne e non solo negli uomini, giacchè per tv, per giornali e nella vulgata corrente, di cui tu sei un mentore, le donne vengono descritte TUTTE vittime,buone e innocenti, a prescindere, mentre la violenza e la cattiveria sarebbero manifestazione SOLAMENTE del genere maschile.Noi vogliamo smontare questa perversa leggenda femminista e sessista. Non è un attacco alle donne, se tra l’altro se vedi bene, qui già hanno aderito varie donne, tra cui Rita. La verità è che a te fin da piccolo, ti hanno detto che le donne sono superiori e più brave degli uomini,quindi non riesci a darti pace che c’è qualcuno che dice, “no, attenzione, vi sono uomini e uomini e donne e donne”. Tu, invece, che ti dichiari di “sinistra” perchè anzichè attaccare noi ed andarci a fare come una merda su AgoraVox e ComeDonChisciotte, non vai ad attaccare i Leghisti???!!!! Se sei di sinistra, perchè non difendi un povero padre separato operaio o precario, mandato via di casa(dalla sua casa) e costretto a dormire nell’ auto e mangiare alla mensa della Caritas? Già, ma per te, essere di sinistra, significa stare dalle parte di TUTTE le donnne senza senza se e senza ma, indiscriminatamente. Questo è razzismo e sessimo, guarda. Una persona non la si giudica dal sesso,ma per quello che fa e dice, e invece per te, ogni donna, in quanto donna, è buona e vittima a prescindere, solo in quanto donna, (ovviamente anche Oriana Fallaci o Condoleeza Rice!) Questo è razzismo. Non sto dicendo che tu sia un razzista o un sessista, lungi da me pensare una cosa simile, ma parli partendo da pregiudizi che ci hanno inculcato i mass media. Sei bravo a non farti ingannare dalla propaganda berlusconiana, però poi ti fai ingannare da quella femminista e sessista.
Riflettici, su. Non sei sciocco.

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Leonardo 12:14 pm - 19th Giugno:

@ giosby: bisogna fare chiarezza tra malattia mentale e cattiveria, l’articolo che hai postato, che ho letto in fretta, mi sembra un altra scusa per far passare le donne per povere depresse, perché purtroppo devono fare un figlio invece di andare dal parrucchiere, o povere vittime di un sistema manicomiale che non le rispetta.
La malattia mentale non porta ad uccidere i bambini, la schizofrenia porta alla difficoltà di avere una vita sociale come gli altri, ci sono mamme e padri psicotici che hanno cresciuto i loro figli senza buttarli dalla finestra.
Non si può parlare di malattia mentale su ogni crimine.
http://current.com/shows/inchieste-italiane/90276050_manicomio-addio.htm

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Fabrizio Marchi 12:50 pm - 19th Giugno:

Sei in malafede, Giosby, d’altronde non è una novità per te, purtroppo, e lo sai perfettamente, se per una volta riesci a non essere ipocrita.
Qui nessuno mette in discussione la libertà di esprimere il proprio parere che è sacrosanta ed è una nostra bandiera a differenza di altri blog. Io parlavo di provocazione, di disprezzo gratuito, di irrisione e dileggio.
C’è una bella differenza, non credi? E allora, che significato ha continuare ad andare in un luogo che si disprezza, di cui si disprezzano i contenuti, le idee e gli uomini che le animano? Solo perché la “speranza è l’ultima a morire” come dici tu?…Perchè speri in un nostro “ravvedimento”?…Ma chi vuoi prendere in giro, Giosby?…Né io né te ne nessun altro qui abbiamo l’anello al naso….
Ora se permetti, vorrei poter continuare la discussione nel merito degli argomenti e non su queste inezie. Quindi non dedicherò più spazio né tempo ad atteggiamenti gratuitamente provocatori come i tuoi. Sono stato e siamo stati fin troppo cortesi con te. Poi vai pure in giro a dire che siamo stalinisti (con tutto quello che ci hanno detto è il minimo), oltre che sfigati, repressi, segaioli, sessisti, maschilisti, fascisti, razzisti, “cessi”, omosessuali repressi, poveri disgraziati ecc. . Non importa. Straparla e getta pure immondizia su di noi sul tuo sito, se vuoi; ci farai solo pubblicità, per quella che sei in grado di fare….
Ma chi vorrà andare oltre questa sequela di sciocchezze , chi vorrà capire, chi vorrà interloquire seriamente con noi lo potrà fare e lo farà, se veramente questa è la sua intenzione. Questa è la sola cosa che conta veramente e, per fortuna, c’è già chi lo fa. Tutto il resto è veramente il nulla.
Fabrizio

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Alessandro 4:13 pm - 19th Giugno:

Però, quanto livore ingiustificato esprimono i Giosby. In fin dei conti testimoniare che la violenza può essere commessa indifferentemente da uomini e da donne mi pare sia nient’altro che una testimonianza di verità, in una società in cui questa viene celata a più livelli. Invece si viene accusati di essere coloro che si augurano casi di violenza commessi da donne. Sinceramente cascano le braccia. Comunque mi sembra una pura e semplice “incursione” provocatoria, perchè l’autore è perfettamente in grado, quando vuole, di esaminare con lucidità ciò che viene scritto.

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Rita 5:32 pm - 19th Giugno:

è una caratteristica che, personalmente, ho notato si ripete ovunque: prima la presa in giro, poi se si argomenta la presa in giro con serietà c’è l’accusa di mancanza di senso dell’ironia, se si risponde alla presa in giro con la medesima arma (pan per focaccia) si passa all’attacco serio, all’accusa di negazionismo della violenza sulle donne, etc etc., dopodichè ci sono gli inviti (se si è in forum generalista) ad ignorare chi propone la QM smile .. ma non ce la fanno, non ce la fanno proprio, …ci sono interi siti che riportano i casi di violenza sulle donne e… non solo, nessuno ha mai notato che in molti casi persino le violenze degli uomini sugli uomini sono ricondotte a una violenza contro la donna?

http://bollettino-di-guerra.noblogs.org/post/2010/05/31/figlio-uccide-il-padre-nel-veneto-con-il-culto-della-famiglia

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giosby 5:53 pm - 19th Giugno:

@Silver
un articolo come quello è una semplice cagata.
@ Icarus10
tu scrivi:
“La verità è che a te fin da piccolo, ti hanno detto che le donne sono superiori e più brave degli uomini,quindi non riesci a darti pace …”
Ma quando mai?
scrivi anche:
“Già, ma per te, essere di sinistra, significa stare dalle parte di TUTTE le donne senza senza se e senza ma, indiscriminatamente.”
Ma quando mai?
Scrivi ancora:
“per te, ogni donna, in quanto donna, è buona e vittima a prescindere, solo in quanto donna,”
Poi scrivi:
“per te, ogni donna, in quanto donna, è buona e vittima a prescindere, solo in quanto donna,
Ma quando mai?
E concludi:
“Non sei sciocco.”
Ma come sei buono e gentile, grazie
smile

@ Leonardo
Scrivi di aver letto in fretta l’articolo postato, e forse varrebbe invece la pena di leggerlo meglio. Comunque grazie che almeno ti sei accorto che ho proposto un articolo …
Scrivi che “la malattia mentale non porta ad uccidere i bambini” !
Davvero credi che uno che uccide i bambini possa essere tanto sano di mente?
Certo che non sempre chi soffre psichicamente arriva alla violenza e all’omicidio, però non credo proprio che atti simili possano verificarsi senza alcun tipo di disagio da un punto di vista psicologico. Non credi?

@ Fabrizio Marchi
Non sono in malafede, proprio per niente. Se poi pensi che un po’ di ironia ti autorizzi a cancellare quello che scrivono gli altri …
La dialettica è fatta anche di questo: provocazioni, disprezzo e irrisione. Perché no?
Se hai argomenti la tua serietà avrà la meglio sulle mie beffe, ma se ti mancano qualcuno potrà anche sorridere del tuo agitarsi a vuoto.
Semplice, no?
Sul fatto di “ravvedersi” io credo semplicemente che se le persone si mettono in gioco per discutere e confrontarsi sono anche disponibili a cambiare opinione.
Altrimenti ognuno sta sul suo pulpito, emana i suoi proclami, e non lascia neanche agli altri lo spazio per commentare (come fa Barnard nel suo sito, per esempio).
Ma se uno spazio è aperto ai commenti deve essere anche aperto alla critica e alla autocritica, altrimenti è una semplice presa in giro.
Inoltre ci possono essere anche lettori che leggono e non intervengono, o non sono schierati a priori.
Perciò il mio scrivere non necessariamente è rivolto a te, ma a chiunque possa riflettere …
Tu scrivi che io scrivo falsità estrapolando frasi dei tuoi ospiti qua e là, mentre io sul mio blog ho scritto in merito a questo sito citando innanzitutto un brano preso dai Principi degli Uomini Beta.
Pertanto chi è in malafede sei TU!

@Alessandro
Non ho alcuna difficoltà a vedere che la violenza esiste anche in campo femminile, anzi vi offro anche un link interessante a proposito:

http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2010/06/17/vanguard_italia_inchiesta_pedofilia_femminile.html

Quello che penso io in sintesi è questo: è vero che ci siano delle persone che affermano la superiorità del genere femminile ed è anche vero che ci sono un sacco di donne eccellenti, come ci sono uomini eccellenti.
Ma credo che se dobbiamo fare una fotografia delle nostra società odierna la bilancia delle ingiustizie e dei soprusi pende ancora a svantaggio delle donne.
Non trovo utile fare il tifo per un genere piuttosto che per un altro, perché non aiuta nessuno a comprendere meglio le dinamiche tra i sessi che sono sempre molto personalizzate.

Se poi vogliamo vivere di luoghi comuni e frasi fatte di cazzate è pieno il mondo.

Non pensiate che abbia sempre tutto questo tempo e voglia di “dialogare” …
Ciao

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Icarus.10 6:21 pm - 19th Giugno:

” Non si può parlare di malattia mentale su ogni crimine.”(Leonardo)

Vero, ma ciò non significa che talvolta, taluni crimini non possano essere ingenerati da un certo disagio/disordine mentale e/o esistenziale. Io da antigiustizialista e umanista , non ho nulla in contrario per principio ad attenuanti o ad analisi sociali e mentali su crimini e violenza commesse da donne. Ciò che mi fa rabbia, è il criterio dei due pesi e due misure di femministi e dalle femministe di “sinistra” nel non applicare questa analisi sociale e umana anche alle violenza commesse da uomini contro donne. In tal caso,si trasformano da progressisti a forcaioli, cosicchè mentre per loro una donna che uccide il figlio è una “povera depressa” che merita di essere perdonata, un responsabile di violenza sessuale(reato molto grave, non discuto, ma meno rispetto ad un infanticidio) oppure un uomo che disperato di essere stato lasciato dalla moglie e come se non bastasse cacciato di casa e senza vedere i suoi figli, la chiama “molte volte” a telefono(cioè il cosidetto “stalking”), invece viene etichettato come “mostro, “orco” e condanato senza pietà a 17 anni di carcere(senza sconti e senza possibilità di arresti domiciliari, per via del decreto sulla violenza sessuale del marzo 2009 formulato da Berlusconi e Lega e con anche i voti della “sinistra”). Ecco, in questo caso lor signori si dimenticano delle loro “analisi sociali”, del perdono e dei diritti umani. Queste cose, per loro, valgono solo per le donne, non per gli uomini.

Carissimo Giosby, non voglio provocarti nè attaccarti, voglio solo parlare e quindi ti chiedo sai quale è la differenza tra voi “progressisti pro-feminist” e noi del MoMas? E che voi, quando parlate di diritti, vi riferite solo alle donne, mentre noi del MoMas ci riferiamo a tutti e due: per noi uomini e donne devono avere pari diritti, sì, ma ANCHE pari doveri, e non mi risulta che voi chiediate anche pari doveri per le donne, ma solo “pari diritti”(e fin qui ci siamo, ma già vi sono pari diritti, non stiamo più a 40 anni fa), oltre che “discriminazioni positive” e “corsie preferenziali”(alla faccia della Costituzione). Inoltre, caro Giosby, lo sai che io sul mio blog nell’ ultimo post ho attaccato un gruppo facebook in cui si istigava al linciaggio contro le due maestre di Pistoia accusate di violenza contro i loro scolaretti? Ebbene, ti sembrerà strano che io l’abbia fatto, ma per me quando si trattano di diritti umani e di comprensione sociale e umana, non c’è distinzione di sesso che tenga, per me valgono sia per gli uomini che per le donne. Al contrario, caro Giosby, secondo te c’è qualche blog o sito femminista che si schiera contro il clima di linciaggio e di forcaiolismo ogni qualvolta la tv ci parla di qualche presunto caso di stupro? No!! Mai!!!! Anzi si avalla questo clima di linciaggio, e si chiedono innalzamenti delle pene oltre che disumanizzare gli arrestati. Quella mentalità “buonista” e “perdonista” che voi riservate alle donne responsabili di infanticidi (e ripeto, non ho nulla in contrario per principio), la negate, invece, per gli uomini resposanbili di violenza contro le donne! Perchè questa disparità di trattamento? Non è sessismo, questo?
Inoltre caro Giosby, tu che dubiti che UB sia di sinistra, posso sapere cosa significa per te essere di sinistra? Si dà il caso che c’è qualcuno qui che negli anni 70 militava nelle formazioni extraparlamentari di sinistra e rischiava la vita nel combattere i fascisti, oppure qualcun altro ch ha partecipato al G8 di Genova del 2001 a rischio della propria pelle di fronte alle violente cariche poliziesche. Tu, Giosby, onestamente, dimmi cosa intendi per “sinistra” e soprattutto esponici il tuo “curriculum” di battaglie politiche e sociali, e quindi solo in tal caso si potà giudicare con cognizione di causa chi è veramente di sinistra e chi no, eh. Caro Giosby, negli anni 70, mentre forse tu magari partecipavi a quelche corteo femminista che lanciava slogan del tipo “il maschio morto non stupra”, mio padre, da sempre critico nei confronti di un certo femminismo, da operaio comunista della Mecfond di Napoli, combatteva e sfidava la Celere, per i diritti dei lavoratori e delle LAVORATRICI e anche per i tuoi diritti, quindi. Per questo, caro Giosby, vacci piano con certi giudizi, eh!
E comunque, da parte mia, più volte ti ho invitato al dialogo qui, non importa se dissenti o meno, l’importante è non denigrarci e schernirci vicendevolmente. Non credi?

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Luke Cage 6:32 pm - 19th Giugno:

Quel bollettino di guerra è in realtà l’eco di una dichiarazione di guerra psicologica già in atto da decenni e per la verità vinta da chi l’ha dichiarata.
Basta leggere la testimonianza di Giosby, che viene qui con le sue reprimende invece “di volgere lo sguardo altrove” dimostrando come il più becero neo-femminismo attecchisca e abbia attecchito presso la maggior parte degli uomini beta (che cercano di convincersi di non essere tali).
“Beata” ignoranza…

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Icarus.10 8:38 pm - 19th Giugno:

“un articolo come quello è una semplice cagata.”(Giosby)

Ecco, apprezzo questa tua critica a quell’ articolo. Noi ce l’abbaimo con quelle persone che scrivono cagate simili, non certo con le donne in generale. Di donne ve ne sono a miliardi. Vi sono donne per bene e donne non per bene. La stessa cosa vale per gli uomini.
Punto.

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Alessandro 9:51 pm - 19th Giugno:

Giosby, ti indico il sito di Andrea Landriscina, dove vi è una casistica minuziosamente descritta, per capire da che parte pende lo svantaggio tra i sessi al giorno d’oggi. La società che ci viene descritta, Giosby, è quella degli anni Settanta sotto questo aspetto, perchè fa comodo ancora descriverla così. Quindi, siccome sei indiscutibilmente una persona intelligente e desiderosa di apprendere, non c’è nessuna ironia nelle mie parole, avrai modo di aggiornarti su questo argomento. Internet, se ben utilizzato può esserti d’aiuto. A me ha aperto gli occhi su questo e altri argomenti, quindi perchè non lo dovrebbe fare con te?Per quanto mi riguarda, sono una persona che si fa spesso, forse troppo, l’autocritica, piuttosto severa nel giudicare gli uomini e non faccio sconti neanche alle donne. Applico la “parità” tra i sessi anche in questo campo. Non faccio, di conseguenza, il tifo per nessuno. Quello lo lascio agli ultras e alle femministe.

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Luke Cage 10:10 pm - 19th Giugno:

Giosby
“Non pensiate che abbia sempre tutto questo tempo e voglia di “dialogare” …”
Ma ci fai o ci sei.
Ci avevi già fatto partecipi delle tue opinioni e sei ancora qui.
Impiega meglio il tuo tempo invece di venire qui a provocare inutilmente.
Lasciaci “bollire nel nostro brodo”.

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giosby 10:52 pm - 19th Giugno:

A parte il fatto che io scrivo per me e rispondo di quello che scrivo io e che non mi sento corresponsabile di tutto quello che hanno scritto le femministe nei secoli dei secoli, l’ultimo suggerimento di Luke Cage mi sembra un’ottima idea!

smile

P.S. Per la patente di Sinistra ripasso l’anno prossimo, oppure scandagliate bene il mio blog, a piacere …

:-)))

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Icarus.10 12:22 am - 20th Giugno:

“Non trovo utile fare il tifo per un genere piuttosto che per un altro, perché non aiuta nessuno a comprendere meglio le dinamiche tra i sessi che sono sempre molto personalizzate.”(Giosby)

Bene. Sono d’accordo con te. Non è qui che si sta facendo il tifo per il genere maschile, ma semplicemente si sta rispondendo alle accuse che da anni la propaganda femminista fa contro il genere maschile. Fermo restando che si dovrebbe ragionare per individui e non per generi(o razze), però dal momento che il femminismo(come quell’ articolo che tu stesso hai definito una cagata) ne fa una questione di generi noi rispondiamo su quel terreno, ma non che definiamo tutti gli uomini bravi e tutte le donne cattive. Sarebbe una stronzata maschilista, speculare a quella femminista,e io francamente non mi riconosco in questa stronzata.

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Marco 8:00 am - 20th Giugno:

ITALIANS – Corriere.it
Il sesso e il piacere
Cari Italians,
mai letto un articolo così sessista. Mi riferisco all’articolo di Susanna Tamaro: «Donne che uccidono i figli: Il senso (perduto) della maternità»: concentrato di clichés, stereotipi e maschilismo.
Riassunto: la colpa è sempre delle donne perché sono diventate cloni degli uomini: non sono più gentili serve sottomesse all’uomo, dedite al suo piacere e ad allevare figli ma pretendono di lavorare, provare piacere sessuale; e tutto cioè naturalmente causa gli infanticidi. L’uomo d’altra parte ha perduto la sua virilità, dovrebbe essere forte, violento e senza sentimenti, in contrapposizione alla donna dolce e sottomessa.
Questi comportamenti sono ancora imposti dalla cultura patriarcale, dall’educazione sessista, dalle pressioni sociali e dalla religione, e mirano a reprimere la sessualità femminile, dando totale libertà all’uomo. Ma guardiamoci allo specchio signore: avremmo il coraggio di ammettere che non vogliamo soffrire ed essere sottomesse, e non facciamo sesso per restare incinte, ma per godere? Il sesso è un istinto egoista, un’urgenza che il corpo reclama, una ricerca di piacere per sé. La donna tutta dolcezza, maternità e dono di sé al maschio sono baggianate, ma, ipocrisia obligé, deve restare un segreto. Chi quando fa sesso ha fantasie di pannolini, biberon e strilli di un neonato? L’idea di una gravidanza non desiderata è un freno alla sessualità femminile. È falso pretendere che le donne non abbiano istinti di violenza: a causa della forza fisica inferiore all’uomo, le donne evitano di ricorrere alla violenza, nuance. La vita è una lotta: l’indipendenza economica e la libertà sessuale mettono in pericolo il sistema patriarcale, e tanto meglio così. Fra le cause comuni dell’infanticidio vi sono la depressione post-partum, negazione della gravidanza e problemi psichiatrici, oppure oscuri motivi morali e religiosi, ma è un fenomeno che era comune nell’antichità.
Anna Sarti

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Alessandro 8:12 am - 20th Giugno:

Ecco Giosby, forse la tua ultima idea è la migliore: ripassa l’anno prossimo dopo che ti sarai aggiornato un pò.

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Fabrizio Marchi 8:35 am - 20th Giugno:

Giosby:”La dialettica è fatta anche di questo: provocazioni, disprezzo e irrisione. Perché no?”.
No, non è così. Un conto è l’ironia che è sempre la benvenuta (ma è evidente che tu ne sei sprovvisto) e un altro è il disprezzo, il dileggio, l’irrisione se non addirittura l’insulto, diretto o indiretto.
In qualsiasi consesso civile, degno di questo nome, si discute, ci si confronta,ci si scontra, anche in modo serrato, come facciamo molto spesso noi e qui tutti possono confermartelo, ma sempre nel rispetto dell’altro. Se manca questo viene a mancare il presupposto stesso del confronto.
Non ci inventiamo pseudo alchimie da baraccone per poter giustificare l’adozione di qualsivoglia comportamento. Non facciamo i furbi perché qui nessuno è fesso, ce lo siamo già detti ma vedo che è bene sottolinearlo.
Comunque, che a te piaccia o no, queste sono le regole che vigono in questo sito. E sono quelle stesse regole che hanno fatto sì che fino ad ora la discussione sia stata di un certo livello e non sia mai degenerata. Altri sono già stati allontanati perché non si attenevano a queste stesse regole e rischiavano di inquinare il blog con il loro atteggiamento.
Non abbiamo nessuna intenzione di trasformare un luogo di discussione ed elaborazione finalizzato alla costruzione di un Movimento in un’arena per un finto combattimento per galli o galletti (specie quando il più delle volte si rivelano essere dei polli…).
Se per qualsiasi oscura ragione (e ribadisco che per me non è neanche tanto oscura) hai interesse a frequentare questo blog, sappi che queste sono le condizioni.
Ora lo sai, da qui in avanti regolati di conseguenza.
Fabrizio

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Rino 8:39 am - 20th Giugno:

Giosby
>> La dialettica è fatta anche di questo: provocazioni, disprezzo e irrisione. Perché no? >>

Questa nuova definizione di “dialettica” suona sospetta: permette di tutto. A chi la propone ovviamente.

Nei tuoi interventi non c’è mai stata alcuna argomentazione. Solo battute, insinuazioni, canzonature. Incomplete però. Mancano infatti molti di quegli insulti che ci siamo presi nel corso di un paio di lustri, noi del Momas. Non avere paura: vuota il sacco una volta per tutte e mandaci a quel paese.

Non è una sfida beffarda: è un amichevole invito alla liberazione psicologica.

Ma temo che tu non te la senta di insultarci apertamente a 360 gradi. Lo faccio io:
è vero, siamo sfigati, segaioli, falliti, complessati, perdenti. Presuntuosi, permalosi, ignoranti, e saccenti. Invidiosi, gretti e meschini. Parassiti, abusatori e picchiatori. Brutti, sporchi e cattivi.

Quanto a me personalmente, ai tempi migliori ce l’avevo piccolo e malfunzionante. Potrei continuare ma devo chiudere: è l’ora in cui devo andar a bastonare mia moglie. Prima il dovere e poi il piacere…

RDV

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