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Il 21 maggio del 2007 la società di comunicazione Gawker Media comunicava al mondo la nascita di Jezebel: un sito di informazione di stampo fortemente femminista.
Lo scorso 9 di novembre, dopo sedici anni di attività ed un paio di passaggi di proprietà, l’attuale gruppo detentore di Jezebel, G/O Media, ha licenziato l’intero staff e chiuso il sito.
Jezebel era una rivista online che potrebbe essere definita come modello rappresentativo della propaganda politicamente corretta. Affrontava tematiche di genere con un taglio tranchant, promuovendo il presupposto narrativo-ideologico femminista (donne oppresse e uomini privilegiati) e facendosi canale di elargizione di quell linguaggio divenuto appannaggio della sinistra liberal (quindi pregno di espressioni come: “maschi tossici”, “mansplaning” e “patriarcati” da abbattere).
Nei notiziari esteri l’argomento è stato trattato maggiormente, in Italia si possono trovare pochi articoli circa la chiusura di Jezebel, ma in entrambi i casi la posizione maggioritaria da parte dei media vuole la chiusura della celebre rivista online come un avvenimento negativo, dovuto ad un peggioramento della società e della politica. Il sito viene descritto spesso alla stregua di un baluardo della libertà drammaticamente caduto..
Ma esiste una lettura alternativa circa la chiusura di Jezebel e riguarda la credibilità ed il consenso che questo apparato ideologico politicamente corretto (di cui il femminismo è un tassello strutturale) sta perdendo di fronte all’opinione pubblica.
Sarebbe insensato sostenere che nella società del capitalismo post borghese una compagnia del settore dei media possa prendere decisioni così pesanti per motivazioni che non siano economiche: l’unico dato di valore in questi casi resta quindi la vendibilità del prodotto ed evidentemente Jezebel era sempre meno vendibile.
È vero che la critica al femminismo esiste fin dagli anni ottanta grazie ad autori come Warren Farrell ed Erin Pizzey, è vero anche che una corrente di autori critici un po’ più massiccia ha cominciato a esistere da almeno una ventina di anni, ma una cosa sono i singoli autori che possono essere lungimiranti e anticipare i tempi, ed un conto è l’effettivo cambiamento dello spirito del tempo storico: e questo spirito critico nei confronti dell’ideologia femminista sta attecchendo (timidamente) nella nostra società da un decennio scarso (sicuramente l’uscita del documentario di Cassie Jaye, “The Red Pill“, è stato uno dei momenti fondamentali per iniziare uno sdoganamento pubblico di questa critica).
Non ci si deve sorprendere, visto quanto detto, del fatto che anche lo stesso sito di Jezebel avesse iniziato ad essere esposto a forme di critica e di pubblica satira sugli argomenti sempre più sottoposti a vaglio critico da parte dei movimenti di controcultura. Disparità di lettura a parità di condizioni, misandria, doppio standard: le schiere di critici hanno cominciato a far sempre più presenti queste contraddizioni (esaltate dalla pretesa del femminismo di essere la parte “inclusiva”) tramite commenti, articoli o meme come questo:
È chiaro, quindi, che la G/O Media avrà fatto i propri conti e le proprie indagini di mercato prima di prendere la decisione definitiva. E se la decisione è stata quella di chiudere il sito, in un contesto nel quale l’unica stella polare di aziende e compagnie è il profitto (quindi seguire le preferenze delle masse), forse una piccola speranza può ora esser colta, in un mondo che sta nuovamente cambiando e che dialetticamente sarà sempre capace di superarsi: d’altronde la storia non finisce (a discapito di chi ha tentato di sostenere il contrario).
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