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I nazisti e i fascisti sono alle porte, ora anche il patriarcato, l’elenco dei nemici immaginari su cui proiettare le cause del male che corrode la società “a neoliberismo integrale” ha un nuovo nemico: il “patriarcato”. Sul mercato dell’offerta formativa dei nemici il patriarcato è l’ultimo arrivato. I tre nemici del genere umano a cui imputare le colpe del disastro antropologico e sociale regnante sono caduti da non poco tempo, ma pochi sembrano accorgesene. Il nazi-fascismo è caduto nel 1945, il comunismo nel 1991 (tutti allegramente accomunati…), il patriarcato nel 1968. Si lotta contro le ingiustizie chiamando in causa gli spettri. Generazioni deformate da istituzioni scolastiche che prediligono le competenze del fare senza contenuti sono vittime e complici inconsapevoli di un sistema deviante. Non hanno strumenti per capire il loro tempo, in quanto il sapere critico necessita di contenuti e di autonomia. Siamo dinanzi a generazioni incolte e mediaticamento guidate.
Il complesso di Telemaco, la nostalgia del padre, è stato cancellato con un battito di ciglia, giovani senza padri, senza comunità e famiglia improvisamente colpevolizzano i padri, sotto il controllo degli adulti organici al sistema, per la cultura di violenza e sopraffazione che circola nel corpo sociale. I padri sono scomparsi, non vi sono leggi o regole nelle famiglie ridotte, in media, ad una giustapposizione di individui speculare all’atomistica delle solitudini che vige nel tessuto sociale, ciò malgrado si urla e si battono le mani per accusare gli spettri. Ogni figura che rappresenti il Katecon si è inabissata, ciò malgrado si grida all’abbattimento del patriarcato. Il principio di realtà sembra essere scomparso. I media di regime concordano con l’interpretazione regnante e la sostengono con pubblici processi. In questo clima di derealizzazione assoluta si tace sulla guerra in Ucraina e sulla violazione dell’articolo 11 della Costituzione, si occultano le violazioni dei diritti umani in Palestina denunciate dall’ONU. Silenzio assoluto sulla sentenza di primo grado al maxiprocesso dalla ndrangheta, in cui sono imputati esponenti della politica appartenenti ai partiti al governo. Su non pochi giornali stranieri la notizia del maxiprocesso è riportata con notevole rilievo, in Italia il velo dell’ignoranza è sovrano. La funzione strumentale dell’ultimo “femminicidio” è palese, infatti i dati sui “femminicidi” trovano l’talia agli ultimi ultimi posti:
Ogni vita umana negata e spenta è una tragedia che coinvolge la comunità tutta, ma usare tali tragedie per fare audience e deviare l’attenzione dell’opinione pubblica è assai grave in una democrazia. Il termine femminicidio dovrebbe essere oggetto di riflessione, in quanto il genere umano è uno, ovvero l’umanità che si esprime nel genere maschile e femminile. Il termine femminicidio veicola un messaggio divisorio. Le parole non sono neutre, nella mente di una giovane si disegna un pregiudizio: si associa inconsapevolmente la figura maschile ad un potenziale assassino e un giovane in formazione potrebbe vivere la propria identità in modo problematico e con disistima di sé. La violenza si annida nel rabbioso disprezzo di sé pronto a scaricarsi in modo improvviso.
Non sono pochi i casi di uomini uccisi dalle donne, ma pare che simili omicidi facciano meno scalpore, non occupano gli spazi mediatici. Ammazzare un uomo o una donna in una relazione di coppia è egualmente grave, invece gli spazi mediatici sono distribuiti in modo anomalo. A nessuno dei contestatori sorge il dubbio che la violenza “potrebbe essere” il parto di una società curvata sul consumismo e sull’anomia generalizzata. Competizione e adorazione feticistica per il denaro e il dominio conducono alla violenza nella forma della Gewalt. La violenza associata al dominio, la Gewalt, è la condizione per relazioni violente e insoddisfacenti. Si stima la forza del denaro, si disprezzano i deboli. Le giovani donne e i giovani uomini che protestano contro i femminicidi non hanno la chiarezza di una verità evidente: i rapporti di dominio nel sistema capitalistico sono la normalità, e tali logiche deformano gli esseri umani e li trasformano in veicolo potenziale di violenza. Il capitalismo è il problema reale, ma al momento siamo distanti dalla consapevolezza collettiva.
In assenza di figure genitoriali consapevoli e stabili le nuove generazioni coltivano un “io fragile” e “dipendente”. Si percepiscono come onnipotenti, possono e vogliono tutto, il mercato ringrazia naturalmente, pertanto i “no” che inevitabilmente giungono nei rapporti di coppia possono essere vissuti in modo tragico.
Nelle istituzioni scolastiche, lo si verifica dalle cronache, le regole sono vissute come un’offesa, i limiti non sono tollerati, e ad essi si reagisce con violenza. Inasprire le pene serve a poco probabilmente, poiché se si percepisce la propria esistenza come dipendente in senso assoluto, se il soggetto da cui si dipende si oblia, il mondo crolla con tutto quello che ne segue, pertanto l’inasprimento non previene il crimine. In molti casi si tratta di soggetti disturbati e affetti da narcisismo, per cui il principio di realtà non entra nelle loro vite. Dobbiamo porci la domanda sul perché questo accada per prevenire tali crimini, ma la volonta non sembra esserci.
Le relazioni di coppia potrebbero essere rese più difficili e frustranti dal tipo antropologico fluido; chiedere ad una donna di essere una monade in carriera simile agli uomini duplicando il modello liberista e agli uomini di coltivare solo la loro parte femminile contribuisce a formare soggetti dalle identità inquiete, perché vivono in modo conflittuale la loro natura di genere.
Siamo dinanzi ad un nuovo capitolo della storia del neoliberismo, si usano taluni crimini per deviare l’attenzione dal presente storico, e si dirotta la rabbia sociale verso uno spettro sconosciuto e indefinito: il patriarcato. L’abitudine a dipendere dai media, e la disabitudine ad incontrarsi per parlare, documentarsi e impegnarsi ad ampio spettro produce i suoi guasti e inficia la democrazia. Fin qundo si inseguiranno gli spettri il capitalismo mercificante e competitivo non fermerà la sua corsa distruttiva. Per combattere le violenze polimorfe che affliggono e tormentano i singoli e le comunità è fondamentale chiarirne le cause e queste ultime non le si ritrovano sui media. È necessario essere d’ausilio ai giovani per insegnare loro a pensare fuori dal cono di luce dei media e dei social. Senza categorie interpratative solide ci si affida agli slogan e al politicamente corretto, si cade in una pericolosa palude senza prospettiva storica.
L’esodo dal politicamente corretto e dalla chiacchiera mediatica è la condizione per emanciparci faticosamente dalla spessa trama di menzogne e manipolazioni che disegnano una realtà che utilizza la violenza anche quando la deve denunciare.
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