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La nuova pubblicità TIM parla di una presunta discriminazione contro le donne sul lavoro. Gli elementi principali, per questa pubblicità, sono 3: Penalizzazione per aver avuto o volere figli, Gender Pay Gap e Molestie. Analizziamole tutte e tre.
- Avere Figli (Congedo di Paternità):
In primis, “Avere figli ti ha penalizzato?”. Il punto è: perché avere figli penalizza sul lavoro? Cosa gliene importa al datore di lavoro se vuoi o meno figli? Gliene importa perché manchi dal lavoro ma vieni comunque pagato. Ma se il problema è mancare dal lavoro, perché agli uomini questo non penalizzerebbe? Perché gli uomini hanno un congedo di paternità pari a un seme di senape. È minuscolo e praticamente inesistente.
Quindi capiamo subito una cosa. Non è la donna penalizzata a parità di congedo, ma è l’uomo penalizzato e privato di un congedo di pari tempo e pertanto – essendo più sfruttabile lavorativamente – viene preferito rispetto a chi ha più diritti. Quindi l’uomo è preferito perché più sfruttabile e con meno diritti, non perché ne ha di più. Perché l’uomo è privato del diritto al congedo di paternità. Ovvero si tratta di un fuoco di ritorno, di un rinculo di un diritto negato agli uomini, ossia misandria e non misoginia.
L’idea che avere un figlio possa penalizzare sul lavoro è quindi una conseguenza e non la causa. Questa situazione si verifica infatti perché agli uomini viene negato il diritto al congedo di paternità. Questo, dunque, non è un diritto in più agli uomini, ma un rinculo di un diritto NON concesso agli uomini. Questa dinamica evidenzia magistralmente come il fenomeno della misandria sia spesso camuffata da misoginia.
- Secondo punto: “Gender Pay Gap”.
Per quanto concerne il Gender Pay Gap, ovvero il presunto gap salariale, spieghiamo come mai sia un mito. Il gender wage/pay gap non viene infatti calcolato a parità di carriera e ore lavorate ma si tratta di semplici scelte lavorative. Per cui le donne scelgono maggiormente lavori part time e carriere con un salario medio minore rispetto alle carriere che scelgono gli uomini. Inoltre, gli uomini fanno più lavori full time. L’orario a parità di lavoro è deciso invece dai contratti collettivi, i CCNL, che non fanno distinzione di genere.
Almeno dal 1956 non si può fare differenza di salario. Infatti, se fosse altrimenti, tutti assumerebbero solo donne perché gli costerebbe di meno:
Legge Ordinaria n. 741 del 22/05/1956 (Pubblicata nella G.U. del 27 luglio 1956 (suppl. ord.))
Ratifica ed esecuzione delle Convenzioni numero 100, 101 e 102 adottate a Ginevra dalla 34a e dalla 35a Sessione della Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro.
“Art. 1.
Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare le seguenti Convenzioni adottate a Ginevra dalla Conferenza dell’Organizzazione internazionale del lavoro:
1) Convenzione n. 100 concernente l’uguaglianza di remunerazione tra la mano d’opera maschile e la mano d’opera femminile per un lavoro di valore uguale – Ginevra, 29 giugno 1951”
Infatti, la stessa Unione Europea, parlando di Gender Pay Gap, spiega che non è dovuto se non in minima parte alla discriminazione (al punto da non risultare nemmeno percentualizzabile – il documento infatti li definisce “some cases” e ci tiene subito a specificare che: “However, the principle of equal pay for work of equal value is enshrined in the European Treaties (article 157 TFEU) since 1957.”), ma sia spiegato da:
– Sectoral segregation: Around 30% of the total gender pay gap is explained by the overrepresentation of women in relatively low-paying sectors, such as care and education. On the other hand, the proportion of male employees is very high (over 80%) in better-paid sectors, such as science, technology, engineering, and mathematics (STEM).
Ovvero scelte di carriera.
– Work-Life Balance: le donne fanno più lavori part time, fanno meno lavoro fuori casa degli uomini ma spendono più tempo degli uomini a casa con figli e cura dell’abitazione.
Dunque, più part-time (pagati meno) e meno ore lavorative (quindi meno paga).
Ovviamente a casa tua non ricevi uno stipendio mentre fuori sì. Per riequilibrare servono congedi di paternità tanto lunghi quanto quelli di maternità. Il numero di casalinghe rispetto ai casalinghi pesa, ma c’è da dire che più uomini che donne hanno la pressione a mantenere una persona che non lavora. Una donna di solito non ha la pressione a mantenere un uomo casalingo, testimonianza di ciò è il numero di suicidi per motivi economici: 95% uomini. Quindi bisogna dare agli uomini la possibilità di essere mantenuti da donne come società sdoganando la figura del casalingo e dando loro congedi di paternità lunghi quanto quelli di maternità.
– The position in the hierarchy influences the level of pay:
Se per via del fattore precedente c’è meno tempo al lavoro rispetto a casa per badare a figli e abitazione, allora c’è anche un minor numero di manager donne e capi d’azienda donne. The gender pay gap situation in the EU
Similmente anche in tutti gli altri Paesi Europei. Ad esempio, dal Governo britannico: It’s official: “The gender pay gap does not show differences in pay for comparable jobs. Unequal pay for men and women has been illegal for 45 years.” UK gender pay gap
- Terzo punto: Molestie sul Lavoro.
L’Istat, nel 2018, ha rilevato per la prima volta le molestie a sfondo sessuale ai danni degli uomini, e ha stimato che “3 milioni 754mila uomini le abbiano subite nel corso della loro vita (18,8%), 1 milione 274 mila negli ultimi tre anni (6,4%)”.
Tuttavia, questi dati non ci rivelano la vera percentuale, perché come rivela l’Istat stessa, buona parte degli uomini non considera quella che ha subito come molestia, non la chiama così, non la riporta o tende a sminuirla come meccanismo di difesa per il mancato supporto della società nel caso volesse denunciare il fenomeno subito (52,8% degli uomini rispetto al 23,6% delle donne), per cui ancora oggi risulta molto difficile che la società empatizzi per vittime maschili di molestie al posto di deriderle o accusarle di deviare il discorso dalle vittime femminili.
Considerando che negli ultimi 12 mesi gli uomini risultano 1/3 delle vittime di molestia secondo i dati Istat, e tenendo conto del forte underreporting, è molto probabile che il numero sia maggiore e se non pari a quello femminile ad esso comunque molto vicino. Anche tenendo conto dei dati under-reported dell’Istat, certi tipi di molestia molto pesanti, come l’esibizionismo, sono sostanzialmente pari tra uomini e donne negli ultimi 12 mesi (uomini 0,3% vs donne 0,4%).
Per quanto riguarda le molestie fisiche, addirittura negli ultimi 12 mesi risulta che il 15,3% dei maschi vs solo l’1,3% delle femmine ha subito più di 10 atti di molestie fisiche. Per chi ha subito molestie solo una volta i numeri sono simili (46,2% di uomini vs 49% di donne), così come da 2 a 5 volte (37,8% di uomini vs 38,8% di donne). Gli atti di esibizionismo erano 18,8% per gli uomini vs appena 2,7% per le donne in chi aveva subito da 6 a 10 episodi, e 32,0% degli uomini vs 27,6% delle donne per chi aveva subito da 2 a 5 episodi. I 12 mesi, rispetto al lifetime, sono più attendibili, quindi ci basiamo solo su quelli.
Purtroppo abbiamo solo il lifetime per chi ha subito molestie quando era minorenne, quindi è sicuramente il numero reale è di molto maggiore, ma le vittime maschili minorenni di molestie sono davvero un problema serio. Prendendo comunque i numeri sotto riportati dell’Istat del lifetime, i minorenni che hanno subito da 6 a 10 episodi di molestie sono più maschi (1,5%) che femmine (1,1%), così come i minorenni che hanno subito da 2 a 5 episodi (maschi 26,7% vs femmine 24,3%).
Similmente, nel lifetime gli autori di molestie risultano maggiormente altri uomini, ma questo fenomeno è noto in Paesi come gli Stati Uniti, che vedono nel lifetime una maggioranza di autori uomini di vittime maschili e poi nei 12 mesi precedenti una maggioranza di autrici donne di molestia.
Anche questo, è per via dei numerosi bias del lifetime rispetto ai 12 mesi precedenti: “One-year prevalence ‘are considered to be more accurate [than lifetime rates] because they do not depend on recall of events long past‘” Bert H. Hoff. (2012). US National Survey: more men than women victims of intimate partner violence. Journal of Aggression, Conflict and Peace Research, Vol. 4 Iss: 3, pp. 155 – 163.
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