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Recentemente è passata inosservata la notizia di un giornalista irlandese che si è trovato al centro di un siparietto inaspettato e poco decoroso in quel di Lingfield, nella contea di Surrey in Inghilterra: Mick Fitzgerald (questo il nome del giornalista in questione) si trovava all’uscita del Lingfield Park (un noto ippodromo inglese) e stava lavorando come inviato per l’emittente privata Sky Sports, quando una donna poco sobria ha cominciato a molestarlo. Inizialmente lo ha infastidito solo a parole, poi tentando di leccargli il collo ed infine facendo battute riferite alla propria “lubrificazione vaginale”, dopodiché la rete ha interrotto il collegamento.
La storia appena citata sembra fare il paio con quella avvenuta l’anno scorso, fuori dai cancelli del settore ospiti dello stadio Castellani di Empoli, quando la giornalista Greta Beccaglia venne sculacciata dall’ormai noto Andrea Serrani, condannato prima a un anno e sei mesi e poi a intraprendere un percorso di recupero. Viene naturale confrontare i due episodi per poi notare il doppio standard sociale e mediatico che questo confronto mette in evidenza: infatti, se la storia di Mick Fitzgerald fosse avvenuta a sessi invertiti, di certo non sarebbe passata in modo così impunito e sotto forma di simpatico siparietto. Al contrario si sarebbe sollevato un vespaio politico e mediatico, il molestatore sarebbe stato sotto i riflettori di tutte le stampe e si sarebbe beccato un processo per direttissima con tanto di sentenza/monito, proprio come è accaduto al povero tifoso della Fiorentina.
Non può non definirsi contraddittoria una società nella quale, a parità di condotta molesta, due persone ricevono pene e attenzioni mediatiche estremamente differenti. Diventa difficile non pensare che il femminismo ed i movimenti femministi abbiano giocato un ruolo in queste dinamiche di doppio standard: se il femminismo fosse, infatti, paritario e universalista come pretende di essere, avremmo dovuto vedere delle risposte equivalenti nei casi di molestie sessuali avvenute in diretta televisiva, a prescindere dal sesso del molestatore. Ma questo non avviene perché il femminismo interpreta la parità sulla base di un presupposto falso: tale presupposto è la millenaria oppressione che gli uomini avrebbero eseguito sulle donne.
Se l’oppressione che il femminismo denuncia da più di cento anni fosse vera, sarebbe ovvio che tutte le azioni politiche eseguite in nome della parità dovrebbero essere di natura risarcitoria e quindi squilibrata: è chiaro che per rendere uno schiavo pari a un uomo libero bisogna dare diritti a quello schiavo. Ma analizzando e passando al vaglio critico la narrazione storica femminista, molti autori come Warren Farrel, Santiago Gascò Altaba o Fabrizio Marchi, hanno sottolineato la debolezza di tale narrazione e dell’idea di un’oppressione univoca esercitata dagli uomini nei confronti delle donne, sottolineando come i ruoli di genere abbiano comportato per gli uomini una serie di svantaggi pari, se non superiori, a quelli riservati alle donne.
Se si segue tale critica si può anche comprendere come mai la narrazione femminista, oggi istituzionalizzata e largamente interiorizzata dalle popolazioni occidentali, causi diseguaglianza nel nome dell’eguaglianza. Lo fa introducendo una dinamica di rivendicazione, da parte delle donne, nei confronti di una società maschilista che le opprime e che le ha sempre oppresse. Una società dei cui mali è responsabile la sola popolazione maschile: così la scenetta andata in onda su Sky Sport rimane solo un simpatico imprevisto sul quale fare qualche battuta, mentre la molestia ricevuta dalla Beccaglia l’anno scorso era una brutale forma di oppressione e oggettificazione della donna da parte del maschio patriarcale (e per questo merita maggiori attenzioni, punizioni e reazioni).
In questo modo, come in tantissimi altri, la bizzarra e parossistica società occidentale, guidata dalla sua impalcatura ideologica del politically correct, ci convince che la diseguaglianza è eguaglianza e che, a parità di molestia, due persone possono ricevere reazioni differenti. Forse, a pensar male, si potrebbe anche avere l’idea che media e movimenti femministi abbiano sbagliato volontariamente l’oppressore da incolpare. Forse questo errore volontario è commesso nel nome di coloro che, storicamente e materialmente, sono i veri oppressori. Se infatti i presupposti storico narrativi del femminismo sono facilmente confutabili, meno confutabile è il fatto che le elite dell’occidente, capitalista e liberale, mettano in atto una società di sfruttamento da più di due secoli, causando una forma di oppressione (questa volta vera) che non fa distinzione di sesso, ma che permette a pochi e ricchi parassiti di sfruttare il lavoro delle classi subordinate.
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