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Un rischio dell’antifemminismo si è presentato in questi giorni: Nadia Somma addita la reazione maschile ai centri antiviolenza come una prova dei «fascismi» correnti e latenti. Non ricordo che si sia gridato «al fascismo» quando le misure di sostegno ai poveri sono state neutralizzate (così da soggiogarli di nuovo alla classe imprenditoriale) o quando è venuta fuori la faccenda dell’onere della prova per gli accusati di molestie sessuali. Questa strumentalizzazione del dissenso – dissenso frutto d’un clima caldissimo nato non da una presunta volontà maschile di reagire «fascisticamente» ai cambiamenti (ma questi reazionari, poi, qualcuno si è interessato a scoprire a che classe sociale appartengono?) – potrebbe scoraggiarci e invitarci ad abbandonare la lotta, ma è necessario continuare a far prender coscienza alla gente della situazione attuale. Abbiamo in Italia, ora, circa 4 centri antiviolenza che accolgono le istanze maschili, ma la Somma fa passare come delirante il timore della discriminazione maschile. Soprattutto è imbarazzante che il suo tentativo di rincuorare gli uomini (in un’epoca in cui pseudo-filosofi dichiarano in camera che il maschio è meglio s’abitui al mero statuto di fuco, perché il mondo è ora delle donne) s’accompagni all’affermazione – ancora – che la violenza di stampo maschile sia sistemica: ma quella degli uomini contro gli uomini o quella degli stessi contro le donne? Lei finisce questo passaggio alludendo alla seconda delle due, e in effetti soffermarsi sulla prima avrebbe spinto a riconoscere che se ci sono uomini carnefici ci saranno anche uomini vittime dei primi: e quanti ce ne saranno?
Mi dispiace ma questa teoria della violenza sistemica sarà sempre inaccettabile. Quale violenza? Quella solo fisica? Ma questa è una furbata. Accantonando tutti gli altri tipi di violenza di cui una donna è capace perché alla sua portata (e di cui non sembrano esistere statistiche chiare e precise), si rifletta su ciò: tendenzialmente la nostra società non è insensibile fino al punto di “buttare nella mischia” le donne (cioè nel tritacarne sociale in cui il singolo deve combattere con gli artigli per una fetta anche misera di guadagno) senza nessuna tutela. Anzi: quote rosa nel privato e nel pubblico, centri antiviolenza (che hanno un’utilità più politica che pratica), incentivi per l’impresa femminile, uno star e influencer system che – superficialmente, chiaro – esalta la figura femminile in ogni sua forma e scelta. (E, volendo, possiamo ricordarci come ancora oggi non sia biasimata la donna che scelga di non lavorare per dedicarsi alla casa o alla famiglia: questa tendenza è furbescamente velata dall’asserzione che si tratterebbe sempre e comunque di oppressione della libertà femminile stabilita dal patriarcato.) L’uomo, invece, con le sue sole forze, deve farsi strada nel mondo e ciò implica che molti di loro in questa competizione, in questo gioco al massacro, ricorrano alla violenza, anche senza che ciò facesse parte della loro natura. Dunque, brutalmente: la donna ha meno ragioni per ricorrere alla violenza. O, meglio ancora, la donna intenzionata a praticare il male ha meno ragioni di ricorrere alla violenza fisica. Oltre agli incentivi decisi dalla società di cui le donne godono solo in quanto donne (li ho elencati sopra), aggiungiamoci anche una facoltà che si teme di riconoscere: il potere sessuale. Quella forza di attrazione difficilmente negabile che risparmia alle donne, nel nostro mondo occidentale e non solo, tante ambasce e grattacapi, e da cui possono ottenere vantaggi sia onesti che disonesti (a scelta), in ambito privato e lavorativo (vorreste fare un confronto tra la paga di un buttafuori e quella di una hostess?). In definitiva: le statistiche vagamente citate dalla Somma non sono in grado di parlarci di tutte quelle donne che non hanno bisogno di insozzarsi dei segni della violenza, perché – semplicemente – hanno chi s’insozza al posto loro. Un’altra occasione per tranquillizzare gli uomini è andata perduta, non si è stati capaci di gestire le contraddizioni.
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