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18 Mag 2024  |  0 Commenti

Quale interlocutore, esiste un femminismo non organico al capitale?

L’attuale contesto storico vede l’egemonia del femminismo liberale la cui ideologia si integra perfettamente con il modello neoliberale occidentale. Al di sotto di questa ampia coperta pseudo-ideologica agiscono ancora le due forme di femminismo duali l’una dell’altra – il femminismo della differenza e il femminismo queer – che però si integrano vicendevolmente rendendo difficile se non impossibile il dialogo con chiunque si ponga in una posizione critica nei confronti del sistema capitalista, elevato ormai da tempo ad una sorta di condizione ontologica e quindi non superabile. Nonostante il secondo sia quello maggiormente favorito dal capitale globale, il primo, ancora molto diffuso soprattutto in Italia, sta vivendo un suo revival, ma si tratta, nella sostanza, di due facce della stessa medaglia: il femminile concepito come migliore/superiore rispetto al maschile individuato come responsabile dell’oppressione delle donne e di altri “gruppi”, fin dall’inizio dei tempi. Al momento sembra mancare un vero interlocutore.

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Il femminismo e il maschile

Tutto il femminismo o tutti i femminismi si basano sulla totale cancellazione del lato maschile della società. I femminismi si occupano solo di donne, a chi chiede se il femminismo favorisce anche gli uomini, si risponde sempre di sì, ma quando poi si chiede un effettivo riscontro ci si scontra col fatto che le femministe non hanno a cuore i problemi degli uomini (come i morti sul lavoro, i suicidi, i morti in guerra), nell’analogia del campo di calcio, dovuta a Santiago Gasco Alba: si guarda solo un lato del campo quello femminile e si ignora l’altro. Tutto ciò che fanno gli uomini è ‘cosa da uomini’, mentre se le donne fanno azioni da uomini esse sono derubricate come aver preso un cattivo modello. In questo senso la ‘virilità’ auspicata dal femminismo è una virilità depotenziata, perché per qualsiasi femminismo la virilità è associata con egemonia o tossicità del maschio secondo i contesti. A volte tutto questo è definito col termine ora tornato di moda “patriarcato”, termine che, senza essere rapportato alle vere strutture sociali (patrilocalità, matrilocalità) è spesso usato in modo improprio per definire l’oppressione che gli uomini eserciterebbero sulle donne. Non si capisce dunque dove mettere il confine, donne si comportano da uomini o uomini si comportano da donne, si configura così un equivoco che falsa del tutto i rapporti alla ricerca di una presunta nuova via per gli uomini ‘stressati’ dalla condizione post-moderna (come se non lo fossero mai stati in precedenza).

Femminismo liberale

Vi è una sufficiente coscienza anche in certe analisi che il femminismo liberale è un’ideologia interclassista e fondamentalmente reazionaria. Il femminismo liberale è quello propagato dal mainstream, quello dei riti di massa del 25 novembre e dell’8 marzo, della ‘violenza di genere’ che è un solo genere quello maschile, del gender gap, nella sostanza inesistente, vi è un’ampia manipolazione dei dati favorita dalle istituzioni sia nazionali, europee, sovranazionali da UN Women fino all’ISTAT. Con questo tipo di femminismo, che è il femminismo della donna “emancipata”, che di solito ha letto molto poco di letteratura femminista o critica, o dell’uomo “progressista” che ha un’idea del femminismo come lotta per la parità di genere da parte delle donne. Il femminismo liberale, che è quello praticato dalla maggioranza delle donne in politica che si definisco progressiste, anche se sono magari di destra, ha permeato il dibattito politico sui generi spostando l’attenzione dalla sfera sociale alla sfera dei diritti, introducendo ad esempio concetti come “certificazione della parità di genere”, “quote rosa”, legislazioni emergenziali in tema di violenza sulle donne con una deriva verso la situazione spagnola ove vige una legge che è incostituzionale, arretramento sull’affido condiviso dei figli riuscendo tramite l’influenza sulla magistratura a depotenziarne gli effetti tramite l’introduzione della figura del ‘collocatario’ (che poi è quasi sempre la madre), fino alla tuttora confusa definizione di femminicidio come omicidio di una donna “in quanto donna” cosa che porta subito a macroscopiche contraddizioni abilmente messe a tacere dall’apparato mainstream. Il femminismo liberale non è un interlocutore in nessun senso per chi volesse rifondare un’ipotesi di socialismo, esso è una struttura portante del sistema insieme al politicamente corretto, all’ideologia del mercato, all’individualismo programmatico.

Le matrici ideologiche

Il femminismo liberale tuttavia prende, mescolandoli insieme a volte, concetti che sono espressi da due correnti di pensiero maggiormente ideologiche del femminismo. Il femminismo queer e il femminismo della differenza.

Femminismo Queer

Uso il termine “queer” per evitare confusione con la ‘teoria del gender’ che è spesso invocata a destra e che per i difensori di questo pensiero è “inesistente”; tuttavia, esiste certamente un femminismo queer nella misura in cui esso rifiuta la divisione delle persone in due categorie ben precise, uomini e donne, indipendentemente dai loro gusti sessuali; quindi, queste categorie sono viste come sfumate e addirittura confuse l’una nell’altra nel neologismo “non-binario”. In qualche modo si assume che l’uomo/donna è infinitamente plasmabile e che ogni sua determinazione è in realtà una costruzione culturale o, meglio ancora, gli individui non fanno altro che ripetere delle performances (Butler) del tutto indipendenti dal genere e dal sesso biologico [1]. Anche per questo il femminismo queer è particolarmente attento al linguaggio poiché ritiene che la chiave del potere sia nelle parole (Michela Murgia ne era un’esponente tipica a metà tra consacrata icona del femminismo liberale e femminista queer nell’ideologia). È appena il caso di notare che questa visione dell’individuo è quella che meglio si sovrappone al modello neoliberale dell’individualismo assoluto per poi sfociare nelle illusioni del transumanesimo, e pertanto come ha mostrato Silvia Guerini[2] è anche quello che riceve i maggiori finanziamenti dalle multinazionali globali. Il favore delle istituzioni (anche quelle apparentemente più conservatrici ricordiamo i passi della Chiesa Cattolica verso il mondo LGBT+) e del mondo imprenditoriale verso questo tipo di femminismo è anche favorito dal fatto che esso tende a smorzare le tensioni demolendo le identità, siano esse sessuali, etniche, di classe, anche le stesse identità LGBT+ sulle spoglie delle qualila teoria queer è nata, rendendo l’individuo una monade indistinta, il prototipo del consumatore universale.

Femminismo della Differenza

Il femminismo della differenza nasce con la c.d. seconda ondata femminista ovvero tra gli anni 70 e 80 del secolo scorso. Esso porta alle estreme conseguenze la natura dell’alterità, della differenza tra uomo e donna arrivando a teorizzare una lotta tra generi preesistente e prevalente rispetto alla lotta di classe. Una struttura di lunga durata che nasce con la specie e dura tutt’ora e che vede una sostanziale lotta per il dominio tra matriarcato, perdente finora, e patriarcato. Il femminismo della differenza esalta la donna come sistema valoriale a sé, addirittura definendola come fosse una specie diversa dall’uomo. In Italia la tradizione del femminismo della differenza ha molte importanti teoriche come Carla Lonzi, Marina Terragni, Lea Melandri e molte altre. Oggi questo tipo di femminismo ha un revival in funzione di alcuni fattori: la necessità di dare profondità ideologica al femminismo liberale per quella parte di donne e uomini che stentano a riconoscersi in un femminismo queer troppo lontano dalla vita reale delle persone; la polemica a volte violenta con il femminismo queer su alcuni temi come il transgender o la GPA che le femministe della differenza sentono come un attacco al femminile, in modo non dissimile forse da quanto gli uomini sentano tutto il femminismo, come un intero, come un attacco al maschile. Tuttavia, anche il femminismo della differenza si basa sulle stesse identiche premesse del femminismo liberale o queer: il punto principale è la grande metanarrazione dell’oppressione maschile, per il femminismo della differenza ancora più importante dovendo teorizzare, con McKinnon ed altre, la lotta di genere. In questo senso il femminismo della differenza è anch’esso basato su un’interpretazione della storia universale fondamentalmente di parte e ne utilizza il linguaggio per costruire il mito della superiorità morale della donna (tipico esempio “la guerre degli uomini”). Da un punto di vista queer si potrebbe dire che esso costruisce una performance totalmente a favore di un solo genere, un approccio costruttivista basato su un presupposto essenzialista [3].

Due facce di una stessa medaglia

Ci troviamo quindi di fronte ad un substrato ideologico che comporta che la  differenza sia invocata quando necessario porre ostacoli agli uomini (in questo senso il peggio dell’attacco al maschile viene dal femminismo della differenza con il suo odio anti-maschile), mentre all’opposto il queer è invocato quando è necessario porre l’enfasi sull’eguaglianza che è diventata la generica eguaglianza del consumatore monade.

L’equivoco del linguaggio

il linguaggio non crea il mondo, tra lingua e realtà ci possono essere differenze (questo dovrebbe chiamarsi mal-francese poiché grande è stata l’influenza dei post-strutturalisti nel dibattito sul linguaggio che è seguito alle loro teorie [4], anche se l’idea che il linguaggio fosse l’unico modo di rendere reali le cose non è nuovo in filosofia se si pensa a filosofi come Wittgenstein). L’antropologia, scienza derelitta perché lega l’uomo al suo intrinsecotroppo umano a volte viene in aiuto. Il linguaggio può creare mondi di fantasia, ed in effetti il grande successo della letteratura fantastica ci dovrebbe perlomeno mettere in guardia dalle sue costruzioni. Lo stesso celebre romanzo di Michela Murgia L’Accabadora è per gli antropologi basato su di una costruzione falsa, come falsa è la costruzione piuttosto fantasiosa di Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé. Le ragioni di queste costruzioni sono ovviamente di natura ideologica si vuole forzare la realtà al proprio punto di vista, possiamo dunque capire come certe costruzioni possibili nella lingua siano idealtipi, per non dire forzature.

Ma la questione è più sottile, l’idea post-moderna del mondo costruito o ricostruito dal linguaggio, che si traduce nell’odierna ossessione per cose di scarsa importanza come la schwa, va al di là dalla torsione dovuta all’ideologia, secondo il post-strutturalismo esso permea tutta la nostra immagine della realtà. Ma non sempre questo si traduce in una descrizione coerente. Leggiamo il seguente pezzo di Mary Douglas, antropologa, quando scrive a proposito dei costumi delle caste indiane [5]: “Noi sappiamo che, secondo il rito, toccare l’escremento significa essere contaminato e che i pulitori di latrine si trovano al grado più basso della gerarchia castale. Se questa regola di contaminazione esprimesse le angosce individuali dovremmo aspettarci che gli indù siano controllati e discreti circa l’atto della defecazione. Ci lascia esterrefatti leggere invece che il loro normale atteggiamento prevede una sciatta indifferenza, al punto che i pavimenti, le verande e i luoghi pubblici sono insudiciati dalle feci finché non arriva lo spazzino…è verosimile che la contaminazione tra le caste sia ciò che dice di essere un sistema simbolico…il cui fine principale è la gerarchia sociale. Questo pezzo è interessante per diversi motivi, ma soprattutto il fatto che un sistema simbolico, descritto tramite una lingua, non sempre corrisponde perfettamente all’idea che noi ci facciamo di chi lo adopera e che quindi esistono “non detti” che sfuggono al controllo dei parlanti. Si può considerare che il c.d. dominio maschile o patriarcato sia appunto un sistema simbolico codificato dallinguaggio, ma anch’esso non esaurisce la possibilità che ci siano meccanismi di dominio non linguistici fuori da questo sistema, l’ambito maschile può essere tanto separato da quello femminile da creare due o più differenti sistemi di dominio che interagiscono solo ai fini dei loro interessi [6]. Possiamo dunque pensare che esistono cose come, la Mafia, le cui regole esoteriche mimano il dominio di un principio femminile, o semplicemente il fatto che alle donne è stata da sempre affidata l’educazione dei figli o la gestione dell’economia familiare e che in questi ambiti esse hanno esercitato un potere non espresso verbalmente.

Al di là della barriera: uomini e donne, biologia e transumano.

È chiaro che le differenze biologiche (a meno di non credere alle fantasie del transumanesimo) implicano che non vi sarà mai una totale uguaglianza tra uomini e donne (vedi il paradosso nordico dove alla massima libertà di scelta corrisponde una divisione dei ruoli tra uomini e donne ancora presente).Ma quale deve essere il compito di chi si batte contro lo sfruttamento dell’umano? Per comprendere questo facciamo un caso estremo e pensiamo ad una società immaginaria in cui ci sono due etnie A e B, ovvero una divisione verticale della società (potrebbe applicarsi anche a due sessi o ad altre categorie ancora più suddivise, l’esempio delle etnie è tratto da Coyne e Maroja [7] e riguarda la carenza di Iodio) ad una delle due, B per fissare le idee, manca per ragioni genetiche un certo aminoacido che permette di fissare un elemento che è importante per lo sviluppo cerebrale, per cui l’etnia B che ha questa mancanza è sfavorita rispetto alla prima. Quali sono le possibili conseguenze sul piano sociale? Sono possibili tre risposte:

  1. Non fare nulla lasciando che le differenze sfavoriscano B mettendola in una condizione di sudditanza da parte di A;
  2. Ignorare le differenze affermando che A e B sono uguali, ma in questo modo si sfavorisce comunque B perché spostarel’attenzione sul linguaggio non risolve il problema;
  3. Riconoscere la differenza e fare in modo che possa essere eliminata, o quanto meno ridotta riducendone per quanto possibile l’impatto sociale.

La risposta 1) è quella che sicuramente appartiene alla destra: le differenze esistono e sono purtroppo inevitabili; quindi, influiranno sempre sulle vite e le scelte delle persone, a secondo dell’epoca storica possiamo chiamarle razzismo, sessismo, etc. se la mancanza di B fosse semplicemente un problema di risorse e del loro accesso, diventerebbe anche schiavismo, sessismo, colonialismo, e così via. È abbastanza palese che il femminismo della differenza rientra in questo caso: in effetti il femminismo della differenza è una teoria reazionaria. La risposta 2) è quella che oggigiorno è pensata dalla attuale “sinistra”, tutto è costruzione culturale e per questo è sufficiente modificare il linguaggio perché la differenza sparisca.

Se applichiamo A e B a donne e uomini cosa accadrebbe? La destra sarebbe concorde con queste affermazioni: se sei donna e sei incinta stai a casa, se sei uomo e hai problemi di sicurezza licenziati e trovati un altro lavoro. In entrambi i casi il lavoro è perso a favore di altri, magari chi si sente “non binario” e non intenzione di fare figli per cui il problema nell’ambito della queerness non si pone perché non ci sono differenze (salvo poi ricredersi quando queste si manifestano) e il figlio lo si acquista sul mercato tramite GPA. Non dovremmo piuttosto pensare: se sei donna e hai un problema sul lavoro perché sei incinta è una giusta battaglia, se sei uomo e hai un problema sul lavoro perché rischi la vita a causa della mancata sicurezza è una giusta battaglia. Ma questo passa per il reciproco riconoscimento che donne e uomini hanno problemi diversi per i quali dovrebbero però lottare insieme e che è la risposta 3) al problema è quella corretta (per inciso è quanto afferma la nostra inapplicata costituzione).

Ho fatto l’esempio dell’attesa di un bambino perché è una delle differenze biologiche inevitabili delle differenze tra i sessi, che non può essere “curata” in modo semplice (a differenza di una carenza di Iodio come in [7]) a meno di non pensare a fantascientifici uteri artificiali, ma il discorso si può applicare anche ad altri problemi come le differenze tra uomini e donne nei lavori c.d. pesanti, nelle guerre, nell’asimmetria tra i gameti che implica strategie riproduttive differenti. Sono tutte questioni radicate nel nostro essere umani, che non sembrano avere una risoluzione in un ipotetico transumanesimo le cui promesse sono tutte da verificare [8].

L’intersezione vuota

L’ultima versione del femminismo ascrivibile alla sinistra radicale è il cosiddettofemminismo intersezionale, che proviene dal femminismo afroamericano ma ha anche aspetti del queer (che d’altra parte è nato proprio in opposizione ad una normalizzazione identitaria del femminismo bianco lesbico). Nella sostanza il femminismo intersezionale ammette che vi siano divisioni verticali o orizzontali e relative conflitti orizzontali e verticali. Tuttavia, come sempre, ogni discussione del maschile finisce per adeguarsi al postulato fondamentale di ogni femminismo: ovvero la metanarrazione dell’oppressione delle donne. Per questo motivo l’intersezione va cercata semmai nella donna, immigrata, povera o nelle comunità BT+ discriminatemagari escludendo LG ormai normalizzati. Il rischio di questo modo di pensare è collegato al fatto che differenti gruppi hanno necessità e obiettivi di lotta differenti, per cui si ha una dispersione in mille rivoli che finisce per risultare in una intersezione vuota. Diventa in questo modo una forma di ribellione al sistema di tipo sindacale quando non sfocia direttamente nella pura anarchia. D’altra parte, questo esito era già insito nell’opera di Carla Lonzi ed è continuato fino ad oggi con altre teoriche come, ad esempio, Chiara Bottici il cui recente libro Manifesto anarca-femminista[9] va esattamente in questa direzione, la presentazione già dice molto: «O tutte, o nessuno di noi sarà libero». Questo il motto dell’anarca-femminismo. Questa nuova e rivoluzionaria visione vuol dire la liberazione di ogni creatura vivente dallo sfruttamento capitalista e dalla politica androcentrica di dominazione. Come si vede l’androcentrismo non è nulla di nuovo, ennesimo attacco al maschile. Di seguito leggiamo: Un femminismo al passo con i tempi deve essere capace di comprendere e accogliere le lotte e le rivendicazioni del femminismo tradizionale che esige l’uguaglianza per le donne, così come la critica queer, la nozione di genere come dispositivo biopolitico, le battaglie trans che mettono in discussione il dominio cisgender, i sospetti del femminismo nero e decoloniale che vede il femminismo bianco come un femminismo d’élite vinto a spese di corpi razzializzati e infine l’eco-femminismo che capisce che lo sfruttamento della natura va di pari passo con lo sfruttamento delle donne.Appunto si tratta di una teoria che non può che fare il solletico al sistema, anzi ne è la benvenuta, ed in cui l’uomo eterosessuale è escluso a priori in quanto oppressore [10]. Depotenziare l’unione tra uomini e donne per combattere insieme una battaglia per la giustizia è uno delle cose migliori che è riuscita al capitalismo.Lo strato privilegiato apprezza, finanzia, ringrazia e continua a sfruttare.

Conclusione

Non siamo ancora nell’epoca di un post-femminismo che riconosca come abbiamo detto all’inizio l’esistenza dell’altra metà del campo di calcio nell’analogia che abbiamo presentato all’inizio. Esistono certamente delle autrici femministe con le quali ci si può confrontare, ma apparentemente il femminismo è un monolite che si fonda, nelle sue varie declinazioni, solo e soltanto sulla metanarrazione dell’oppressione, esso può essere queer nel tentativo di abolire semplicemente la differenza sessuale, o femminismo della differenza esaltando il principio femminile come superiore a quello maschile. Finché questa situazione durerà il femminismo deve essere considerato un’ideologia reazionaria e non può essere ammesso a lottare per l’obiettivo di una ricostruzione neosocialista. È evidente che rinunciare a questo postulato costa un enorme fatica, ma è poi vero che sarebbe tanto grave? «O tutti, o nessuna di noi sarà libera», dovrebbe recitare uno slogan post-femminista [11].

[1] In Gender TroubleButler scrive: And what is ‘sex’ anyway? Is it natural, anatomical, chromosomial, or hormonal, and how is a feminist critic to assess the scientific discourses which purport to establish such ‘facts’ for us? … Are the ostensibly natural facts of sex discursively produced by various scientific discourses in the service of other political and social interests?Quindi per Butler anche il ‘sesso’ come definito fisicamente è soggetto a costruzione, un atteggiamento che è, indipendentemente dal ruolo svolto dagli ‘altri interessi’ è a mio avviso irrealistico, se non altro per il banale motivo che il 99% delle persone appartiene ad un sesso o ad un altro (vedi anche nota [5]). Sarebbe lungo discutere qui il problema della validazione delle teorie scientifiche e della differenza tra discorso sulla scienza e discorso della scienza che Butler evidentemente confonde.

[2] Chi finanzia il movimento LGBTQ+, Silvia Guerini, L’Interferenza, 28 giugno 2023.

[3] Scrive Annamarie Jagose in Queer Theory,an Introduction: The essentialist claim that some people are born homosexual has been used in anti-homophobic attempts to secure civil rights-based recognition for homosexuals; on the other hand, the costructionist view that homosexuality is somehow or other acquired has been aligned with homophobic attempts to suggest that homosexual orientations can and should be corrected. Quindi posizioni essenzialiste e costruzioniste possono coesistere negli stessi gruppi che rivendicano diritti civili a loro favore.

[4] Anche la stessa neolingua è stata mutuata da Michel Focault soprattutto: si veda l’interessante pezzo sull’astrusa idea del monosessimo in riferimento ad una risposta data da Chiara Valerio ad un’obiezione fattele durante una conferenza. L’era monosessuale, un’arma formidabile per ideologi e accademici militanti

[5] Purezza e Pericolo, Mary Douglas, Il Mulino, 1998.

[6] Nello stesso libro la Douglas fa altri esempi, forse più interessanti, come quello dei Lele in cui il conflitto di genere è un aspetto rilevante della vita quotidiana e dove le donne hanno il controllo effettivo dei loro scambi tra gli uomini per i quali avere più mogli e figlie ha una rilevante importanza sociale. In questo errore è caduto a mio avviso Pierre Bourdieu, l’eccessiva confidenza con le strutture definite dal linguaggio esplicito maschile gli ha oscurato altre forme più sottili di potere. Lo stesso è accaduto con la grande enfasi sulla vita quotidiana e di conseguenza gli studi sulle donne nel corso dei secoli, trascurando il potere che esercitavano le donne della classe aristocratica (che o erano femministe ante-litteram o donne che adottavano modelli maschili).

[7]The Ideological Subversion of Biology, J. A. Coyne e L. S. Maroja, Skeptical Inquirer, vol. 47, 4, 2023.A rigore nell’articolo non si parla propriamente di etnie ma di sottogruppi umani, da un punto di vista scientifico, infatti, il concetto di razza è fragile e lo è per riflesso in parte anche quello di etnia in quanto parti di DNA comuni ad altre etnie sono diffusi anche all’interno di gruppi apparentemente omogenei. Da un punto di vista di un’ideologia costruzionista il concetto di razza è un concetto effettivamente costruito, lo stesso, purtroppo per la queer theory, non si può affermare in quanto il sesso biologico non è un microscopico frammento di DNA,  ma una caratteristica macroscopica, non riducibile al fatto di avere la pelle nera o bianca, che nel 98% degli individui è facilmente individuata (volendo essere generosi riguardo alla percentuale di intersessuali). D’altra parte, l’identità culturale di una data etnia è qualcosa a cui è difficile rinunciare essendo il prodotto di un processo di adattamento all’ambiente di lunga durata, spesso essa è una forma di resistenza all’invasività del capitale. Eliminare le differenze definendole come costruzione sociale non sempre è una lotta “progressista”, ma appartiene al  campo dell’”esportazione della democrazia”.

[8] Basti pensare alla relativa marcia indietro che si sta verificando in molti paesi sulla c.d. disforia di genere. Inoltre, la tecnologia, sebbene non sia neutra nelle sue ricadute specialmente oggi che la ricerca è quasi totalmente funzione del mercato, oltre che nell’attuale politica di riarmo, essa può sempre essere usata in sensi diversi da quelli in cui viene prima pensata: e se l’utero artificiale fosse usato per impedire gli aborti? (Questa idea compare già trenta anni fa nel romanzo di fantascienza l’Onore dei Vor di Lois McMaster Bujold).

[9] Manifesto anarca femminista,  Chiara Bottici, Laterza, 2022.

[10] Scrive Sheila Jeffreys nel 1993: Any woman could be a lesbian. It was a revolutionary political choice which, if adopted by millions of women, would lead to the destabilization of male supremacy as man lost the foundation of their power in women’s selfless and unpaid… come non leggere una similitudine in queste parole trenta anni dopo. Anche la chiamata alla lotta del femminismo nero e decoloniale è già presente almeno dagli scritti di Gloria Anzaldua degli anni Ottanta. Notare come il lesbismo viene usato in senso prettamente politico, come se fosse un costume da adottare per la lotta (quasi esattamente quanto intenderà Judith Butler con la performatività).

[11] Nella versione inglese (either all, or none of us will be free) non vi è genere, per cui può essere letto “O tutte, o nessuna di noi sarà libera” oppure “O tutti, o nessuno di noi sarà libero”. Nella presentazione italiana è stato tradotto da Federico Zappino, teorico Queer italiano, come “O tutte, o nessuno di noi sarà libero” che o è un errore o un voluto riferimento al fatto che tutti gli uomini (altro tormentone femminista) devono liberare le donne (tutte).Nella frase ovviamente io intendo tutti come uomini e donne.


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