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Non sembra possibile rimanere estranei alla tendenza del momento, ce lo ripetono i media, ce lo dicono i contatti sui social, lo urlano a gran voce i vips: i maschi sono colpevoli di un sistema patriarcale che opprime e uccide le femmine (di solito il linguaggio dominante ama contrapporre maschi e donne, ma non mi presterò a questa sottile formalità proto-suprematista).
Il 25 novembre, la giornata della violenza che è più violenza delle altre, ossia quella sulla donna, è in arrivo. Con questa kermesse si prepara il solito vespaio mediatico con i suoi slogan femministi, tra i quali quello più noto: i maschi sono privilegiati.
Da tempo ormai ci si chiede (e non solo noi come movimento) quando mai si sia vista una società suprematista che opprime, uccide e strazia la stessa categoria che dovrebbe privilegiare. Ma per rinfrescarci un po’ la memoria sarebbe d’uopo un piccolo riepilogo dei “privilegi” maschili nella società occidentale del 2023.
Il privilegio di morire lavorando
A morire sul lavoro sono, in schiacciante prevalenza, individui di sesso maschile. Ogni anno gli infortuni mortali sul lavoro colpiscono oltre un migliaio di uomini la cui presenza nelle statistiche sulle morti bianche non scende mai sotto l’85-90%.. Il dato è riscontrabile ovunque vengano suddivisi i casi di morti sul lavoro per sesso, come nella relazione Inail del 2021 circa l’andamento degli infortuni sul lavoro, dove a pagina sette viene riportato il numero di casi maschili e femminili distribuiti in due anni: nel 2019 ci sono stati 1105 morti maschili e 100 femminili; nel 2020 le morti maschili sono state 1366 mentre quelle femminili 172.
La stessa proporzione è riscontrabile anche in ricerche fatte sul territorio americano, secondo i dati offerti dal Statista Research Department, nel 2022 le morti sul lavoro avvenute su territorio statunitense sono distribuite nel seguente modo: 4741 morti maschili e 448 morti femminili.
Questa differenza proporzionale che emerge dai dati sulle morti bianche è pressoché uniforme in tutto il mondo (anche se gli istituti di ricerca italiani ed europei faticano a pubblicare relazioni in cui questo dato sia riportato): differenza che rappresenta un problema sociale urgente nel quale il risvolto di genere maschile è evidente, il classico elefante nella stanza.
Il privilegio di togliersi la vita
Altro record negativo della categoria “privilegiata” sono i suicidi, un fenomeno di rilevanza maggiormente maschile: In questo rapporto del 2023 sul fenomeno suicidiario pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità, viene riportato che quasi l’80% dei suicidi in italia sono maschili. La cosa perplime non poco, ma soprattutto cozza e fa attrito con la narrazione che domina la nostra politica, i nostri media e la nostra società: una società che, secondo i deliri politicamente corretti, dovrebbe avvantaggiare questi maschi violenti, inconsapevolmente privilegiati e oppressori, ma nella quale poi questi stessi sono la categoria più portata a togliersi la vita.
Il privilegio di non avere una casa
In un sistema economico che (ce lo ripetono sempre) vede la donna svantaggiata e sottopagata rispetto all’uomo, un altro dato entra in contrasto con la struttura teoretica femminista: la maggioranza dei senzatetto è composta da individui maschili. In questo rapporto Istat possiamo vedere come i senzatetto siano per l’85,7% composti da individui di sesso maschile. Anche in questo caso emerge la contrapposizione con una narrazione che vorrebbe il maschile come il genere economicamente dominante e privilegiato, e per quanto complessa possa essere la società, diventa difficile pensare che la categoria maggiormente esposta alla condizione del cosiddetto “barbonaggio” sia composta da individui privilegiati sotto il profilo economico. La maggioranza degli uomini versa in condizioni economiche ridotte e subordinate: e lo stereotipo del maschio dominante, ricco e che occupa posti apicali, nella realtà viene incarnato da una percentuale di uomini estremamente minoritaria, che nulla ha a che fare con la realtà esistenziale maschile.
Il privilegio di morire prima-
Ma quale dato dovrebbe indicare maggiormente il privilegio se non quello sulla media di vita? Può, colui che vive meno, essere indicato come l’elemento oppressore e avvantaggiato dall’ambiente che lo circonda? A quanto pare si, visto che agli uomini mancano 6,6 anni di media di vita rispetto alle donne, in questa pubblicazione del ministero della salute viene riportato che la media di vita maschile è di 76,7 anni mentre quella femminile è di 82,9 anni. Ma io dico che se morire prima è un vantaggio, lo è solo in virtù della difficoltà che si può provare nel dover sopportare una società così priva di coscienza.
Conclusione
Le problematiche sociali con risvolto maschile non si fermano certo qui, così come non si fermeranno i rappresentanti e le rappresentanti del femminismo che continueranno a negarle tutte, una ad una. Ma questi sono dati reali, che hanno un riscontro reale nel vissuto di tutti i giorni: continuare a pretendere che tutti i problemi del mondo vengano ridotti a un non riscontrabile privilegio maschile è una posizione di ostacolo nei confronti di una direzione socialmente giusta. Quella giustizia sociale che sola può scaturire da presupposti universali, egualitari e soprattutto storicamente veri, e che non può avere complicità alcuna coi presupposti strumentali, parziali e storicamente revisionati, quali sono i presupposti del femminismo.
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