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E’ ormai del tutto evidente che la sopravvivenza di larghe fasce della popolazione che vivono di lavoro precario – composte non solo da giovani ma da tempo anche da molti quarantenni e cinquantenni e da persone già espulse dal mondo del lavoro – e la relativa pace sociale è garantita dal welfare familiare, cioè dalle famiglie che si sostituiscono al welfare pubblico sempre più ridotto, indebolito e insufficiente a garantire un livello di vita adeguato.
Senza il sostegno delle famiglie che si traduce nell’ereditarietà della casa, di risparmi o di altri beni e nella permanenza fino in età avanzata e spesso avanzatissima nella casa e nella famiglia dei propri genitori o dei propri nonni, avremmo masse di persone letteralmente alla fame. Non è infatti oggettivamente possibile vivere, specialmente in una metropoli o in una grande città – nei piccoli centri e nella provincia la situazione è già migliore per tante diverse ragioni (costo della vita e affitti più bassi, minore competizione e un relativamente maggiore spirito comunitario) – con un lavoro precario part time o a tempo pieno e con un salario pari a 700, 800 o anche 1000 euro al mese, non parliamo se ci si deve pagare l’affitto di un mini appartamento o anche una semplice camera in condivisione con altri.
Il welfare familiare, oltre a sostenere concretamente milioni di lavoratori e lavoratrici che altrimenti sarebbero in miseria e letteralmente alla fame, è anche in qualche modo di ostacolo allo sfruttamento selvaggio consentendo a queste persone un minimo peso specifico e contrattuale che diversamente non potrebbero avere.
Non è un caso che anche la famiglia sia pesantemente attaccata in questa fase storica. Chiarisco subito che non sono un tradizionalista e non penso che la famiglia debba essere necessariamente quella mononucleare. Del resto da sempre sono esistite in differenti contesti storici (fra cui anche il nostro) famiglie allargate composte anche da persone prive di legami di consanguineità, e gli esempi potrebbero essere innumerevoli.
Il punto, quindi, è un altro. Il “sistema” ha necessità di indebolire e in linea teorica eliminare tutto ciò che in qualsiasi modo si frappone alla sua trionfale cavalcata, cioè alla sua infinita e illimitata riproduzione e alla creazione delle condizioni che garantiscano tale riproduzione. La riduzione del lavoro ad una massa di manovra precaria, frammentata, priva di sostegno di alcun genere e quindi ricattabile è parte oggettiva di questo processo. Non si tratta di un “complotto”, ma di un processo oggettivo, dettato da dinamiche economiche (capitalistiche) che spingono – in assenza di un contrappeso e quindi di un freno – all’indebolimento e alla demolizione di qualsiasi istanza che possa frapporsi o essere di ostacolo a questo stesso processo. Indebolito lo stato sociale, eliminata la conflittualità sociale attraverso la riduzione dei sindacati a mere cinghie di trasmissione o ad associazioni assistenziali, quando va bene, l’indebolimento se non la potenziale disgregazione delle famiglie diventa un altro obiettivo da perseguire al fine di cui sopra. Già Marx ed Engels nell’ormai lontano 1848 scrivevano che l’esistenza della famiglia borghese è determinata dalla distruzione della famiglia proletaria (del resto, che famiglia poteva essere un nucleo di persone dove marito, moglie e figli trascorrevano in una fabbrica 14 ore al giorno…) rispondendo agli ipocriti borghesi che li accusavano di voler distruggere il sacro vincolo della famiglia.
A distanza di quasi due secoli la situazione si sta riproponendo anche se sotto differenti vesti ideologiche. Come abbiamo scritto più volte, quello capitalista è un sistema sostanzialmente asettico, interessato soltanto alla sua riproduzione, in grado di sposarsi con qualsiasi sovrastruttura ideologica in grado di ottimizzare i suoi interessi. Il capitalismo (meglio sarebbe dire, i capitalismi) è stato infatti nel corso della sua storia liberale e autoritario, liberaldemocratico e fascista, laico e confessionale, razzista e antirazzista, patriarcale e ora femminista, anzi, trans femminista, per lo meno nella sua versione odierna, in base, appunto, alla ottimizzazione di se stesso, ciò che costituisce la sua unica stella polare. Questa estrema duttilità è stata e continua ad essere una delle sue più formidabili peculiarità. Nella stessa misura ha quindi sostenuto la famiglia tradizionale quando era nel suo interesse sostenerla, anche per ragioni ideologiche – pensiamo al conflitto con il movimento comunista e la competizione con il blocco sovietico che è durato per quasi un secolo e a tal fine l’alleanza con la chiesa cattolica – e per le stesse ragioni non ha più interesse oggi nel sostenerla soprattutto dopo che è uscito vittorioso da quello scontro epocale.
Il processo di atomizzazione sociale avvenuto di pari passo con quello di ristrutturazione complessiva, del lavoro, tecnologica e quant’altro, non poteva non comprendere anche un conseguente processo di atomizzazione delle relazioni, dei legami e dei vincoli affettivi e familiari, con l’obiettivo strategico di ridurre sempre più la società ad una massa di individui resi precari dal punto di vista lavorativo e sociale, privi di ogni coscienza e identità collettiva e sostanzialmente motivati da mere pulsioni consumistiche. In parole povere, il sistema capitalista non sa più che farsene della famiglia, tradizionale o meno, che costituisce un ostacolo perché impedisce che tante persone siano alla totale mercè del mercato e del capitale, come spiegavo poco sopra, e anche perché la famiglia costituisce un nucleo umano di per se stesso portatore di “spirito comunitario” che è l’esatta antitesi dell’individualismo capitalistico.
In questo processo ha trovato degli alleati formidabili prima nel femminismo storico, diciamo così, con la sua sempiterna guerra al patriarcato (un cadavere tenuto in vita artificialmente altrimenti se se ne decretasse la morte il femminismo si squaglierebbe il secondo successivo) e poi nell’attuale transfemminismo e nei movimenti lgbtq che, non a caso, sono sostenuti da tutto il grande capitale internazionale (è sufficiente leggere gli elenchi dei vari sponsor dei Pride in tutto il mondo per rendersene conto). L’attacco alla famiglia tradizionale, considerata patriarcale, ma soprattutto la continuazione di questo attacco in assenza di patriarcato, le teorie sulla fluidità e sul superamento dei sessi considerati dei meri costrutti culturali, l’attacco sfrenato al maschile eterosessuale considerato come il male assoluto e portato avanti con incredibile sistematicità da tutto il complesso mediatico-ideologico, sono come il cacio sui maccheroni per il processo di dissoluzione capitalistica di ogni legame sociale. Triste e nello stesso tempo avvilente che in tanti e tante ancora non lo abbiano capito e restino prigionieri/e di una analisi a dir poco obsoleta, per usare un eufemismo, della realtà. Tutto ciò fa parte di quel cambio di paradigma ideologico avvenuto tra gli anni ’60 e ’80 del secolo scorso necessario e conseguente al processo di ristrutturazione della società capitalista e contestualmente alla crisi e poi al crollo del movimento comunista e del blocco socialista. Ma anche questo non è stato compreso dai più, soprattutto a “sinistra”, la quale, anche nelle sue frange più radicali o cosiddette “antagoniste” continua la sua crociata fuori tempo massimo contro la residuale ideologia vetero borghese (Dio, Patria e Famiglia). Una forma di dogmatismo e di ottusità ideologica che impedisce a molti di osservare la realtà con la necessaria lucidità.
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