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I recenti drammatici fatti di cronaca che hanno visto come protagonisti ragazzini giovanissimi che hanno ucciso le loro fidanzatine o delle ragazzine da cui erano stati lasciati o rifiutati, hanno ovviamente dato ulteriore linfa alla solita scontatissima narrazione in base alla quale questi atti sarebbero il prodotto della cultura patriarcale e maschilista o dei suoi cascami.
La mia opinione è esattamente all’opposto. Questi gesti sono in realtà il prodotto di una società spappolata, disgregata, atomizzata e soprattutto priva di qualsiasi fondamento etico e valoriale che genera individui fragili e psicologicamente instabili. In pratica siamo in un contesto dominato dal nichilismo, riempito soltanto dalla corsa forsennata e disperata alla visibilità, al successo, all’esibizione narcisistica e, naturalmente, al denaro. Un contesto dove naturalmente ogni vincolo comunitario – quindi in primis, ma non solo, la famiglia, anche non obbligatoriamente tradizionale – deve tendenzialmente essere distrutto o quanto meno fortemente indebolito. La figura e la funzione del padre e del paterno nel loro complesso, quindi non soltanto e non necessariamente biologici, sono stati già da tempo letteralmente massacrati e del tutto sovrapposti al tanto vituperato patriarcato. Come si suol dire, il bambino è stato buttato insieme all’acqua sporca.
Ma egual fine sta facendo o rischia concretamente di fare in un prossimo futuro anche il materno – anche se le fanfare mainstream politicamente corrette e femministe ancora non se ne sono avvedute – nel momento in cui la tecnica sta per sostituirsi alla natura e non ci sarà più necessità della “funzione” materna per partorire figli perché questi potranno essere commissionati in appositi laboratori, naturalmente pagando. Del resto, quella che chiamano ipocritamente maternità surrogata – perché si vergognano di chiamarla per quella che è, cioè una bieca contrattazione mercantile – è soltanto l’anticipazione di quella che sarà la procreazione artificiale. Di fatto le donne, alcune donne, saranno trasformate in contenitori e i nascituri in merci di scambio.
E’ in questo contesto che ci troviamo a vivere, qualora qualcuno non se ne fosse ancora accorto, altro che patriarcato!
Il patriarcato, così come il matriarcato (che conviveva con il primo all’interno di una divisione di ruoli e funzioni, anche se la narrazione femminista finge di non saperlo), avranno fatto anche i loro danni (e li hanno fatti, eccome…) ma certamente rispondevano ad un sistema valoriale che fra le altre cose, anche se ciò farà inorridire molti e molte, garantiva comunque il rispetto di una serie di regole che prevedevano, oltre al controllo (spesso asfissiante e castrante) sulla sfera psicologica e fisica, anche la protezione delle persone (guerre a parte dove gli uomini venivano mandati al macello ma questo è un altro discorso ancora…).
Questo non significa, ovviamente, che in quei contesti sociali la violenza non esistesse (non sono di quelli che pensano che “Si stava meglio quando si stava peggio”) ma che aveva tutt’altra genesi e caratteristiche rispetto a quella odierna. Il ragazzino che oggi uccide la fidanzatina oppure quello di poco più adulto che uccide un coetaneo per rubargli le cuffiette, protetto da entrambi i genitori che cercano di occultare le prove della sua colpevolezza, sono gli epifenomeni di una società sbrindellata, priva di regole e vincoli di ordine morale, etico, sociale e umano. Sorvolo sugli inquietanti episodi di infanticidio delle ultime settimane.
Le forme di violenza che venivano agite nelle epoche dominate dalle culture tradizionali e conservatrici, come comunemente le definiamo, quindi a trazione patriarcale e matriarcale, erano generate dal senso del limite, che portavano alcuni a voler superare quel limite stesso, inteso in questo caso non in senso negativo, cioè solo come imposizione, privazione e repressione, ma come rispetto di regole e valori morali (nel senso che intendeva il vecchio Kant, mi viene da dire) senza le quali sarebbe impossibile qualsiasi forma di convivenza umana e sociale.
Ecco, è quell’imperativo morale categorico di kantiana memoria che è saltato, a mio parere, o sta saltando, in questa fase storica, perché il senso del limite non esiste più. E non esiste più perché quella del contesto sociale e storico in cui ci troviamo a vivere è la cultura dell’illimitato, anche del desiderio, illimitato, che viene elevato a diritto. E quindi anche le forme di violenza che vengono esercitate oggi sono il prodotto della cultura dell’illimitato, non di quella del limite.
Alcuni esempi, magari banali ma forse efficaci, per capirci. Desidero una persona che non mi vuole più o mi rifiuta? Agisco in modo violento nei suoi confronti. Non voglio un figlio che potrebbe limitare la mia libertà personale? Lo soffoco appena nato e lo butto in un cassonetto. Non ho i soldi per fare la vita gaudente e dedita al consumo (illimitato) che mi piacerebbe fare? Me li devo procurare, costi quel che costi, a qualsiasi prezzo. Non posso avere figli perché sono gay oppure sterile? Me li compro come si compra una merce al mercato. E così via, dal micro al macro. Non si dispone in misura sufficiente delle materie prime necessarie per mandare avanti le industrie e preservare profitti e pace sociale e chi le ha me le vuole vendere ad un prezzo che io considero inadeguato? Me le vado a prendere, con le buone o con le cattive, cioè con la guerra.
La cultura dell’illimitato è quella vigente nelle società capitaliste occidentali contemporanee che si sono da tempo “liberate” da ogni vincolo etico, morale, culturale, valoriale e comunitario di cui ritengono di non avere più necessità. Ma se vorranno sopravvivere dovranno rivedere, almeno in parte, questa loro natura e concezione (se ci riusciranno è tutto da vedere) dal momento che saranno inevitabilmente destinate a confrontarsi con altre società e paesi che invece trovano il loro fondamento su “sistemi” valoriali e culturali de-limitati che hanno dimostrato una sostanziale impermeabilità al mito, tutto occidentale, dell’illimitatezza. Tale mito, o concetto, di illimitatezza, viene naturalmente concepito, camuffato e sovrapposto a quello di libertà, ma questa è una truffa ideologica, perché la libertà è un concetto che deve essere condiviso (con gli altri) entro un de-terminato spazio fisico, politico e valoriale, né potrebbe essere altrimenti. L’illimitato, su cui si fonda la società capitalista attuale, è esattamente il contrario della libertà, è volontà di potenza libera di dispiegarsi a suo piacimento, senza legacci e laccioli di ogni genere.
E quindi, tornando a noi, è proprio questa idea di illimitatezza che produce gli atti di violenza a cui assistiamo oggi con cadenza pressoché quotidiana. Ma le ragioni profonde e la natura reale di questa violenza non possono essere portate alla luce altrimenti il re sarebbe nudo. E allora l’orchestra viene chiamata a suonare il solito scontato spartito che serve a depistare e a rassicurare.
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