- Views 0
- Likes 0
Nella guerra di Valois
Il Signor di Vly è morto
Se sia stato un prode eroe
Non si sa, non è ancor certo
Ma la dama abbandonata
Lamentando la sua morte
Per mill’anni e forse ancora
Piangerà la triste sorte
Da molti anni il femminismo sostiene che la guerra è cosa da uomini e che le donne sarebbero le vittime, narrazione femminista totalmente fantastica, le principali vittime delle guerre sono da sempre gli uomini e in particolare gli uomini delle classi popolari non delle élites la cui aspirazione alla vittoria è fonte di successo, politico ed economico, élites che includono anche le donne che gestiscono il potere e che, mi si perdoni la parola, hanno il culo al caldo mentre gli uomini muoiono e le donne delle classi popolari sono indirettamente vittime certo, ma perché perdono marito, compagno, padre e figli.
L’analisi del rapporto tra donne e guerra è stato brillantemente analizzato da Martin Van Creveld nel suo saggio omonimo Le donne e la guerra [1], voglio qui ricordare alcune delle conclusioni principali [2]. Van Creveld si chiede quale atteggiamento hanno le donne rispetto alla guerra, prescindendo dal parteciparvi o meno direttamente? La vulgata femminista afferma che le donne sarebbero pacifiche e contrarie in linea di massima alla guerra, come se la guerra fosse un affare che riguardasse esclusivamente gli uomini. Un mondo dominato dalle donne sarebbe un mondo pacifico quindi? Ci sono forti dubbi che sia così. Innanzitutto, lo stesso Van Creveld scrive che molte donne di potere non hanno affatto esitato a dichiarare e fare guerre fino in epoca moderna e che nella gestione del potere, sebbene le donne arrivino più raramente ai massimi livelli, le differenze tra donne e uomini sono praticamente inesistenti. Scrive lui stesso in riferimento a Golda Meir, Indira Gandhi e Margaret Thatcher: “Queste donne al governo dimostrano, se mai c’è ne fosse bisogno, che la capacità di governare non ha nulla a che fare con il sesso”. Tralasciando le donne di potere, che un’altra vulgata femminista vorrebbe maschilizzate ovvero costrette ad un ruolo maschile che cosa possiamo dire delle donne comuni? Sempre secondo Van Creveld le guerre spesso sono state istigate dalle donne, si sono fatte guerre a causa delle donne e le donne sono state oggetto e vittime di guerra. Nel 1914: “In Gran Bretagna la femminista più famosa era Emmeline Pankhurst capo della Women’s Social and Political Union, finita persino in prigione per le sue idee. Ella dichiarò immediatamente ‘La guerra del nostro paese sarà la nostra guerra’”. Scrive ancora Van Creveld: Se non ci fossero state le donne, che nella realtà e nell’immaginazione, chiedevano ai loro uomini protezione, li incoraggiavano alla partenza, pregavano per loro durante la battaglia, attendevano il loro ritorno, abbracciavano i vincitori, consolavano gli sconfitti, curavano i feriti, piangevano i morti e fungevano (in un modo o in un altro) da bottino, la guerra sarebbe stata senza senso e persino impossibile.
Qui analizzerò brevemente due articoli di Lea Melandri, femminista che da molti anni scrive sul rapporto tra donne, uomini e guerra. Dico subito che tutto quello che scrive è pervaso da un tono quasi mistico, che parla per categorie troppo generali finendo per essere impreciso e vago anche se può piacere come artificio retorico. Oso definire questo discorso ‘esoterico’ perché fa riferimento a ‘ordini’ invisibili, e teso a svelare una ‘vera’ realtà che non vediamo: ovvero che il genere maschile combatte una eterna battaglia contro il nemico che è la donna, che l’ha per di più pure generato e invece di esserle grato la uccide. Melandri va oltre la normale teoria femminista del dominio maschile inconscio legando come si vedrà guerra e violenza sulle donne in modo indissolubile, per tale motivo ritengo il termine ‘esoterico’ appropriato.
Nell’articolo Le radici patriarcali della guerra apparso sulla Stampa il 2 aprile 2022 [3] dopo l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, Melandri scrive: pochi hanno il coraggio di dire che la guerra non fa che enfatizzare tragicamente spudoratamente un “ordine” dato come “naturale”: agli uomini il potere sui corpi delle donne, che si tratti di confinarle nel ruolo di madri, crocerossine, custodi della famiglia, o di umiliarle, violentarle, ucciderle nel privato, sacrificandole come vittime principali nelle loro guerre.
Nonostante l’apparente assonanza con Van Creveld (crocerossina e ‘curavano i feriti’) di innaturale qui c’è parecchio dato che le vittime principali non sono normalmente le donne ma gli uomini (come sempre poi la mistica femminista ignora completamente i bambini e gli anziani). L’”ordine” dato come “naturale” nasconde chi ha dato l’ordine di scatenare una guerra, in questo modo la responsabilità delle vittime è tout court attribuita al genere maschile, di fatto assolvendo chi dalle guerre ci guadagna (in termini politici, di potere, economici, etc.) costoro almeno in questi articoli della Melandri non compaiono mai perché la colpa è sempre di tutto il genere maschile. Si deve anche notare il misticismo femminista del ‘corpo delle donne’ come se i corpi degli uomini morti non esistessero dato che secondo questa volgare operazione di contraffazione se la sono cercata loro, perché sarebbe la loro natura (loro guerre), mentre quella femminile sarebbe pacifica. Inoltre, il potere degli uomini si manifesterebbe però come un ordine ‘naturale’ abbiamo visto sopra come Van Creveld considera le donne insostituibili nel fare una guerra, ammesso che questo valga anche per la Melandri questo deriverebbe dall’automatico asservimento delle donne, le quali non hanno alcuna colpa essendo di fatto delle inconsce schiave del dominio maschile. Naturalmente, qualcuno potrebbe dubitare che qualcosa di diverso dal ‘naturale’ esista, spesso il femminismo ha parlato di patriarcato invisibile o inconscio per giustificare l’introiezione dell’’ordine’ nelle donne. Per questo motivo l’autrice va oltre: è necessario rafforzare questa affermazione con un aggancio al ‘privato’, d’altra parte è nel privato che si crede che l’’ordine’ viene costruito. La guerra diventa così eterna, vi è ‘umiliazione, violenza e uccisioni’ contro le donne quando non vi è guerra guerreggiata e quando c’è guerra guerreggiata sono le donne sono le vittime principali [4].
Più avanti scrive: Anche il dominio maschile può essere letto in questa chiave, come esito delle paure primordiali di un figlio rispetto all’organismo unico che l’ha generato, come desiderio che quel corpo resti dimora per il suo ritorno. Ma quando la “necessità” si allenta, la consapevolezza fa un salto, comincia a vedere altre vie, fuori dalla stretta della sopravvivenza: morte tua, vita mia.
È un’interpretazione edipica troppo forte, una virilità positiva dovrebbe staccare dalla madre, non consentire che essa rimanga ‘dimora per il suo ritorno’. In modo esoterico, sembra che Melandri evochi la Grande Madre, un concetto presente certamente in tutte le religioni specialmente nell’atto di nascita di queste, ma non necessariamente implica la sua presenza successiva. Che fuori dal mondo della “necessità” esistono altre vie è vero, ma identificare la necessità come il ritorno, mette l’uomo nel ciclo di una eterna immaturità, poiché come vedremo a quella necessità dovrà tornare spintovi dalla guerra.
Precisa poi meglio il suo pensiero: dire “No alla guerra” oggi, in qualsiasi forma si manifesti, significa per me essenzialmente due cose: non ignorare che le guerre sono state fino ad ora strumento di dominio e, contraddittoriamente, via obbligata di molte lotte di liberazione; riconoscere al medesimo tempo, alla luce di nuove consapevolezze, che le guerre hanno anche impedito di affrontare a fondo i conflitti, di risalire alle cause dell’odio che le muove, di prevenirle, di creare le condizioni per una migliore convivenza umana.
Su queste affermazioni posso essere d’accordo: non ci sono guerre giuste, solo guerre necessarie come possono essere quelle di liberazione, ne segue però che il conflitto non può essere sempre sanato pacificamente. Ma manca totalmente l’analisi di chi scatena le guerre per interesse, egemonia, potenza. E questi non sono certo gli uomini della strada o i soldati semplici. Tutto appare indifferenziato, inarticolato, è un’analisi misera troppo generica che si ammanta solo di belle parole messe in fila.
Non ultima per importanza è la riflessione su una violenza che ha le sue lontane, ma durature radici nel dominio e nella cultura patriarcale, in quella differenziazione originaria che ha visto il sesso maschile sottomettere il sesso diverso come “nemico”, escluderlo dal governo del mondo, cancellarlo come individualità, “sfogare su di lui la propria aggressività, sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, abusarne sessualmente senza il suo consenso, sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, umiliarlo, farlo soffrire, torturarlo, ucciderlo” (Freud).
Anche qui parlando di violenza in generale è utile al misticismo femminista far apparire le donne come il “nemico” degli uomini, è un atteggiamento classico per dissimulare i veri conflitti: la lotta di classe diventa la lotta di genere tra uomini e donne dove le oppresse sono le donne (anche le tante donne appartenenti quello strato che ha governato il mondo e che non sono per nulla innocenti di aver ordinato guerre e massacri, o comunque di aver avuto ogni sorta di vantaggio dalle guerre fatte dai loro mariti). Gli storici seri sanno bene che non è così tanto che anche storiche dichiaratesi femministe se ne sono rese conto come Elaine Viennot: l’insistenza sulla storia materiale ha causato la sostanziale cancellazione dello studio di chi deteneva veramente il potere [5].
Nel venir meno di modelli virili socialmente autorevoli, nel declino delle istituzioni che dietro la maschera della neutralità hanno sedimentato valori, gerarchie, privilegi, divisione di ruoli, nel lento decadimento dei miti della forza e dell’onore, è come se si fosse prosciugato il terreno in cui scompariva ogni volta un tenero figlio, ancora in odore di madre, per far crescere un coraggioso guerriero. A uno strappo violento -come quello che separa e differenzia il maschio dal corpo femminile da cui è nato e con cui si è a lungo confuso- sono servite nel tempo svariate forme di iniziazione, addestramento e fedeltà a nuovi codici di appartenenza, per facilitare il passaggio dalla famiglia alle comunità sociali dei suoi simili, come l’esercito e la chiesa.
Prescindendo da questa ‘mistica della maternità’ (tenero figlio, coraggioso guerriero, strappo violento), bella ma non necessaria a quello che si vuole dimostrare [6], nel passato l’esercito e la chiesa erano comunità sociali alle quali si accedeva con forme di iniziazione che garantivano la continuità della società, ma nella realtà erano anche strutture di potere a favore delle élites non certo del povero cristo che s’imbottiva di mitologie della ‘forza’ e dell’’onore’ per andare a crepare sui campi di battaglia. Che poi la virilità sia in crisi è vero, ma oggi il venir meno di modelli è legato anche alle nuove paure create dalle nuove classi dominanti per controllare l’individuo, le forme di controllo oggi non si esercitano più attraverso l’esercito e la chiesa (Dio, padre e famiglia per capirci). Il mondo in cui viviamo oggi, il mondo neoliberale, individualista, utilitarista, neocoloniale, sembra non esistere nel discorso per l’ovvia ragione che chi ormai è divenuto parte del sistema non se ne può accorgere. Oggi a esercitare il controllo sono proprio ideologie come il femminismo, basti vedere i danni causati dall’applicazione del politicamente corretto? [7]. È triste osservare che chi ha iniziato con una pratica antiautoritaria ora divenga un’autorità di un’ideologia ormai pienamente inserita nel campo neoliberale.
Ancora leggiamo: Ma a riportare un ordine patriarcale in declino ci pensa, come è già capitato più volte nella storia, la guerra: quella domestica dei femminicidi e quella sociale delle armi. Da una parte tornano a esserci “donne e bambini”, “madri e mogli” a cui dare rifugio e protezione e versare lacrime e fiumi di retorica politica, dall’altra la chiamata degli uomini al coraggio virile delle armi, compresi quelli che forse non lo vorrebbero, ma sono trattenuti, dalla paura di rinunciare ai benefici di un potere millenario e di essere considerati dei “rammolliti”.
La guerra ‘esterna’ restaura l’ordine ‘patriarcale’, di nuovo appare la voluta confusione tra la guerra contro le donne ‘interna’ e la guerra contro altri ‘uomini’. Una tale mistificazione è palesemente una sciocchezza. Siamo nel regno della fantasia. Melandri crede che gli uomini siano felici di andare in guerra. Anche se Van Creveld parla a volte di uomini (e donne) esaltati e felici di andare in guerra questo stato è indotto per mantenere o espandere il potere di altri, mentre chi danzava per le strade si illudeva semplicemente che la guerra gli avrebbe portato fortuna [8]. Davvero crede Melandri che il semplice soldato abbia i ‘benefici di un potere millenario‘ come i cavalieri della Tavola Rotonda o i personaggi di qualche romanzo fantasy? Sono ‘benefici’ quelli di essere feriti, mutilati o uccisi? Forse per chi crede al paradiso con le vergini, o ad altre sciocchezze? Il mito dell’eroe cavalleresco esiste solo nella fantasia di chi era al sicuro: le élites e, anche più di queste, i loro cortigiani (nel passato gli uomini delle élites, non le donne, non erano del tutto al sicuro poiché partecipavano alle campagne militari: Enrico II di Francia morì persino a causa di un incidente in un torneo fatto per festeggiare la pace; più o meno da quella data, 1559, anche gli uomini delle élites si sono tenuti ben alla larga dai campi di battaglia poiché la guerra moderna stava diventando troppo pericolosa). Che poi è solo un altro aspetto della retorica del potere per indurre gli uomini subalterni a farsi la guerra a beneficio di altri. Proprio in questi giorni apprendiamo come molti uomini stiano fuggendo dall’Ucraina perché non se la sentono di andare a lasciarci la pella in una guerra che si annuncia molto più lunga e dolorosa del previsto [9]. Melandri trascura tra l’altro che nei tempi passati moltissime guerre erano fatte da mercenari, non da soldati reclutati tra i civili che non avevano alcuna intenzione di combattere chicchessia.
Un secondo articolo della Melandri è apparso sul Manifesto [10] in connessione con la guerra tra Hamas e Israele di questi giorni. Non si discosta molto da quanto abbiamo visto sopra, tranne che correttamente individua in Israele il principale responsabile di quanto è accaduto.
Ma non è diverso dal primo articolo, c’è sempre l’eterna “guerra tra i sessi”: Riconoscere che all’origine della guerra, un fenomeno la cui comparsa nella storia è duratura e sistematica, c’è quella mai combattuta che un sesso ha fatto all’altro … . L’origine della guerra (esterna) sarebbe nella violenza contro le donne. Forse voleva dire mai dichiarata, ma anche qui siamo nell’invisibile, nell’esoterica guerra mai combattuta, che vorrà dire? La guerra fredda è definita ‘guerra’ ma è un termine improprio: lo scontro tra gli attori principali non avviene mai a causa delle armi nucleari.
il fatto che di fronte a uno scenario bellico le donne scompaiano, e con loro tutte le tematiche che fino a quel momento sembrava potessero portarle al centro del dibattito politico -femminicidi, stupri, violenza domestica, molestie nei luoghi di lavoro, ma anche interrogativi sul rapporto tra corpo, sessualità e politica – non dovrebbe destare meraviglia.
Sfortunatamente (o non sarà fortunatamente?) per le donne, le guerre le fanno gli uomini, in conseguenza del fatto che, come spiega bene Van Creveld per motivi fisici sono più adatti, per cui è quasi ovvio che non si parli di donne se non come vittime civili, ma ciò ignora completamente le vittime maschili delle guerre. Nel caso specifico Israele – Hamas, i successivi eventi hanno portato in primo piano che le vittime principali erano bambini (di ambo i sessi). Forse vogliamo dire che le donne e le loro (presunte) tematiche sono più importanti di un massacro di cinquemila bambini? Dato che i femminicidi sono un fenomeno marginale almeno in paesi come l’Italia [11]. L’idea di paragonare i femminicidi ad una guerra è semplicemente assurda, tanto più che essendo omicidi essi sono perseguiti dalla legge e quindi non portano alcun ‘beneficio’ per chi li commette cosa provata anche dall’alto numero di suicidi dell’uomo. È quasi ridicolo pensare che costoro si tolgano la vita in nome del ‘patriarcato’, quanto non piuttosto di un totale fallimento materiale e morale [12].
Poi abbiamo delle invenzioni che non stanno né in cielo né in terra: Quando il conflitto armato non le respinge nel ruolo di cura e protezione della famiglia, considerato ‘naturale’, ma indebolito da scelte e comportamenti femminili più liberi, sappiamo che purtroppo vanno ad accrescere il numero delle vittime della popolazione civile. Ma che vuol dire? Fare le soldatesse non conta ovviamente perché si parla di vittime civili, sembra che le bombe siano così intelligenti da verificare se le donne stanno nei ruoli di cura o stanno in discoteca, e uccidono le seconde magari perché hanno la minigonna, certo le bombe sono maschiliste?? Siamo al ridicolo.
Al fondo delle «pulizie etniche» c’è sempre una «pulizia di genere» che sgombra il campo dalla possibilità di soluzioni diverse dallo scontro frontale di una virilità guerriera. Che vuol dire? Invece l’uomo è ben felice che la sua casa venga distrutta per far posto a dei coloni: lui è una bestia vivrà nei boschi? Se poi parliamo di pogrom essi colpivano certamente più gli uomini che le donne come sempre. Forse, mi sfugge il significato di pulizia di genere. Fa parte della mistica esoterica di questa autrice.
Il salto che è avvenuto nella coscienza storica con la comparsa di quel soggetto “imprevisto” che sono le donne ci costringe oggi a interrogare non solo le condizioni contingenti da cui nasce ogni volta una guerra, ma le radici profonde, arcaiche, su cui poggiano le logiche perverse che ancora le sorreggono.
Ci sarebbe da spiegarle che nelle élites le donne non erano affatto impreviste, ma dato che l’articolo riguardava il conflitto Hamas-Israele, invocare radici profonde e arcaiche, ovvero la mistica femminista della grande narrazione del patriarcato dall’inizio dei tempi, vuol dire cancellare tutto quello che è successo “ieri” storicamente dalla Nakba fino ad oggi, compresi gli ultimi vent’anni in cui il popolo palestinese è sparito dalla storia (comprese le donne palestinesi che la sorellanza aveva dimenticato, mentre versava lacrime per le donne di Kabul o per il velo in Iran), per cui non fa che portar acqua al mulino di quelli hanno interesse a sovradeteminare il conflitto tirando in mezzo l’olocausto, gli ebrei, la democrazia, i barbari, i gentili e in questo caso le donne, per esaltare la loro lettura ideologica da ammansire ai proseliti [13]. Fare questo cogliendo in questo modo l’occasione di riaffermare la dubbia esistenza del “dominio maschile” esponendo una teoria femminista della guerra, che ho definito ‘esoterica’ per la sua irrealtà, con i bambini morti sotto le bombe mi sembra un’operazione quanto mai inopportuna.
[1] Martin Van Creveld, Le donne e la guerra, Libreria Editrice Goriziana, 2007.
[2] I commenti al libro di Martin Van Creveld sono stati già pubblicati in passato sulla pagina Instagram MRA-Italia, qui li riporto brevemente come premessa all’analisi del pensiero della Melandri.
[3] Lea Melandri, Le radici patriarcali della guerra, La Stampa 2/4/2022
[4] Peraltro, il noto slogan “il personale è politico” non è altro che la porta d’ingresso dell’individualismo neoliberista nell’ideologia femminista: il privato, il me, il se, l’io, ci domina mentre il senso della comunità è perduto poiché ogni persona diventa il centro dei propri interessi politici: i casi personali di pochi uomini violenti diventano Il Genere Violento, distruggendo anche il principio della responsabilità penale personale. Non si potrà mai dare un qualsiasi comunismo sotto il segno del personale che diventa politico, il diritto privato è quasi sempre un meccanismo di repressione per cui un’eccezione personale diventa regola per tutti, ne è la prova anche l’ipertrofia raggiunta da alcuni articoli del Codice penale.
[5] Il femminismo della seconda ondata tratterà “il lavoro, la famiglia, il corpo, la maternità, la stregoneria, etc. Di conseguenza le gran dame del Rinascimento o del XVII secolo vengono lasciate in disparte nel dibattito”. L’eccessivo spostamento verso la vita materiale ha trascurato il ruolo delle donne di potere relegandolo al lubridio borghese di un Dumas ma anche al passare per “modernità” “anticonformismo ante litteram” che si ribellava al dominio maschile. Tutt’altro il potere delle donne era condiviso con gli uomini ed insieme come classe dominante aristocratica facevano la storia. Cfr. Elaine Viennot, Margherita di Valois, 1991.
[6] Sarebbe necessario un articolo a parte per comprendere il ruolo giocato da questo richiamarsi continuamente al materno: paure primordiali di un figlio, quel corpo resti dimora per il suo ritorno, tenero figlio, coraggioso guerriero (sempre il figlio), strappo violento. Non sono a mio avviso necessari all’espressione del pensiero, certamente rimandano alla formazione freudiana della Melandri. Ma a me sembra, che questo ha poca importanza sull’argomento principale della guerra ‘eterna’ creata prima contro le donne e poi tra gli uomini.
[7] Un esempio devastante di cosa sia diventato è il seguente: Il messaggio individualizzante del ciascuno per sé e della divisione sociale passa negli Stati Uniti attraverso norme giuridiche nei più disparati settori del diritto […]. In ambito lavorativo la dinamica divisiva tra lavoratori si realizza attraverso norme quali quelle sul sexual harassment che, nel prevedere una responsabilità civile del datore di lavoro per i comportamenti sessualmente scorretti dei dipendenti che egli non abbia opportunamente prevenuto o impedito, allargano a dismisura lo spettro delle condotte illecite fino a ricomprendervi i complimenti o uno sguardo dall’alto in basso o con aria incantata rivolti ad un/a collega. Certo si deve trattare di comportamenti non desiderati, ma la preoccupazione che ‘il’ o, più spesso, ‘la’ collega possa risentirsi per un innocuo complimento o per una premura dimostratagli/le, è tale che ogni sguardo sull’altro o gentilezza nei suoi confronti finiscono facilmente per essere automaticamente repressi. Il training del datore di lavoro è invitato ad apprestare i propri dipendenti – se desidera limitare o andare esente da responsabilità – dalla commissione deputata a investigare le lamentele di sexual harassment sul luogo di lavoro, scoraggia infatti spesso esplicitamente qualunque attenzione per l’altro da sé, così da far percepire come invadente ogni tentativo che vada aldilà della pura indifferenza. Elisabetta Grande in Guai ai Poveri (2017), pag.96.
[8] Martin Van Creveld, Le donne e la guerra, cit. Pag. 23: “…è innegabile che le folle che ballavano nelle strade d’America durante i primi giorni della Guerra del Golfo nel 1991, erano composte tanto da donne quanto da uomini”.
[9] 20000 uomini fuggiti all’estero per non combattere, Adnkronos 17/11/2023
[10] Lea Melandri, La guerra e le sue logiche arcaiche, Il Manifesto 13/10/2023
[11] È appena il caso di ricordare che gli omicidi di donne sono un centinaio all’anno, quasi costanti con una lieve diminuzione a partire dagli anni Novanta, gli omicidi di donne non sono tutti femminicidi che sono all’incirca il 50%. In Italia gli omicidi di donne sono inferiori alla maggioranza paesi europei, l’Italia è quart’ultima in questa classifica. Mentre ogni anno ci sono circa mille morti sul lavoro (di cui il 95% uomini), tremila per incidenti stradali, quattromila suicidi (di cui l’80% uomini), questo laddove si dovrebbe parlare dei 10000 morti nei bombardamenti su Gaza, etc. In questi giorni ha tenuto banco in modo spropositato sui media il caso dell’omicidio di Giulia Cecchettin ai quali si è dedicato uno spazio enorme sul quale tutti hanno voluto dire la loro in un coro di affermazioni prive di realtà sia da destra che da sinistra.
[12] Il suicidio o l’apprezzamento della morte ‘in battaglia’ è stato in alcuni casi storici il risultato di un preciso ordine etico maschile (Ordini religiosi militari, Samurai, Kamikaze) per esorcizzare la morte. Questi individui dovevano sviluppare una forte astrazione in un consesso chiuso militante che in qualche modo distribuisse a tutti l’allentamento dell’istinto di sopravvivenza attraverso un preciso rituale. Nel caso del ‘patriarcato’ non esiste nulla di simile, non esiste l’Ordine del patriarcato inteso come istituzione, i casi di omicidio-suicidio (o omicidio e tentato suicidio) sono casi isolati di persone semplicemente fallite.
[13] Per capire questo basta leggere come l’articolo del 2022 viene presentato sul sito di Effimera: Pubblichiamo un importante contributo di Lea Melandri apparso su La Stampa il 2 aprile scorso.
Fonte foto Google. Donna dell’Esercito della Salvezza scrive una lettera per il soldato ferito.
Commenti recenti