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Da alcuni anni il “fenomeno” degli Incel (Involuntary Celibate, cioè involontariamente celibi), nato negli USA e contestualmente diffusosi in tutto il mondo occidentale, è salito alla ribalta delle cronache per via del fatto che alcuni suoi “aderenti” (anche se è improprio definirli tali perché si tratta di un fenomeno sociale e non di un movimento organizzato) auto dichiaratisi neo nazifascisti (pochissimi, peraltro, praticamente un numero più che infinitesimale rispetto alla totalità…) si sono resi responsabili di atti criminosi, il più eclatante dei quali fu la strage commessa da Elliot Rodger in California nel 2014 nei pressi di un campus universitario. Da quel momento in poi è iniziato il processo di criminalizzazione di tutti gli Incel; un fatto criminoso e assolutamente casuale, come tanti altri che ne avvengono di simili, commesso da un sociopatico delirante (esistono anche questi soggetti e si trovano in ogni ambiente) è stato trasformato in un fenomeno e in una prassi generalizzata e di massa che caratterizzerebbe lo stesso modo di essere e di vivere degli Incel.
Come dicevo, si tratta “semplicemente” di un fenomeno (e non di un movimento) che esprime la condizione di sofferenza e disagio di una parte rilevante del mondo maschile, specialmente giovanile, manifestatosi quasi se non esclusivamente sul web. Gli Incel hanno il merito (o la colpa, per i loro detrattori…) di palesare senza ipocrisie o infingimenti il loro malessere. Ed è proprio per questo, paradossalmente (ma non per noi…), che vengono colpevolizzati e criminalizzati; come se la sofferenza fosse una colpa.
La ragione è evidente, per chi ha occhi per vedere. L’attuale sistema sociale ed economico (capitalista) dominante è da diversi decenni intriso di ideologia politicamente corretta e femminista. Questa ideologia deve negare che possa esistere una sofferenza maschile causata dalle contraddizioni del sistema di cui il femminismo è parte integrante e determinante. Se la riconoscesse il paradigma su cui si fonda, cioè la presunta e sistematica condizione di discriminazione di cui il genere femminile sarebbe vittima e contestualmente di privilegio e di dominio altrettanto sistematici di cui quello maschile godrebbe, si squaglierebbe in un nano secondo.
Da qui la necessità di rimuovere, negare e criminalizzare la sofferenza maschile denunciata (anche) dagli Incel. Se una donna vive una condizione di disagio o di sofferenza, la colpa è – secondo la narrazione femminista dominante – indubitabilmente del sistema maschilista e patriarcale, e quindi degli uomini. Se un uomo manifesta una condizione di sofferenza e disagio la colpa non può che essere sua o tutt’al più del sistema maschilista e patriarcale (di cui tutti gli uomini sono responsabili e parte integrante). Viene ovviamente escluso a priori, per definizione, che le donne possano essere causa di sofferenza per gli uomini, per i motivi più svariati, per le stesse ragioni spiegate poc’anzi. E’ il processo di angelificazione/beatificazione/de-responsabilizzazione/”innocentizzazione” del genere femminile da una parte e la colpevolizzazione tout court di quello maschile dall’altra. Chi nega questo postulato è un misogino, maschilista, negazionista e reazionario per definizione.
La narrazione femminista non può ammettere crepe di nessun genere, neanche minime, perché se le ammettesse l’intera sua architettura ideologica crollerebbe. Naturalmente questa visione delle cose è supportata da tutto il sistema mediatico politico neoliberale, “progressista” e di “sinistra” dominante. Soprattutto la parte “sinistra” (in tutti i sensi…) di questo schieramento (neoliberale) si trova in una clamorosa contraddizione, senza forse esserne consapevole (o molto probabilmente sì…) nel momento in cui nega la sofferenza maschile oppure la attribuisce non alle contraddizioni oggettive della società e del sistema (di cui essa è parte integrante) ma alle singole soggettività.
In parole molto povere, se un uomo manifesta una qualsiasi forma di difficoltà e/o di sofferenza nella relazione con l’altro sesso, la colpa è sua e soltanto sua perché è inadeguato per le ragioni più disparate (sociali, psicologiche, fisiche, caratteriali) e per questo incapace di relazionarsi con un universo femminile evoluto e liberato per definizione. Quindi la sofferenza maschile che può essere dettata da tanti e diversi fattori, sia oggettivi che soggettivi (separare soggetto e oggetto, filosoficamente e concettualmente parlando, dovrebbe essere una bestemmia per qualsiasi sinistra, non solo quella marxista…) diventa una responsabilità individuale, soggettiva, di fatto una colpa. Niente male (si fa per dire…) per chi da sempre, in linea teorica, dovrebbe stare dalla parte di chi soffre, di chi si trova in una condizione di subordinazione sociale e umana. Proprio questa sofferenza viene disconosciuta o colpevolizzata o, peggio ancora, derisa. Siamo ad una vera e propria trasvalutazione dei valori – come direbbe il vecchio Nietzsche – per questa “sinistra” che, a dispetto di ciò che formalmente professa, non fa altro che applicare la sua stessa (di Nietzsche) visione del mondo.
E’ la stessa logica per la quale la povertà veniva a suo tempo (ma anche ora, di fatto) criminalizzata. Nella liberale (classista e razzista) Inghilterra del XIX secolo, come noto, furono promulgate leggi contro il vagabondaggio, vero e proprio fenomeno sociale di massa all’epoca. Chi veniva sorpreso a mendicare veniva arrestato. Il vagabondo, il mendicante e il povero in generale erano responsabili della loro condizione, sostanzialmente perché considerati dei buoni a nulla o dei fannulloni.
Oggi gli uomini che osano manifestare il proprio disagio nella relazione con l’altro sesso all’interno delle dinamiche del contesto sociale (capitalistico) in cui si trovano a vivere, subiscono la stessa sorte. Il vagabondo del XIX secolo è lo “sfigato” del XXI. Chi osa contestare – pacificamente, sia chiaro, con le armi della dialettica – questa narrazione (sessista in senso antimaschile e classista) è appunto uno “sfigato”, versione postmoderna del nietzschiano “malriuscito”. E lo ”sfigato”, come ogni “malriuscito”, è naturalmente un risentito, un rancoroso. Le sue ragioni non hanno un fondamento, sono solo un alibi per camuffare l’invidia e il rancore che nutre nei confronti di chi ce l’ha fatta, di chi sta sopra o in alto, di chi è più ricco/a, bello/a e affermato/a di lui, insomma di chi “è ben riuscito/a”. Siamo di fronte alla famosa nietzschiana “etica del risentimento”, il risvolto più spudoratamente e sordidamente reazionario, “aristocratico” e “suprematista” di quel pensiero (che pure ha altri risvolti complessi).
Capiamo, dunque, come l’attuale “sinistra” (le virgolette e le minuscole sono d’obbligo) sia di fatto diventata una destra (anche se è improprio, da un certo punto di vista politicamente e ideologicamente formale, affermare ciò, ma credo che ci capiamo…), concettualmente e filosoficamente parlando, sia pure declinata in abiti e in forme ideologiche solo parzialmente diverse. Mutatis mutandis, anche i lavoratori e le classi sociali che da sempre lottano per condizioni migliori di lavoro e di esistenza, per liberarsi da una condizione di subordinazione sociale e umana complessiva, dovrebbero essere considerati degli “sfigati”, dei rancorosi “malriusciti” che camuffano la loro invidia sociale e umana dietro ideologie malate.
Ecco, dunque, tornando a noi, perché un fenomeno assolutamente pacifico come quello degli Incel, “colpevole” solo di portare alla luce la sofferenza della parte più fragile del mondo maschile, quella che si sente inadeguata, non accettata, rifiutata, impossibilitata a stare al passo in una società sempre più competitiva e iper individualista dove se non si dispone di un capitale (ricchezza, visibilità, avvenenza fisica, posizione sociale) si viene emarginati, deve essere criminalizzato. Gli Incel diventano addirittura l’humus in cui prolifererebbe la “cultura” del femminicidio”, del disprezzo e della violenza contro le donne, come ho letto su alcuni giornali in questi giorni, dove pseudo giornalisti, esperti, sociologi, psicologici e cretini fanno a gara a chi infierisce di più contro questi uomini. E più sono fragili e più ci si accanisce. Di più. Si specula in modo vergognoso e infame proprio sulla loro fragilità. Se questo non è un atteggiamento concettualmente e intrinsecamente nazista, fascista e razzista – l’accanirsi contro i più deboli – ditemi voi in che altro modo può essere definito.
La stragrande maggioranza se non la totalità di questi giovani maschi, infatti, ha pudore di apparire, preferisce restare nell’ombra, al riparo (relativamente…) della rete, nei social, proprio in ragione delle loro problematiche, per timidezza, bassa autostima, difficoltà ad esporsi pubblicamente, spesso riparandosi dietro a un nick, quindi nell’anonimato. Ed è proprio su queste paure e su questa fragilità, sul loro rimanere un fenomeno sotterraneo, che speculano gli avvoltoi mediatici. I quali estrapolano qualche commento maldestro se non delirante di qualcuno per criminalizzare tutti. Si guardano bene però i suddetti avvoltoi dal farsi un giro sui vari blog e siti femministi e leggere gli altrettanto e forse ancor più incommentabili deliri (ma non siamo certo qui a fare una gara di delirio e stupidità…) di alcune che inneggiano alla castrazione per gli uomini o a quelle donne che hanno ucciso il proprio marito o compagno, meglio ancora se in forme efferate e particolarmente violente. Due pesi e due misure, come sempre. Voluto e scientifico strabismo.
Il mio invito agli Incel e più in generale a tutti gli uomini che vivono una condizione di disagio e di difficoltà (a mio parere, la maggioranza), è di uscire allo scoperto, vincere le paure, la vergogna di essere stigmatizzati, derisi e colpevolizzati, rivendicare con fierezza le proprie ragioni e anche le proprie fragilità; proprio quest’ultimo è un atto di forza, non mostrare i muscoli o scimmiottare modelli dominanti. E questo non solo per tutelarsi (restare in una dimensione sotterranea alimenta la cultura del sospetto e della criminalizzazione…) ma per sostenere con forza le proprie ragioni e incentivare e incoraggiare tutti gli altri ad uscire allo scoperto. Il disvelamento della narrazione e della menzogna femminista e politicamente corretta è un atto di rottura fondamentale e propedeutico per chi si pone in una posizione critica nei confronti dell’attuale sistema dominante.
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