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Scuote sapere come sia passato inosservato il caso di Denys Molchanov, il ragazzo che si è suicidato in carcere lo scorso settembre. Scuote pensare che in questo caso il ministro della giustizia Nordio non sia andato a fare nessuna visita o che il giudice di sorveglianza Vincenzo Semeraro non abbia sottolineato quanto inadeguati siano gli istituti di detenzione.
La motivazione per cui, nel caso del suicidio di Denys, non sono state fatte dichiarazioni o azioni esemplari da personaggi di rilevanza politica e istituzionale, è che a finire morto suicida in carcere è stato un maschio.
C’è da chiedersi se il fatto di stare in carcere per l’infondata accusa di aver ucciso la propria partner possa aver influenzato i media nel non far emergere questa storia. Si dà infatti il caso che Denys sia stato incarcerato con l’accusa di aver strangolato e ucciso la propria partner, Iulia Astafieya, lo scorso 7 marzo.
Il ragazzo ha però disperatamente professato la propria innocenza fino al giorno in cui si è tolto la vita, in cella, tramite impiccagione. Ma le ultime notizie conseguenti ai risultati dell’autopsia hanno escluso che la ragazza ucraina fosse stata uccisa tramite strangolamento, mentre hanno confermato la tesi dell’impiccagione e quindi del suicidio, ma a questo errore non ci potrà essere rimedio.
Nessun problema per il sistema, il caso non verrà esaltato, così come non viene esaltato il fatto che circa il 90% dei suicidi in carcere sono suicidi maschili . Condannare pubblicamente un problema sociale così grave, con un risvolto di genere maschile così netto, non si addice al nostro occidente ormai corroborato dalla narrazione femminista: narrazione che vuole gli uomini sempre in una posizione di privilegio, e fare emergere problemi maschili di questa rilevanza sarebbe come auto-sabotare l’apparato ideologico di rosa nostra. Ma la versione ormai smentita dalle autopsie, quella che invece fa tanto comodo al sistema dominante e che vuole Iulia assassinata da Denys, resta: resta perché serve a riempire le statistiche sui femminicidi. E poco importa se in questo caso la morte sia stata un suicidio perché alla fine, pure che qualcuno chiedesse di rendere conto di questo errore, potranno sempre dire che anche le donne che si suicidano sono dei femminicidi, trovando i giusti sofismi e facendo leva sulle solite pressioni che il patriarcato eserciterebbe sul genere femminile, che come ogni categoria merita solidarietà, ma che oggi sembra essere l’unica categoria nella quale i media riconoscono l’esistenza del ruolo della vittima.
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