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04 Apr 2024  |  0 Commenti

Il ruolo della donna fra storia e diritto. Conformismo o emancipazione?

Non nego che affrontare questo tema è molto complicato. Il rischio di essere accusati di maschilismo, sessismo e paternalismo è molto forte.  Per affrontarlo prendo le mosse dal libro di Christine de Pizan dal titolo La Cité des Damas. Nonostante il nome francese era italiana, donna appartenente a quella classe di mercanti che, dall’Italia, attraversava in lungo e in largo l’Europa del Basso Medio Evo arricchendosi e a volte imparentandosi con l’aristocrazia d’oltralpe, come accadde alla de Pizan la quale andò in sposa ad un esponente dell’aristocrazia francese e poi rimase vedova giovane con figli da mantenere e, nonostante fosse aristocratica e ricca, con le difficoltà rivenienti dal contesto sociale, culturale, giuridico ed economico dell’epoca. Scrive nel suo libro dal titolo che richiama La Città di Dio di Agostino di Ippona << Nella mia follia, mi dispero che Dio mi avesse fatta nascere in un corpo femminile (…) come se la natura avesse creato mostri>>; pur se inizialmente accusa Dio, approfondendo le varie questioni prende atto che è il contesto dominato dagli uomini ad aver determinato la sua condizione. Come scrive la Klapisch – Zuber[1]<< Questo avviene verso il 1400, quando il Rinascimento si annuncia con il declino del Medioevo. Guardiamola bene, questa polemista, campionessa delle sue sorelle. Vedova, essa lavora per guadagnare il pane per la famiglia, e il suo lavoro è quello di una donna istruita, consapevole del proprio valore. È letterata, cosa che allora è molto rara, scrive, stranezza anche più grande. In essa s’incrociano la maggior parte dei problemi sollevati dalla storia delle donne nel Medioevo. (…)>> In questa figura si incrociano questioni quali la demografia, il sistema economico, l’autonomia giuridica, il senso stesso dell’essere donna, che, potremmo dire senza il rischio di sbagliare, si ritrovano nella Storia dall’età Antica fino alla Contemporaneità. La Storia è ricca di donne che hanno avuto un ruolo centrale: basti pensare alla Giudicessa Eleonora di Arborea, passata alla Storia per aver promulgato una delle prime raccolte di norme; alla Contessa Matilde di Canossa che mette letteralmente in ginocchio Enrico IV e, andando ancora più indietro, la regina dei Longobardi Teodolinda o grandi intellettuali e filosofe come Ipazia. Con l’ascesa del Cristianesimo e il suo consolidarsi come unica religione,  contribuendo alla definizione dell’identità Occidentale, la Storia si arricchisce di donne santificate: Santa Caterina da Siena, Santa Chiara, Santa Rita; ma anche di donne idealizzate dalla poesia, penso alla Beatrice di Dante, a Laura di Petrarca, alla Fiammetta di Boccaccio. Come dimenticare le tante donne guerriere come S. Giovanna d’Arco o la Contessa Caterina Sforza, che dagli spalti della fortezza assediata di fronte ai nemici che minacciavano di ammazzarle i figli se non si fosse arresa, alzando le vesti, quindi scoprendo il proprio sesso, rispose a quelle terribili minacce che di figli ne avrebbe potuti fare altri. Tante altre sono le donne passate alla storia per la loro forza e la loro abilità politica: Lucrezia Borgia prima usata come merce di scambio dal padre e dal fratello, divenuta duchessa di Ferrara dimostrò abilità politiche non indifferenti; Isabella d’Este, la Regina Isabella di Castiglia, Elisabetta I Tudor,  Maria Teresa  d’Asburgo ammirata persino da Federico II di Prussia noto misogino, Caterina zarina di Russia, Elisabetta zarina di Russia, Elisabetta Farnese ultima discendente di quella famiglia ma anche capostipite del ramo dei Borbone che ancora oggi regna sulla Spagna. Tutte queste donne sono accomunate dal fatto che nessuna di esse risponde ad un modello di donna non riconducibile ad una Storia costruita secondo modelli culturali maschili. Possono queste stesse donne essere considerate esempi riconducibili al pensiero femminista? Questa è la domanda alla quale proverò a rispondere riportando per sommi capi la storia del movimento di emancipazione della donna evidenziandone le diverse correnti, contestualizzandone le battaglie politiche fino al confronto culturale e politico in corso caratterizzato da un femminismo post moderno. Concluderò spiegando il senso del titolo della mia relazione e cioè cosa significa l’andare oltre la narrazione mainstream dell’emancipazione della donna.  Per inciso il pensiero dominante è oltre l’idea stessa di donna e uomo per cui non bisogna nemmeno parlare di emancipazione della donna ma di liberazione di un essere indistinto, asessuato e androgino. Prima di proseguire serve una precisazione, il mainstream al quale faccio riferimento non ha nulla a che vedere  con il gender mainstream. Come scrive la filosofa del diritto Lucia Re[2]<<Per l’Ecosoc: Il gender mainstream è il processo in base al quale si valutano le conseguenze per le donne e per gli uomini di ogni azione che viene pianificata, inclusa la legislazione, le politiche o i programmi, in tutte le aree e a tutti i livelli. E’ una strategia per rendere le esigenze e le esperienze delle donne e degli uomini parte integrante della progettazione, dell’implementazione, del monitoraggio e della valutazione delle politiche e dei programmi in tutte le sfere, politica, economica e sociale, così che donne e uomini ne possano beneficiare in modo uguale e non si perpetui la disuguaglianza. Lo scopo finale è ottenere l’uguaglianza di genere>> Principio della parità questo che si riallaccia tout court alla “prima ondata” del femminismo fatto proprio dalla Dichiarazione e dalla Piattaforma d’azione di Pechino, nel documento del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite , ECOSOC appunto, sia nella prospettiva fatta dall’Unione Europea con il Trattato di Amsterdam del 1997. Il principio di uguaglianza riportato nei documenti ai quali faccio riferimento, pur se in alcuni aspetti risulta datato, è da intendersi come qualcosa che non attiene le sole donne ma è parte integrante del sistema economico e sociale rappresentato dal capitalismo neoliberale. Questa mia precisazione per il momento ha come scopo solo quello di marcare la differenza tra ciò che io intendo per mainstream rispetto al “gender mainstreaming” i documenti internazionali appena citati. Il ragionamento non può che riprendere dalla genesi del pensiero femminista e da come esso si è trasformato rispetto alle condizioni economiche, sociali e politiche storicamente determinate.

Se tanto in Età Antica quanto nel Medio Evo vi erano donne che prendevano coscienza del loro stato di inferiorità imposto dal sistema patriarcale per cui venivano considerate delle semplici “fattrici”, prive di diritti soggettivi e assoggettate alla potestà prima paterna e dopo maritale e in caso di vedovanza a quella del figlio maggiore, il pensiero femminista matura in Europa nel contesto rappresentato dall’ascesa e dall’affermazione della società borghese legata allo sviluppo del sistema economico capitalista. Fino a quel momento non è che non ci fossero state donne capaci di svolgere un’azione guida rispetto a determinati processi, il punto è che per il pensiero femminista, le azioni condotte da donne che hanno determinato la scena politica, economica, sociale e culturale non hanno nulla a che vedere con il femminismo, il modo di agire di quelle donne, dicevo,  è funzionale alla conservazione del sistema sociale ed economico patriarcale. Per essere chiaro fino in fondo donne come Elisabetta I Tudor, Maria Teresa d’Asburgo, ecc. non hanno nulla a che vedere con istanze femministe, esse sono il tipico prodotto di un sistema patriarcale.

Il femminismo nasce quando si struttura come pensiero autonomo e alternativo alla visione del mondo scritta e determinata dal maschio. Nell’antichità, Platone[3]scriveva << – Quindi, dissi, anche per il sesso maschile e femminile, se risultano differenti per una data arte o altra occupazione, diremo che questa arte od occupazione va assegnata o all’uno o all’altro sesso. Ma se risulta che la loro differenza è data soltanto dal fatto che la femmina partorisce e il maschio copre, diremo che non c’è alcuna ragione di concludere che, relativamente al nostro argomento, la donna differisca dall’uomo; ma continueremo a credere che i nostri guardiani e le loro donne debbono attendere alle stesse occupazioni. (…) È vero, rispose; in ogni campo, per così dire, uno dei due sessi è assai inferiore all’altro. Certo che in parecchi molte donne sono migliori di molti uomini, ma in generale è come dici. – Allora, mio caro, nell’amministrazione statale non c’è occupazione che sia propria di una donna in quanto donna né di un uomo in quanto uomo; ma le attitudini naturali sono similmente disseminate nei due sessi; e natura vuole che tutte le occupazioni siano accessibili alla donna e tutte all’uomo (…)>>. Nel  Tardo  Medio Evo, le donne spesso ebbero un ruolo guida nelle varie rivolte contadine. Nel mondo Islamico la Sharia riconobbe diritti alle donne nei campi del matrimonio, del divorzio e dell’eredità. Paradossalmente le condizioni della donna nel mondo arabo – islamico peggiorarono quando in quei paesi arrivarono gli inglesi i quali imposero il loro diritto con un  ulteriore peggioramento  delle condizioni della donna.

Ritornando al ruolo della donna nel Medio Evo, ad esempio, le donne prese a riferimento negli scritti teologici e filosofici dell’epoca descrivono l’ideale di una donna funzionale ad un sistema che attribuiva ad essa la funzione di riproduttrice e, rispetto alla divisione del lavoro, alle attività strettamente legate, potremmo dire, al “focolare domestico” e cioè accudire la casa, i figli, il marito, gli anziani di casa. La descrizione che si evince dagli scritti dell’epoca [4] ha come punti di riferimento fondamentalmente due donne: Maria la madre di Cristo e Maria Maddalena la prostituta convertita. A definire i compiti e il ruolo delle donne sono spesso religiosi alcuni di questi addirittura oblati ad ordini monacali per cui in vita loro non avevano mai avuto a che fare con una donna in carne ed ossa. La vicenda di Abelardo ed Eloisa è emblematica di quei secoli. La stessa Eloisa è difficile che possa passare per una sorta di proto femminista, certamente è consapevole di essere semplice merce di scambio per i fratelli per cui gli è impossibile coronare il suo sogno d’amore non solo spirituale ma anche fisico con Abelardo però non ha gli strumenti per poter immaginare una narrazione alternativa a quella maschile e patriarcale dell’epoca. Le donne descritte dai poeti a partire dal Dolce Stil Novo, dagli chansonnier provenzali, ecc. sono sempre il prodotto della elaborazione culturale di una società maschile. Non potremmo mai sapere se Beatrice, Laura o Fiammetta condividessero in qualche modo la descrizione di quell’ideale di donna che Dante, Petrarca e Boccaccio con i loro versi hanno consegnato alla storia.  Sempre restando nella stessa epoca storica abbiamo esempi di donne come Santa Chiara, l’equivalente di San Francesco, o della compagna dell’eretico Fra Dolcino, Margherita Boninsegna passata alla storia come Margherita da Trento o Margherita la Bella. Una donna, quest’ultima, ritenuta dal suo stesso compagno e dagli adepti del movimento secolare degli “ Apostoli” una guida importante, a sminuirne il ruolo fu la Santa Inquisizione, quindi il potere maschile.

Pur condividendo quanto sostenuto da Lucy Katherine Mangan[5] e cioè la difficoltà di comprendere il femminismo da parte delle stesse femministe, ritengo che tale pensiero nasca  quando la donna rifiuta il suo essere funzionale alla logica di potere maschile. Quando in sostanza costruisce un pensiero autonomo proponendo una visione alternativa a quella, diremmo oggi, egemone, rappresentata da ciò che le stesse femministe definiscono come sistema patriarcale. Anche se pure su questo punto, come vedremo più avanti, l’impostazione la devono a due uomini: J.J. Bachofen e F. Engels.

L’autonomia del pensiero trae origine dalle rivendicazioni che, a partire dal 500 – 600, portano all’emergere della soggettività. Il dibattito interno al mondo tanto Cattolico quanto Protestante è fondamentale ai fini della nascita del soggetto. Durante il 500 sono molte le nobildonne che animano cenacoli che alimentano il dibattito filosofico e teologico che vedono il confronto tra Riforma e Controriforma. Ad animare il dibattito dell’epoca all’insegna della rivendicazione dell’autonomia e della parità non sono solo morigerate nobildonne. Un ruolo fondamentale venne svolto, ad esempio, dalla figura della Cortigiana, penso a Veronica Franco: donna colta, poetessa, scrittrice e musicista.

I germi del pensiero liberale traggono origine dal confronto filosofico, teologico e politico che interessò l’Europa del XVI e XVII secolo. È durante la rivoluzione inglese del 600 che emergono le prime istanze femministe, ma è soprattutto durante la Rivoluzione Francese che tali istanze emergono in modo forte.

I primi documenti da ascrivere al pensiero femminista sono collocabili a cavallo dei secoli  XVII e XVIII. Mary Astell, filosofa e scrittrice vissuta in Gran Bretagna, anticipa il tema della parità tra uomo e donna. In Svezia sono  Margareta Momma e Hedvig Nordenflycht, a porre con i loro scritti il tema dell’uguaglianza e quindi a rivendicare quei diritti che all’epoca erano appannaggio dei soli uomini.[6]

Il termine “femminista” all’epoca non era stato ancora coniato, ma le istanze di uguaglianza da parte delle donne sull’onda delle rivendicazioni di Libertà che caratterizzavano l’ascesa della borghesia dell’epoca che trovano nella Guerra di Indipendenza Americana e nella Rivoluzione Francese del 1789  il terreno giusto per germogliare. Risale alla Rivoluzione francese e all’opera di Olympe de Gouges ,[7]la quale in piena Rivoluzione Francese con la  “Dichiarazione dei diritti delle donne e della cittadinanza” tenta di imporre all’Assemblea Costituente di Parigi del 1791 la questione dell’uguaglianza tra uomo e donna. Le istanze da lei promosse non vennero prese molto bene dai rivoluzionari francesi, infatti finì ghigliottinata. In ogni caso la prima ad avere scritto testi riconducibili ad un pensiero femminista autonomo è Maria Wollstonecraft, contemporanea della Gouges, londinese, viene considerata come l’iniziatrice del pensiero femminista di ispirazione Liberale. In quella che è la sua opera più importante “A vindication of the Rights of Woman” del 1792 scrive<<E’ ora di effettuare una rivoluzione nei modi di vivere delle donne – è ora di restituir loro la loro dignità perduta – e di far sì che esse, come parte della specie umana, operino, riformando se stesse, per riformare il mondo>>[8]

Il Codice Civile voluto da Napoleone Bonaparte nel 1804 sancisce sul piano giuridico il primato del pater familias per cui le istanze liberali presenti nella Rivoluzione francese alle quali le prime femministe facevano riferimento finiscono con l’essere, almeno dal punto di vista normativo, archiviate. I movimenti femministi al di qua e al di là delle sponde dell’Atlantico si ispirano fondamentalmente al pensiero Liberale uscito egemone dalla Rivoluzione Francese. Il movimento femminista di ispirazione liberale pone al centro della propria azione politica l’uguaglianza politica in nome della comune appartenenza al genere umano, le principali rivendicazioni sono diritto di proprietà, di successione, accesso alle professioni, diritto di voto e di essere elette. Alfieri di tale impostazione sono John Stuart Mill[9] e Harriet Taylore, prima amanti e coniugati solo dopo la morte del marito di lei.  Il suffragio progressivamente si allarga, come è noto non è solo una rivendicazione delle donne ma anche degli uomini, visto che il diritto di voto e la possibilità di candidarsi alle elezioni politiche e amministrative erano strettamente legati al censo. Il suffragio universale esteso anche alle donne arriverà negli Stati riconducibili al modello Occidentale solo tra la fine dell’800 e i primi del 900. Il primo Paese ad aver concesso il diritto di voto alle donne è il Dominion della Nuova Zelanda sul finire dell’800. In Italia il diritto di voto alle donne verrà riconosciuto solo con la nascita della Costituzione Repubblicana nel 1947. In Italia le rivendicazioni di emancipazione femminile, da intendersi in questa prima fase come riconoscimento dei diritti civili e politici rivendicati anche dagli uomini, si intrecciano con le battaglie risorgimentali che affondano le radici nelle Repubbliche giacobine nate a seguito della discesa di Napoleone Bonaparte. Protagoniste della lotta per l’emancipazione della donna che si intreccia con la lotta per l’indipendenza e l’unità nazionale sono nobildonne come Clara Maffei, Cristina Trivulzio Belgioso, Sarah Nathan, Maria Drago, Laura Solera Mantegazza. I temi dell’uguaglianza sociale e quindi le rivendicazioni dei diritti civili e politici traggono origine dalle condizioni materiali delle donne e dal ruolo che esse svolgono all’interno della Società. Sono madri e nel contempo educatrici dei figli, sono elementi questi fondamentali ai fini della lotta politica per l’uguaglianza. Da qui il diritto a sposare chi si amava e non chi veniva imposto dalla famiglia, nello specifico dal padre. Non solo diritti civili quali il diritto di proprietà, di successione diventano fondamentali, donne benestanti creano associazioni che promuovono l’istituzione di scuole nelle quali impartire l’educazione non solo ai ragazzi ma anche alle ragazze.

Rivendicazioni di questo tipo si inseriscono nel filone del pensiero liberale. La rivoluzione industriale e la nascita del proletariato con le rivendicazioni connesse alle condizioni materiali determinate dal nuovo sistema di produzione, che interessa prima l’Inghilterra a partire dalla metà del XVIII secolo e poi l’Europa continentale e quelli che sono diventati gli Stati Uniti d’America, allarga il campo delle rivendicazioni. La nascita dei primi movimenti Socialisti, ad opera di C. Fourier, Saint Simon, Proudhon ma soprattutto di K. Marx e F. Engels,  e del movimento anarchico, ad opera di M. Bakunin, forniscono una nuova prospettiva. Le rivendicazioni delle donne non si intrecciano più, come in Italia, con la lotta Risorgimentale, o in altri Paesi con le lotte per la concessione delle Costituzioni, ma con la lotta di classe per quelle donne che si ispirano al Socialismo e al Comunismo o con l’abbattimento di qualsiasi autorità per quei movimenti femministi che sposano gli ideali anarchici.

Il movimento femminista deve proprio ad F. Engels e alla sua opera “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” gli elementi teorici per condurre l’affondo contro il sistema sociale, educativo, politico ed economico borghese. Le rivendicazioni del femminismo liberale, a donne formatesi nelle fabbriche appaiono non sufficienti. Engels nella sua opera, come è noto, trae spunto dalle riflessioni dello storico ed antropologo del diritto Bachofen il quale sostiene che le società primitive erano organizzate secondo un sistema matriarcale. Una tale ipotesi è confortata dall’esistenza di un sistema di tipo religioso che individua nella dea madre uno dei riferimenti. Ma non è il solo elemento: la riproduzione nelle società primitive non veniva attribuita all’atto sessuale e questo dato è suffragato da numerosi studi di etnologia e di antropologia secondo cui nelle società primitive il concepimento della donna dipende da divinità, o altre cause. Nelle società primitive di tipo matriarcale il ruolo del maschio padre di fatto non esisteva, l’educazione della prole veniva affidata al fratello della madre. E’ solo con la scoperta della funzione dell’atto sessuale rispetto all’aspetto riproduttivo che il sistema sociale da matriarcale si trasforma in patriarcale. Comunque non è solo l’aspetto riproduttivo a segnare questo mutamento nell’assetto sociale; ma la nascita del diritto di proprietà legato all’occupazione da parte di tribù di territori specifici per cui da nomade si passa ad un sistema stanziale e la nascita della famiglia che aveva nel padre il punto di riferimento, il capo. La successiva trasformazione del sistema produttivo ha finito con il relegare la donna alla funzione riproduttiva, al ruolo di custode del focolare domestico e alla condizione di merce di scambio in funzione di alleanze tra tribù e clan familiari.

La trasformazione del sistema economico da feudale in industriale rende insufficienti le rivendicazioni del femminismo liberale rispetto alle questioni di uguaglianza e giustizia sociale. Per una donna appartenente al proletariato rivendicazioni che attenessero solo il diritto di proprietà, di successione o la possibilità di sposarsi liberamente apparivano rivendicazioni insufficienti: per una donna proletaria, che nulla possedeva, non aveva senso rivendicare il diritto di proprietà o di successione e, tutto sommato, di potersi sposare senza imposizioni. Lo stesso Engels nel saggio “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”, in alcuni passaggi più che alle donne proletarie sembra rivolgersi alle donne appartenenti alle classi sociali medio alte.  Le donne appartenenti a famiglie costrette a lasciare i campi e a trasferirsi in città, dove hanno dovuto offrire le loro braccia in fabbriche con  ritmi e condizioni di lavoro  massacranti, pongono questioni quali orario di lavoro, parità di salario, tutela della maternità, cura della famiglia e così la lotta per l’emancipazione acquisisce prospettive che si intrecciano con la lotta di classe e il superamento del capitalismo.

In Italia rappresentanti del femminismo di ispirazione Socialista sono Anna Kuliscioff [10], Maria Montessori[11], Sibilla Aleramo al secolo Marta Felicina Faccio, zia dell’esponente radicale Adele Faccio. Rispetto alla Aleramo la questione è molto più complessa viste le iniziali simpatie socialiste per poi passare al fascismo e di ritorno al comunismo.[12]

Alle correnti di pensiero Liberal – Femminista e Social – Femminista, il primo femminismo affianca anche una corrente di pensiero anarchica, le cui esponenti sono Voltairine de Cleyee soprattutto Emma Goldamann. Dal punto di vista delle rivendicazioni politiche non si differenzia molto dal Femminismo di ispirazione socialista.

Il passaggio dall’800 al 900 si chiude con il movimento passato alla storia delle “suffragette”, lo scoppio della Grande Guerra mette in una situazione di attesa le rivendicazioni femministe. La Grande Guerra con l’impegno massiccio delle donne nelle fabbriche per far fronte alla mancanza di braccia maschili impegnate sui fronti fungerà da incubatore per l’acquisizione di una nuova e diversa coscienza dell’essere donna.

La prima metà del 900 secondo alcuni è segnato da una sorta di riflusso eppure a guardare bene le riflessioni di alcune esponenti del mondo femminista Virginia Woolf, Simone de Beauvoir e Betty Friedan è possibile trovare le tracce di ciò che a partire dagli 60 e 70 la seconda ondata femminista.

La Woolf in quello che è il suo più importante scritto riguardante la questione femminista dal titolo “Le tre ghinee” fa emergere la diversa sensibilità della donna rispetto a temi come la guerra. È possibile ipotizzare una vera e propria anticipazione del femminismo della differenza. Simone de Beauvoir, in quello che è il suo scritto/manifesto dal titolo “Il secondo sesso”, racchiude nell’aforisma “donna non si nasce, lo si diventa” la sintesi del suo pensiero. L’essere donna, per come si intende tradizionalmente è una costruzione culturale. Le categorie che hanno, storicamente, determinato l’essere donna sono la maternità forzata, i vincoli sociali oppressivi, i recinti intellettuali, il legame con la spiritualità cristiana. La donna per emanciparsi deve liberarsi da quelli che sono costrutti culturali. La stessa maternità se non voluta è un qualcosa di cui liberarsi. Come scrive Vania Russo[13] analizzando il pensiero della Beauvoir partendo dalla sua biografia <<La maternità è uno dei più potenti motivi di angoscia per Simone de Beauvoir, che nei suoi libri autobiografici racconta di sogni inquietanti e oscuri legati alla maternità e al legame con sua madre, incubi in cui si uniscono ovuli, embrioni, bambini feriti, infanticidio. Il disgusto per la fecondità femminile si unisce al desiderio di matricidio e alla visione di cadaveri vestiti di bianco, relazioni incestuose, spesso omosessuali. (…) La bisessualità della filosofa si allinea al pensiero relativistico secondo cui non esistono valori comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne, ma solo “coniugazioni al singolare” , esiste la singolarità, non esistono i ruoli sociali, e non esistono schemi universali(…). >>. In conclusione la donna per diventare tale, per la de Beauvoir, deve operare affinché la famiglia patriarcale venga distrutta e per la liberazione della donna dal ruolo di madre, per cui aborto e contraccettivi diventano fondamentali. In merito la stessa de Beauvoir presso la sua abitazione a Parigi istallerà un laboratorio per favorire l’aborto clandestino. La de Beauvoir anticipa i temi di quello che è pensiero dominante nell’ambito del dibattito sull’emancipazione della donna, ossia il trans femminismo.

Terza ed ultima Betty Friedan. In questa fase di passaggio la Friedan è importante perché grazie alla sua ricerca mette a nudo la narrazione patinata del modello di donna americana degli anni 50 e 60. A puro titolo esemplificativo penso al film interpretato da Kate Winslet, Revolutionary Road o a Mona lisa Smile con Julia Roberts.

Siamo arrivati agli anni 60, sono gli anni della contestazione che parte dalle università americane tra queste Berkeley per arrivare in Europa, a Parigi con il “Maggio Francese”, in Italia, Germania  con l’occupazione delle università. Il film “Fragole e sangue” rappresenta ciò che succede nelle università americane ma più in generale in tutte le università occidentali. La “seconda ondata femminista” si inserisce nel contesto complessivo rappresentato dai movimenti contestatari di quegli anni. Il filosofo J.P. Sartre con la sua compagna de Beauvoir per l’appunto vengono presi a modello dalle nuove generazioni alla ricerca di nuovi modelli di vita e di relazioni sociali. Gli scritti di filosofi come Marcuse, Foucoault, Derrida, Lyotard, sono quelli che ispirano le riflessioni di quegli anni. La canzone Contessa di Paolo Pietrangeli tra le rivendicazioni operaie annovera non solo gli aumenti salariali e l’aspirazione ad avere il figlio dottore ma anche il libero amore. Lidia Ravera con il suo romanzo “Porci con le ali” rappresenta uno spaccato di quegli anni. H. Serkowska[14]scrive di lei: <<Ravera esordisce nel luglio del 1976 con Porci con le ali, progettato come un libro – volantino, un pamphlet, un opuscolo di circolazione interna, nato dietro all’imperativo categorico di “cambiare il mondo prima che il mondo cambi noi” , e comunque di cambiare (cosa che parrebbe una bella utopia, ma chi poi infatti si rivelò l’inizio dei cambiamenti sociali e politici del 900 se non la grande politica dei rapporti di forza), almeno quelle “piccole cose” della vita individuale, affettiva dei rapporti fra le persone. La scrittrice, sempre attenta ai reali problemi della società italiana, si fa carico di presentare la contestazione giovanile studentesca e operaia, ma illustra soprattutto l’apporto del femminismo ai grandi, epocali cambiamenti sociali tra cui la de tabuizzazione dell’eros in genere ( nel libro esso diventa una metafora politica), una maggiore comprensione e tolleranza verso chi ( omosessuale, mentecatto) non è più considerato un malato bensì un diverso, la scoperta e la rivalutazione del privato, ecc. (…). Quello ostentato dalla giovane Antonia ( che riempie a quattro mani con Rocco le pagine del loro diario) è un femminismo arrabbiato, confrontativo ( gli anni 70 , sostiene la Ravera, erano dei bei tempi, perché allora la parola “femminista” non equivaleva ancora a un insulto), a cui seguirà un lento e faticoso ( già rinvenibile nel suo libro d’esordio) germogliare del femminismo della differenza, all’epoca intriso del vieto spirito rivendicativo, emancipativo(…)>> .

La fine degli anni 60 e i primi anni 70 del 900 avviano quel processo di destrutturazione della società borghese e anche della lotta di classe che le si contrapponeva. Ad essere messi in discussione in nome della libertà individuale sono la famiglia tradizionale, patriarcale e borghese insieme, i partiti politici, le istituzioni. La seconda ondata femminista non nega le conquiste dei decenni precedenti, non rivendica più l’uguaglianza con il maschio ma la differenza. Il pensiero femminista si articola in diverse correnti e sottocorrenti. Ai fini dell’economia del mio ragionamento restringo lo spettro della riflessione e mi limito ad affrontare il femminismo italiano, nello specifico il femminismo della differenza e il fenomeno del trans femminismo. Rispetto al femminismo della differenza ispirato dal pensiero della pensatrice francese Luce Irigaray[15]<< Le nostre società presentano quindi due mancanze, due rimozioni, due ingiustizie o anomalie:1) le donne, che hanno dato la vita all’altro e lo hanno cresciuto in sé, vengono escluse dall’ordine dell’“uguale a loro” creato solo dagli uomini ; 2) la bambina, pur concepita da un uomo e da una donna,non è ammessa nella società come figlia del padre allo stesso titolo del maschietto, ma rimane fuori della cultura, custodita come corpo naturale buono per la procreazione(…) Per ottenere uno statuto soggettivo equivalente a quello degli uomini, le donne devono quindi far riconoscere la loro differenza. Devono affermarsi come soggetti che valgono, figlie di madre e di padre, rispettose dell’altro che è in loro e capaci di esigere dalla società il medesimo rispetto>>. In Italia l’esponente di spicco del femminismo della differenza è Adriana Cavarero.[16] Nel libro intervista, curato da un’altra esponente del femminismo italiano Elvira Roncalli,[17] emergono in modo chiaro le varie posizioni rispetto a ciò che si intende per femminismo della differenza così come si esprime la Muraro [18]<< (…) il femminismo della differenza è un nome coniato secondariamente per differenziarci da quelle femministe che, in nome dell’ideale dell’uguaglianza, sostenevano una politica della parità uomo – donna(…)>>  continua oltre << La differenza, invece, ha un significato più specifico : la differenza sottolinea qualcosa per cui non c’è identità, non è un qualcosa qualunque, ma qualcosa di determinato, anzi determinante. Cosa è successo con la differenza sessuale? È successo il fatto di essere sessuati, che la vita si riproduce tra due esseri viventi della stessa specie, ma differenti. Sarebbe necessario soffermarsi su come la specie umana ha reso conto della differenza sessuale attraverso la lingua, la cultura e come influisce sulla consapevolezza di ogni persona. (…)>>. Nel prosieguo dell’intervista << (…) La fine del dominio maschile è un processo in corso, e “rivoluzione simbolica” mi pare il suo nome più appropriato nella cultura occidentale. Atri nomi e altre letture sono possibili; quella che mette in risalto il primato della relazione materna è per l’Occidente una riscoperta, per altre culture è una conferma (…)>>

Ma tra le femministe italiane colei che evidenzia in modo forte la necessità di mettere in risalto la differenza tra uomo e donna è senza dubbio Carla Lonzi. In quello che è il suo scritto più importante “Sputiamo su Hegel – La donna clitoridea e la donna vaginale” esordisce dicendo che ha scritto questo saggio <<perchè ero rimasta molto turbata constatando che quasi la totalità delle femministe italiane dava più credito alla lotta di classe che alla loro oppressione. >>[19]. Sin dalla premessa la Lonzi pone in modo forte la sostanziale differenza tra il mondo maschile – patriarcale e il mondo delle donne. Per la Lonzi la lotta di classe, le battaglie politiche e sociali per l’uguaglianza ecc. sono solo funzionali al predominio dell’uomo sulla donna. Scrive sempre la Lonzi << La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà. L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna. La donna è l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna. L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli. Identificare la donna all’uomo significa annullare l’ultima via di liberazione. Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell’esistenza (…)>> continua oltre << L’immagine femminile con cui l’uomo ha interpretato la donna è stata una sua invenzione. Verginità, castità, fedeltà, non sono virtù; ma vincoli per costruire e mantenere la famiglia. L’onore ne è la conseguente codificazione repressiva. Nel matrimonio la donna, privata del suo nome[20] ,perde la sua identità significando il passaggio di proprietà che è avvenuto tra il padre di lei e il marito(…)>>. Il matrimonio, la famiglia, il fare figli, persino l’aborto, pur essendone a favore, sono tutti strumenti che la Lonzi considera di dominio dell’uomo sulla donna. In sputare su Hegel, ossia come si esprime la stessa Lonzi << La dialettica servo – padrone è una regolazione di conti tra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civiltà patriarcale. La lotta di classe, come teoria rivoluzionaria sviluppata dalla dialettica servo – padrone, ugualmente esclude la donna. Noi rimettiamo in discussione il socialismo e la dittatura del proletariato.(…)>>[21]La Lonzi contesta, dicevo, il principio dell’uguaglianza. Essere  uguali all’uomo equivale ad essere compartecipi dei fallimenti dell’uomo. Tra i vari fallimenti la Lonzi contempla il conflitto bellico, il colonialismo, il razzismo ecc. <<L’uguaglianza  è un principio giuridico: il denominatore comune presente in ogni essere umano a cui va reso giustizia. La differenza è un principio esistenziale che riguarda i modi dell’essere umano, la peculiarità delle sue esperienze, delle sue finalità, delle sue aperture, del suo senso dell’esistenza in una situazione data e nella situazione che vuole darsi. Quella tra donna e uomo è la differenza di base dell’umanità (…)>>[22] Per la Lonzi il marxismo ha sostanzialmente confermato il sistema patriarcale del quale la donna è vittima. Lo stesso Marx viene descritto come il tipico “(…) marito tradizionale, assorbito dal lavoro di studioso e di ideologo, carico di figli tra cui uno avuto dalla cameriera(…) >>. Per la Lonzi la questione è la liberazione della donna dai vincoli culturali che l’hanno relegata in un ruolo subordinato rispetto all’uomo per cui la “rivolta femminile” deve essere di tipo culturale. Per la Lonzi la genesi della sottomissione della donna è precedente alla nascita stessa della proprietà privata. Rintraccia la genesi di tale sottomissioni nelle modalità secondo le quali la donna e l’uomo raggiungono l’orgasmo. Da qui la differenza tra la donna clitoridea che assurge a simbolo della liberazione della donna, e la donna vaginale simbolo della sottomissione della donna al potere  del maschio. L’orgasmo vaginale, per la Lonzi, è una costruzione culturale funzionale al potere maschile e all’aspetto riproduttivo e quindi lo svilimento del ruolo della donna all’interno del sistema sociale come semplice fattrice. Il femminismo della Lonzi attiene a questioni di tipo esistenziali e fortemente individualista avvicinabile all’anarco  individualismo di Max Stirner. [23]

A partire dalla fine degli anni 90 il pensiero femminista si intreccia con altre istanze quali il movimento lesbico, gay, istanze ambientaliste e con lo stesso neoliberalismo. Al nuovo corso ha contribuito il pensiero post-moderno. Il ruolo avuto da Derrida, Lyotard e soprattutto Foucault negli USA dove si parla di French Theory ha influenzato il pensiero femminista rappresentato dalla Teoria gender elaborata da Judith Butler. Il concetto fondamentale di tale teoria filosofica ruota attorno alla differenza tra sesso e genere. Semplificando al massimo ciò che sostanzialmente sostiene il movimento LGBTQ +  il sesso naturale si distingue dal genere perché quest’ultimo non è determinato naturalmente ma dal condizionamento culturale, dal contesto storico e quindi dall’educazione. Dicevo, il femminismo a partire dalla fine del 900 intrecciandosi con altre istanze si articola in diversi filoni di pensiero. In Italia il femminismo della differenza viene interpretato, tra le altre, dalla Lonzi e dalla Cavarero. Oltre oceano emergono istanze femministe che si intrecciano con altre esperienze in particolare il radicalismo lesbico per dirla con Ti – Grace Atkinson << Il femminismo è la teoria, il lesbismo è la pratica>> . La A. Koedt è fin troppo chiara << Che cosa è una lesbica? Una lesbica è la rabbia di tutte le donne condensata al punto di esplosione >> andando oltre << il lesbismo come l’omosessualità maschile, è una categoria di comportamento possibile solo in una società sessista caratterizzata da rigidi ruoli sessuali e dominata dalla supremazia maschile (…)>>[24] Cito la Koedt per evidenziare come si avvia un processo di elaborazione teorica che passando per la teoria di Judith Butler arriva alla queer theory[25] per poi arrivare al manifesto di Emi Koyama[26]teorica del transfemminismo. Tra le femministe la filosofa Donna Haraway[27] merita un’attenzione particolare per la prospettiva distopica nella quale immagina “un organismo cibernetico, un ibrido di macchina e organismo, una creatura che appartiene tanto alla realtà sociale che alla finzione” di fronte ad una tale realtà le differenze scompaiono lasciando il posto ad una massa di individui non meglio identificabili, il massimo per un sistema economico anarco liberale dove ogni cosa è ricondotta alla logica dello scambio e del mercato. A fianco del femminismo della differenza, con le sue critiche alle battaglie politiche per l’uguaglianza, troviamo una corrente di pensiero che nella filosofa Nancy Fraser trova una delle maggiori interpreti. Nel manifesto[28] scritto con altre esponenti femministe, come nel suo ultimo scritto[29],  sostiene che, in linea di massima, il femminismo dell’uguaglianza è stato fatto proprio dal pensiero neoliberale per cui l’emancipazione si è tradotta in una accettazione acritica del sistema di sfruttamento e di diseguaglianza del sistema economico neoliberale. La Fraser propone come alternativa un femminismo sostituto della lotta di classe da coniugare con il movimento ambientalista, con il movimento per i diritti LGBTQ + e con il movimento che si oppone alle politiche neocoloniali proprie dell’Occidente. La Fraser pensa in sostanza di sostituire la classe operaia, antitesi del sistema capitalista, con la “classe sociale delle donne” che, al fine della costruzione di un blocco sociale alternativo, si allea con movimenti che, partendo da istanze ambientaliste e di rivendicazione dei diritti civili, si oppone al capitalismo neoliberale. Il punto è che il femminismo, influenzato dal post modernismo e dal post strutturalismo, finisce con l’essere funzionale a quel sistema capitalista neoliberale che ha nell’esaltazione individualista il fondamento.

Il femminismo, per così dire contemporaneo, ossia il femminismo che nel titolo della mia relazione definisco mainstream, riducendo il sistema di relazioni sociali a mera costruzione culturale rende ogni visione opinabile  ed individuale per cui ogni cosa finisce con l’essere relativizzata diventando legittima se quella determinata istanza è acquistabile nell’unico spazio sociale rimasto ossia il mercato.

Di questo pericolo, insito nel femminismo mainstream, sono consapevoli diverse esponenti femministe e lo provano le prese di posizione rispetto a pratiche come l’utero in affitto o, come è successo qualche anno fa, rispetto al D.D.L. Zan. Tra queste femministe mi piace citare in particolare Sylviane Agacinski. [30]  perché è stata oggetto di un vero e proprio attacco squadrista da parte di esponenti del movimento LGBTQ+ che le hanno impedito di tenere la propria conferenza presso l’Università di Bordeaux. Scrive la Agacinski a proposito della pratica dell’utero in affitto <<Il problema del rapporto dell’uomo con il suo corpo è, tuttavia, oggi più che mai un nostro problema. (…) L’uomo dei Tempi moderni si è, infatti, convinto di non essere altro che un prodotto della sua cultura e delle sue tecniche. Si considera il fabbricante di sé stesso e dei suoi discendenti, grazie alle biotecnologie, e all’uso di risorse biologiche d’origine umana. A spese di chi? Dal momento che la “bioetica” sembra aver perduto ogni punto di riferimento, mi pare importante considerare la dimensione morale e sociale di tale inquietante produttivismo, esteso alla vita stessa.>>[31] Continua oltre << La potenza tecno – scientifica regna oggi sull’intera natura, compresa quella dell’uomo stesso. Un uomo nuovo si va delineando, non più in sogno o nell’aldilà, ma quaggiù, sulla terra. I nuovi credenti intendono scambiare le loro vecchie “tuniche di pelle” con un corpo di cui saranno i “fabbricanti sovrani”: corpo ripristinato e migliorato, corpo senza padre né madre, e non più generato; corpo ricostruito e neutro, oltre l’uomo e la donna; corpo sempre meno vulnerabile ma sempre meno vivente. Ma a che prezzo?>>[32]Il presupposto ideologico nelle parole dalla Agacinski è nell’esaltazione individualista e nella logica del mercato. Se queste sono le categorie filosofiche ed insieme economiche, la questione dell’utero in affitto, più in generale del “corpo costruito”, è stata risolta sul piano giuridico dai giudici californiani che hanno sancito il principio  che<< è l’intenzione di far nascere un figlio che designa i genitori. Quanto ai genitori utilizzati – madre o padri “surrogati” – vengono semplicemente cancellati (…)>> siamo in presenza di presupposti giuridici che creano le condizioni per nuovi mercati. Uno studio attento di K. Polanyi[33]aiuterebbe a comprendere le dinamiche in corso.

Avviandomi alle conclusioni mi piace citare uno studio inedito del filosofo Antonio Martone[34]. Nel suo saggio utilizza il concetto di “mentalizzazione” del corpo << Tale impostazione – che è filosofica, scientifica politica e pratica – ha comportato una sorta di dimenticanza della radice corporea dell’essere umano, a beneficio della sua dimensione razionale e concettuale. In questo senso, i moderni considerano il corpo un oggetto di studio e di manipolazione fra gli altri, e spesso ridotto a un insieme di parti anatomiche e processi biologici da analizzare e gestire. Nello stesso modo, e per le medesime ragioni, il “corpo del mondo” nel moderno, è diventato un’immensa frontiera da “segnare” e attraversare.>>. Il combinato disposto tra ideologia trans femminista e capitalismo neoliberale, costruendo le condizioni per attraversare la frontiera alla quale fa riferimento Martone, svincolato da un’etica comunitaria e della solidarietà, è il presupposto per un sistema distopico. La soluzione è nella definizione di un’etica capace di ricostruire la naturale comunione tra uomo e donna come parte di un tutto rappresentato dall’universo come sistema ecologico e di relazioni sociali.

Relazione tenuta il 21 marzo a Telese Terme ( Benevento) al Convegno Organizzato da A.N.A.I e Tribunale del consumatore: L’essere donna oltre la narrazione mainstream dell’idea di emancipazione.


 

[1]Introduzione  di Christane Klapisch – Zuber in di George Duby – Michelle Perrot. Storia delle donne . Il Medioevo. Ed Laterza 1990 pag. 3

[2] AG AboutGender. International journal of gender studies. Vol. 8 N° 15 anno 2019 pp. 1- 42 di Lucia Re

[3] Platone. La Repubblica. Libro V pagg. 167 – 168 Ed. Laterza 2018

[4] George Duby – Michelle Perrot. Storia delle donne . Il Medioevo. Ed Laterza 1990

M.L.King la donna del Rinascimento in  a cura di E. Garin. L’Uomo del Rinascimento Ed. Giuseppe Laterza & figli 1988

[5] Lucy K. Mangan. Il libro del femminismo. Ed. Gribaudo 1990

[6] V. Russo. Radiografia del Femminismo. Storia, idee e protagoniste della sovversione progressista. Ed. Passaggio al  bosco, pag. 9 anno 2021

[7] Alessandro Mulieri. Il pensiero di Pandora. Donne e politica dall’antichità al Settecento. Ed. Carocci . 2023

In Studi di Storia della Filosofia del  Diritto. Un dialogo su Olympe del Gouges. A cura di Thomas Casadei e Lorenzoi Milazzo. Ed. ETS 2021

[8] Ibidem nota 6 pag. 15

[9] J.S. Mill La servitù delle donne. Ed Clandestine 2019

J.S. Mill. Saggio sulla libertà. Ed. il Saggiatore 2002

[10] Fondazione Nilde Iotti. L’Italia delle donne Sett’anni di lotte e conquiste. Donzelli Editore 2018

Franca Pieroni Bortolotti. Socialismo e Questione Femminile in Italia : 1892 – 1922 Ed. Mazzotta 1975

Franca Pieroni Bortolotti Alle origini del movimento femminile in Italia, 1848 -1892 Ed. Einaudi 1975

G. Berlinguer. La Legge sull’aborto. Editori Riuniti 1978

[11] Valeria P. Babini e Luisa Lama. Una “donna nuova”. Il socialismo scientifico di Maria Montessori . Ed. Franco Angeli 2000.

[12] Ibidem nota 6 pag. 115

[13] Ibidem nota 6 pagg. 227 – 229

[14] Cahiers d’etudiesitaliennres, n° 7 , 2008, p. 149 – 158  Dall’uguaglianza alla differenza e oltre. Romanzi – testimonianza di Lidia Ravera- Universitè de Varsovie

[15] L. Irigaray. Io tu noi. Per una cultura della differenza. Bollati Boringhieri, 1992

Il pensiero della differenza sessuale. Istituto Italiano Edizioni ATLAS .

[16] A. Cavarero. Il pensiero della differenza sessuale. La tartaruga, Milano 1987.

[17] E. Roncalli. Il fututo è aperto. Storia e prospettive del femminismo italiano. Inteviste a Lea Melandri, Luisa Muraro, Adriana Cavarero, Rossana Rossanda. Prospero Editore 2023

[18] Ibidem nota 17 pag. 161, pag. 171 , pag. 189

[19] C. Lonzi. Sputiamo su Hegel – La donna clitoridea e la donna vaginale e alti scritti. 1970 –  1971.  Rivolta femminile pag. 8

[20] Ibidem nota 19 . Il saggio della Lonzi risale a prima della riforma del diritto di famiglia che consentirà alla donna il mantenimento del proprio cognome da nubile.

[21] Ibidem nota 19 pag. 18

[22] Ibidem pag. 20

[23] M. Stirner. L’unico e la sua proprietà. Ed. Adelphi 1999.

[24] A. Koedt . Lesbianism and Femminism. Consultabile in rete

[25] J. Butler . Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità. Ed. Laterza 2013

J. Butler. In Dialoghi sulla sinistra. Contingenza, egemonia, universalità. ( con E. Laclau e S. Zizek), a cura di Laura Bazzicalupo. Ed. Laterza , 2010

[26] Emi Koyama. Manifesto Transfemminista. Scaricabile dal sito https://www.academia.educational.it

[27] D. Haraway. Manifesto Cyborg.  Ed Hoepli 1985.

[28] C. Arruzza, T. Bhattacharya, N. Fraser. Femminismo per il 99%. Un manifesto. Ed. Laterza 2019

[29] N. Fraser . Capitalismo cannibale. Ed. Laterza 2023

[30] S. Agacinski. L’uomo disincarnato. Dal corpo carnale al corpo fabricato. Ed. NeriPozza2020

[31] Ibidem nota 30 pagg. 25 e 26

[32]Ibidem nota 30 pagg. 28 e 29.

[33] K. Polanyi. La grande trasformazione. Ed. Einaudi . 2010

[34] A. Martone. Lo specchio dell’altro. Ta capitalismo e memoria del corpo. Saggio inedito del 24/02/2024


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