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“Non voglio cadere nel materialismo, ok?… Perché la risposta è no. Non ci starei. Ma non per una questione di soldi in sé. Il fatto è che essere in grado di generare soldi, essere in grado di generare ricchezza, è una conseguenza anche del tuo mindset. Non voglio cadere nella frase banale ‘Prima sei ricco nell’anima e nel mindset e poi nel materiale’, però è vero.”
Così ha risposto, in una recente intervista, l’attrice Ludovica Rossato alla domanda se starebbe mai con un uomo che non guadagna quanto lei. Il circo mediatico neoliberista doveva presentarcene per forza un’altra che non ha nemmeno il sapore della novità, visto che domande del genere sembrano ormai comuni nelle interviste a personaggi discretamente famosi (influencer, fashion blogger, sex worker ecc…). Dell’attrice sputasentenze, “itsluloros” sui suoi social network, avevo sentito parlare prima di questa sua uscita che nel finale assicura esser “tutto vero” (e se lo dice lei…)? Non credo. Mi ha irritato che una persona che neanche conosco, famosa non per qualche ricerca scientifica di alta necessità o iniziative umanitarie e di progresso, senza neanche conoscermi mi abbia catalogato fra quegli uomini inferiori ad alto rischio di de-virilizzazione? Sì, forse è un indice della mia sanità.
Ma specifico che di dichiarazioni simili m’era capitato di sentirne una, mesi fa, in cui il presentatore (uomo) giustamente obiettava alla tizia di turno senz’arte né parte “Ma sai che con questo elenco di pretese finanziarie stai praticamente selezionando solo il -5% della popolazione maschile?”. Replica sensata e sferzante, che metteva a posto dialetticamente un delirio cieco e irritante ormai integrale della narrativa emancipatoria femminista (ma chiamarle femministe è pure troppo, diciamo che queste nuove “teste pensanti” femminili si accodano allo status quo e basta). Quindi, vedere un’intervista impostata per come l’abbiamo notata nei giorni scorsi, in cui le esigenze dell’intervistata son presentate come legittime (in quanto logiche) con la connivenza della presentatrice e del sistema di potere dietro le quinte, irrita ancor di più. Il non plus ultra dell’irritazione si verifica nel non assistere alla reazione di qualcuno che si alzi a domandare “Ma che razza di scemenze stai tirando fuori dal cappello? Riflettici”.
In effetti abbiamo fatto un salto dall’Ottocento, in cui Marx ci rivelava e spiegava bene quali fossero il significato e l’origine della “ricchezza” volgarmente detta, a questo pseudo-pensiero al servizio di un’ideologia che – seppur dotata di una logica (per la Arendt, ideologia è pur sempre la “logica” di un’idea) – è però svuotata di ogni sano buon senso. In questo salto abbiamo perso molto, perché il buonsenso è una qualità delle classi più umili, da sempre dotate di realistici anticorpi contro la propaganda di regime. Chi sarebbe, secondo questa pensatrice, il “ricco” che ha mostrato la validità del suo mindset (e magari anche la sua ricchezza “di spirito”) alla comunità? Lo è forse chi si è trovato a ereditare fortune miliardarie limitandosi a investirle nei “terreni” produttivi? Lo è il detentore, per esempio, di miniere di diamanti, che ha al suo servizio uno sciame di “subumani” i quali – chiaramente – devono soltanto lavorare fino al sangue al posto suo e saranno a malapena degni di avere una compagna per la vita, secondo l’ideologia dell’attrice qui citata? È “ricco” chi nasce dotato di risorse monetizzabili quanto il denaro serbato in banca, cioè bellezza e prestanza fisiche garanti di una carriera ai modelli e a quasi tutti gli attori di primo piano? O magari chi è tanto fortunato da aver le doti del canto, della musica, della velocità e della resistenza, magari un primatista dei 100 metri piani (ma qui cosa c’entrerebbe “il mindset”?). “Ricco” è forse chi vive di incentivi statali e porta regolarmente sul lastrico le proprie aziende per continuare a usufruirne? Molti imprenditori italiani additati come esempi di successo hanno vissuto così tutta la vita, alle spalle di chi diversamente da loro lavorava. “Ricco” è forse colui che risponde alle esigenze del consumismo, come un influencer il cui lavoro è raggirare “i polli” e instillare nel pubblico bisogni superflui che se – senza la sua mediazione – detto pubblico non avrebbe immaginato di avere? Magari perché alla base c’è l’idea che oggigiorno “chiunque può diventare ricco”, la cui interpretazione sotto il segno neoliberista è sempre caduta in equivoco: sarebbe in realtà da tradurre “viviamo nell’epoca in cui senza che te lo aspetti il più scemo può diventare ricco”. Più nessuna interpretazione quantitativa, dunque, solo qualitativa, e legata agli scherzi statistici di un sistema imprevedibile e in continua metamorfosi (perfino troppo).
In realtà è una perdita di tempo cercare di intravedere un barlume di buonsenso in questa dichiarazione, ma tutto si chiarifica alla luce dell’ideologia imperante, quella per cui un senso di comunità non è contemplabile e l’emancipazione passa solo per l’imposizione individuale in accordo con le leggi del mercato libero, emancipazione che chiaramente se scavalca e opprime il “fratello” è cosa legittima, visti i suoi fini emancipatori. L’emancipazione sarebbe oggi questa, ma invero è solo esser portavoce di un pensiero preconfezionato imposto dall’alto, non è affatto segnale di libertà. Basta scandagliare ancora un po’, e si capisce quanto la retorica contro il reddito di cittadinanza faccia parte dello stesso pentolone: “perché sostenere chi non lo merita?” è il suo senso. La premessa dell’attrice, “Non per essere materialista, ma…”, suggerisce quanto, al di là del dato concreto del salario (potrebbe anche essere che nel privato non vada con la lente a esaminarli e si limiti ad atteggiarsi a snob), quest’ideologia mercatista si muova su binari cognitivi preoccupanti e abbia raggiunto la forma di un essenzialismo biologico, atto solo a giustificare la validità del capitale.
L’attrice-influencer rincara poi la dose nei commenti sul suo account Instagram, peggiorando la sua posizione: riafferma il “buonsenso” della sua opinione, illustrando agli oppositori maschili l’ipotetica situazione in cui si trovino in una coppia sfoggiando un salario più basso della compagna: questa condizione, avanza lei, li “de-virilizzerebbe” abbastanza da desiderare che una situazione simile (“esser campati dalla compagna”) non si verifichi mai. Che capolavoro di contraddizione, in ambito di uguaglianza dei sessi: una parità evocata o respinta a fasi alterne. Chiaro che così l’uomo smette di essere un “uguale” non appena la donna lo sovrasta economicamente, e siccome mi sembra poco probabile una perfetta simmetria in cui due individui si accordino per stare insieme in base ai loro salari perfettamente uguali al centesimo, arguisco che la tizia consideri perfettamente normale che – viceversa – sia l’uomo a sovrastare economicamente la compagna e quindi a “camparla” (usando le parole sue). Da qualunque punto la si guardi, quest’ideologia avalla il predominio di un partner sull’altro, nessuna “parità”, con buona pace del femminismo stesso (che mi pare predicasse tutt’altro). Far leva sulla paventata “de-virilizzazione” dell’uomo è poi una ciliegina che non poteva mancarci, giusto per ricordare agli uomini che: sì, è vero che certe donne vi considerano più o meno uomini a seconda del vostro conto in banca, e – peggio ancora – c’è l’ideologia dominante a confermar loro che sono sulla giusta strada.
Di fronte a questo classismo di regime, penso a tutti quei conoscenti che forse non hanno il “mindset” giusto e quindi lavorano 12/13 ore al giorno per stipendi da fame, contro i quali lottano cosicché il principale acconsente brontolando ad alzarglieli di 100 euro (ma restano pur sempre bassi). Capisco dunque che certa gente che si espone in pubblico (caricandosi di quello che dovrebbe essere un onore: parlare per le masse) è davvero avulsa e lontanissima dal mondo del vero lavoro. Chiudendo, voglio perciò ricordare lo scambio di battute in un ottimo film britannico di fantascienza, L’astronave degli esseri perduti (1967): il colonnello chiedeva allo scienziato prof. Quatermass come mai fosse rimasto lì dov’era senza avanzare di grado, lui rispondeva al colonnello “Non ho avuto tempo per la carriera. Ho lavorato”.
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