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13 Dic 2013  |  3 Commenti

Guerra psicologica preventiva

Questa mattina su RAI 1 è andato in onda uno spot di Piero Angela per la prossima puntata di Quark sulle meraviglie del cervello umano.

Passano in successione tante e diverse immagini mentre la voce fuori campo di Piero Angela continua a illustrare i temi della trasmissione.

Ad un certo momento, quando Angela parla del cervello umano anche come sede della  aggressività, viene contemporaneamente proiettata l’immagine di un uomo che strattona violentemente una donna. Alla faccia del messaggio subliminale…

Qualsiasi commento è superfluo. Goebbels, l’abile ministro della propaganda di Hitler, era un dilettante al confronto.

L’obiettivo, a mio parere, è quello di eradicare l’energia (potenzialmente antagonista) maschile identificandola con la violenza, e nella sua manifestazione universalmente esecrata: quella sulle donne.  

Guerra psicologica preventiva studiata a tavolino, naturalmente ben camuffata dietro le bandiere “rosa” e “politicamente corrette”  

Complimenti. Siamo di fronte al sistema di dominio più intelligente e sofisticato che abbia mai fatto la comparsa nella Storia.

L’ ammirazione che nutro nei suoi confronti è direttamente proporzionale alla mia avversione.  

 


3 Commenti

giovanni carducci 5:22 am - 14th Dicembre:

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Pappagallus sibiricus 3:07 pm - 17th Dicembre:

Mah…a me questi bastardi e queste bastarde tanto intelligenti non sembrano. Il loro giochetto mi sembra sgamatissimo, ma chissa`, forse noi betini siamo sfigati e geni come tutti i grilli parlanti. Fortunatamente ho la certezza che finiranno tutti e tutte a pendere come orecchini dai lampioni, prima o poi, e le loro ideologie da vomito saranno materiale da ardere. Come giusto che sia, e ad eterna vergogna.

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armando 10:01 pm - 29th Gennaio:

Riporto per intero, ne vale la pena.
armando
Il turismo sessuale fa schifo, a meno che sia quello femminile
di Francesco Lamendola – 27/01/2014

Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]

Una delle innumerevoli manifestazioni della ipocrisia e della falsa coscienza della cosiddetta cultura femminista è venuta in piena luce allorché il pubblico e la critica sono stati sollecitati a prendere una posizione intorno alla tematica del film «Verso il Sud», girato nel 2005 dal francese Laurent Cantet e interpretato dall’inossidabile Charlotte Rampling.
È la storia di una vispa sessantenne americana che vola ad Haiti per cercare sollievo da un matrimonio fallito, si abbandona alle gioie dell’amore mercenario fra le braccia di un bel maschione tipo Venerdì, e soffre poi di gelosia per l’arrivo della solita amica-rivale che giunge dagli Stati Uniti a romperle le uova nel paniere. Tutto qui, anche se le solite anime belle hanno voluto vedere nel film chissà quale messaggio “nascosto”, chissà quale ineffabile inno alla liberazione sessuale delle donne più che stagionate, oltre che un ritorno all’Eden e un bagno refrigerante nelle acque dell’innocenza (si fa per dire) originaria.
Inutile dire che i signori e le signore politicamente corretti e debitamente progressisti e libertari si sono profusi nei soliti ditirambi in lode della giusta “parità” sessuale finalmente raggiunta anche in questo campo, che è poi, puramente e semplicemente, e detto senza tanti giri di parole, quello del banalissimo turismo sessuale: vale a dire la stessa cosa che, fatta dai maschi, viene descritta come deprimente, disgustoso e immorale da quello stesso pubblico e a quella stessa critica. Il che dimostra come alla cultura femminista la parità dei sessi non basta, è solo uno specchietto per le allodole: essa vuole andare molto più in là, vuole conquistare l’egemonia di genere e relegare il maschio nella posizione di elemento sottomesso e perennemente ricattabile. Stai zitto, maschio infame, altrimenti ti rinfacciamo tutti i tuoi crimini sessuali: è la stessa tecnica, in un certo senso, che si è adoperata nei confronti dei popoli sconfitti della seconda guerra mondiale. Tacere e mandar giù ogni provocazione, altrimenti si sarebbe sbattuto davanti ai loro occhi il fardello vergognoso e insopportabile dei crimini che avevano perpetrato e dei quali erano integralmente responsabili (ma non il popolo inglese, ad esempio, per la distruzione di Amburgo e Dresda, né quello americano per le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki).
Così va il mondo: se a tirare fuori il portafoglio e ad abbassare i pantaloni è una persona di sesso maschile, magari con l’aggravante di essere relativamente giovane, si tratta di un atto di violenza sessuale, di sfruttamento sessista, di pedofilia, di colonialismo e di razzismo; ma se a tirare fuori il portafoglio e ad alzare la gonna è una persona di sesso femminile, magari con l’attenuante dell’età non più verde, allora si tratta di un gioco innocente e perfino bello, romantico, liberatorio, di un atto sacrosanto di gioia e di amore per la vita, eccetera, eccetera.
Il razzismo, c’è, dunque, eccome; solo che è coniugato alla rovescia: non si condanna la cosa in sé, ma colui che la compie, sulla base di una ideologia dell’odio e del rancore che non passa più, come ai bei tempi andati di Marx e Lenin, per le divisioni di classe, e nemmeno per quelle di lingua o di cultura, ma per quelle di genere: perché alle donne – e, naturalmente, ai loro “amici” omosessuali – è ormai lecito praticamente tutto, si comprende tutto e si perdona tutto; mentre sugli uomini, qualunque cosa facciano, incombe l’ombra del sospetto atroce che stiano per macchiarsi delle più irriferibili nefandezze e dei soprusi più inverecondi, o che, quanto meno, li abbiano pensati e immaginati.
Ed ecco come la bella Charlotte, dall’alto della sua lunga e prestigiosa carriera cinematografica, presenta il personaggio da lei interpretato nel film di Cantet, pontificando sulla condizione femminile meglio di come saprebbe fare un professore di sociologia (da un’intervista pubblicata sul quotidiano «La Repubblica» il 07/09/2005):
«Il mio personaggio va in vacanza. Cerca di evadere in un mondo diverso. Haiti è il luogo ideale dove vivere almeno un mese all’anno. È un mondo libero. Lì ognuno può fare quello che vuole, senza preoccuparsi degli altri. Il mio personaggio vuole soltanto stare con dei giovanotti belli. Le donne del film possono vivere un mese di piacere sena vergognarsi. Nel film i problemi vengono dopo, con l’arrivo sull’isola dell’altro personaggio: l’amica rivale. Alla fine, le due si contendono lo stesso uomo. E subentra la gelosia.»
E quando la giornalista Arianna Finos le ha posto la scomoda domanda su che cosa ne pensasse, lei, del fenomeno del turismo sessuale, con ben simulata meraviglia, non scevra da una sfumatura dì indignazione (del genere: ma guarda che domande stupide mi fanno questi benedetti giornalisti), l’attrice ha replicato: «Io non ho mai pensato al turismo sessuale: non è questa la storia, è un’etichetta. Si può anche dire, se si vuole, che è un film sul turismo sessuale, ma non è questo il tema del film».

Ah, davvero? Che strano, allora ci siamo sbagliati tutti quanti. Va bene, non è questo il tema del film; vorrà dire che se Charlotte e la sua amica riempiono il bellissimo negro Legba di dollari e di baci, e si contendono il suo corpo nudo a suon di dollari e di baci (ma soprattutto di dollari), si tratta solo di una banalissima, imprevedibile coincidenza. Se fossero state due zitellone povere in canna, la storia avrebbe conservato, evidentemente, lo stesso significato e, soprattutto, lo stesso tenero sapore romantico. “Omnia munda mundis”, dopotutto, come dice il buon vecchio Manzoni; e se i giornalisti maliziosi, o chiunque altro, hanno qualcosa da obiettare, è perché non riescono a vedere le cose con l’occhio pulito della liberazione sessuale (femminile), ma vedono tutto marcio e sporco, come è nella loro bieca e insopprimibile natura di maschilisti ottusi e reazionari.
Certo che di coincidenze ce n’è più di una, in quel film.
Il fatto che quell’isola meravigliosa, dove ognuno può fare quel che gli pare senza preoccuparsi degli altri (per usare l’espressione letterale, e più eloquente che non paia, della Rampling), sia anche lo Stato più povero del mondo, è, a quanto pare, un’altra mera coincidenza, né più, né meno: le ricche e stagionate turiste americane che vanno a farci sesso a pagamento non ne hanno certo la benché minima colpa, per carità.
Questo mettere in relazione il benessere del Nord del pianeta con la miseria e lo sfruttamento dei popoli del Sud, era cosa che andava bene finché si parlava al maschile – sempre, si capisce, negli ambienti politicamente corretti e debitamente progressisti -; ma non è più valida se declinata al femminile. Il turista sessuale è uno sfruttatore che fa schifo, se è un maschio; è invece una persona romantica in cerca di amore e tenerezza, se è una femmina.
Come coerenza, non c’è male: è un ragionamento che non fa una piega, purché lo si faccia dopo aver trangugiato dosi industriali di conformismo ideologico e di servilismo nei confronti della cultura dominante. Se no, c’è il pericolo di guardarsi allo specchio e aver voglia di vomitare. Ma forse stiamo sopravvalutando il senso etico di certi personaggi.
Anche il fatto che Legba, il personaggio maschile del film (non il protagonista, perché protagoniste sono le donne danarose) sia semplicemente un gigolò, uno che si vende per quattrini, e che si vende a delle vecchie come alle giovani, purché lo paghino bene, ma simulando dolci sentimenti che sicuramente non prova e che non potrebbe provare, sembra sia fuggito nel cono d’ombra della smemorata critica progressista, pur così attenta agli aspetti di classe, almeno fino a qualche anno fa, beninteso se si trattava di puntare l’indice vendicatore contro lo stereotipo classico del “nemico”: maschio, americano o europeo, ricco e arrogante. Niente a che vedere con le amiche statunitensi che sbarcano ad Haiti, nel paradiso di Papà Doc (dove la polizia politica dei Tonton Macoutes ammazza la gente al rullo del Vodù), le quali, sì, hanno il conto in banca ben fornito, però sono così carine, così simpatiche, e, soprattutto, hanno il diritto di rifarsi da tante amarezze, hanno il diritto di tornare a vivere, dopo che il matrimonio sbagliato con l’uomo sbagliato le ha derubate di gran parte della loro vita; hanno il diritto, dunque, di folleggiare un poco, di tornare un po’ bambine.
In fondo, che cosa stanno facendo di male? Si trastullano con il corpo asciutto e muscoloso di un bel maschio di colore, ecco tutto. Via, non c’è da scandalizzarsi per così poco. Altrimenti, se qualcuno si scandalizza, vuol dire che in lui viene a galla il puritanesimo cristiano, la repressione dovuta all’educazione religiosa, quel fondo cattolico che tanto male ha fatto nella vita di milioni di persone, nel corso d’innumerevoli generazioni, e dal quale, una buona volta, riusciremo pure ad emanciparci, sotto le bandiere di nobili maestri quali Michel Onfray e Piergiorgio Odifreddi, i nuovi crociati per la liberazione dell’uomo dal cretinismo religioso.
Chiaro, no? Se ci si scandalizza per le orge sessuali del maschio miliardario, si è nel giusto e nel sacrosanto: e allora via con i cortei e le marce di protesta, via con i cartelli e gli striscioni, via con gli slogan e i pugni chiusi, pronti alla lotta dura e senza paura; però se a baloccarsi con un corpo a pagamento sono delle gentili signore che, per avventura, hanno anche il portafogli piuttosto rigonfio, allora è tutto o. k., e chi si scandalizza non può essere che un infiltrato dell’esercito nemico, una quinta colonna che agisce per subdole e abiette motivazioni o, nel migliore dei casi, un prete travestito, un baciapile da sacrestia, insomma un residuato della storia.
Leggere per credere: si prenda una rivista femminile a caso e si vada a vedere che tipo di riflesso aveva provocato nel pubblico benpensante l’uscita del film di Cantet. C’è una lettrice che scrive alla solita “esperta” di tuttologia e confessa che il film le è piaciuto, non – si badi – perché l’ha portata a riflettere sui risvolti meno pubblicizzati del turismo sessuale, ma perché si è identificata con la protagonista e confessa candidamente che lei, al posto di quella, avrebbe fatto esattamente quel che ha fatto lei. E c’è la risposta della sedicente esperta, che consiste, né più né meno, in una lode di tale atteggiamento (con tanto di ammiccamenti e battutine) e in una confessione, altrettanto candida, che lei pure si sarebbe regolata così: le occasioni vanno prese al volo, ci mancherebbe altro, specialmente quando basta aprire il portafoglio per vedere realizzati i propri desideri più segreti. Insomma, un bel botta e risposta fra lettrice e redattrice, nel segno della comune complicità femminista: ma certo che la rampante sessantenne ha fatto bene, anzi benissimo, ad approfittare del proprio bambolotto sessuale; e chi non l’avrebbe fatto, al suo posto? E poi, diciamo la verità: non è forse questa la realizzazione dei sogni proibiti di qualunque donna, purché le si presenti l’occasione giusta? E la donna moderna, libera ed emancipata, per quale mai ragione dovrebbe esitare, perché dovrebbe rinunciare a un bocconcino così appetitoso, ad un frutto maturo che si può cogliere con così poca fatica, solo allungando la mano (verso le banconote)?
Oh, certo, se si trattasse di una ragazzina che si prostituisce a dei grassi e antipatici turisti danarosi, la cosa farebbe tutto un altro effetto; ma se è un aitante giovanotto di colore che regala un po’ di gioia a delle attempate signore strapazzate dalla vita, allora è quasi un gesto di beneficenza da parte di lui, e un innocente bisogno di calore umano da parte loro. In tutti i casi, una transazione lecita e perfettamente dignitosa; niente di riprovevole, niente di cui ci si debba vergognare. La carne è carne, dopotutto: a sessant’anni come a venti.
Ed è vero. Però bisogna essere onesti: se la carne è carne, allora bisogna avere la franchezza di ammettere che ciò è vero per tutti, maschi e femmine. Quanto poi al fatto di pagare in denaro contante una prestazione sessuale, questo è affare che riguarda il senso morale di ciascuno: se è una cosa turpe, allora lo è sempre e in ogni caso; se non lo è, allora non lo è per nessuno. Noi pensiamo che sia una cosa turpe e che lo sia in ogni caso; ma è solo un’opinione. Però ci lascia a bocca aperta la disinvoltura con cui qualcuno vorrebbe rovesciare la morale come un guanto, a seconda del genere sessuale di chi compie una determinata azione.
Non esiste una doppia morale, per chi voglia essere serio. Le cose sono buone o cattive, giuste o ingiuste, lecite o illecite: e una cosa cattiva non diventa buona solo perché a compierla è un membro della mia tribù, della mia parrocchia, del mio partito; né una cosa buona diventa cattiva solo perché la compie il membro di un’altra tribù, di un’altra parrocchia, di un altro partito. L’etica non conosce amici o nemici, conosce soltanto soggetti con uguali diritti e uguali doveri.
È strano, e tutto sommato avvilente, che sia necessario fare dei discorsi talmente intrisi di ovvietà, da sconfinare nel banale. Strano e avvilente: ma la cultura moderna così immersa nell’ipocrisia e nella falsa coscienza, che la banalità diventa necessaria, e ciò che pare scontato, diventa doveroso…

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