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L’uomo, oggi come ai tempi dei gladiatori, è sacrificabile. La sua morte violenta non stupisce né scandalizza nessuno.
In fondo l’uomo è nato per prendersi una coltellata in qualche discoteca, per farsi bastonare a sangue mentre qualche bastardo e/o maniaco gli stupra la fidanzata, per farsi incaprettare se ha guardato la donna sbagliata. È nato per perdere le gambe su una mina antiuomo, per crepare di silicosi scatarrando sangue, per sbriciolarsi a terra dopo un volo di cinque piani in un cantiere edile, per bruciare vivo in uno schizzo di olio infuocato.
L’uomo nasce, vive e muore sotto un’Ombra spaventosa: quella della violenza. E non, come viene spiegato e ribadito a noi poveri ignoranti, perché è natura dell’uomo di essere violento, ma perché la violenza esiste ed è solo l’essere umano che può definirla tale. Per tutti gli altri esseri viventi, non può chiamarsi altro che vita.
La differenza è cruciale. Perché la violenza operata dagli esseri umani incombe nell’animo come qualsiasi altra forma di espressione, dall’amore alla paura, ma ha questa caratteristica, che ci viene spiegata e descritta come essenza maschile. Ma non è così. Il fatto è che la violenza è riservata agli uomini come retaggio. Anche quando non l’hanno chiesto, anche quando ne farebbero volentieri a meno.
La violenza è un’Ombra, una modalità. La violenza è un’opzione, una possibilità. Ciascuno decide se sceglierla. Non è nella natura di nessuno. Eppure ci viene detto che la violenza è nella natura degli uomini.
Di converso, non è nella natura delle donne.
O forse non è nel loro retaggio?
Le donne non nascono sotto quest’Ombra. Non nascono sotto la consapevolezza che in ogni istante della vita potrebbero essere chiamate a subire o infliggere violenza. Riceverla, per loro, è più traumatico: non fa parte del loro ordine simbolico. Se è evidente e assodato che lo stupro è un crimine odioso e infame, è anche vero che la grande maggioranza delle donne non ha motivo fondato di aspettarsi di vivere ogni istante sotto quest’Ombra; mentre un uomo, fin da bambino, viene educato a rendersi conto, a percepire letteralmente nell’aria e a farne regola di condotta – a scuola, per strada – che è sempre disponibile un livello ulteriore di composizione dei rapporti sociali con gli altri uomini. Solo con gli altri uomini. Un livello che, a differenza dello stupro, nel nostro mondo “civile” è normalmente accettato e anzi considerato prova e sigillo di valore: lo scontro fisico.
CE LA GIOCHIAMO A BOTTE.
Con i denti, con i pugni, con la spranga, con la pistola, con le bombe. Un livello ulteriore e decisivo proprio perché regolato da una legge semplicissima e facile da ricordare, a prova di scimmia:
CHI RESTA IN PIEDI HA RAGIONE.
Il bambino che alle scuole elementari viene tormentato da un bullo sa che deve reagire. Sa che non può aspettarsi aiuto dalle autorità o dalla famiglia. Sa che deve prendere la questione letteralmente nelle sue mani, che ha solo due alternative: battersi o fuggire. Sa che qualsiasi delle due scelga, la decisione lo segnerà per il resto della vita. E non potrà aspettarsi comprensione da chi gli sta intorno. È la sua eredità di uomo, il peso che deve caricarsi in spalla. Anche se non lo vuole, anche se non l’ha mai chiesto.
In mancanza di altri argomenti di discussione, o di fronte a una parola o un gesto che fanno tremare il muro di cartongesso della “convivenza civile”, un uomo sa che può e deve aspettarsi una risposta violenta. Al limite, se le condizioni e la sfortuna lo permettono, una risposta mortale. Un pugno alla tempia, una coltellata a casaccio che recide l’arteria femorale, un colpo di pistola. Tutto questo un uomo lo mette in conto e lavora per evitarlo. Calcolando le situazioni, calcolando i rischi, calcolando sé e l’altro. Anche se non lo vuole, anche se non l’ha mai chiesto. Un calcolo continuo di cui le donne non hanno la minima cognizione.
Non è nel loro orizzonte.
O forse non è nel loro retaggio?
Ma per gli uomini è ineludibile. Forse, più che un’Ombra, per gli uomini la violenza è il sole, nel senso che fa parte del loro cielo da sempre e da sempre il suo sorgere e il suo tramontare segnano il ritmo della vita. C’è anche chi vive sottoterra perché il sole è pauroso da guardare. A volerlo guardare fisso senza chiudere gli occhi, il sole acceca.
Si dice spesso che le donne sono più abili nel controllare i rapporti sociali: ma gli uomini hanno una responsabilità molto maggiore. Devono avere un’abilità incommensurabile nel controllare la possibilità dello scontro fisico.
Di fronte a un uomo, un altro uomo sa bene che l’apparenza più inoffensiva può nascondere una furia omicida. Con l’aggiunta di un giudizio morale ancora più umiliante della morte: di fronte a Golia, il gigante invincibile, l’eroe è Davide, il nano coraggioso. L’eroe è il nano che sconfigge il gigante. Il giudizio morale si somma al giudizio della carne lanciata contro un’altra carne, della lama che decapita un’altra carne:
CHI RESTA IN PIEDI HA RAGIONE ED È UN EROE.
La possibilità della violenza incatena i rapporti umani, eppure al tempo stesso è una potente valvola regolatrice, un accordo di Reciproca Distruzione Assicurata simile a quello fra Stati Uniti e Unione Sovietica che, nella minaccia quotidiana di un conflitto termonucleare fra arsenali ugualmente in grado di distruggere l’intera umanità, ha in effetti impedito che quel conflitto scoppiasse. Le donne mancano di questa valvola regolatrice.
Non è nel loro schema tecnico.
O forse non è nel loro retaggio?
Libere dall’Ombra della violenza, scaldate da un sole diverso da quello degli uomini, le donne aprono la bocca. Dicono cose per cui un uomo ucciderebbe un altro uomo. Usano parole come armi distruttive, ridendo. Usano parole sarcastiche: “Morirai solo.” Non sanno, non possono sapere che per un uomo morire solo è la regola. Che un uomo, appena ha l’età della ragione, dà già per scontato di morire solo. Oppure subendo, o infliggendo, violenza. E a questo si prepara.
Le donne dicono agli uomini cose odiose, cose terribili, nascondendole sotto il mantello ridanciano dell’ironia. Le dicono nella certezza che a loro non succederà nulla. Che non dovranno mai subire o infliggere violenza, che non moriranno mai sole. Le dicono ridendo.
Le donne devono temere una violenza diversa: momentanea, istintiva, esplosiva. Possono avviarsi sprovvedute e felici al macello, come certe adolescenti che a Ibiza o a Goa decidono di appartarsi con un “cattivo ragazzo” grosso il doppio di loro senza neppure chiedersi se sia una decisione sensata: del resto si sa, la vita è tutta un reality e alla fine non può succedere niente di male. Oppure possono scegliere di sacrificare la gioia inattesa, la possibilità imprevedibile di essere felici insieme a uno sconosciuto incontrato per caso, e nascondersi sottoterra, angosciate al pensiero di un ipotetico stupratore che comunque, ammesso che un giorno arrivi, sceglierà il momento più imprevedibile per colpire.
Se arriva, la violenza contro una donna è sempre inaspettata. Per gli uomini, invece, è sempre prescritta. Per un uomo la violenza è sempre possibile come ulteriore strumento di dialogo. E che ricchezza di vocabolario, che altezza letteraria shakespeariana ha la violenza. Le donne non raggiungono mai questa altezza.
Non è nel loro copione.
O forse non è nel loro retaggio?
Il lupo si batte con un altro lupo per il dominio sul branco: lo sconfitto, quando si rende conto di esserlo, offre la gola all’avversario. E il vincitore non infierisce, anche se potrebbe: gli basta il riconoscimento della vittoria. L’ordine è stabilito senza spargere sangue. Gli uomini sono così abituati all’Ombra della violenza che accolgono con un respiro di sollievo ogni possibilità di evitarla.
Ma per la loro libertà dall’Ombra, per il diverso sole che splende nel loro cielo, se e quando succede che le donne debbano usare violenza, allora non danno quartiere. Non sanno quando è il momento di smettere per ristabilire l’ordine.
La donna, lupa di fronte al lupo che offre la gola, non sa controllarsi. Distrugge l’ordine senza preoccuparsi delle conseguenze.
Come lo scorpione con la rana, le donne non possono trattenersi dal pungere chi le sorregge, anche sapendo che senza il sostegno della rana affogheranno. È il loro carattere.
E dunque un brindisi al carattere, come diceva Orson Welles in Rapporto Confidenziale. Anche a quelle madri che uccidono i loro figli?
Anche alle non madri non mogli che legano i propri compagni al peso delle accuse, dei ricatti incessanti, dei debiti morali che appena ripagati vengono subito sostituiti da nuovi debiti sempre a più lungo termine? Quei debiti di cui si pretende il pagamento in eterno senza che cambi mai il tono perentorio e accusatore della voce che li pretende; quella voce femminile mai gentile, mai amorosa, sempre imperiosa. Una voce che mentre dona, toglie. Una voce che si leva non appena l’uomo mostra una debolezza, grande o piccola che sia non importa. O una qualche inadeguatezza, grande o piccola che sia non importa. Dunque le donne, che giustamente non perdonano, azzerano il valore e la stessa vita altrui con una risatina sarcastica: “Sei inutile”.
Ma inutile in che senso? Inutile a cosa? Per cosa esattamente un uomo dovrebbe essere utile?
Ma che domande: utile a qualsiasi scopo le donne lo ritengano utile. E questo scopo varia momento per momento, dunque è impossibile definirlo.
È questo il retaggio, l’Ombra sotto cui vivono le donne. Il retaggio della violenza che sono in grado di compiere semplicemente con le parole, con il sarcasmo mascherato da “ironia”. E invariabilmente le loro atrocità della parola, dei gesti, dei sentimenti – e dei coltelli, quando succede (non è prerogativa esclusivamente maschile) – si rivolgono contro gli uomini: figli, mariti, compagni, padri.
Un brindisi alla loro innocenza: perché le donne non sono mai colpevoli. Come potrebbero esserlo? Se la violenza non fa parte del loro cielo quotidiano né del loro retaggio, è evidente di per sé che quando commettono una violenza grave, una violenza ovviamente da uomo, si tratta di casi isolati, e neppure del tipo che ormai viene derubricato alla voce “raptus di follia”. Follia che è solo degli uomini, ça va sans dire. Se le donne ricorrono alla violenza è perché qualcun altro le ha costrette. Come viene spiegato e ribadito a noi poveri ignoranti.
Possiamo solo concluderne che il colpevole della loro violenza, quella che le donne sanno esercitare e dunque esercitano, è qualcun altro. Evidentemente la vittima. Che non merita pietà o clemenza.
Ma perfino durante le guerre, intrapresa maschile per eccellenza in cui non esiste altra ragione o logica se non uccidere o essere uccisi, vi sono gesti di clemenza. La storia ricorda soprattutto la clemenza del nemico verso il nemico.
Nel film Uomini Contro, di Francesco Rosi, una scena è illuminante: i soldati italiani nelle trincee della Prima Guerra Mondiale (contadini, analfabeti, in due parole Uomini Beta) vengono avvolti in corazze ed elmi di ferro di cui Fortunato Depero sarebbe stato orgoglioso: le “Corazze Fasina, particolarmente celebri perché permettono in pieno giorno azioni di un’audacia estrema”, geniale volo pindarico – con sponsor ante litteram – del Generale Leone (l’Uomo Alfa, idiota carogna senza alcun riguardo per le vite dei suoi uomini: ma del resto, perché dovrebbe averne? Sono Uomini Beta) e poi spediti all’assalto delle fortificazioni austriache. Gli austriaci, a colpi di mitragliatrice, fanno strage di questi “soldati invincibili”, li falciano uno dopo l’altro. I soldati austriaci smettono di sparare, si alzano dalla fortificazione offrendosi vulnerabili e urlano: “Basta! Basta, soldato italiano! Non ti fare uccidere così! Tornate indietro!”
BASTA CON QUESTA GUERRA DI MORTI DI FAME CONTRO ALTRI MORTI DI FAME.
È una scena terribile e commovente nella sua freddezza maschile, brutale, predatrice, prevaricatrice, umana. È terribile nel suo far risorgere all’improvviso l’umanità dal carnaio della disumanità. E per quanto sia una scena tratta da un film, non c’è dubbio che si riferisca a fatti realmente accaduti.
Il simbolo di questa umanità maschile contraria alla violenza, ma che suo malgrado deve viverci in mezzo senza averlo mai voluto né chiesto, è un altro soldato ancora, il Piero di Fabrizio de Andrè. Sparagli Piero, sparagli ora. E dopo un colpo sparagli ancora. Piero sceglie di non sparare al nemico indifeso: perché l’ha guardato negli occhi e immagina la sua morte. Che aveva il tuo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore. Non può sopportare l’immagine di quella morte. Fino a che tu non lo vedrai esangue, cadere in terra, coprire il suo sangue.
Piero non spara. Piero si sottrae consapevolmente, volontariamente, al dovere che gli incombe addosso fin dalla nascita. E per questa inaccettabile presunzione di sottrarsi, per questa hubris, Piero viene punito. Il soldato nemico che Piero ha scelto di risparmiare non gli ricambia la cortesia. Il soldato nemico, un altro Uomo Beta, fa quello che da sempre gli è richiesto di fare, per la Patria, per il Re, per la Moglie, per i Figli:
Spara.
Piero viene punito per la sua clemenza.
La punizione è la sua vita. La sua vita insignificante di soldato, di pedina, di ingranaggio in una macchina incommensurabilmente più grande di lui e su cui non ha alcun potere.
La sua vita di Uomo Beta.
Piero è l’Uomo Beta par excellence.
Ma non conta che il suo gesto di umanità non sia ricambiato: conta che vi sia stato un gesto di umanità. E per questo gesto, per questo sollevare la mano, questo scegliere di sottrarsi e uscire dall’Ombra, questo sforzo di accendere un sole diverso in un cielo diverso, Piero è ricordato. Da un poeta, se non da altri.
Non è cosa da poco.
Viene da chiedersi a cosa sia mai stato utile Piero. Chissà se Ninetta, prima che lui partisse per la guerra, gli diceva con un sorrisetto ironico “Sei inutile”. Forse domani qualcuno scriverà una canzone su di lei. Speriamo solo di non dover scoprire che Piero era un maschilista guerrafondaio. Speriamo di scoprire che Ninetta non aveva una voce perentoria, accusatrice, imperiosa. Speriamo che per Piero Ninetta avesse soltanto parole d’amore.
Perché solo così la morte violenta di Piero, e di milioni di altri Uomini Beta, potrà avere un senso.
105 Commenti
Daniele,
Personalmente ritengo che la femmina possa essere crudele come un uomo (né più né meno), ma quello in cui la ritengo decisamente… “superiore” è nella vigliaccheria, perché, perlomeno, gli uomini ci mettono la faccia, la pelle e le palle. Loro, invece, “agiscono” nell’ombra, da brave vigliacchette quali sono.
(Sono un parà, per cui so di cosa parlo).
Del resto se non ci fossero gli uomini a parargli il deretano le femminucce non sarebbero capaci di combinare nulla, salvo starnazzare, accusare e rompere sistematicamente i coglioni.
(Le “amazzoni” e le società “matriarcali” sono solo una cagata).
Pappagallus sibiricus(Quota) (Replica)
giovanni carducci(Quota) (Replica)
L’uomo nasce, vive e muore sotto un’Ombra spaventosa: quella della …. “violenza”.
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L’Ombra della coscienza e il suo usufrutto
In sancrito, dvi, significa due.
Da questo termine deriva sia dvis, doppio, ma anche avversario e nemico, sia dvèsti … odio.
Questa intuizione contenuta nella lingua dei Veda, passando attraverso il latino, è ancora presente nell’italiano: diviso (di-vīsus lat.) e inviso (in-vīsus lat.).
Il peccato originale della conoscenza del bene e del male, cioè il discernimento dell’intero in parti, quel creare divisioni nel distinguere, senza il quale non si da nemmeno la coscienza[1], porta con sé un’ombra, Luce (perché non è messa in Ombra) dell’intuizione vedica.
La tesi che questo spazio condivide è che la divisione originale, che rende manifeste tutte le altre, sia quella sessuale: sexus significa infatti scisso, diviso.
La coscienza vede separazioni/divisioni laddove l’incoscienza vi coglie solo un’unità: per questo si può dire che la manifestazione a livello dei sentimenti della coscienza, del duale, è l’odio, mentre l’amore rispecchia la ricomposizione, l’unione delle parti divise:l’Unità.
(Continua)
Animus(Quota) (Replica)
Non si deve generalizzare.
marcello(Quota) (Replica)
Non si deve generalizzare.
marcello(Quota) (Replica)