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15 Mar 2011  |  44 Commenti

Glory of women

Ci siamo guadagnate il diritto di fare ciò che gli uomini hanno sempre fatto…

Il documentario ricostruisce le dolorose tappe che portarono migliaia di soldati durante il primo conflitto mondiale ad affrontare il calvario della malattia mentale, dopo quello delle trincee, degli assalti, dei gas e dei bombardamenti. Le allucinazioni, le disfunzioni motorie e la perdita di sé, nella forma inedita dello shock da combattimento, tormentarono gli uomini di tutti gli eserciti impegnati in battaglia. I malati, accusati di codardia e di tradimento dagli Stati Maggiori, venivano rispediti al fronte dai medici militari a forza di scosse elettriche e terapie ipnotiche, e reagivano sprofondando ancor di più negli abissi della pazzia, ammutoliti e dimenticati relitti della storia.

Le interviste agli esperti, i filmati di repertorio rinvenuti negli archivi di tutta Europa, le fotografie inedite e le cartelle cliniche dell’epoca permettono un approfondimento rigoroso su un aspetto finora poco indagato della Grande Guerra.

Questa sindrome è stata osservata al termine di altri conflitti, per esempio la Reazione da stress per combattimento (detta in inglese shell shock o Combat stress reaction) dopo la Prima Guerra Mondiale e il Disturbo post traumatico da stress dopo la Guerra del Vietnam. Controllando le registrazioni mediche di 15000 soldati nella guerra civile americana si è scoperto che “quelli che persero almeno il 5% della loro compagnia possedevano un aumento del 51% di rischio di sviluppo di successive malattie nervose, cardiache o gastrointestinali.

«Scemi di guerra» una vera malattia

Scemi di Guerra. La Follia nelle Trincee

L’ignoranza (e l’ipocrisia) delle donne circa la guerra fu  cantata dal poeta ed ex ufficiale inglese Siegfried Loraine Sassoon:

Glory of  Women dai Poems di Siegfried Sassoon

You love us when we’re heroes, home on leave,
Or wounded in a mentionable place.
You worship decorations, you believe
That chivalry redeems the war’s disgrace.
You make us shells. You listen with delight,
By tales of dirt and danger fondly thrilled.
You crown our distant ardourswhile we fight ,
And mourn our larelled memories when we’re killed.
You can’t believe that British troups ‘retire’
When hell’s last horror breaks them, and they run,
Trampling the terrible corpses – blind with blood.
O German mother dreaming by the fire,
While you are knitting socks to send your son
His face is trodden deeper in the mud

Onore delle donne

Voi ci amate quando noi siamo eroi, a casa, in licenza,
O feriti in qualche posto importante.
Voi amate le onorificenze, credete
Che la cavalleria redima dalla disgrazia della guerra.
Ci rendete bombe. Ascoltate con piacere,
Storie di sporcizia e pericolo teneramente emozionate,
Voi onorate i nostri lontani impeti mentre noi combattiamo,
E piangete le nostre memorie coronate d’alloro quando veniamo uccisi.
Non potete credere che le truppe britanniche “si ritirano”
Quando l’ultimo orrore infernale le spezza, e loro corrono,
calpestando i corpi terribili – accecati dal sangue.
O madre tedesca che stai sognando vicino al camino,
Mentre stai facendo le calze da mandare a tuo figlio
Il suo viso è calpestato più profondamente nel fango

Rita


44 Commenti

Fabio 8:57 pm - 26th Dicembre:

Mi reputo molto fortunato ad essere nato in un’epoca priva di conflitti mondiali.
Certe immagini sono spaventose e non fanno altro che testimoniare, una volta di più, la follia della guerra.
Riguardo alle donne, lasciamo perdere, perché considerando che stasera mi girano pure, sarei estremamente pesante nei loro confronti.

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armando 11:34 pm - 11th Gennaio:

Ecco, secondo qualcuno i maschi crepati in mille guerre, fatte (anche) per difendere le donne e di cui esse hanno comunque patito incomparabilmente meno degli uomini, sarebbero la classe privilegiata, gli oppressori per eccellenza. Ma come si può essere così orbi di fronte alla realtà?
armando

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Alessandro 6:24 pm - 29th Gennaio:

Purtroppo la sinistra ha preferito appoggiare in questi ultimi anni un’interpretazione di genere, femminista, cioè sessista, della storia rispetto a una di classe. Dall’oppressione del proletariato a quella della donna. Oggi è più trendy, è più alla moda. Complimenti vivissimi.

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Michela 7:05 pm - 22nd Marzo:

Anche le donne hanno sofferto e patito le guerre, a meno che non fossero in luoghi sicuri, ma non dimentichiamo le ecatombi e gli orrori dell’ex Jugoslavia e delle guerre civili in Africa e in altre parti del mondo.

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Rita 5:50 pm - 26th Marzo:

Anche noi, anche noi…!

Vedi Michela, nessuno nega che anche le donne abbiano patito le guerre, quello che i più negano è che anche le donne siano responsabili delle guerre. Che anche le donne abbiano spartito il bottino delle guerre.

Fermo restando che concordo sul fatto che, in linea di massimo, ne hanno sofferto di più gli uomini, sembra quasi una forma di gelosia. Se c’è un disagio o una discriminazione solo maschile, bisogna subito correre a puntualizzare: “anche noi eh, anche noi”…

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Rita 8:29 pm - 22nd Aprile:

Paradossalmente (ma nemmeno troppo) fu proprio durante la I guerra mondiale che si ebbe la maggiore spinta verso l’emancipazione e l’indipendenza femminile.
Di questo stralcio di storia delle donne in chiave femminista, mi lascia perplessa in maniera negativa l’assoluta indifferenza verso la sorte dei reduci (costretti a lasciare il loro lavoro per un opprimente periodo di vita nelle trincee, altro che oppressori, come faceva notare Armando nel post sopra). Quasi come a dire… accidenti che son tornati, era meglio se morivano tutti.

E’ che, a mio avviso, bisogna avere un bel coraggio e un bel pelo sullo stomaco per riuscire a definire la fine di una guerra così devastante come la I guerra mondiale come evento portatore di gioia, ma anche “tragedia” perchè i reduci tornati reclamavano un reinserimento nella vita sociale.

http://www.panistudi.info/crogiolo/donnepr_guerramond.htm

Man mano che la guerra si allungava e che il fronte macinava soldati, centinaia di migliaia di donne entravano nelle fabbriche, negli uffici, nei negozi: le donne diventavano manovali, uscieri, cancellieri di tribunale, telegrafiste, maestre e infermiere; approssimativamente, mancando statistiche ufficiali, dalla fine del 1915 all’ottobre del 1918 le donne impegnate negli stabilimenti che producevano armamenti passarono da 23.000 a 200.000, nell’agricoltura il loro numero superò i 6 milioni e salì vertiginosamente anche il numero di quelle occupate nel tessile sempre per le forniture militari. Negli uffici il numero delle donne raggiunse il 50%.
Nei tre anni di guerra questo inserimento massiccio delle donne nel mondo del lavoro mutò non solo il loro stile di vita, ma anche il loro modo di pensare. Anche le donne che non erano entrate nel mondo del lavoro gestivano in piena autonomia il sussidio e si occupavano di tutte le incombenze che all’interno della famiglia erano tradizionalmente riservate agli uomini; tutte indistintamente dovevano affrontare la responsabilità più gravosa di tutte: sfamare la propria famiglia in tempo di guerra.
…..

L’acculturazione femminile durante gli anni della prima guerra mondiale è almeno parzialmente deducibile dai registri di stato civile, in quanto gli sposi dovevano firmare il registro di stato civile e chi era analfabeta apponeva una croce: nel 1914 82.000 donne apposero la croce nel loro certificato di matrimonio, nel 1918 solamente 38.000 ed anche il numero degli sposi analfabeti scese da 55.000 a 27.000.
Durante la guerra aumentò il numero delle donne che frequentavano gli istituti superiori; nell’anno accademico 1917-1823.000 maschi e circa 2.000 femmine frequentarono le 17 università governative e le 4 libere.
Nel 1917 si laurearono 108 dottoresse in lettere, 4 in scienze economiche e commerciali, 81 in matematica, 7 in farmacia, 6 in medicina, 1 ingegneria e 1 in agraria, ma nel 1918 ci fu una flessione, sebbene il numero rimanesse superiore a quello di prima della guerra. Nacque un’Associazione di laureate e diplomate in magistero e altre cominciarono ad organizzarsi.

Per le donne la fine della guerra fu insieme gioia e tragedia: la prima fu l’enorme sollievo di ritornare alla pace con la speranza che dopo tanti lutti e privazioni finalmente si potesse vivere in una società più giusta e libera. Fu un’esplosione di felicità collettiva, che i giovani esprimevano ballando per le strade e nei locali pubblici. Le ragazze cominciarono a rivoluzionare il sonnolento costume in cui erano state allevate: accorciarono le gonne, tagliarono i capelli. Il ritorno a casa dei smobilitati ebbe proprio sulle donne tragiche conseguenze, perché furono le prime ad essere cacciate da fabbriche e uffici, dove furono reinseriti gli uomini.
I più duri nei loro confronti furono proprio i reduci che perentoriamente invitavano le donne a tornare a fare la calza in casa. La difficoltà di trovare lavoro scatenò la guerra dei sessi che naturalmente fu perduta dalle donne, che solamente per un breve periodo ebbero diritto al sussidio di disoccupazione

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Alessandro 8:04 am - 23rd Aprile:

Uno degli errori più madornali compiuti dal femminismo nel rileggere la storia è stato quello di considerare gli uomini sempre come oppressori tout court e le donne sempre come vittime. E’ una falsificazione storica chiaramente. E’ vero che all’interno dei nuclei familiari di stampo patriarcale il ruolo della moglie era subordinato al marito, ma lo era anche quello dei figli maschi. Inoltre se le donne erano tenute a lavorare esclusivamente all’interno delle mura domestiche, e questo limitava pesantemente la loro libertà di scelta, gli uomini si dovevano spaccare la schiena in lavori ingrati, ereditandoli dai loro progenitori, spesso lasciandoci la vita, senza alcuna possibilità di migliorare le proprie condizioni, perchè le caste sono esistite a lungo anche in Europa, per uomini e per donne. E’ stato grave che la sinistra abbia avallato un’interpretazione di genere della storia, quando l’unica ammissibile è quella di classe, se vogliamo servirci di un approccio di stampo marxista. E’ ciò è accaduto solo nei Paesi occidentali, perchè nei Paesi che hanno conosciuto il sistema comunista, l’interpretazione di genere della storia non ha mai attecchito. Un’altra conferma di come il femminismo, nato e soprattutto sviluppatosi all’interno dell’area culturale-politica tutto sommato ascrivibile alla sinistra, abbia trovato terreno fertile per crescere soprattutto nei Paesi di stampo liberale-capitalista, in cui la sinistra è stata spesso e volentieri all’opposizione, se non quasi inesistente come negli USA.
Diamo a cesare quel che è di cesare, e allora diciamo che il Comunismo aveva saputo costruire dei rapporti tra i sessi sicuramenti più evoluti di quanto abbiano saputo fare i Paesi liberali, in cui la regola è il sospetto reciproco e la profonda diffidenza.
Aggiungo che in un’epoca “folle” come la nostra, in cui, per esempio, i calciatori più in vista intascano milioni di euro, si rimpiange la razionalità comunista in certi ambiti, la quale mai avrebbe tollerato una simile assurdità.

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armando 10:36 am - 23rd Aprile:

Sulla corresponsabilità delle donne nelle guerre , simboleggiata dall’unione sessuale fra Ares e Afrodite, consiglio di leggere James Hillman, “Un terribile amore per la guerra” (Adelphi). Ma basterebbe anche ripensare la vera e propria idolatria riservata a tiranni quali Hitler e Mussolini.
Quello che acutamente scrive Rita sul mutamento indotto dalla Grande Guerra nei rapporti fra uomini e donne, merita una riflessione. Fu lì che si sperimentò per la prima volta su scala larghissima il concetto di intercambiabilità e fungibilità di molti ruoli lavorativi. Secondo Ivan Illich, autore non certo misogino, quel concetto nacque con la società industriale (o capitalistica in senso lato) che elaborò il concetto di lavoro salariato neutro, adatto indifferentemente a uomini e donne. Prima di allora, invece, gli uni e le altre avevano domini di genere propri (certo squilibrati in favore del maschile per quanto riguarda il “pubblico”), su cui regnavano. Per Illich si assicurava così un certo equilibrio, anche perchè i lavori maschili e femminili erano complementari ed entrambi ugualmente necessari all’economia familiare. E’ col “lavoro neutro” che si è scatenata la concorrenza fra maschi e femmine sullo stesso identico terreno,e con ciò la competizione, il rancore, il risentimento ed anche il sessismo (il quale, proprio per l’identico motivo, è potenzialmente rivolto in ogni direzione).
Certamente non è pensabile un qualsiasi ritorno in grande scala alla struttura pre-industriale, tuttavia un recupero a livello psichico/culturale del concetto di differenza sessuale aiuterebbe a capirsi meglio.
Da questo punto di vista non è sbagliato notare che sono le donne a sentirsi in competizione cogli uomini molto più del contrario. L’uomo considera con fastidio la competizione con la donna, fino a fargli perdere interesse per lei. Ritiene improprie talune “intrusioni” femminili nel suo mondo, come d’altronde accade alla donna quando un uomo intende occupare uno spazio (che, sia chiaro, è anche un potere molto forte) che ella ritiene dominio proprio, come in casa. Poi, certo, si lamenta per la scarsa collaboratività maschile, ma a anche quì è da notare che quasi sempre quella collaborazione è richiesta in modo, diciamo così, subordinato, ossia tale da non mettere in pericolo la regalità femminile.
armando

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Rita 12:04 pm - 23rd Aprile:

Esatto: aggiungerei che la collaborazione casalinga dell’uomo è richiesta ma secondo le modalità femminili: quante volte ho sentito dire, in maniera piuttosto sprezzante, “mio marito mi aiuta, ma certo quando pulisco io si vede”.
Per non parlare delle colleghe al lavoro che quando sanno che il bambino è con il padre telefonano ogni minuto con mille raccomandazioni e istruzioni.
Ma in fondo, non si dice sempre anche che la donna nel mondo del lavoro non ce la fa perchè il mondo del lavoro è tagliato sulla modalità maschil (ista) ?

C’è la perdita del “senso” maschile di cui mi pare abbiate già parlato, ma (casualità o meno) a me pare che l’ondata più veemente del femminismo “colpevolizzante” la società maschilista (si capisce a cosa mi riferisco?) sia partita in concomitanza o subito dopo il boom degli anni sessanta, la tecnologizzazione casalinga, (lavatrici, frigoriferi, frullatori) che rendevano più leggera l’attività tipica delle donne, ma contribuivano anche a renderle un po’ inutili, la contraccezione che consentiva la programmazione delle nascite, consentendo alle donne di non passare buona parte della loro vita fra gravidanze e bimbi piccoli. E se ci fosse stata anche una paura di perdita del senso femminile su cui il neo-femminismo (conquistati ormai i diritti giuridici) ha fatto leva?

Boh è solo un’impressione naturalmente, ma mi pare che il progresso, oltre agli indubbi vantaggi, abbia anche contribuito a scatenare una specie di paura di diventare inutili.

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Strider 12:32 pm - 23rd Aprile:

armando
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Da questo punto di vista non è sbagliato notare che sono le donne a sentirsi in competizione cogli uomini molto più del contrario.
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Secondo me (e non solo secondo me), uno dei motivi per cui le donne si sentono in competizione con gli uomini molto piu’ del contrario, e’ da ricercare nell’ invidia – e conseguenzialmente nei complessi di inferiorita’ – che le suddette provano nei confronti degli uomini.

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Rino 6:54 pm - 23rd Aprile:

La questione dell’attività casalinga maschile è una delle più trascurate – da sempre – all’interno del Momas. Che io sappia nessuno ne ha mai trattato largamente. Io stesso non vi ho fatto che qualche cenno. E non certo per imbarazzo. Il fatto è che anche qui come in ogni altro ambito la questione pregiudiziale è: quanto valgono le parole maschili, l’esperienza maschile, il vissuto maschile riguardo alla vita in casa? Zero.
Il problema capitale della QM è riuscire a mettere un 1 davanti allo zero dell’esperienza maschile.
Fatto ciò ogni argomento potrà essere affrontato.
Per ora mi limito alle seguenti 2 osservazioni.

1 – A quale parametro si deve riferire la quantità globale dell’attività da svolgersi in casa? Livello inglese o italiano ? (tanto per dare l’idea). Standard femminile o maschile? (che siano diversi lo si vede paragonando il modo in cui sono tenute le abitazioni dei single da quelle delle single. Paragone che scavalca infinite chiacchiere). Altro modo per verificarne il significato/valore tra F ed M è chiedersi: quanto tempo risparmia – nella attività casalinghe – la vedova dal giorno (beato…) in cui il “parassita” muore? Cronometro in mano si potrebbero fare scoperte incredibili. Magari controintuitive.

2- La condizione subordinata del maschio in casa è già stata accennata. Significa che l’insieme delle attività, la loro successione, le modalità, i tempi, i ritmi, le priorità, la frequenza vedono il maschio sempre esecutore e mai attore. Già a priori il tipo, la forma e la collocazione degli oggetti di casa sono decisi dalle donne. E così via per ogni cosa, elemento, dispositivo. Idem per il loro utilizzo. Etc. etc. .
Questa è una delle componenti della dinamica che spiega (spiegherà quando ne tratteremo) moltissime cose.

Questi sono solo cenni di una questione molto vasta e che tocca gli uomini da vicino, nella loro pelle. Sia che in casa facciano tanto, poco o nulla.

Ne parleremo.

RDV

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Leo 12:21 pm - 24th Aprile:

L’INVIDIA: che non permette alle donne di avere un rapporto sereno e schietto con gli uomini, che gli impedisce di andare a corteggiare un maschio che gli piace, e magari di beccarsi un no! Stanno sempre attente a non farsi fregare: quindi alla competizione con i maschi.
Aldilà delle apparenze le donne hanno un pessimo rapporto con il proprio corpo: lo vogliono sempre cambiare e nascondono i propri bisogni fisici.
Questo dei bisogni corporali secondo me è importante per la sessualità, per concedersi ad un uomo, la donna concede meno del suo corpo e da qui mostrano o hanno meno interesse al sesso.
Penso che mostrare meno interesse al sesso fa parte sempre della competizione. Molte donne dicono che il fisico femminile è più bello di quello maschile, il tipo di cultura di oggi gli da ragione; i greci pensavano l’opposto.

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armando 11:31 pm - 25th Aprile:

Trovo interessante quello che scrive Rita sul fatto che il rivendicazionismo femminile sarebbe nato per la paura di perdita di senso indotta dalla tecnica. Sarebbe identica a quella, su altri aspetti, maschile. Con una differenza fondamentale, però. Mentre esiste un rivendicazionismo femminile nei confronti degli uomini e una, diciamo così per capirsi, invasione di campo, non è accaduto l’inverso. In questo senso il conflitto è stato dichiarato unilateralmente e, sono convinto, la paura femminile immotivata. Gli uomini sono stati contenti che le proprie mogli potessero durare meno fatica in casa (magari sperando avessero più tempo per loro), altrimenti le lavatrici etc. non l’avrebbero inventata. Nè hanno mai pensato di poter fare a meno delle donne, anzi della propria donna, per avere figli.
Quando Rino parla dell’organizzazione degli spazi e dei tempi casalinghi come modellati sul femminile, dice una cosa incontestabilmente vera. E che gli uomini non hanno sostanzialmente mai messo in discussione, magari limitandosi a ritagliarsi un proprio angolo esclusivo e lasciando che per il resto la donna si sbizzarrisse a piacere. Non così nello spazio pubblico tradizionalmente maschile, di cui si è messo in discussione tutto. Come se la donna volesse conservare il proprio dominio tradizionale e formarsene un altro in aggiunta, esigendo in sovrappiù l’aiuto subordinato degli uomini, per il maggior tempo che lei ha da dedicare a……scalzarli dal dominio loro.
Sembra un paradosso logico, eppure accade proprio questo.
Ovvio allora che l’equilibrio, perchè di questo si trattava comunque lo si giudicasse, si sia spezzato.
In questa dinamica io vedo quello che scriveva Ivan Illich, quasi esattamente.
Quanto al problema sollevato da Strider dell’invidia, secondo me c’è del vero. L’erba del vicino è sempre più verde, si sa. Ma è pura illusione ottica. Poichè per la donna il lavoro è spesso un modo per realizzare se stessa fuori dall’opprimente casa, pensa sia così anche per l’uomo e dunque lo invidia perchè l’ha fatto da sempre. Ma non è così, perchè l’uomo normale lavora non per realizzare se stesso ( e come potrebbe su una impalcatura o ad una catena di montaggio?), ma per mantenere i figli ed anche la moglie, cioè per un dovere sociale. Non è un caso che le donne reclamino il diritto non al lavoro quale che sia, ma solo a certi lavori meno rischiosi e faticosi, quelli cioè che si pensa possano essere più autorealizzativi.
armando

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Rita 7:29 am - 26th Aprile:

x Armando, quoto, ma non dimentichiamo che, in barba all’uguaglianza, secondo me, le specialiste dell’autoerotismo psichico (leggasi “seghe mentali”) sono in maggior numero di genere femminile (me compresa, ovviamente).
Ora, a questo punto, non ha molto senso chiedersi se la paura sia stata motivata o immotivata (sono convinta anch’io che sia più probabile la seconda opzione), ma che paura ci sia stata.

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ckkb 9:13 am - 26th Aprile:

I lavori domestici presumono che si viva in casa e che ci siano comunità familiari. Ma ci sono?
Oggi le case sono abbandonate alle 7 di mattina con rientro alle 19, figli ce n’è meno di due per coppia, e regolarmente collocati altrove (nonni, asili, ecc.). Il lavoro domestico tradizionale tra lavatrici, lavapiatti, cibi precotti, spese all’ingrosso, ecc. è davvero difficile definirlo come lavoro e oltretutto non ha nemmeno più connotazioni di genere: avere a che fare con il magazzino (ex dispensa) e le macchine (domestici elettrici) è più maschile che femminile. La casa assomiglia sotto questo aspetto ad un piccolo reparto di fabbrica. E di quest’ultimo in casa resta invece, in tutta la sua irriducibile oggettiva pesantezza, quel tipo di lavoro, il più rischioso, che è la manutenzione, ovvero la riproduzione delle condizioni di funzionalità strutturale: macchine, infissi, circuiti, tubazioni, coperture, tinteggiature, illuminazione, ecc. . Tradizionali occupazioni maschili che gravano, quelle sì, solo sulle spalle maschili a rischio anche in casa come in tutti gli altri cantieri e fabbriche. Come si evince dai dati ISTAT sugli incidenti domestici:
http://www.maschiselvatici.it/pdf/incidenti_domestici.pdf
Resta da spiegarsi perchè anche in questo caso si rovesciano i termini della realtà e si sentono solo pianti al femminile e solo su se stesse. Mentre i maschi annuiscono con compunzione. Forse che i maschi sono degli irriducibili romantici e oltre ad una insopprimibile attitudine alla cavalleria verso le femmine, non vogliono perdere almeno il sogno proposto dalla Barilla?

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Rita 8:24 am - 24th Maggio:

Visto che l’8 marzo si sprecano le celebrazioni per un evento (di cui non è nemmeno provata l’esistenza) in cui perirono un centinaio di donne.. permettetemi di ricordare (dato che passa ormai sotto silenzio) una data in cui con certezza storica, l’Italia mandò a morte milioni di uomini.

Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio…

http://www.youtube.com/watch?v=VluxUjVSMW0&feature=related

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Fabrizio Marchi 8:51 am - 24th Maggio:

Esattamente, Rita, puntualissima come sempre…
1° Guerra mondiale: un’ecatombe di uomini mandati al macello per difendere i privilegi e gli interessi di altri uomini (e donne) sotto la bandiera di un falso patriottismo. Quest’ultima menzogna è stata ormai smascherata. Fu una guerra imperialista, uno scontro fra “bande rivali” (le classi dirigenti delle varie potenze mondiali) pagato ad un prezzo intollerabile.
Nessuno mai ricorda però che quella fu anche una tragedia di genere. Nove milioni di uomini uccisi, fra cui 700.000 italiani (ammesso che abbia senso ricordare la nazionalità dei caduti…), e altre decine di milioni resi invalidi o mutilati.
Come se nulla fosse stato, come se nulla fosse. D’altronde la risposta la conosciamo già: la guerra è un’invenzione maschile, un affare privato fra maschi, proprio come il conflitto di classe. Quindi se proprio dovete prendervela con qualcuno, prendetevela con voi stessi…
Un bel modo, soprattutto molto conveniente, di rileggere e riscrivere la Storia…
Fabrizio

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Leonardo 12:47 pm - 24th Maggio:

Fabrizio Marchi:
D’altronde la risposta la conosciamo già: la guerra è un’invenzione maschile, un affare privato fra maschi,
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A parte che con i bombardamenti crepa anche qualche donna e i bambini, peggio ancora possono rimane invalidi tutta la vita. Alle donne si potrebbe rimproverare di non fare nulla per impedire le guerre, potrebbero dissuadere i loro uomini dall’ammazzarsi come fessi. Ma i discorsi delle donne sono come quelli degli uomini, sono schierate, e le femministe strumentalizzano la guerra per dipingere un uomo bestiale e violento. Sono colpevoli anche loro per le guerre: perché le madri dei soldati non scendono in piazza per tenersi a casa i figli?
daltronde mi dicevano: il servizio militare ti fa diventare uomo.
Pensavo: si dice “madre patria” e non “padre matria”, la parola padre viene femminilizzata. Patriottismo mi sembra un termine usato solo per quello che riguarda la guerra, il combattere per la patria. Anche solo patria è al femminile.

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cesare 4:16 pm - 24th Maggio:

Pregasi osservare fra le ali di folla di quale dei due generi sfilano i soldati di tutti i tempi e di tutti i paesi, e fra le urla delle piazze piene di quali generi, guerrafondai e dittatori di tutti i tempi pronunciano le loro criminali e folli orazioni e quale furore bellico incarnino oggi le nostre “dunin de guera libica” mezzibuste mediatiche o badanti o consigliori o mogli o moglibadanti degli attuali maschi potenti del pianeta; giustamente ben più orientati dei “dunin de guera” al loro fianco a pantofolare nel caso specifico. Deinde pregasi i maschi pentiti o quelli “definitivamente rottisi i ball”, di smettere di cercare la colomba della pace sulle ginocchia delle donne: non c’è e non c’è mai stata. Amen

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Rita 4:56 pm - 24th Maggio:

macchè vestiti.. basta la pelle!

Battista Serioli e Delfino Borroni, due uomini come tanti, due fra i tanti “dominatori” che spadroneggiavano sul pianeta godendo della loro libertà…leggevo oggi nel blog della Zanardo di “donne che si sono liberate da pochi anni” di “maschi che si vergognano dell’esclusione dell’apporto spirituale, culturale e scientifico della donna per tanti anni”.

http://www.youtube.com/watch?v=8OG0_UGQieY&feature=related

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Rita 8:23 pm - 24th Dicembre:

Con un augurio sincero perchè anche questa “Caterina” internettiana, mutatis mutandis anche lei nata dal nulla ma funzionante grazie all’intelligenza, alla tenacia e all’inventiva degli uomini, possa portare a salutare la fine della guerra dei sessi . Buon Natale a tutti voi, in regalo una storia di guerra, ma una storia di tenacia, solidarietà e inventiva maschile.

IL TRIONFO DELLA CATERINA- di G. Guareschi

Qualcuno dei miei ventitrè lettori mi ha domandato se questa mia animosità nei riguardi della RAI tragga origine da un fatto personale o da idiosincrasia. Posso rispondere che la stessa irritazione provavamo io e i miei amici quando l’Ente radiofonico di Stato si chiamava EIAR e si comportava come si comporta oggi la RAI. Quando cioè, ogni sera, al microfono della radio, c’era che ci spiegava che la guerra andava ogni giorno più vittoriosamente e ci insegnava come deve comportarsi un bravo italiano. Fino a quando nel febbraio del 1943, il settimanale Bertoldo, di cui ero redattore capo, sparava un violentissimo attacco contro il più autorevole e seccante dei commentatori radiofonici ufficiali. Era la prima volta che un giornale osava tanto sotto il Regime d’allora, e la cosa fece un chiasso maledetto e quel numero di Bertoldo diventò una rarità e raggiunse prezzi astronomici.
Nessun fatto personale, nessuna allergia nei riguardi della radio di Stato o della radio in generale. Anzi: ci fu un periodo in cui la radio rappresentò anche per me qualcosa di estremamente importante, di vitale, perché anche per me, sepolto assieme a seimila altri ufficiali dell’ex Regio Esercito Italiano in un Lager, la radio fu l’unico legame con il mondo dei vivi.
Si chiamava Caterina ed era figlia della disperazione e della genialità italiana. Genialità che, purtroppo, si manifesta soltanto quando gli italiani sono nei guai fino agli occhi. Quando le cose procedono normalmente e quando – come ora – l’anormalità diventa normale, gli italiani si adagiano sul “tira a campare” e assistono inerti, addirittura divertiti, alla loro rovina. Ma è difficile immaginare come gli italiani diventino intelligenti quando si trovano nei pasticci. Nessun popolo al mondo ha simili doti di recupero ed è tanto fermamente deciso a sopravvivere. Io avevo scritto sulla fiancata della mia cuccia: “Non muoio neanche se mi ammazzano”: in fondo questo puo’ essere il motto dell’italiano nei guai.
La Caterina era una trappoletta di centimetri 9x10x5. Nacque nel campo di concentramento di Sandbostel e, per quanto la Gestapo ne conoscesse l’esistenza e la cercasse rabbiosamente, non riuscì a scoprirla mai. Anzi, riuscì ad andarsene da quel campo per entrare in un altro e fece, infine, urlare d’entusiasmo il comandante americano arrivato con le truppe liberatrici: la voleva ad ogni costo, ma dovette accontentarsi di scattarle una quantità enorme di fotografie, perché la Caterina era troppo importante per chi l’avesse costruita e ne aveva fatto l’unica arma di difesa spirituale.
Nacque dal niente dicevo: dal niente in senso relativo, naturalmente. Come l’Eterno Padre, per costruire Eva, partì da una costola di Adamo, i costruttori di Caterina partirono da una piccola valvola. Questa valvolina “LQ5”, introdotta nel Lager Dio sa come, era l’unico pezzo non arrangiato di tutta la Caterina. Il resto fu costruito coi normali mezzi di cui puo’ disporre un uomo che si trovi nudo in mezzo a un prato di trifoglio.
Non occorre essere dei tecnici per comprendere che disporre d’una sola valvolina rappezzata con catrame tolto dalla copertura delle baracche e pretendere di cavarne un apparecchio radio ricevente è come disporre solo di uno spinterogeno e pretendere di cavarne un’automobile perfettamente funzionante.
Un certo arnese, detto “condensatore variabile di sintonia” venne, per esempio, costruito con la latta di un barattolo raccattato nell’immondizia e con pezzi di celluloide ritagliati da buste portatessera. L’altro essenziale arnese, chiamato “condensatore fisso” venne costruito con stagnola e cartine da sigarette, mentre la “resistenza fissa” ebbe, come materia prima, la carta nella quale era avvolta la margarina della razione, trattata con grafite di matita.
In un portasapone da barba, trovò posto il gruppo “Bobine, antenna, sintonia, variometro”. Il tutto costituito da filo isolato da bobina, cartone arrotolato a cilindro e cera di candela che funzionava a meraviglia perché tutti l’avevano abilmente illusa chiamandola “paraffina”. Qui, però, fu necessario l’aiuto del Grande Reich. Occorrevano filo isolato da bobina e dei magnetini per costruire la cuffia: come si possono trovare queste cose in un campo di concentramento?
Il trovarobe notò che il sergente addetto all’ufficio postale del campo,ogni giorno, lasciava per qualche ora la sua bicicletta appoggiata alla baracca. Studiò gli orari e, una mattina – lavorando a pochi metri dalla sentinella appostata sulla torretta – tolse la dinamo dal fanale. Poi, tolti filo e magnetini, la riavvitò alla bicicletta. L’impresa fu compiuta dall’ing. Carlo Martignago. Eravamo molto amici ma, adesso, non mi saluta più perché ho osato scrivere con una certa irriverenza un articolo sugli “alfisti” e lui è un “alfista”.
L’ing. Olivero, creatore della Caterina, stabilì a un certo momento che aveva bisogno di una batteria anodica: per costruirla si dovettero miracolosamente racimolare tra i seimila prigionieri venti vecchie monete di rame da dieci centesimi, poi ritagliare venti dischetti dalla copertura di zinco delle vasche di legno dei lavatoi e venti dischetti di panno da una coperta. Il tutto, disposto nell’astuccio di una vecchia pila tascabile, veniva posto in grado di fornire 20 volts teoretici corrispondenti a tre quarti d’ora di ricezione, con acido acetico ricavato dai pochi fortunati che ricevevano da casa qualche pacco rallegrato da scatolette di sottaceti.
Coi magnetini del sergente e altre cosette racimolate Dio sa come, più un barattolino di latta e un dischetto di cartone, venne costruita la cuffia con un solo auricolare.
Il congegno chiamato “comando della reazione” fu trovato, grazie al cielo, già bell’e pronto e si chiamava Olivero.
Mi spiego. Il Centro-radio aveva sede in una specie di magazzinaccio, una baracca piena di stracci pidocchiosi e di zoccoli spaiati e fangosi. Nella stamberga esisteva il castello semisfasciato d’uno di quegli orrendi pollai a sei posti che ci erano assegnati come letti. Il tenente Olivero si appollaiava su una traversa orizzontale del secondo ripiano, tenendo una gamba penzoloni nel vuoto. Cuffia all’orecchio, con la sinistra sorvegliava i comandi della Caterina, con la destra scriveva ricevendo in italiano, tedesco, francese e inglese. La gamba penzolante nel vuoto si alzava e si abbassava continuamente e questa era la “regolazione micrometrica del comando della reazione” in quanto, avvicinando e allontanando il piede dal pavimento di terra battuta preventivamente inumidito, variava la capacità d’antenna. Antenna che era rappresentata, a sua volta, dallo stesso corpo dell’operatore perché il tenente Olivero teneva fra i denti il filo che partiva dal “piede d’antenna”.
Questa insomma era la famigerata Caterina che la Gestapo cercava rabbiosamente coi tele goniometri, senza mai poterla trovare, perché, attorno alla nostra trappoletta, esisteva una colossale rete di protezione composta da 12.000 occhi, 12.000 orecchie e 6.000 cervelli. E, non appena qualcosa d’insolito veniva notato nel campo, la Caterina smetteva di ricevere e, nascosta dentro una gavetta da alpino, viaggiava per il campo passando di mano in mano.
Per noi, la Caterina era il miracolo. Era la vittoria dell’intelligenza contro la fame, il freddo, l’angoscia, la solitudine e il sopruso. Perché la Caterina funzionava meravigliosamente bene e riceveva tutte le più importanti emittenti europee. E solo attraverso la Caterina noi sapevamo cio’ che avveniva nel mondo. La Caterina tesseva per noi l’invisibile ma tenacissimo filo che legava migliaia di disperati al pilone della speranza.
Le notizie captate dalla Caterina, e immediatamente tradotte, circolavano scritte su brandelli di carta per tutto il campo. E, tradotte in francese, entravano anche nel campo dei prigionieri francesi.
C’era chi si era disegnata, un po’ a memoria e un po’ basandosi su cartine strappate a qualche Atlantino De Agostini sfuggito alle infinite perquisizioni, una carta del teatro di guerra, e, su di essa, si segnava – grazie sempre alla Caterina – l’avanzata delle truppe che dovevano venire a tirarci fuori dal reticolato. E quando nei primi giorni dell’aprile 1945 il cerchio si strinse intorno a noi, e la guerra si portò a ridosso del reticolato, e sopra le nostre teste incominciarono a fischiare i proiettili delle artiglierie, non fu una sorpresa. Fu il trionfo della Caterina.

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Damien 11:06 pm - 24th Dicembre:

Glory of Women

“La guerra più terribile è quella che deriva dall’egoismo, e dall’odio naturale verso altrui, rivolto non più verso lo straniero, ma verso il concittadino, il compagno.”

Giacomo Leopardi era lungimirante…

Bel pezzo Rita, Chapeaux..

Buon Natale a tutti, godiamocelo.. tra separazioni e crisi..piu’ che si va avanti e più credo stia diventanto sempre più un lusso per pochi..

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Luigi Corvaglia 10:58 pm - 25th Gennaio:

Guerra e donne.
Sulla recente decisione del segretario alla Difesa americano ( Usa, via libera alle donne soldato in prima linea. Panetta toglie il veto ) segnalo il seguente post della Lanfranco:
Esercito Usa: sparare, uccidere, essere uccise. E’ libertà?

………………………………………..
di seguito il mio commento (al momento in moderazione):
Intanto, preliminarmente chiariamo una cosa. I limiti sessisti di istituzioni fondanti della società, come dice lei, in larga parte erano limiti sessuali. E quei limiti non siete state voi a infrangerli. E’ stata la tecnica che vi ha permesso di farlo. Non c’erano donne alla guida di mezzi pesanti (in larga parte nemmeno ora) quando per condurre quei mezzi c’era bisogno di una forza fisica non indifferente. Non c’erano donne in miniera (in larga parte nemmeno ora e nell’occidente avanzato, perché di quest’ambito di mondo stiamo discettando, oramai quasi manco miniere) quando starci equivaleva a stare, logorio e malattie fisiche a parte, in una specie di inferno in terra; sono comparse quando la tecnica, alleggerendo quello comunque rimane un lavoro pesante e rischioso, ha permesso che comparissero. Non c’erano e per la verità non ce le vedo nemmeno ora in tutte una serie di attività dove la tecnica evidentemente ancora non gli ha permesso di entrare: i cantieri civili di vario genere e tipo. Non c’erano donne nelle forze armate (sempre parlando da un angolazione, come dire occidentale) fino a quando la guerra era solo uno scannatoio senza soluzione di continuità. Ci stanno e se ne vedranno sempre di più ora che la guerra, ripeto nell’ambito occidentale, è diventata altra cosa. Un enorme e spaventoso accumulo di tecnologia di morte che mira alla minimizzazione dei rischi per i propri uomini. E donne. E all’annientamento del nemico senza quasi sporcarsi fisicamente le mani di sangue.
E’ la tecnica che vi ha “liberate” quindi. Sempre che, nel caso delle forze armate, questa possiamo chiamarla liberazione. E chi questa tecnica la ha in larga sviluppata e propugnata. E al di là di tutte le diatribe e polemiche che su questo punto si potrebbero innescare è evidente e inoppugnabile che siano stati gli uomini.
Chiarito questo, si mia cara Lanfranco, ha centrato bene il punto. Anche se lo agita più come uno spauracchio che come un opportunità. In questo (guerra, forze armate) come in altri ambiti: benvenute nell’era della responsabilità femminile.
Tutt’ora siete ancora largamente impreparate a questo, ma dovrete farci l’abitudine.

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sergio 3:55 pm - 26th Gennaio:

ma le femministe del passato non erano contro il militarismo e la guerra…??
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http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:s4QYnt9uwh8J:www.unive.it/media/allegato/dep/n10-2009/Ricerche/BianchiB.rtf+&cd=10&hl=it&ct=clnk&gl=it

Solo una minoranza di femministe pacifiste mosse una critica al linguaggio e ai messaggi della propaganda. Esse rifiutarono di demonizzare il nemico e di porre in primo piano la questione delle atrocità, un tema che avrebbe accentuato il clima di odio e causato crudeli rappresaglie, come scriveva la giornalista francese Nelly Roussel, in un articolo pubblicato su “La Pensée Libre International” il 6 febbraio 1915:

In Francia hanno iniziato ad apparire le pubblicazioni ufficiali sulle “atrocità tedesche”. Molti se ne compiacciono. Alcuni, tra i quali io stessa, ne sono disturbati. Mi sembra cosa inopportuna e temo che al momento attuale possa condurre a due risultati, […] a terrorizzare la popolazione nelle regioni vicino al fronte, oppure, nel caso di una nostra invasione della Germania, a incitare i nostri soldati alle più orribili rappresaglie.
Al contrario, se tali pubblicazioni fossero state rinviate fino alla fine delle ostilità, avrebbero potuto essere utili, a condizione, però, che avessero conservato un carattere di verità. [Le atrocità] dovrebbero essere presentate in modo da non esasperare il clima di odio a livello internazionale, ma in modo tale da ispirare un salutare terrore per il flagello della guerra che inevitabilmente provoca tante inutili sofferenze e causa crimini vergognosi18.

Le pacifiste si opposero alla centralità della questione delle atrocità e degli stupri nel discorso pubblico, sfidarono le concezioni tradizionali di virilità e di militarismo e proposero un modo diverso di parlare del rapporto guerra e violenza alle donne.

Lo stupro, infatti, era la sola sofferenza femminile ad avere riconoscimento pubblico; il dolore causato dai lutti, dalla morte dei figli e delle persone care erano considerati sacrifici volontari, generosamente offerti alla patria.
Nei loro scritti, pubblicati tra il 1914 e il 1919, fecero costantemente riferimento agli stupri, ma senza enfasi, senza insistenza. Frances Hallowes fu tra coloro che vi si soffermarono, sia nel 1914 che nel 1915. Nello scritto Women and War del settembre 1914 riportava la risoluzione approvata dall’ International Council of Women nel maggio 1914, un appello perché gli stupri fossero previsi come crimini nella normativa internazionale19. In Mothers of Men and Militarism, uno scritto del 1915, afferma:

Nonostante le Convenzioni dell’Aia, abbiamo visto che in Francia, in Belgio, in Serbia, in Polonia, donne e ragazze sono state stuprate. Esse levano alto il loro grido contro il militarismo, con il loro seno lacerato, i loro figli mutilati20.

L’obiettivo era quello di formulare una radicale condanna contro la guerra in quanto tale, come dichiarò Jane Addams, futura presidente dalla prima organizzazione internazionale pacifista femminile, ad un giornalista del “New York Times” il 2 maggio 1915:

Le donne si stanno avvalendo di quanto l’opinione pubblica è venuta a conoscenza a proposito delle conseguenze della guerra sulle donne e sui bambini per rivolgere una precisa accusa contro la guerra in quanto tale21.

Se le commissioni d’inchiesta considerarono gli stupri alla stregua di reati individuali, i pubblicisti li descrissero come l’espressione della sessualità aggressiva di un nemico barbaro, le pacifiste li interpretarono come l’inevitabile conseguenza del militarismo, una piaga che affliggeva ogni paese e che il conflitto andava radicando sempre più profondamente nella società.

La mentalità militare, fondata sull’intimo legame tra violenza e superiorità maschile, sul culto della forza, sul disprezzo della debolezza fisica, sulla repressione di sentimenti di pietà e tenerezza, insinuavano un senso di spregio verso le donne. Lo affermò Grace Isabel Colborn nel 1914:

Il punto di vista militare è quello del disprezzo della donna, la negazione di qualsiasi valore che non sia la riproduzione. E’ questo spirito del militarismo, la glorificazione della forza bruta, che ha tenuto la donna in schiavitù politica, legale, economica22.

In un opuscolo del 1915, lo scritto più ampio e articolato sul tema, Militarism versus Feminism, Mary Sargant Florence23 and Charles Kay Ogden24 vollero dimostrare l’assoluta inconciliabilità tra la dignità femminile e il militarismo. Per sostenere il loro punto di vista fecero ricorso alla storia, all’antropologia, alla teologia, agli studi classici.

Il militarismo è sempre stato una maledizione per le donne in quanto donne fin dall’alba della vita sociale […] Violenza domestica, violenza tra gli individui e tra le classi, tra le nazioni, le religioni; violenza tra uomo e donna: questo è ciò che più di ogni altra cosa ha impedito che le donne si esprimessero sulle questioni pubbliche, almeno fino a un recentissmo passato. La guerra ha creato la schiavitù con le sue conseguenze degradanti per le donne […], la guerra e la conseguente riduzione in schiavitù delle donne ha rappresentato la causa principale della poligamia con la sua concezione della donna come proprietà e lo svilimento dell’amore al piacere fisico. La guerra ha creato e perpetuato quel dominio dell’uomo in armi che ha pervaso ogni istituzione, dal parlamento in giù 25.

Giustizia sociale ed eguaglianza tra uomini e donne non potevano essere raggiunte in un mondo dominato dal militarismo. Il culto dell’obbedienza e dell’irregimentazione non poteva in alcun caso rappresentare protezione per le donne, ma solo dominio e sopraffazione. Scriveva Helena Swanwick nel 1916:

La vita umana è sacra per la donna e l’individualità è per lei infinitamente preziosa. Se ha dieci figli, sa che ognuno di loro è unico, distinto, una persona; il frutto di un dolore unico, l’oggetto di un amore individuale. L’irregimentazione è per lei un abominio. Lei vede la diversità, la varietà, l’adattabilità, la libertà, come il sale della vita e la condizione per lo sviluppo26.

La guerra è un oltraggio alla maternità, è mortificazione del valore della cura, è degradazione del corpo femminile. Emmeline Pethick Lawrence, in un discorso pubblico alla Kingsway Hall a Londra l’8 giugno 1915, commentando un articolo comparso sul “Daily Mail”, dichiarò:

Ci si dice che “dobbiamo prenderci la massima cura dei bambini che di qui a vent’anni possono essere chiamati a respingere un altro attacco tedesco. “Nella guerra attuale granate e mitragliatrici sono le munizioni principali, ma i bambini rappresentano le munizioni della pace futura” […]. Io rivolgo un appello alla maternità collettiva di questa nazione e a quella di tutto il mondo affinché si soffermi per un momento sul significato di queste parole. Nessuna guerra prima d’ora ha causato tante perdite come l’attuale, ma queste saranno insignificanti in confronto a quelle che potranno essere nella prossima guerra27.

Gennaio 1915: Washington. Protestare.

Pochi mesi dopo l’inizio delle ostilità in Europa, insieme a Emmeline Pethick Lawrence28 e Rosika Schwimmer29, Jane Addams30 chiamò a congresso tutti i movimenti femminili americani. Furono invitate a partecipare tutte le rappresentanti di quelle organizzazioni che avevano una commissione per la pace31. Oltre 3.000 donne risposero all’appello ed il Congresso che si svolse Washington il 10 gennaio 1915 si concluse con la decisione di fondare il Women’s Peace Party. “Se da una parte sono convinta – affermò Jane Addams – che la collaborazione tra uomini e donne in questo genere di iniziative pubbliche sia la cosa migliore, non c’è dubbio che nella crisi attuale le donne siano più ansiose di agire32.”

I temi centrali del dibattito furono: la responsabilità femminile nel movimento pacifista, il diritto di far sentire la propria voce contro la guerra e contro la violenza inflitta alle donne.

Pensate a quegli uomini impregnati del sangue dei loro fratelli – dichiarò Emmeline Pethick Lawrence in quell’occasione -, pensate alle donne profughe prive di riparo che portano nel loro grembo violato i figli della generazione futura, pensate a quelle madri che cercano di soffocare i lamenti dei bambini tra le loro braccia, che si nascondono nei boschi, nelle fosse di qualche villaggio desolato, pensate a quei treni che riportano a casa i morti… Se gli uomini possono tollerare tutto questo, le donne non possono!33

La guerra, sostenne Jane Addams nel suo discorso inaugurale dal titolo What War is Destroying, stroncava quotidianamente migliaia di vite umane, rafforzava il militarismo all’interno dello stato, distruggeva i valori che da tempi immemorabili appartenevano alle donne. La guerra stava distruggendo il concetto stesso di careful nurture of life. Ovunque i bambini, i disabili e gli anziani stavano perdendo la vita in misura superiore ai combattenti, ovunque gli sforzi per ridurre la mortalità infantile e per proteggere i deboli erano cessati, le preoccupazioni per le generazioni future erano svanite.

Le donne avevano quindi il diritto e il dovere di protestare contro il ritorno di un mondo basato sulla forza bruta, contro un linguaggio che non sapeva più esprimere valori e verità universali, contro l’indifferenza verso la vita umana.

Le donne, continuava Jane Addams, tengono in gran conto la vita umana perché gran parte della loro vita è dedicata alla cura degli altri. Il benessere dei bambini e degli anziani è tradizionalmente loro responsabilità, sono loro che insegnano nelle scuole, sono loro che si prendono cura degli ammalati.

Da quando un uomo viene al mondo a quando, come soldato, va incontro alla morte, sono state le donne a prendersi cura di lui, e ogni volta che un uomo cade in combattimento, il lavoro delle donne muore con lui. Quando le donne si oppongono alla guerra si oppongono alla distruzione dell’impegno della loro vita34.

Le donne non tolleravano più di assistere alla distruzione del loro contributo alla società e la loro rabbia stava risvegliando sentimenti contrari alla guerra. Questo tema sarà ripreso e sviluppato nel 1916 in The Long Road of Woman’s Memory: così come in un lontano passato le donne si erano ribellate ai sacrifici umani che stroncavano la vita dei loro figli, ora avvertivano la stessa repulsione profonda nei confronti della guerra che ogni giorno in Europa sacrificava migliaia di giovani vite.

La maternità, considerata un potente sostegno allo sforzo di guerra, nel discorso delle pacifiste diveniva una forza vitale in grado di sradicare il principio della forza bruta dalla politica e dalla convivenza umana.

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Alessandro 4:20 pm - 26th Gennaio:

Ottimo commento, Luigi. Devo dire che da appassionatissimo della storia della Grande Guerra, quando sento parlare di “prima linea” inevitabilmente la mia mente corre lungo i sentieri del Carso o dell’altipiano dei Sette Comuni negli anni 1915-1918, solo per rimanere in ambito nazionale, quando la “prima linea” era un’esperienza di sopravvivenza ai limiti delle possibilità umane. Oggi, come giustamente scrivi, la “prima linea” in cui sono impiegati i soldati USA nei vari teatri di guerra è occupazione di territori dopo che l’aviazione ha già del tutto o quasi spento le velleità offensive dei nemici. Rimane un lavoro “fetente”, infatti destinati ai “poveracci”, ma certo niente a che vedere con ciò che videro, soffrirono, patirono fino alla perdita della vita migliaia e migliaia di nostri predecessori solo un secolo fa.

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Rino DV 5:46 pm - 26th Gennaio:

Ineccepibili considerazioni sulle cause della “liberazione”.
Ricordo ad es. che la guida dei mezzi pesanti era faticosissima.
Lascio stare l’immediato dopoguerra, quando per gli autocarri a “gasogeno” autista e aiuto – a metà percorso – giravano per i boschi del demanio a fare il pieno di …legna.
Ancora nel 1975 ci si alternava sui CM militari nel caso di manovre strette e ripetute, perché senza servosterzo, anche per maschi di vent’anni farlo non era uno scherzo.
Sono invece convinto che non sarà mai vera l’ultima parte del tuo post, caro Luigi: l’era della responsabilità femminile non giungerà mai.
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RDV

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cesare 6:16 pm - 26th Gennaio:

Cammina cammina a forza di dar contro ai maschi sono finite in zona di combattimento? Bel risultato se è zona di combattimenti veri. Mi auguro tuttavia che come già per le donne in miniera si è fatta la miniera per donne (compiti di controllore di sicurezza), così per le donne in zona di combattimento avremo zone di combattimento per donne (compiti di controllore di scenario?). Spero pertanto si tratti di un autorizzazione la cui realtà ha carattere esclusivamente simbolico: il mito delle Amazzoni ripreso da Panetta e Obama, per incoronarsi “liberatori di donne”, nel giorno in cui pensano in realtà alla necessità di sforamento del debito pubblico USA (pari a 16 triliardi di dollari) e a risolverlo con il conio di una monetina da un triliardo di dollari? per cui hanno comprensibilmente perso di lucidità. Insomma cerco un modo, così per simpatia, per salvare ai miei occhi l’onore e la faccia di Panetta e Obama e similari “liberatori di donne” : è forse degno di un uomo far sì, e peggio ancora, compiacersi che le proprie amiche o sorelle o mogli o amanti finiscano fra gli urli, il sangue, le ferite, le mutilazioni, la morte e le imprecazioni, la colpa e la follia di un combattimento reale? Una volta come chiamavamo questo tipi di uomini?

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sergio 6:52 pm - 26th Gennaio:

a me piacerebbe vedere delle soldatesse “tritate” in guerra… del resto sono loro ad aver chiesto la “parità”, no??

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Andrea 7:18 pm - 26th Gennaio:

In conclusione, dopo 45 anni di femminismo, di quali REALI novità sarebbero state portatrici le donne?
In cosa si differenziano dagli uomini? In cosa sarebbero migliori? Quali sono le LORO idee per migliorare il mondo? Patetiche e deludentissime, nient’altro che questo.

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Luigi Corvaglia 7:41 pm - 26th Gennaio:

Alessandro: Ottimo commento, Luigi.

………………..
Infatti la Lanfranco (o chi per lei) il commento non l’ha fatto passare. Probabilmente era troppo diretto. Ma non sempre si può fare diplomazia, su di un punto peraltro per me inoppugnabile ed accecante.
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Rino DV: Sono invece convinto che non sarà mai vera l’ultima parte del tuo post, caro Luigi: l’era della responsabilità femminile non giungerà mai.

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Non necessariamente in politica (è la mia impostazione è quella) si crede in quello che si afferma ….. B-)
Comunque, la questione della responsabilità non è secondaria. Se nel sistema vengono immesse “forze nuove” l’irresponsabilità non può essere duratura. Pena la disintegrazione del sistema stesso. Non hanno scelta. O con tempi e modi che non saprei definirti fanno propria l’assunzione di responsabilità. Oppure, viceversa, inseriscono nel sistema un elemento che prima o poi il sistema lo farà crollare.

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Alessandro 12:09 pm - 27th Gennaio:

Infatti la Lanfranco (o chi per lei) il commento non l’ha fatto passare. Probabilmente era troppo diretto. Ma non sempre si può fare diplomazia, su di un punto peraltro per me inoppugnabile ed accecante.
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Neanche il mio è passato. Io propenderei per la censura femminista in azione in questo caso, e non sarebbe certo una novità. “Cestinare” i commenti ben articolati che possono smontare le loro tesi. Però poi sono le stesse che si battono per la libertà di espressione e informazione. Che ipocrisia!

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Roberto Buffagni 12:38 pm - 27th Gennaio:

Sono un ex ufficiale, sono stato in zona di combattimento. Guardate che questa USA è una manovra propagandistica, e lo sanno loro per primi. Le donne possono essere buoni soldati alla guida di un aereo, ai comandi di una nave, alla consolle di un drone, nei servizi logistici lontani dal fronte. In zona di combattimento, e soprattutto nelle forze speciali, il differenziale di forza fisica a parità di altre condizioni è un handicap non superabile in alcun modo. Un soldato porta un equipaggiamento di 25-30 kg, e in uno scontro all’arma bianca o a mani nude la differenza di peso e forza non è colmabile da nessun addestramento. Le storie della donnina di 60 kg che stende il bestione di 90 con l’aikido valgono solo se il bestione è asmatico, sedentario e non riesce a colpirla neanche con un pugno. In prima linea, le donne saranno impiegate praticamente mai. L’effetto più grave sull’efficienza militare si avrà con il necessario adeguamento al ribasso delle prove d’ingresso nei corpi speciali, e del successivo addestramento: nessuna donna, altrimenti, supererebbe prove che scartano già oggi il 70% di uomini giovani, buoni atleti che hanno già superato brillantemente un addestramento militare in reparti operativi. Nessuna donna riesce a fare trenta trazioni alla sbarra, neanche un’atleta di livello olimpico.
Questo, ripeto, gli USA lo sanno benissimo. Sanno anche un’altra cosa che non si dice mai: che le donne in prima linea sono seriamente pericolose per l’unità a cui appartengono perchè gli uomini, comandanti compresi, hanno l’istinto di proteggerle, e questo annebbia le corrette valutazioni tattiche da parte dei commilitoni e dei comandanti.

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Sandro D. 5:39 pm - 27th Gennaio:

http://www.uomini3000.it/401.htm
>
http://questionemaschile.forumfree.it/?t=15054166&st=30
>
http://www.uomini3000.it/75.htm
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Fattori Fisiologici

10. Le capacità fisiche richieste al personale che serve in ruoli di combattimento ravvicinato sono necessariamente alte. Qualsiasi riduzione degli standard comporterebbe rischi inaccettabili per l’efficacia operativa delle nostre forze e deve quindi essere evitata. I test fisici a cui sono sottoposte le potenziali reclute misurano la loro capacità di effettuare le mansioni che sarà loro richiesto di effettuare dopo addestramento specifico. La difficoltà dei test stabiliti sono giustificate dalle difficoltà dell’impiego.

11. Il rapporto Le Donne nelle Forze Armate ha esaminato le differenze di uomini e donne nelle abilità fisiche che sono rilevanti per le prestazioni militari ed ha osservato, non sorprendentemente, che differiscono in modo significativo. Le differenze fra donne ed uomini nella loro capacità di sviluppare forza muscolare e la forma fisica aerobica sono tali che solo circa l’1% delle donne possono eguagliare le prestazioni dell’uomo medio. Nel sollevare, trasportare e simili mansioni effettuate ordinariamente dall’esercito britannico, questo significa che, in media, le donne hanno capacità di lavoro più basse degli uomini e, quando esposte alla stessa quota di lavoro fisico degli uomini, devono lavorare più duro di un 50-80% per realizzare gli stessi risultati. Ciò le mette a maggior rischio di ferite. Nella marcia con carichi, un’altra fondamentale mansione militare, ed in tutte le altre mansioni simulate di combattimento, è stato riscontrato che le donne hanno prestazioni peggiori degli uomini e più grande il carico, più grande la discrepanza. Lo studio ha concluso che circa lo 0.1% dei candidati femminili e l’1% delle donne soldato addestrate raggiungerebbero gli standard richiesti per rispondere alle esigenze di questi ruoli.

Fattori Psicologici

12. Il rapporto ha trovato che poche delle differenze psicologiche fra uomini e donne potrebbero dirsi avere un significativo rapporto con le loro rispettive idoneità per ruoli di combattimento ravvicinato. La capacità di aggressione, tuttavia, era generalmente più bassa per le donne, che hanno richiesto più provocazione ed erano più probabili temere le conseguenze di un comportamento aggressivo. Vi era prova comunque che questo divario potrebbe essere colmato data una sufficiente libertà sociale e provocazione.
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http://antifeminist.altervista.org/risorse/femmine_esercito_us.htm

Il Caso Contro le Donne in Combattimento
L’autore di un nuovo libro sostiene che le donne non dovrebbero essere al fronte
di Martha Brant, Newsweek Web Exclusive – 24 Ottobre 2007

Kingsley Browne, professore di legge alla Wayne State University di Michigan, ci ha fatto il callo ad essere chiamato un maschio-sciovinista. In un precedente libro sosteneva che le differenze biologiche fra i sessi—piuttosto che l’ingiustizia—fossero la spiegazione del perchè esistesse il soffitto di cristallo. Il suo nuovo libro, “Co-Ed Combat: Nuove Prove che le Donne non Dovrebbero Combattere le Guerre della Nazione”, che uscirà l’8 Novembre, sostiene che le donne non sono fisicamente e psicologicamente adatte al combattimento. La sua argomentazione: la loro presenza al fronte arriverebbe perfino a mettere in pericolo le nostre stesse forze armate. Browne ha spiegato le sue opinioni a Martha Brant, di NEWSWEEK. Ecco alcuni estratti:

NEWSWEEK: Ci sono donne nelle missioni aeree e nella marina, ma ancora non prestano servizio nella fanteria. C’è qualche possibilità che le donne combatteranno un giorno nelle truppe di terra ?
Kingsley Browne: E’ una questione che potrebbe venir influenzata dalle elezioni presidenziali del 2008. Se ne è discusso durante i dibattiti dei Democratici, e i candidati hanno espresso dei dubbi sull’esclusione delle donne da ogni posizione all’interno dell’esercito.

NEWSWEEK: Se parla con gli ufficiali superiori dell’esercito, loro sono sempre molto favorevoli alla presenza di donne nei loro ranghi.
Kingsley Browne: Negli ultimi due decenni uno non va molto lontano nella carriera se non dimostra un impegno chiaro verso l’avanzamento delle donne. Ci sono un sacco di persone nell’esercito che pensano che l’idea di avere donne in combattimento sia orribile, ma dirlo apertamente rappresenterebbe un suicidio per la loro carriera. Molti pensano anche che non dovrebbero stare nemmeno nella marina e nell’areonautica.

NEWSWEEK: Lei fa un ulteriore passo avanti e sostiene che le donne non dovrebbero far parte nemmeno delle unità di supporto.
Kingsley Browne: Attualmente il Dipartimento della Difesa vieta alle donne di venir incluse nella fanteria, ma questa linea di condotta viene costantemente violata. Ci sono molte mansioni che le donne svolgono in Iraq e Afghanistan e dove il nemico tenta di attaccarle. Quando la “sparatoria” ha inizio, non devi essere in grado di fare solo ed esclusivamente la tua mansione. Se la tua unità di rifornimento viene colpita, allora devi rispondere al nemico. Il tuo lavoro potrebbe essere quello di “cuoca”, ma improvvisamente la vita di qualcuno dipende dalla tua abilità di tirarlo fuori dalla linea di fuoco.

NEWSWEEK: Ma nell’esercito di oggi ormai conta il cervello tanto quanto i muscoli.
Kingsley Browne: I muscoli chiaramente contano ancora. I soldati di oggi spesso portano con sé 30kg di equipaggiamento. E ciò non include nemmeno il cibo, l’acqua e le batterie. E’ una gran quantità di roba. Ricorda l’aereo spia EP3 che venne abbattuto in Cina ? Il pilota pesava 100kg. Disse che dovette usare ogni grammo della sua forza fisica per mantenere stabile il velivolo.

NEWSWEEK: Le donne generalmente non sono forti fisicamente quanto gli uomini. E psicologicamente ?
Kingsley Browne: Le donne stanno venendo colpite da disturbi di stress post-traumatico ad una percentuale più alta rispetto agli uomini. Sappiamo che le donne in generale soffrono maggiori effetti emotivi negativi in seguito ad un’aggressione fisica. Le indagini hanno mostrato che le donne nell’esercito, in particolar modo quelle che prestano servizio, non vogliono andare in combattimento. La percentuale delle donne arruolate sta calando, e ciò sembra esser collegato alla loro esposizione al combattimento.

NEWSWEEK: Quale “nuova evidenza” sta offrendo per mostrare che le donne non sono adatte alla guerra ?
Kingsley Browne: L’evidenza proviene dal campo della psicologia evolutiva, che riconosce come la mente umana sia il prodotto della nostra storia evolutiva. La ragione per cui agli uomini non piacciono le femmine soldato nelle situazioni pericolose è perchè non si fidano di loro quando ha inizio la “sparatoria”, e ciò probabilmente ha a che fare col fatto che le donne non posseggono nessun segno che possa evocare fiducia negli uomini. E la fiducia è centrale per la coesione durante il combattimento. Gli uomini non dicono, “Questa è una persona che seguirei fino alle porte dell’inferno”. Gli uomini non sono stati programmati per seguire le donne in situazioni di pericolo. Quando le seguono è dovuto in gran parte ad una reazione emotiva.

NEWSWEEK: Quando gli Afro-Americani si stavano integrando nelle forze armate venivano fatti molti argomenti simili sulla coesione delle unità.
Kingsley Browne: Le ragioni per cui le persone si oppongono alle donne in combattimento sono molto più legate alla diversità biologica, non sociale. L’integrazione delle diverse razze nell’esercito è stata in gran parte un successo. L’integrazione delle donne è molto più difficile, e ci sono molti motivi per ritenere che il problema non è risolvibile.

[ FONTE: NewsWeek ]
[ TRADUZIONE: Antifeminist.altervista.org ]

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rino 9:47 pm - 27th Gennaio:

“…. hanno l’istinto di proteggerle, e questo annebbia le corrette valutazioni tattiche da parte dei commilitoni e dei comandanti”
Fatto segnalato da Lorenzo R. molti anni fa in un suo articolo per U3, con riferimento all’esercito israeliano, dove l’esperienza sul campo era stata inequivocabile.
Non vi è solo questo e le ragioni citate qui da Buffagni. A mio parere è decisivo il rapporto femminile con il rischio: non affrontato ma evitato.
Non dimentichiamo che una donna che fugge davanti al pericolo non va incontro ad alcun biasimo o vergogna. Ciò è giusto e del tutto conforme alla polarità femminile.
Ma appunto per questo le DD non devono andare in prima linea. (Anzi devono uscire dalle FF).

RDV

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armando 10:47 pm - 28th Gennaio:

LUIGI “Oppure, viceversa, inseriscono nel sistema un elemento che prima o poi il sistema lo farà crollare.”
Credo che nel lungo termine sarà proprio così. Le donne in prima linea, d’altra parte, sono l’esito logico della linea di pensiero “paritaria” ormai egemone in Occidente.Per un po’ si può sostenere la contraddizione di essere identiche e nello stesso tempo diverse dagli uomini, ma poi deve prevalere l’uno o l’altro dei due termini in contraddizione con tutto ciò che ne segue. E questo è il caso, anche se si tratta di propaganda. Un altro principio simbolico è stato accantonato, e fra qualche tempo (forse decenni)
a) la tecnica farà si che non ci sia più realmente bisogno di soggetti umani in prima linea perchè la guerrà sarà totalmente t (e vigliaccamente) tecnologizzata. Ipotesi che considero quanto meno improbable perchè con tutta la tecnologia possibile alla fine il fattore umano non può essere completamente eliminato, oppure
b) le donne saranno davvero spedite in prima linea con esiti militarmente nefasti per i motivi che altri hanno mirabilmente spiegato, oppure ancora c) saranno alla fine gli uomini a ribellarsi di fronte a commilitone che sono loro pari in tutto meno che nel rischio, e pretenderanno un ritorno ai “privilegi” di un tempo.
L’unica alternativa a questo scenario mi sembra quella di una totale lobomotiozzazione dei maschi, che pure, visto l’andazzo, non è da ritenere impossibile. Ma preferisco conservare la fiducia negli uomini e quindi, al fondo, un ottimismo di lungo periodo.
armando

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Daniele 7:20 am - 29th Gennaio:

RDV

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Non dimentichiamo che una donna che fugge davanti al pericolo non va incontro ad alcun biasimo o vergogna. Ciò è giusto e del tutto conforme alla polarità femminile.
Ma appunto per questo le DD non devono andare in prima linea. (Anzi devono uscire dalle FF).

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Dipendesse da me non andrebbe NESSUNO in prima linea, perché non esisterebbe alcuna guerra da combattere, ma siccome questa è un’ utopia, ne prendo atto e spedisco al fronte anche le femmine, in nome delle pari opportunità. Possibilmente in battaglioni SEPARATI (quindi esclusivamente femminili) da quelli maschili e magari in una futura guerra su scala planetaria contro l’Iran o la Cina. Sono loro ad aver chiesto di diventare carne da macello, no? Basta con la ‘cavalleria maschile’, eterna schiavitù degli uomini.

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Daniele 7:26 am - 29th Gennaio:

:

PS: Dimenticavo: come già sottolineato in passato, sia da me che da altri prima di me, alle soldatesse deve essere imposto anche l’obbligo del taglio dei capelli.

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cesare 9:11 am - 29th Gennaio:

Donne in combattimento ( e tutto il resto): ulteriromente confermata la mia convinzione secondo la quale se c’è una civiltà che non sopporta la femminilità è la civiltà Occidentale negli sviluppi che ha avuto negli ultimi cinquant’anni sotto la spinta del femminismo che è stata una perfetta giustificazione delle esigenze di liquidare ogni specificità del femminile. Donne espropriate della femminilità. E sembrano contente e applaudono a questa “liberazione” e a questi “liberatori”. Idem sul lato maschile.
Nel profondo il desiderio umano di sempre: togliersi di dosso la responsabilità insopportabile di essere se stessi.Già in Giobbe la richiesta è: “lasciami in pace, cosa fra le cose, non richiamare il mio volto davanti al Tuo”.

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Roberto Buffagni 7:43 pm - 29th Gennaio:

Comunque, stiano tranquille le femministe:la morte non discrimina nessuno.

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Luigi Corvaglia 10:34 pm - 29th Gennaio:

Roberto Buffagni: Comunque, stiano tranquille le femministe:la morte non discrimina nessuno.

……….
Vero. Ma stai tranquillo che saranno gli stessi uomini, gli stessi commilitoni, anche con queste tipe in prima linea, se davvero dovesse essere prima linea, a discriminare. Ed ad accollarsi un ulteriore surplus di rischio. Quello spettante alle tipe. Che però, poverette …. 😥 possono scegliere. O lì. O in posti più sicuri.
Ridicolo, semplicemente ridicolo. Se non ci fosse da piangere. Ma quando mai un uomo ha avuto scelta. E di sottrarsi ad un conflitto da lui non condiviso ( …. e si che ci pensavano e ci pensano le stesse donne a farlo sentire una merda assoluta se per caso osasse). E di scegliersi il grado di rischio. Si tratta di una discriminazione bella e buona a danno degli uomini. In un campo in le discriminazioni si possono pagare con la vita.
Ma d’altra parte, rimanendo in ambito militare, non c’è bisogno di arrivare al caso limite della battaglia in prima linea.
Ho diversi amici nelle FF.AA. e so come stanno le cose. Detto molto semplicemente, se per categoria o mansione il lavoro può farsi senza rovinarsi le unghie allora posto uguale a N il numero totale di persone destinate a quel lavoro, U il numero degli uomini e D il numero delle donne, il numero di persone che faranno quel lavoro sarà effettivamente N=U+D.
Se invece il lavoro è tale da rovinarle, le unghie, avremo che questo sarà redistribuito sugli uomini. Avremo quindi in realtà N=U-D.
Ma di questa discriminazione, ad ora, non risulta che nessuna femminista si sia fatta carico.

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armando 3:01 pm - 30th Gennaio:

Il problerma è, caro Luigi, che della discriminazione di cui parli non solo nessuna femminista si è fatta carico, il che c’era da aspettarselo, ma lo stesso accade anche per gli uomini, in particolare fra le alte sfere militari prone (per motivi di carriera?) alla moda del politicamente corretto. Ho anzi l’impressione che tutto parta da lì, per farsi belli e mostrarsi tanto aperti, moderni e non sessisti. E non si rendono conto che il loro è proprio il peggior sessismo (antimaschile). Peggiore perchè dissimulato e mascherato dietro parole apparentemente ineccepibili ma alle quali non danno un seguito pratico.
armando

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Rita 1:44 pm - 10th Giugno:

E’ storia già sentita… ricordate il documento della CGIL? http://questionemaschile.forumfree.it/?t=38609905, quello per cui.. “Abbiamo detto di credere a due cose. La prima, che vogliamo combattere l’idea di una incompatibilità biologia tra il nostro settore prevalente, l’edilizia, e la presenza delle donne nei cantieri. Certamente, si tratta di una attività pesante, soprattutto per le modalità di svolgimento del lavoro. Ma la battaglia per la qualificazione del settore, qualità del lavoro, sicurezza, condizioni di vita nei cantieri, deve servire per ridurre le distanze tra questo lavoro e la possibilità delle donne di entrarvi."

pareva proprio che garantire la sicurezza sul lavoro fosse prioritario per poter permettere alle donne di fare il muratore?... beh, avrete sentito che da più parti ormai si apre il "ruolo combattenti di prima linea" alle donne.
Per intanto i Ranger Americani hanno dato la possibilità di provare e nessuna donna ha superato gli standards richiesti, ma c'è già chi pensa di ridurre gli standards (vedremo se, more solito, unilateralmente o se varranno per tutti). Anche la Gran Bretagna aprirà il ruolo combattenti alle donne dal 2016 ma ovviamente non prima di aver accertato le condizioni di igiene e sicurezza in cui dovranno operare. Detto "papale papale" se in prima linea ci muoiono gli uomini o se diventano pazzi in seguito chissenefrega ma se dobbiamo impiegare le donne andiamo a verificare che le loro esigenze fisiologiche e psichiche siano soddisfatte tanto da non impattare sulla loro salute. E magari studiare la "formazione migliore per garantire la massima sicurezza possibile in prima linea",.. insomma prima linea sì, ma se attorniate da uomini che siano costretti ad avere un occhio al nemico e un occhio alla commilitone meglio, mi par di capire, pur senza essere una stratega militare.

http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2014/12/19/gran-bretagna-avra-suo-soldato-jane-ministro-della-difesa-donne-nei-combattimenti-prima-linea-dal_30rrzZyFiPz0utVK7SSTSP.html

Anche la Gran Bretagna avrà il suo 'soldato Jane' pronto a combattere in prima linea dal 2016. E' la previsione del ministro della Difesa britannico, Michael Fallon, per il quale "i ruoli nelle nostre forze armate devono essere determinati dalla capacità e non dal genere". Secondo quanto riportato dalla Cnn, il ministro ritiene che, "grazie a ulteriori modifiche su attrezzature e preparazione, saremo in grado di aprire i ruoli di combattimento alle donne nel 2016". Un rapporto del ministero della Difesa, infatti, considera "ormai superata la visione" secondo cui la presenza di donne nelle unità di combattimento di terra "avrebbe un effetto negativo sulla coesione delle truppe".

Prima della decisione definitiva, però, serviranno ricerche sulle esigenze fisiologiche delle soldatesse impegnate in prima linea. Le unità di combattimento ravvicinato di terra sono definite come quelle in cui "il ruolo principale è avvicinarsi al nemico e ucciderlo". Per questo, sottolinea il documento, deve essere pienamente valutato il potenziale impatto di questo impiego sulla salute delle donne soldato. Si dovrà inoltre studiare quale sia la formazione migliore per garantire che le donne possano essere in prima linea nel modo più sicuro possibile, senza ridurre l'efficacia del combattimento.

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