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30 Ago 2023  |  0 Commenti

Gens Murgia

 

Ha destato un certo scalpore l’appellativo di “queer family” utilizzato da Michela Murgia per indicare la sua “famiglia” intesa come famiglia non basata sul sangue ma sulla volontà. I media mainstream si sono gettati sull’osso con una serie di sperticati elogi sul fatto che questa forma di famiglia sia il futuro, si opponga alla c.d. famiglia “tradizionale” mononucleare, e come appendice sia anche la forma preferibile da chi, bontà sua, desidera contestare il sistema. Questo si è saldato con la beatificazione della scrittrice e attivista e delle sue idee su femminismo, soprattutto gender friendly, eutanasia, cattolicesimo, specialmente dai grandi quotidiani fino a percolare nelle più piccole realtà online. I pochi detrattori si sono concentrati, con armi spuntate, nei giornali di destra e conservatori, ma con critiche non nuove che riguardavano soprattutto il suo essere sopra le righe e il sostanziale inserimento nel mainstream culturale dominante che è di “sinistra”, nonostante il lamento contro l’ostracismo del potere.

Qui però vorrei concentrami sul problema della famiglia, lasciando da parte la questione se Murgia fosse femminista o meno (cosa messa in dubbio persino da molte femministe), cattolica o meno, più autrice o più attivista, ed infine i paralleli abbastanza fuori luogo che sono stati fatti con Gramsci e Pasolini, nonché la sua pervicace e sistematica denigrazione del maschile che resta la sua più abietta battaglia in assoluto. Le domande a cui vorrei rispondere sono: 1) la “queer family” è davvero una soluzione alla crisi della famiglia alla quale assistiamo da diversi decenni? 2) più in generale come si pone nei confronti di una (possibile) contestazione del sistema neoliberista dominante?

Nell’intervista concessa a Vanity Fair Italia [1], Murgia precisa il suo concetto di “queer family”: “non voglio chiamare la mia famiglia non convenzionale, perché sono sicura che nella realtà queste famiglie siano già diffusissime: le persone hanno esigenze che gestiscono inventandosi rapporti che possano soddisfarle. Non esiste un nome per questa creatività degli affetti: il problema è togliere gli aggettivi e declinare le famiglie finalmente al plurale. Basta dire famiglia tradizionale, la famiglia composta da mamma, papà e due bambini è un’invenzione degli anni Sessanta, ha iniziato a esistere quando la migrazione dal Meridione al Settentrione d’Italia per andare nelle fabbriche ha spostato le persone in luoghi molto più piccoli, ha separato i nonni dai nipoti e ha rotto quei legami della società contadina che invece formavano una realtà allargata, una tribù, un luogo dove le responsabilità erano divise. Nei dialetti la parola cugino e fratello è spesso comune. Perché si cresceva tutti come figli. Certo, non è nemmeno quella la famiglia queer. Perché anche quella famiglia ha il sangue come fondamento. E tutte le famiglie che hanno il sangue come fondamento sono famiglie di natura patriarcale. L’idea della famiglia queer è invece quella di fondare le sue relazioni sullo Ius Voluntatis, sul diritto della volontà.

Questo ci porta ad una prima risposta: la famiglia come la intende Murgia è un’evoluzione “moderna” (non fondata sul sangue perché è, orrore, patriarcale) di quella che era la famiglia tradizionale contadina di una volta. Questo è tutto sommato naturale per lei, nata in un piccolo centro dove vi erano ancora residui, dei legami familiari di tipo contadino; quindi, grandi famiglie allargate in cui vivevano più di un nucleo familiare con legami di sangue più o meno forti. Sebbene l’esperienza personale conti fino a un certo punto, è evidente che questa influenza; per me, ad esempio, che sono nato in una grande città del mezzogiorno in una famiglia mononucleare questo aspetto è stato molto più debole, praticamente inesistente avendo io un’unica cugina che non viveva nemmeno vicino a noi e un’unica sorella con nove anni di differenza tra noi.

È un invenzione degli anni sessanta” la famiglia tradizionale? No, questo non è completamente corretto. La famiglia tradizionale “borghese” nasce molto prima. Nasce nel periodo della Rivoluzione Francese, prima nell’alta borghesia, e poi man mano si estende verso il basso fino alle classi popolari con un processo che è durato quasi due secoli. Più veloce nei grandi centri e nelle regioni avanzate, e più lento in posti in cui la cultura contadina è stata ancora dominante almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale [2]. Quindi la famiglia mononucleare ha una storia più lunga ed è stata certamente il veicolo ideale per la propagazione del sistema capitalistico nei due secoli passati, la distruzione delle vecchie comunità familiari, è stato un esito necessario per aumentare i consumi e moltiplicare le rendite del capitale, questa “famiglia tradizionale” moderna è stata protagonista nel bene e nel male della storia contemporanea il cui modello principe è la famiglia americana che vive nella sua villetta isolata dalle altre, con garage e una o due macchine evocata in centinaia di film e diventata icona persino di serie animate ormai storiche come I Simpson o I Griffin che ne manifestano le criticità pur non proponendo alcun modello alternativo.

Ma ci dobbiamo chiedere la famiglia contadina era davvero strutturata solo sui legami di sangue? Nemmeno questo è vero. Il seguente brano tratto dall’Enciclopedia delle scienze sociali, Treccani [3] aiuta a capire: “al centro della società contadina, comunque, non vi è tanto la famiglia coniugale quanto piuttosto la comunità domestica, che comprende oltre ai congiunti altre persone coresidenti. In molti paesi nelle zone rurali il termine ‘famiglia’ veniva usato molto raramente, e le persone erano designate e classificate come membri di una determinata comunità domestica. Là dove era in uso, come nell’Inghilterra del XVI e del XVII secolo, il termine ‘famiglia’ designava tutti coloro che vivevano nella fattoria, fossero o meno legati da vincoli di parentela. La comunità domestica era un’unità rigidamente organizzata, e tutti i suoi membri contribuivano a garantirne la sopravvivenza. La famiglia contadina, la singola fattoria, era responsabile dell’adempimento di tutti i doveri legati alla terra. L’importanza di un dato contadino e la considerazione di cui godeva nella comunità di villaggio dipendevano dal prestigio della casa cui apparteneva e dalla posizione che deteneva al suo interno. Gli individui trascorrevano l’intera esistenza nell’ambito di questa comunità familiare, costantemente circondati dalle persone che ne facevano parte. Nelle condizioni abitative tipiche della famiglia contadina vi era ben poco spazio per una sfera privata autonoma; nella maggior parte dei casi nella fattoria tutti i coresidenti vivevano, mangiavano e dormivano in un unico grande ambiente; solo le case dei contadini benestanti erano fornite di più stanze.

Quindi più correttamente dovremmo parlare di “comunità contadine” piuttosto che di famiglie contadine se le confrontiamo alle odierne famiglie mononucleari. Naturalmente più che di Ius Voluntatis qui si dovrebbe parlare di Ius Necessitatis, perché l’economia di scala e il mutuo aiuto consentiva a più famiglie di vivere sotto uno stesso tetto nella vita molto difficile dei tempi dell’economia di sussistenza. Anche se questo tipo di “comunità” ha avuto in certi casi un discreto successo con le famose Cascine [4] dell’Italia settentrionale, in cui un numero maggiore di famiglie viveva rispetto alle Masserie meridionali, col vantaggio di superare l’economia di sussistenza e accedere a forme pre-capitaliste.

Queste forme prevedevano però sempre l’auto-riproduzione interna alla comunità, equilibrata dal fatto che le figlie femmine sarebbero andate a vivere nella comunità del marito, mentre i maschi sarebbero rimasti con le loro spose. In questo sistema, detto patrilocale, non c’era nulla del cattivo “patriarcato”, esso è una necessità indotta da due fattori: la maggior forza degli uomini che non poteva essere perduta e la necessità di evitare l’endogamia pericolosa per la propagazione di malattie genetiche (che poi è il motore nascosto del tabù dell’incesto). Come conseguenza erano comunità ricche anche di bambini, la cui assenza sembra un po’ strana nella definizione della “queer family” murgiana; i cui elementi diciamo così “giovani”, sono di regola definiti “figli dell’anima”, sono persone adulte o al massimo adolescenti. Questo è un punto interessante perché le famiglie di “adulti” fanno pensare ad un’altra istituzione che è quella della famiglia, questa sì potremmo dire “patriarcale” romana.

Nemmeno la famiglia romana era a rigore basata sul sangue, ma si fondava molto sul concetto di adozione di adulti (concetto parzialmente perduto nel medioevo a causa del feudalesimo e del cristianesimo). Leggiamo ancora il seguente brano [5]: “la famiglia nel diritto romano primitivo è estremamente differente dal concetto che gli attribuiamo al giorno d’oggi. Non è tanto, o solamente, un legame di natura affettiva, cui sottendono vincoli di sangue, ma viene vista come un organismo più complesso. Questo organismo si presenta indipendentemente dal vincolo di sangue o di parentela, ed è piuttosto assimilabile al prototipo dello Stato. La famiglia, con il suo svolgimento naturale nella gens, è dunque anzitutto una società politica organizzata, posta sotto la protezione degli Dei familiari. Inoltre, è fonte del diritto privato e pubblico che si svolge intorno ad essa. In seno a questo organismo autonomo, avente carattere civile, religioso e politico, assume importanza fondamentale la figura del padre di famiglia (il pater familias): colui al quale è affidato il compito di riflettere la volontà della famiglia stessa. …e ad esso che fa capo la disciplina dell’adozione, che a sua volta costituisce un modo, assieme all’adrogatio ed al matrimonium iustum, di acquistare la potestà medesima. Dunque, così come il capostipite poteva adottare un altro individuo, introducendolo nel proprio nucleo familiare, al tempo stesso è l’istituto dell’adozione, …, che consente di acquisire questa importante prerogativa.” Ritengo importante ripetere il concetto qui espresso: “è dunque anzitutto una società politica organizzata”. Ci avviciniamo a quella che è piuttosto che una famiglia fondata sul sangue ad una “comunità fondata su un pensiero comune”, un pensiero che è anche, sebbene non necessariamente, politico. Vi è da osservare che nel corso della storia questo istituto è poi regredito [6] anche se la Gens, è una struttura nota anche presso altri popoli come la Sippe germanica o il Clan scozzese.

Le comunità familiari, basate su vincoli di sangue deboli quando non inesistenti, hanno quindi giocato molte volte nella storia un ruolo importante, prima della famiglia borghese tradizionale evolutasi poi in famiglia mononucleare contemporanea. Questa idea comunitaria non è mai scomparsa, è sempre stata in competizione con la seconda: varrebbe la pena di citare anche l’idea delle comuni, che ha attraversato anche il Novecento (si pensi a movimenti come i Wandervogel o gli Hippy).

Ma qui abbiamo fatto anche un altro salto logico: una comunità di pensiero si fonda sul fatto di avere una visione comune del mondo in funzione di una lotta politica comune. In questo senso i “figli dell’anima”, figli adottivi, a cui fa riferimento la Murgia sono anche suoi figli spirituali, e sono una forma abbastanza comune di trasferimento del pensiero attraverso una forma di adozione che dovremmo definire intellettuale, ma che non è diversa di quella sempiterna tra maestro e allievo [7]. È poi naturale che in queste comunità si stabiliscono sentimenti di mutua assistenza, affetti, amicizie, che possono evolvere anche in sentimenti più forti, pan-erotici [8], e di natura sessuale, anche se queste evoluzioni non sono necessarie al concetto (la stessa Murgia ha definito la sua comunità non basata sull’attrazione sessuale, ma sull’amore inteso come affettività, empatia, mutuo aiuto). Si deve anche osservare come i rapporti diadici siano soggetti al giudizio della comunità stessa, che li modera e rende più facile, quando è possibile, risolvere le controversie.

In uno scambio di messaggi tra i miei amici uno di loro ha scritto (riporto in modo approssimato): “certo, sarebbe bello vivere con i propri amici con i quali hai condiviso le tue idee. Ma non tutti se lo possono permettere.” Non tutti se lo possono permettere, né tutti sono disposti a tornare a vivere promiscuamente come i contadini di una volta, è bene ricordare che Murgia voleva una casa di “dieci stanze”. A qualcuno di quella Gens è venuto anche il dubbio: “non finiremo a fare la figura dei ricchi che non siamo, in questa casetta eroicamente messa insieme per via di parole magiche e titaniche  fatiche? Non appariremo snob, siderali: un privilegiato tè dei matti, una delle lobby…” ha scritto uno dei “figli dell’anima” Alessandro Giammei [9]. Ricchi no, ma benestanti sì, è appena il caso di notare che Giammei è ricercatore in Letteratura Italiana presso l’università di Yale, cosa fa venire in mente le figlie di Elena Greco nel celebre romanzo di Elena Ferrante di cui ho già scritto [10].

Quello che è certo è che la famiglia mononucleare è in crisi. La crisi viene da lontano, ed è iniziata almeno negli anni Settanta del secolo scorso. Sotto la spinta del modello neoliberale la famiglia del futuro è tutt’altro che una comunità, ma tende alla frantumazione, ad essere single, monadi isolate gelose del proprio spazietto nel mondo capitalista, in cui lo stare bene con sé stessi è la massima aspirazione e sono i poveri a dover vivere forzatamente insieme [11] (si è diffusa persino una forma di matrimonio “single” in cui ci si sposa con sé stessi [12]). Per quanto già detto è evidente che questa ulteriore trasformazione è ancor di più favorevole al meccanismo attuale del capitale, perché diminuisce le economie di scala e la mutua solidarietà.

Torniamo quindi alle domande che mi ero posto all’inizio: certo l’iniziativa di una comunità non di sangue è forse una risposta alla frammentazione eccessiva della società liquida odierna, ma non è per tutti: perché essa si realizzi anche nella forma comunità di pensiero è possibile solo ad un livello minimo di benessere che non è quello di tutti. Quanto alla seconda domanda: questa alternativa è di una straordinaria normalità [13], perfettamente inserita in un ambito neoliberale in cui l’individuo singolo ha il privilegio di essere totalmente libero di entrare, uscire o anche restare sulla soglia (concetto che può essere visto come rappresentazione della queerness), cosa che si inquadra perfettamente con l’autorealizzazione del se e l’essere single “nell’anima”, perfettamente in linea al quadro della società neoliberale. Essa è una risposta debole, sia rispetto alle più forti comunità del passato, sia in virtù dei compromessi con la società odierna, devota al pensiero post-moderno di cui è figlia, incapace di combattere il fascino dell’individualismo nell’epoca del capitalismo assoluto.

[1] Addio a Michela Murgia, l’ultima intervista: «Il tempo migliore della mia vita», di Simone Marchetti, Vanity Fair, 10 agosto 2023.

[2] Su questo è molto istruttivo leggere Philippe Ariès, Padri e figli nell’Europa medioevale e moderna, Laterza 1975, riguardo alle  lettere del generale de Martange, scritte tra il 1760 e il 1780 alla moglie, “che permettono di seguire i progressi del sentimento familiare, al di fuori di ogni arcaismo, identico a quello dell’Ottocento e del primo Novecento”.

[3] Societa contadine, di Werner Rösener – Enciclopedia delle scienze sociali (1998).

[4] La vita nelle cascine è quella immortalata nell’Albero degli Zoccoli di Ermanno Olmi.

[5] L’istituto dell’adozione nella storia. Dal diritto romano agli ordinamenti moderni, di Gianluca Sgueo, Diritto.it.

[6] si legge ancora nella Ref. [5]: “I signori dei feudi giunsero a ravvisarvi un elemento contrario ai diritti eventuali che vantavano ed un rischio per la trasmissione dell’eredità. Poiché il diritto feudale riusciva a garantire la stessa tutela del patrimonio e la stessa trasmissibilità dei titoli e del potere, l’adozione finiva per costituire il retaggio di un passato che veniva avvertito come lontano ed incomprensibile. Pertanto, in questa fase storica, l’utilizzo dell’adozione è relegato a quei paesi che continuarono a far uso del diritto romano. L’altro aspetto che merita considerazione è l’influenza che l’istituto subì per opera del cristianesimo. Infatti, venuta meno, con il cessare dei culti pagani, la necessità di perpetuazione della famiglia, si adattò l’istituto alle necessità religiose e sociali della Chiesa. In sostanza, l’adozione venne resa soggetta alle esigenze della Chiesa cattolica, soprattutto al fine di regolare il fenomeno delle donazioni alle chiese. Del resto, ed in conclusione, la stessa terminologia religiosa utilizzata (Pater e Patres, per indicare, rispettivamente, il Signore e i Padri della chiesa e Fratres per indicare i fedeli ne sono esempi evidenti) richiamava il concetto di famiglia e concepiva l’adozione come un istituto che avrebbe consentito alla comunità religiosa di espandersi.” Va anche osservato che Gens, come Sidde o Clan, sono strutture certamente più complesse evolutesi da poche linee ereditarie fino a raggiungerne numeri dell’ordine di una cinquantina di famiglie di sangue. Qui mi si perdoni quindi l’uso di Gens Murgia, come iperbole.

[7] Non ritengo importante qui il problema dell’eredità. Nel corso della storia si sono sempre trovati sistemi più o meno legali per trasmettere i beni tra persone non legate da vincoli di sangue, come appunto l’adozione tra adulti, lo stesso matrimonio della Murgia è stato come giustamente detto un escamotage per favorire questo. Ma ce ne sono tante altre, la donazione, la disposizione della legittima, etc.

[8] Intendo con “pan-erotico” un’estensione del termine “omo-erotico”, che si riferisce ad un’attrazione fisica per un’altra persona indipendentemente dal suo sesso biologico, ma che non comporta alcun rapporto fisico effettivo. Un interessante esempio tra maestro e allievo, omo-erotico in cui la fede è la barriera che impedisce il vero e proprio rapporto omosessuale, è rappresentato dalla lettera di Don Milani ne Il Covile, N°878 , sulla scorta dell’analisi delle degenerazioni patologiche del caso Forteto.

[9] Una notte in bianco in ricordo di Michela Murgia, di Alessandro Giammei, Il Domani 10 agosto 2023.

[10] Per chi voterebbe Elena Greco, di Giacomo Rotoli, L’Interferenza, 12 aprile 2016.

[11] In mia compagnia: Il piacere della solitudine e la romanticizzazione della povertà, di Guia Soncini, L’Inchiesta, 17 agosto 2023. e

I single sono le nuove famiglie? Essere single, ma non da soli, di Giuditta Pasotto, Huffington Post, 22 agosto 2023.

[12] Laura Mesi, prima sposa single: «Matrimonio da favola, lo sognavo», di Marco Mologni, Corriere Milano, 21 settembre 2017.

[12] leggasi per intero il pezzo di Alessandro Giammei sul Domani citato alla nota [8], non c’è nulla di particolarmente rivoluzionario: è una riunione di amici al capezzale di una di loro che sta male. Nulla di più di un filmetto americano come Best Man Holiday 2 .

 

 

 

 


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