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Nel caso in oggetto che riporto nel link di seguito (così come in tanti altri che vengono confinati nelle pagine interne delle cronache, per lo più di giornali locali), in virtù del lessico e soprattutto dell’ideologia che anima l’attuale “spirito dei tempi”, dovremmo parlare di “maschicidio” https://www.ansa.it/sito/notizie/flash/2020/02/03/-bruciato-vivo-in-auto-in-calabria-arrestata-la-moglie-_495c9fd3-e18a-496d-9bf6-a99f85016eb3.html
Scelgo, volutamente, di non farlo proprio perché ritengo, a parti invertite, del tutto infondata la “tesi” del cosiddetto “femminicidio”, in base alla quale gli uomini ucciderebbero le rispettive mogli e fidanzate perché psicologicamente e ideologicamente coperti dalla cultura maschilista e patriarcale di cui l’attuale società capitalista sarebbe tuttora pervasa e che armerebbe la loro mano.
Questa tesi è priva di ogni fondamento per diverse ragioni, sia di ordine teorico che pratico. Parto dalle seconde.
I numeri del “femminicidio”, nonostante la grancassa mediatica che li enfatizza oltre misura, sono infinitesimali, come ho già spiegato in questo articolo http://www.linterferenza.info/editoriali/sordo-orbo-tace-campa-centanni-pace-nella-menzogna/
Stiamo parlando di circa 120 o 140 donne uccise mediamente in un anno (sto parlando dell’Italia ma i numeri e le percentuali variano di poco anche negli altri paesi europei) di cui circa il 20% assassinate a loro volta da altre donne. Delle rimanenti solo la metà o poco più vengono uccise in ambito famigliare o domestico. La percentuale complessiva delle donne uccise in un anno, pari allo 0,47 su 100.000 abitanti, si riduce quindi a circa lo 0,30 su 100.000 abitanti. Numeri e percentuali che nessuno studioso serio e intellettualmente onesto, statistico o sociologo che sia, prenderebbe in considerazione al punto di elevarli a “fenomeno” sociale. Da sottolineare inoltre che quasi la metà degli uomini che uccidono le loro mogli o fidanzate si tolgono la vita subito dopo (cosa che non avviene a parti invertite, anzi, molto spesso i commenti dei giornali tendono a giustificare questi delitti sostenendo che si è trattato di una reazione a vessazioni e a violenze precedentemente subite).
Singolare, se non stupefacente, per chi sarebbe protetto e coperto da una ideologia che gli consentirebbe di considerare la “propria” donna come un oggetto di sua proprietà (questa è la tesi femminista sul cosiddetto fenomeno del “femminicidio”), il fatto di togliersi la vita dopo aver ucciso la “propria” moglie. Quali le ragioni? Senso di colpa, forse? E perché mai? Perché dovrebbe nutrire un sentimento di colpa chi è stato incentivato ad uccidere da una cultura che lo protegge e arma la sua mano? Avete forse mai visto un negriero suicidarsi per senso di colpa dopo aver frustato a morte uno schiavo oppure un nazista dopo aver gasato un ebreo, un omosessuale o un comunista? Io, mai.
Da rilevare che ogni anno sono centinaia di migliaia le coppie (tra persone sposate, conviventi, fidanzate o che semplicemente stanno insieme) che si separano. Se la tesi del “femminicidio” fosse fondata dovremmo assistere e avremmo già da un pezzo dovuto assistere ad una vera e propria ecatombe di donne assassinate dai rispettivi ex compagni nell’ordine, come minimo, di alcune migliaia all’anno (in questo caso avrebbe ovviamente senso parlare di “femminicidio”, cioè di una sorta di genocidio del genere femminile). Ora, i numeri e le percentuali di questa “ecatombe” sono quelli di cui sopra e non ci torno perché si commentano da soli…
Sulle prime ragioni (quelle teoriche) non insisto più di tanto perché gli ho dedicato decine di articoli (che chiunque può leggere su questo giornale) e anche una buona parte del mio ultimo libro “Contromano” (mi dispiace, non è mia intenzione fargli pubblicità ma, in questo frangente, non saprei come altro fare…). Mi limito a dire, in questa sede, che il sistema capitalista, anche volendo, non se ne fa più nulla del patriarcato per la semplice ragione che, giunto all’attuale stadio del suo sviluppo, quest’ultimo non potrebbe che essergli di impaccio. Una inutile zavorra se non un vero e proprio ostacolo al suo pieno dispiegarsi; una “istituzione” o una sovrastruttura (il patriarcato) rigida in totale antitesi alla natura “liquida” dell’attuale sistema capitalista occidentale. Sostenere che l’attuale contesto storico e sociale sia a trazione o a dominio patriarcale equivale a sostenere che questo stesso contesto, cioè la società capitalista in cui ci troviamo, si fonda su rapporti di produzione e su sovrastrutture culturali di tipo feudale… Una contraddizione in termini che non vale neanche la pena di commentare.
Dove nasce, quindi, l’errore? In un cattivo e inadeguato approccio alla realtà, dovuto ad un dogmatismo di fondo e ad una buona dose di opportunismo. La storia e i fatti ci hanno infatti dimostrato che il capitalismo è un sistema economico ma anche ideologico estremamente duttile e flessibile, e proprio questa è una delle sue principali caratteristiche. Il capitalismo può sposarsi con qualsiasi contesto culturale e sociale che favorisca o comunque non si frapponga al suo sviluppo. Capitalista è l’Europa come l’Arabia Saudita, l’America come la Russia, il Giappone come il Qatar e via discorrendo. Paesi con contesti sociali e culturali molto diversi fra loro ma tutti, in egual misura, soggetti a rapporti di produzione di tipo capitalistico. Il capitalismo può essere, ad esempio, razzista o antirazzista, a seconda delle necessità e della convenienza. E’ stato schiavista quando si è trattato di prelevare (deportare) manodopera a costo zero da un continente all’altro, ed è stato anti schiavista quando si è presentata la necessità di “liberare” gli schiavi per trasformarli in lavoratori salariati. Con la stessa logica, è stato patriarcale quando – soprattutto nel XIX secolo – la struttura (patriarcale) della società vetero borghese gli garantiva una certa stabilità sociale che gli era necessaria per consolidare il suo dominio. Da almeno un secolo ma anche più a questa parte, del patriarcato non sa veramente più cosa farsene e, anzi, se ne deve liberare (e se ne è già liberato…). Ergo, soltanto degli ottusi dogmatici possono continuare a sostenere che l’attuale società capitalistica sia dominata dalla cultura patriarcale, cioè dalla vecchia e ottocentesca sovrastruttura ideologica vetero borghese.
Che a sostenere questa tesi siano dei liberal o dei “radical” posso capirlo perché difendono i loro interessi e quindi sono necessitati a produrre e alimentare falsa coscienza, ma che siano anche dei sedicenti marxisti sconfina nel ridicolo.
In conclusione, così come è privo di ogni fondamento parlare di “femminicidio”, altrettanto lo è, ovviamente, parlare di “maschicidio”. Si tratta in realtà dello stesso fenomeno, cioè della violenza, che è agita, anche se molto spesso in forme diverse e per ragioni diverse (sociali, ambientali, politiche ma anche psicologiche, umane ecc.), dagli esseri umani a prescindere dall’appartenenza sessuale. E qui il discorso, invece di chiudersi, si aprirebbe (enormemente…) ancora di più. Ma è come chiedersi perché respiriamo, a meno di non pensare che un giorno potrà esistere un mondo completamente pacificato e privo di ogni forma di violenza. Ma a pensare questo si entrerebbe, a mio parere in una dimensione escatologica, religiosa. E qui mi fermo…
Fonte articolo: http://www.linterferenza.info/attpol/femminicidio-maschicidio-realta-manipolazione/
Fonte foto: www.cartoongallery.eu (da Google)
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