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Lucia e Anna, due professioniste affermate, hanno avuto delle relazioni con degli uomini da cui si sono poi separate. Entrambe desiderano un figlio ma hanno un problema di fecondità, così Lucia subito dopo essersi lasciata col suo compagno ha chiesto e ottenuto lo sperma di un donatore per fecondare i suoi ovuli; invece, Anna aveva convinto il suo precedente compagno a fecondare lui i propri ovuli. Entrambe hanno quindi un figlio, che sperano di allevare in un progetto genitoriale magari con un nuovo compagno che di fatto sarà alla fine il padre (non-biologico) del bambino.
Ma c’è una differenza fondamentale che la Consulta ha introdotto con una sentenza recente [1,2]: il figlio di Anna ha già un padre, ovvero il precedente compagno di Anna che aveva con lei fecondato gli ovuli, diciamo per fissare le idee che si chiami Marco. Anche lui magari credeva nella speranza di un progetto genitoriale per un figlio con Anna, ma poi si sono lasciati e Marco ha rinunciato a questo progetto per tentarne un altro con la sua attuale compagna Sara.
La sentenza della Consulta ha reso irrevocabile il consenso dato dal padre alla generazione di un figlio una volta che sia siano fecondati insieme gli ovuli anche se la coppia in seguito si è separata. È interessante notare il paragone con la legge 194 sull’aborto che viene fatto nell’articolo del Sole24ore [1]: il divieto di ripensamento, naturalmente per il solo uomo, non comporta una disparità di trattamento, e non si discosta da quanto avviene nel caso dell’interruzione di gravidanza, scelta sul quale l’uomo non può influire. Si tratta ovviamente, come nel caso della 194, di un “doppio standard” che vincola l’uomo ad una paternità nella quale il proprio progetto genitoriale evidentemente non esiste più, ma differente della 194 in cui l’aborto taglia via definitivamente il rapporto con il padre. Per questo motivo è anche una forma di doppio standard particolarmente pesante: prima favorendo Anna a scapito di Lucia, e soprattutto Marco avrà un figlio che non voleva e dovrà, molto probabilmente, mantenere, senza essere certamente “padre” non godendo assolutamente del figlio che Anna affiderà volentieri al suo compagno attuale. Nonostante ciò, per legge questo figlio entrerà anche nell’asse ereditario di Marco insieme agli eventuali fratelli.
Va precisato a favore dei supremi giudici che la sentenza auspica anche una riforma della legge 40 poiché la crioconservazione degli embrioni all’epoca non era prevista ed è stato solo per mezzo di successive sentenze che essa è divenuta lo standard. Peraltro, gli embrioni possono essere conservati per un numero di anni indefinito, Anna potrebbe in teoria avere un figlio da Marco anche a sessanta anni, lei o magari per via di una GPA. Va anche detto che la sentenza introduce un grimaldello per le associazioni pro-life in quanto esplicitamente riconosce anche un diritto dell’embrione ad avere una “dignità”: dignità è predicato di una persona, o quanto meno di un soggetto vivente (penso all’animalismo o alla sempre invocata “dignità della vita”). Ad ogni modo, nel seguito non farò alcun riferimento a questa affermazione poiché non è essenziale in questa discussione l’essere pro-choice o pro-life.
Vediamo di analizzare un poco le argomentazioni della Consulta. Secondo quanto riportato da Sole24ore e Stampa [2], scrive il magistrato estensore Luca Antonini: “corpo e mente della donna sono inscindibilmente interessati in questo processo, che culmina nella concreta speranza di generare un figlio, a seguito dell’impianto dell’embrione nel proprio utero. A questo investimento, fisico ed emotivo, che ha determinato il sorgere di una concreta aspettativa di maternità, la donna si è prestata in virtù dell’affidamento in lei determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale”. A prescindere dal fatto evidente che esiste una evidente differenza tra la speranza e l’impianto che porterebbe poi ad un figlio, l’investimento fisico ed emotivo e il fatto che solo la donna si è prestata non tengono minimamente conto dell’investimento fisico ed emotivo dell’uomo che si è prestato a fecondare gli ovuli. Certo poi nella eventuale gravidanza le cose effettive cambiano, ma stiamo parlando di un embrione impiantato o di un embrione crioconservato? Quello che poi viene del tutto a mancare è il comune progetto genitoriale, elemosina che il giudice concede anche al maschio fecondatore, a fronte di un evidente sbilanciamento a favore della donna, che non definire doppio standard è difficile. Se la costituzione afferma la parità tra uomini e donne, perché l’investimento fisico, emotivo e il prestarsi alla formazione di embrioni per un progetto genitoriale deve riguardare solo la donna? Certo esiste anche il solito Articolo 31 che protegge la maternità ma non la paternità, articolo che poteva andare bene nel secolo scorso forse ma non oggi, dovremmo però chiederci se stiamo parlando di maternità in questo caso?
L’estensore della sentenza scrive ancora: “si considerino la tutela della salute fisica e psichica della madre, e anche la dignità dell’embrione risulta non irragionevole la compressione, in ordine alla prospettiva di una paternità, della libertà di autodeterminazione dell’uomo”. Senza commentare la già citata “dignità”, veramente ho difficoltà a capire in che modo la salute fisica e psichica della madre non sia tutelata? Per legge si diventa madri quando un figlio nasce, non quando si è fecondato un embrione, in qualsiasi modo lo si voglia vedere (ad esempio lo Stato non riconosce alcun aiuto economico prima del parto). Altrimenti dovremmo ammettere che si è madri alla fecondazione con tutto quello che questo comporterebbe in termini legali anche per la legge sull’aborto. E appena il caso di ricordare che la distinzione tra “essere” e “essere in potenza”, in questo caso si tratterebbe di “madre” e “madre in potenza”, fu qualche anno fa motivo di discussioni filosofiche che coinvolsero persino Emanuele Severino, non si tratta quindi di materia facile che possa essere lasciata a qualche sentenza, sia pur autorevole, per poi finire nei digest giuridici [3].
Ancora viene scritto: “la centralità che lo stesso consenso assume nella PMA, comunque garantita dalla legge, fa sì che l’uomo sia in ogni caso consapevole della possibilità di diventare padre; ciò che rende difficile inferire, nella fattispecie censurata dal giudice a quo, una radicale rottura della corrispondenza tra libertà e responsabilità”. Supponiamo che Anna non voglia fare un figlio con gli embrioni, ma che Sara, la nuova compagna di Marco, abbia anche lei problemi di fecondità più gravi di Anna: non ha ovuli fecondabili (anovulazione). Marco chiede ad Anna gli embrioni, che è bene precisarlo non sono solo di Anna, ma anche per metà di Marco, Anna si rifiuta e Marco porta la cosa in tribunale. È ovvio che, anche scambiando “donna” con “uomo” nella frase sopra riportata, la sentenza è bell’e scritta: Marco ha diritto agli embrioni, indipendentemente se ha o no un utero. Sara è comunque disponibile ad impiantare un embrione nel suo utero per dare vita ad un progetto genitoriale con Marco. Di conseguenza Anna avrebbe così una figlia che deve mantenere (teoricamente, si sa che la magistratura è tiepida quando si tratta di questo).
In breve, siamo in presenza del solito guazzabuglio creato dall’applicazione quasi inconsapevole di doppi standard causata tanto da una visione conservatrice della tutela della donna madre (in potenza), quanto dalla spinta psicologica di un femminismo lamentoso che induce a considerare da accogliere qualsiasi dispositivo atto a compiacere la sola metà del cielo che conta. L’arrampicarsi sugli specchi per favorire le donne, tra l’altro, non le favorisce affatto in un’ottica veramente moderna in cui la maternità è una scelta responsabile appunto e non soggetta a “grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze” come se si dovesse andare in guerra, cosa molto più seria di una gravidanza. Forse l’unica via d’uscita è considerare Marco alla stregua dell’anonimo donatore di Lucia, cosa che taglierebbe definitivamente il vincolo tra lui e l’eventuale figlio di Anna, o anche tra l’eventuale figlio di Marco e Sara.
[1] Dopo fecondazione assistita l’uomo non può revocare, Il Sole24ore 23 luglio 2023
[2] Consulta Irrevocabile il consenso dell’uomo, La Stampa 24 luglio 2023
[3] http://www.orarel.com/lifewords/articoli/articoli_severino.shtml
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