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03 Dic 2024  |  0 Commenti

Dalla parte di Lila

Avevo già scritto qui della quadrilogia di Elena Ferrante L’amica geniale [1], molto prima che ci fosse la serie televisiva e o la classifica del New York Times sui migliori libri del millennio [2]. In quell’articolo avevo distinto i ruoli delle due protagoniste Lila ed Elena, la prima legata al territorio, alle classi sfruttate, all’ultima stagione del comunismo italiano, la seconda in un primo tempo al sessantotto, poi al femminismo e al cosmopolitismo liberal.

E’ stato soprattutto negli USA che l’amica geniale è stato riconosciuto come romanzo femminista (probabilmente per l’assenza di una vera tradizione socialista), tanto da poi essere osannato anche qui come un caposaldo fino a mettere l’autrice, di cui, ricordo, non si conosce la vera identità, nel pantheon insieme a icone come Simone De Beauvoir o Virginia Woolf (ironia della sorte l’autrice potrebbe essere anche un autore, o una coppia, cosa che è stata ipotizzata). Il motivo per cui sia tanto piaciuto ai lettori americani ha una duplice ragione, non è solo il femminismo e l’accettazione del canone cosmopolita e liberal da parte di Elena, ma anche dall’eterno ritorno del fenomeno macchiettistico che tanto piace all’estero della Napoli come città bellissima e impossibile, camorra e san Gennaro, l’armonia perduta o l’eterno paradiso abitato dai diavoli (un tema sempre alla moda come dimostrano gli incassi dell’ultimo film di Sorrentino). Un argomento che dovrebbe in realtà restare sullo sfondo, ma che diventa troppo invadente, specialmente nella versione televisiva molto fedele all’originale, ma anche per la natura filmica del materiale, inevitabilmente più colorata dell’idea che possiamo farci leggendo.

Il femminismo ha anche valorizzato in modo estremo certi aspetti del romanzo che per quanto mi riguarda sono punti critici e non punti di forza, e che rendono il romanzo più debole rispetto ad altri romanzi considerati capolavori assoluti, donna o uomo che sia l’autore. Per quanto mi riguarda è comunque un grande romanzo, un affresco molto reale dell’evoluzione della società italiana in generale, e napoletana in particolare, dagli anni cinquanta agli anni ottanta del secolo scorso. Per questo io consiglio di leggerlo, soprattutto il primo libro che è quello ambientato negli anni cinquanta e che è poi il tomo che ha avuto il primo posto nella classifica del NYT.

A dire il vero ne L’amica geniale, primo volume della quadrilogia, di femminismo c’è ne è ben poco. Ma verso la fine arriva la prima smarginatura di Lila. Cosa sia questa smarginatura è sempre stato incomprensibile: Lila afferma che in certi momenti i contorni delle cose si smarginano e si confondono, ma non è mai chiaro se si tratta di un processo mentale che risponde a qualche stato reale della mente o meno [3] (nella serie televisiva la protagonista sembra avere di fatto un attacco di panico perché non è possibile rendere il suo punto di vista dato che la narratrice di tutto il romanzo è Elena: non si vede nulla che possa definirsi una smarginatura). Su questo fenomeno il femminismo si è scatenato a cercare delle dietrologie inerenti cose come la fluidità del mondo o l’archetipo femminile della confusione nell’indifferenziato, il transpecismo come definitiva uscita dalla specie umana persino oltre il transumano, in una sorta di misticismo panico del tutto (si potrebbe quasi invocare l’uroboro di Neumann) [4]. Ma per la verità il problema della smarginatura nello specifico del romanzo, prescindendo dall’interesse filosofico o esoterico, è che non ha alcun ruolo preciso nella storia, appare casualmente in qualche momento di tensione e non determina nulla, una costruzione astratta che non ha nulla a che vedere con i fatti narrati. Una crisi di panico (guardacaso ricompare panico nel suo secondo significato) era semplicemente più realistica di un qualcosa che non si capisce bene cosa sia.

Il secondo difetto è una fine ingloriosa dell’ultima parte dopo il climax della scomparsa della bambina, in cui il romanzo torna effettivamente al livello del primo libro, ma purtroppo per poco. Da questo momento indugia fino alla fine sulle protagoniste esaltando ancora di più l’effetto macchiettistico sulla città con una Lila che, pur provata per l’orribile vicenda che ha vissuto, si trasforma in una sorta di guida turistica non richiesta, mentre l’amica Elena, sentendo l’avvicinarsi della fine (del romanzo) si da alle allegre scopate con tutti i suoi ex incontrandoli uno ad uno, in una sorta di indice delle cose passate. Qui la caduta di stile è palese, non c’è più nulla da dire, salvo la critica finale di Elena da parte delle figlie (da me già descritta in [1]) che prendono in giro la madre per i libri che ha scritto, la quale non sa che rispondere poiché quei libri ormai gli sono del tutto estranei essendogli serviti solo per fare carriera come scrittrice (peraltro rubando l’idea del primo libro a Lila).

Saverio Costanzo, lo sceneggiatore della serie tv, forse ha ragione a dire che Lila ed Elena sono personaggi negativi (anche se Elena è quella che riceve le critiche più devastanti [5]). Elena è per tutta la vita ossessionata dall’amore per Nino Sarratore, il narcisista, finto-comunista sessantottino che finirà in Forza Italia (anche se la Ferrante non lo scrive in modo esplicito si capisce perfettamente) e dalla voglia di affermarsi di abbandonare le proprie radici popolari e appartenere a quella èlite colta, cosmopolita, che viaggia per il mondo e iscrive i figli nelle migliori università americane ed europee. Per questo fa quello che si dice un matrimonio di interesse con Pietro giovane professore figlio di una famiglia di tradizione socialista molto in vista. Lila all’opposto resta prigioniera della città, del proprio quartiere, riesce per qualche momento ad essere amata da tutti perché incarna il meglio di quella classe popolare che aveva compreso tra la metà degli anni settanta e i primi anni ottanta che era necessario votare comunista e aveva portato quel partito quasi al governo (per quanto ormai fosse troppo tardi). Ma la sua punizione sarà terribile [6], di fatto costringendola a sparire, la sua è la sparizione di un’idea strettamente legata al personaggio: il riflusso e la fine definitiva della lotta di classe. In un certo qual modo il romanzo procede inesorabilmente verso questo esito: è inimmaginabile una Lila femminista o persino woke.

Eppure qualcuno insiste nel leggere il femminismo persino in Lila [7] cadendo in una inesorabile contraddizione: Se Lenù fa la femminista a parole, Lila lo è nelle azioni, lascia il marito, cade in miseria, fa la lotta di classe, va a lavorare in fabbrica. Sfida tutti gli uomini, a partire dal padre. Sbagliato! La lotta di classe non ha nulla a che fare col femminismo, e questo oggi è un fatto molto chiaro e noto da tempo, basta leggere Paola Tavella, una delle femministe italiane storiche, che scrisse qualche anno fa: Infine ci sono alcuni che avevano vent’anni quando a suo tempo abbiamo dato inizio al nostro femminismo e che già allora non la presero bene, ma dovettero star zitti perché noi eravamo separatiste, solidali e inarrestabili. Ricordo i disegnini osceni che ci passavano sotto la porta chiusa delle stanze dove facevamo autocoscienza. Ricordo le loro critiche marxiste leniniste del cazzo (parola scelta con cura), tutta la menata della contraddizione principale. Il divorzio tra femminismo e marxismo è iniziato negli anni settanta ed è definitivamente avvenuto negli anni ottanta, epoca a cui si riferisce il testo della Tavella e, guardacaso, proprio quando il romanzo di fatto termina.

Elena Ferrante, per interposte interviste (scritte da chissà chi) è a volte intervenuta sul personaggio dicendo che lei preferisce Lila ad Elena, ma d’altra parte di recente ha affermato che Il maschile ha pieni poteri e li ha conservati nei millenni plasmando la violenza secondo varie modalità e gradazioni, reinventandola, ritualizzandola, regolamentandola, lasciandola esplodere furiosamente… Mi pare, cioè, che sia in atto un processo nel quale il desiderio femminile, in ogni sua manifestazione, sia premiato, potenziato, messo al lavoro, solo se collocabile coerentemente in gerarchie maschili di realizzazione. Il rischio è un rinnovato asservimento della donna che passi proprio attraverso l’accesso ai poteri a patto che siano gestiti al modo maschile. In tal caso i vecchi pericoli si riproporrebbero anche con corpo e faccia di donna [8]. Unendosi al coro di lamentazioni femministe dopo l’insediamento del governo Meloni tutte appiattite sul fatto che la presidente del consiglio fosse un maschio in gonnella (chissà se ci crede veramente o lo ha fatto a causa del clima attuale, per coltivare ancora il mito americano del romanzo femminista per eccellenza della nostra epoca e vendere qualche altra copia). A parte l’autrice (giustamente, secondo me, Ferrante ha osservato che lo scrittore deve sparire dietro il libro [9]) quello che conta qui è che noi, socialisti o comunisti, noi che crediamo ancora che la contraddizione principale sia sempre quella della lotta di classe, che non può esistere giustizia senza giustizia sociale, dobbiamo stare dalla parte di Lila, dalla parte giusta sperando che l’evoluzione futura porti le Elena Greco e il femminismo attuale nel dimenticatoio della storia.

[1] Per chi voterebbe Elena Greco? Giacomo Rotoli, L’Interferenza, 12 aprile 2016. La prima stagione televisiva è andata in onda il 18 novembre 2018. Convenzionalmente si chiama L’amica geniale l’intera quadrilogia, ma l’unico dei quattro libri a portare questo nome è il primo (2011), gli altri sono Storia del nuovo cognome (2012), Storia di chi fugge e chi resta (2013) e Storia della bambina perduta (2014).

[2] Nella classifica del NYT, in cui L’amica geniale, come primo libro della quadrilogia, è al primo posto. E’ curioso osservare che tra i primi dieci romanzi, ben tre sono opere che parlano dello schiavismo o storie degli americani di colore, come se ci fosse una sorta di complesso di colpa. Due sono storie di provincia americane (entrambe ambientate nel Midwestern), poi vi sono l’autore nippo-britannico Kazuo Ishiguro, il celebre romanzo 2666 di Roberto Bolano, un romanzo di Max Sebald sulle ricerche di familiari scomparsi nella Shoah, un romanzo storico su Thomas Cromwell. Solo Bolano, Ferrante e Sebald sono romanzi in lingua non inglese.

[3] La smarginatura di Elena Ferrante, La mente pensante.

[4] Basta cercare ‘smarginatura’ sulla rete per trovare centinaia di collegamenti tra questo termine e il femminismo. Mi limito a citare la recensione di un libro Conchiglie, pinguini, staminali in cui è scritto: Ogni parola [del libro] suggerisce questo andare oltre, spinge ad andare oltre. Oltre i confini materiali del libro, oltre i confini del sapere accademicamente delineati, oltre i confini del proprio corpo, della propria pelle per dar vita a qualcosa di nuovo. Tale specifico andare oltre non può non evocare un fenomeno caratterizzante proprio la sopracitata celebre saga di Elena Ferrante. In L’amica geniale più di una volta i confini dei corpi si dissolvono, qualsiasi tipo di margine perde la propria forza nell’atto denominato smarginatura. Quest’ultima sembra manifestarsi come una forza che provoca nausea e azzera la fisionomia della persona. Essa, però, ha anche un potere rivelatorio: apre, chi la prova, a una nuova consapevolezza di sé e di ciò che vive. Conchiglie, pinguini, staminali. Verso futuri transpecie

[5] Lila e Lenù sono personaggi negativi alla fine, perché preda dei sentimenti meno semplici da accettare: l’invidia, l’ambizione, il desiderio di affermarsi a ogni costo, una maternità mai accettata passivamente. E forse, dico a me stesso: un percorso di femminismo reale, oggi, non passa, come capita a Elena e Lila, attraverso la negazione del proprio dovere materno? Elena lascia le figlie per due anni per seguire un amore: e non è questo che afferma ancora di più una maternità voluta e non imposta? Saverio Costanzo: “Con l’Amica geniale la mia parte femminile ha preso il sopravvento”, La Repubblica, 25 ottobre 2024.

[6] Come ho scritto nel precedente articolo a Lila la figlia viene rapita e non sarà mai più ritrovata, le ragioni della successiva sparizione della stessa Lila si capiscono molto bene, al di la dei ricami femministi riguardo all’essere invisibili, ed anche ad altre opere della stessa Ferrante dove il tema della sparizione è presente, ma non è conseguenza di un fatto tanto drammatico che da solo segna completamente un intera esistenza.

[7] Per la star de L’Amica Geniale ‘Lenù è femminista solo a parole, Lila nei fatti’, everyeye.it, 28 novembre 2024.

[8] Elena Ferrante temo maschilizzazione del femminile e spacciata per liberazione, Il Sussidiario.net, 23 Dicembre 2022,

[9] Non per una presunta invisibilità femminista che tanto piace ai difensori della segretezza del nome della Ferrante, ma perché in ogni grande romanzo i personaggi prendono una vita propria indipendentemente dall’autore. Oggi le prassi dell’amichettismo e del firma-copie ha considerevolmente annacquato questo: l’autore è il centro del romanzo, spesso con elementi autobiografici, magari lo leggono in pochi ma lo ascoltano quando dice cosa pensa della politica o della società, mentre i personaggi, che non sono l’autore stesso o il suo avatar, sono solo comprimari.


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