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Questo articolo parla della vasta eco che ha destato Paola Cortellesi con il film C’è ancora domani. Premetto subito che il film non l’ho visto, ma oggigiorno è possibile anche fare una critica alle modalità con cui si parla di un evento cinematografico che ha avuto un discreto successo, in quanto esso appare in decine di articoli sulla stampa (per una critica di chi ha visto il film si veda [1]). Molti autori piuttosto che parlare del film in sé, veramente pochi soni gli articoli che fanno un’analisi cinematografica, si è sbizzarrita in una serie di affermazioni fuori contesto e a volte esagerate o palesemente sbagliate. La stessa Cortellesi ha contribuito ad avallare alcune di queste affermazioni nei suoi interventi e nelle sue interviste.
I fatti qui si possono ridurre essenzialmente a: 1) il film parla di uomini violenti (leggi patriarcato) per cui i media assumono come scontato che lo siano tutti almeno nel 1946 poiché il sistema era “patriarcale”; 2) la stessa cosa viene riportata all’oggi come attuale; 3) vi sono una serie di affermazioni discutibili o semplicemente false.
La Cortellesi nell’intervista concessa a Sky-TG24 [2] si fa alfiere di un femminismo piuttosto spicciolo, potremmo dire quasi semplificato all’osso, ma proprio per questo di ampia e facile comprensione: ella afferma senza troppo dare peso nemmeno alle parole (il film è stato da alcuni definito ‘leggero’): “si ride pensando… un argomento tragico ma a tratti divertente”, dove il tragico sarebbe la vita della donna con un marito violento, tragico non va molto d’accordo con divertente a mio parere sarebbe stato meglio usare drammatico, ma andiamo avanti. Viene passata la clip, ormai arcinota del padre di Ivano, il protagonista maschile, che invita il figlio ‘a picchiare’ scientificamente la moglie da cui si conclude che egli sarebbe il “capostipite delle canaglie mentalità gretta molto comune all’epoca, adesso anche… poi attenua un po’ …ora è meno comune ma è impressionante che ancora ci sia”. Quel ”molto comune, adesso anche” è chiaramente un riferimento all’attuale, ma davvero crediamo che esistano un numero rilevante di capostipiti che possono affermare una cosa del genere oggi? A prescindere dal fatto che sarebbero stati rari anche all’epoca. “Capostipite delle canaglie” fa riferimento anche ad una filiazione di canaglie per cui lo è il figlio, ma in senso più generale lo sono tutti perché viene usato il plurale. Viene poi detto sempre con leggerezza che (Ivano è un) “uomo normale … il mostro non lo incontri praticamente mai, l’uomo comune è più spaventoso” siamo al solito standard femminista “tutti gli uomini” applicato nel senso “forte” ossia che materialmente lo sono tutti, non siamo tanto lontani dalla misandria di una Michela Murgia e delle sue epigone ancora più fanatiche come Valeria Fonte [3], ma poiché lo dice la Cortellesi ridendo sembra tutto così leggero. Andiamo ancora più avanti, si parla dello ‘svilire’ la donna (come al solito lo ‘svilire’ l’uomo o insultarlo dicendo “tutti gli uomini sono spaventosi” non fa testo) definito come molto più subdolo molto di più rimasto nella cultura rispetto alla violenza (endemico dice intervistatore) il film (vuole) anche raccontare qualcosa di contemporaneo questa mentalità non è cambiata … un certo tipo di mentalità prevaricatrice è rimasta… ‘svilire’ per sopraffare…” Siamo alla classica lagna femminista, la Cortellesi dice persino che gli è successo sul lavoro che gli abbiano detto “stai al tuo posto”, ma tutto questo a che serve se non misuriamo quante volte agli uomini è stata detta la stessa cosa da chi effettivamente gestiva il potere? Come al solito il femminismo maschera le cose come stanno e falsifica la realtà guardando solo alle donne. Subito dopo parte il tormentone sulla “donna intelligente” che si conclude con “l’uomo intelligente aiuta a fare i piatti”, beh non pretendiamo troppe finezze da un’intervista di prima serata che teoricamente vedono tutti!
Concludo con la breve analisi dell’intervista con quest’ultima frase: l’intervistatore chiede Quasi un film per gli uomini? Lei risponde Per entrambi… (è come) leggendo un libro sui diritti delle donne, non esisteva il divorzio (ma il divorzio non esisteva anche per gli uomini). Anche l’enfasi sul voto alle donne, con il quale il film si conclude (si vota per il referendum monarchia o repubblica), è vecchio schema del femminismo liberale istituzionale: dicendo per la prima volta votano le donne sembra che gli uomini abbiano votato sempre, quando il suffragio universale maschile è iniziato solo nel 1918, considerato che poi il fascismo ha abolito le libere elezioni dal 1928 di fatto la differenza reale è di pochissimi anni. Tuttavia, Mussolini non era ostile al voto femminile, provò in altre occasioni a introdurre una componente femminile elettiva nelle istituzioni fasciste senza riuscirci (l’ultima volta rinunciò per la sicura contrarietà del re). Per inciso si deve anche notare che nelle successive elezioni le donne votarono in massa per la Democrazia Cristiana di fatto avviando il suo dominio politico nella prima repubblica [1].
Veniamo alle reazioni della stampa. Inizio dall’articolo di Marcello Veneziani [4], il quale fedele alla sua linea ne critica le affermazioni generali sugli uomini soprattutto il fatto che vi siano (come nel film Barbie) solo personaggi maschili negativi (anche se pare vi sia una coppia in cui c’è, un molto poco comune, un maschio ‘buono’), affermazioni con cui posso essere d’accordo [5], tuttavia cade anche lui alla fine dell’articolo quando scrive: “Vorrei poi far notare che quella società così maschilista registrava meno femminicidi di quella odierna” è un’affermazione azzardata, i femminicidi sono leggermente diminuiti a partire almeno dall’anno 1990 mantenendosi poi praticamente costanti. Nel dopoguerra, tuttavia, proprio negli anni di C’è ancora domani vi è una forte impennata degli omicidi che probabilmente si è riflessa anche in un numero consistente di ‘femminicidi’ [6]. Usando i dati di Marzio Barbagli [7] ricaviamo per questi ultimi un numero di circa 100, lo stesso si potrebbe dire del 1946 dove siamo ancora nel forte picco di omicidi del dopoguerra. Per cui sembra non ci sia stato alcun cambiamento significativo dal dopoguerra ad oggi, salvo la lenta diminuzione già notata.
Un altro articolo [8] pur non risparmiando critiche ai personaggi afferma che: “il film … fa quello che la sinistra ha smesso di fare da molti anni crea comunità costruisce un immaginario in cui potersi riconoscere, in cui potersi specchiare. Per molti anni la sinistra ha abdicato al sogno, all’utopia, costringendosi al ruolo di sentinella dell’esistente, della governabilità. Anche sul tema della ‘violenza sulle donne’ … ha inseguito la destra sul piano penale pensando che l’unica soluzione sia istituire nuovi reati e nuove punizioni, invece di parlare di libertà, autonomia, diritti, lavoro. Una strada sbagliata …perché non smuove gli animi, non trasforma un problema sociale in dimensione politica…”. Frase apprezzabile, belle parole, ma all’atto pratico nulla: la sinistra politica ha fatto passare le leggi peggiori in questi anni che hanno certamente inseguito la destra nell’inasprimento delle pene, ma sul piano culturale le proposte sono solo la risibile “rieducazione del maschio violento” qualcosa che sfiora il ridicolo come hanno mostrato di recente alcuni infiltrati nei “centri di rieducazione” [9]. Il tema del lavoro sarebbe interessante, ma di chi si parla? Di uomini o di donne?
Nonostante nell’intervista la Cortellesi abbia detto che il film è per entrambi (uomini e donne), nell’articolo di Luisa Garribba Rizzitelli [10] viene detto che è un film per gli uomini e che nella sostanza vedendolo ti devi chiedere “se sei un maschio violento” (se sei Ivano, se sei il nonno, se sei il fidanzatino…). Il problema con questo tipo di approccio, squisitamente femminista, è se io rispondo “no” chi mi mette il bollino che sono buono? Dato che l’assunzione di partenza è che il film parli agli uomini in generale e non ai violenti? Siamo sempre dalle parti del tormentone “Tutti gli uomini”.
La stessa Cortellesi sembra tornare poi, forse sull’onda del successo, in un’intervista a Repubblica [11] in cui si legge: “Da ‘caso cinematografico’ è quindi diventato un ‘caso politico ‘, in un Paese al 79esimo posto del Global Gender Gap Report 2023, la regista afferma: “I femminicidi che ci sono, in Italia, ogni 72 ore, sono un’emergenza. Per la prima volta il nostro Paese ha a capo del governo e dell’opposizione due donne, una concomitanza che dovrebbe portare a tendersi la mano. Sarebbe una vera rivoluzione: unire le forze per un progetto comune sulla prevenzione dei femminicidi”.” Attenzione delle doppie virgolette, la curiosità di questo articolo è anche aver aggiunto il GGGR2023 che, a quanto pare, Cortellesi non cita affatto, a parte questa chicca giusto per ricordare che l’Italia sarebbe rimasta al 1946, poi si ripete la solita storia che femminicidi ogni tre giorni sono un’emergenza, nonostante sono di fatto costanti dal 1944. L’appello a Schlein e Meloni che però lascia il tempo che trova dato che la prima ha già risposto picche (almeno per Atreju [12,13]), mentre la seconda sta cercando di sfruttare l’occasione per dimostrare di saper fare meglio della sinistra. La speranza nella sorellanza interclassista comunque è dura a morire.
Concludo con un’ultima affermazione esilarante della stessa intervista: “che non si possa giudicare il contributo di una donna alla società in base a quanto partorisce. I figli si fanno per altri motivi, per amore ad esempio. Il matrimonio non è più l’unico traguardo da tempo, lo sono invece una buona istruzione e un buon lavoro. Su questi diritti dobbiamo puntare. Alcuni insegnanti che ho incontrato mi hanno detto che non riescono, con i libri, a fare appassionare i ragazzi alla storia dei diritti delle donne, e vorrebbero “sfruttare” il mio film“. Pare di stare ancora nel 1946, anzi nel 1936 direi, da quando il contributo di una donna alla società si giudica in base a quanto partorisce? Forse era una critica al Dio, Padre e Famiglia della Meloni? Non sa che il tasso di fertilità è dell’1.24 per donna? Il resto sono la scoperta dell’acqua calda non ‘diritti’ a cui puntare. Quanto alla storia sarebbe bene che la studiassero sul serio e non solo quella dei diritti delle donne ma anche delle numerose donne che hanno avuto un potere tanto grande che gli uomini e le donne comuni potevano neanche immaginare.
Gli amichetti liberisti de L’inkiesta [12] si chiedono giustamente adesso: Mi si nota di più se accetto l’invito di Giorgia o se lo rimbalzo ringraziando? …dilemma morettiano …, i complimenti a Paola Cortellesi da parte del Presidente del Consiglio …potrebbero rappresentare una gatta da pelare per l’ambiente degli artisti, spesso accusati di affiliazione alla famosa egemonia culturale della sinistra. Certo, parlare di egemonia culturale con l’attuale “sinistra” fa ridere. Ma con nonchalance anche L’inkiesta scivola sulla banana del femminismo liberal affermando che oggi c’è consapevolezza comune sui numeri in crescita dei femminicidi… Dove sarebbero i numeri crescenti se sono praticamente costanti da quasi ottanta anni?
In conclusione, leggiamo in questi commenti uno scontatissimo campionario di luoghi comuni in molti casi privi di contropartite reali: i femminicidi sono un’emergenza, gli uomini devono farsi delle domande, una donna è svilita e giudicata perché non fa figli (o è troppo disinibita il che è equivalente), l’uomo normale è spaventoso, e così via. Non ho visto il film e non so se lo vedrò, ma non mi aspetto nulla di eccezionale, sicuramente non mi aspetto di vedere un’operazione sofisticata e sottile come quella di Barbie, che si presta a interpretazioni anche diverse da quella femminista tradizionale. Il cinema italiano non è più quello di una volta, non siamo bravi come a Hollywood purtroppo. Preferiamo tenerci ben attaccati al mainstream neoliberale, d’altra parte è naturale che le colonie siano più realiste del re: non sia mai che uomini e donne capiscano che solo insieme possono combattere contro gli squilibri e le diseguaglianze reali prodotte dal neoliberismo.
Paola Cortellesi da brava attrice, nata nel cabaret televisivo e poi icona della commedia all’italiana recente, sembra aver fatto un grande salto nell’immaginario collettivo come regista, mentre scrivo il film ha raggiunto i quindici milioni di spettatori, risultato notevole per un film italiano. Ma riuscirà ad essere ancora sé stessa? O non si trasformerà nell’ennesima icona dell’ideologicamente molto scarso e lagnoso femminismo nostrano? Al quale non sembra vero poterla arruolare, dato che prima le caricature della Cortellesi dileggiavano anche il femminismo, sebbene di striscio [14]. Se dovessi dargli un consiglio gli direi di cambiare tema, sempre da regista naturalmente. Ci aveva provato già in qualche altro film, ma ancora con un’eccessiva carica comica e una scarsa capacità critica del sistema, ma senza aspirare ad essere più di questo e soprattutto non era il suo film. L’immigrazione, i diritti sociali, i morti sul lavoro, e ce ne sono molti altri di temi molto più importanti del mainstream femminista che ci bombarda praticamente tutti i giorni in modo ossessivo.
[1] Mauro Recher – Il mulino “nero”
[2] Stories, “Paola Cortellesi – A bocca chiusa”. VIDEO
[3] Valeria Fonte: «Tutti gli uomini pensano come pensa un femminicida»
[4] Marcello Veneziani – Non era così brutta l’Italia del dopoguerra
[5] Per una critica simile a quella di Veneziani, ma da ‘sinistra’ vedasi Lorenzo Serra – Perché C’è ancora domani corre il rischio di una strutturale incompiutezza che scrive: Non solamente, cioè, non si mette a tema all’interno del film quella parte decisiva legata al conflitto sociale-politico, così strettamente legata alle possibilità dell’emancipazione femminile, ma, inoltre, il piano comunitario comincia già ad esser risucchiato da un piano individuale (quella libertà americana di cui, non a caso, sembrano tessersi vari elogi nell’opera). Qui però non è in questione il film in sé, ma piuttosto le discussioni e i commenti che ne sono seguiti.
[6] Le statistiche si riferiscono al numero di omicidi di donne, dato che non esiste una definizione precisa di femminicidio non è possibile dire con esattezza quanti omicidi siano effettivamente legati al classico omicidio familiare, partner o ex-partner, che è quello che nella vulgata viene percepito come femminicidio, normalmente il numero di questi femminicidi, propriamente detti, è dell’ordine del 50% del totale degli omicidi di donne. Ne segue che, anche se un anno ci sono 120 omicidi di donne e un altro anno ve ne sono 80, non è detto che i femminicidi siano in numero maggiore nel primo caso. Un’altra cosa che pochi capiscono è che su numeri tanto bassi rispetto alla popolazione generale le fluttuazioni statistiche hanno una notevole influenza: dire quest’anno abbiamo avuto centodieci (centoventi) omicidi di donne invece di centoventi (centodieci) non significa nulla poiché una variazione di dieci unità è una mera fluttuazione non l’inizio di un vero cambiamento che dovrebbe comportare numeri notevolmente più consistenti almeno del 50% del dato di partenza.
[7] Marzio Barbagli – Mezzo secolo di delitti. Se nel 1944 gli omicidi di uomini sono stati 9,7 volte quelli delle donne dalla Fig.7 si ricava appunto che gli omicidi di donne sono all’incirca un centinaio.
[9] Mauro Zanon – «Sono nato uomo. Sono il male, sono il male, sono il male»
[10] Luisa Garribba Rizzitelli – Perché il film di Paola Cortellesi parla più agli uomini che alle donne
[12] Altro invito, altro dilemma. Paola Cortellesi, la premier e la realpolitik antiviolenza
[13] Sull’onda mediatica del tragico caso di Giulia Cecchettin, la Schlein ha comunque rilanciato la possibilità di una collaborazione sui femminicidi sul piano culturale auspicando l’introduzione di programmi educativi nelle scuole. Al momento è in corso di approvazione del Parlamento il c.d. codice rosso bis (ddl 1294, governativo), un insieme di provvedimenti teso a rafforzare il contrasto alla violenza sulle donne, ma si tratta esclusivamente di norme penali. Ho forti dubbi che entrambe le cose, culturale e repressiva, cambino i numeri del problema.
[14] Uno dei personaggi della Cortellesi era una starletta che dichiarava di essere andata a letto con dei dirigenti per ottenere dei posti. Cosa che dopo il Metoo sarebbe ora sacrilega. O l’impettita femminista ecologista di Maschi contro Femmine che poi cede alle avances del mandrillo.
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