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Il movimento sceso in piazza ieri in tutta Italia “contro il patriarcato e la violenza maschile” può essere definito, a mio parere, come un movimento neoliberale di massa.
Un fenomeno costruito dall’alto, alimentato dai media, in totale simbiosi con le istituzioni e lo stato, che ha come collettore un femminismo mediatico, istituzionalizzato, interclassista, antimaschile, totalmente egemonizzato dall’ideologia neoliberale. Un movimento, naturalmente, non solo del tutto innocuo ma funzionale al sistema capitalista che lo utilizza per spostare completamente l’attenzione dalle grandi contraddizioni sociali e dalle grandi questioni internazionali – cioè dal possibile conflitto sociale che potrebbe scaturire da tali contraddizioni e dalle guerre imperialiste che ne sono la necessaria e inevitabile conseguenza – al conflitto fra i sessi, o meglio quello del genere femminile contro quello maschile.
La controparte viene individuata nel patriarcato, ormai un fantasma del passato, un cadavere tenuto in vita artificialmente, altrimenti se se ne dichiarasse l’avvenuta estinzione la narrazione femminista, mattone fondamentale dell’attuale sistema dominante, si squaglierebbe come neve al sole.
La violenza maschile, secondo tale narrazione, esercitata a senso unico dagli uomini contro le donne, diventa la necessaria e inevitabile conseguenza del sistema patriarcale. Una violenza ovviamente non episodica (o legata a fattori soggettivi di ordine psicopatologico o sociale) ma sistematizzata, perché tutti gli uomini sarebbero potenzialmente protetti e armati dal dominio patriarcale che li porterebbe a considerare le donne come degli oggetti di loro proprietà di cui possono disporre a piacimento, quindi picchiarle, stuprarle, brutalizzarle, umiliarle in ogni modo, ucciderle.
Uno striscione esposto ieri alla manifestazione di Roma recitava testualmente:” Quando esco voglio sentirmi libera, non coraggiosa”. Si descrive in tal modo ad arte un mondo che per le donne sarebbe una specie di inferno, costantemente sottoposte alla minaccia di essere vittime di violenza in qualsiasi momento oltre, naturalmente, ad essere sistematicamente, tutte, sottoposte ad ogni genere di discriminazione, economica, sociale, morale, culturale, psicologica e quant’altro.
Le correnti femministe minoritarie, cosiddette “intersezionali” o sedicenti”di classe” (una contraddizione in termini…), resesi conto della deriva o, dal mio punto di vista, della inevitabile e concreta determinazione di una ideologia, già minata alle origini dal virus sessista e antimaschile, tentano affannosamente di coniugare l’inconiugabile, cioè la questione sociale con quella di genere, ma si tratta di un tentativo maldestro che cozza clamorosamente con la realtà perché sia le classi sociali dominanti che quelle subalterne sono ovviamente formate da uomini e da donne che vivono le diverse condizioni e contraddizioni della rispettiva classe di appartenenza, come è evidente a chiunque sia ancora provvisto di un briciolo di buon senso, di razionalità e di onestà intellettuale.
Si tratta quindi di una clamorosa nonché evidente falsificazione della realtà e di un depistaggio ideologico di proporzioni colossali.
Siamo di fronte al più subdolo fra tutti i conflitti orizzontali che sono stati posti in essere e alimentati in tutti questi anni (autoctoni contro immigrati, “millenials” contro “boomers”, lavoratori privati contro lavoratori pubblici, giovani lavoratori contro pensionati, pro vax contro no vax) perché va a toccare corde profonde e delicatissime: l’affettività, la sessualità, le relazioni familiari, la relazione intima fra uomini e donne, il rapporto interno alle coppie, fra mogli e mariti, padri e figlie, fratelli e sorelle e così via. La finalità di questo conflitto non è soltanto quella di lacerare il corpo sociale e di dividerlo per poterlo meglio soggiogare, ma di minare alla radice la stessa idea di umanità che viene così separata, con i maschi che diventano i carnefici e il male per definizione e le femmine le vittime, comunque e dovunque, sempre per definizione. Gli uomini, sottoposti ormai dalla mattina alla sera ad un bombardamento mediatico a tappeto, vengono colpevolizzati, criminalizzati e naturalmente psicologicamente paralizzati. Gli effetti devastanti di tale processo soprattutto sulle giovani e giovanissime generazioni sono già evidenti e lo saranno drammaticamente ancora di più nel prossimo futuro, e questo riguarderà non solo gli uomini ma anche le donne. E’ bene sottolineare che la distruzione psichica e psicologica del maschile è propedeutica, sul lungo periodo, a quella del femminile, in una prospettiva che in linea teorica deve vedere ambo i sessi deprivati di una reale identità e coscienza di sé. Si tratta del processo di distruzione di ogni identità, che non sia la forma merce, che è nel DNA del sistema di dominio capitalistico esclusivamente finalizzato alla sua in linea teorica illimitata e infinita riproduzione.
Palmiro Togliatti, uno degli storici leader del Partito Comunista italiano, definì il fascismo come un regime reazionario di massa. Aveva ragione perchè quel regime (come altri, sia chiaro) riuscì a costruire un consenso di massa attorno a sé soprattutto dopo aver conquistato il potere. Certamente, la macchina di costruzione del consenso all’epoca era molto più rozza (anche se avanzata per i tempi) rispetto a quella attuale, e il controllo delle menti avveniva soprattutto attraverso il controllo della sfera pubblica delle persone. Oggi la situazione è profondamente mutata e la costruzione del consenso – molto più sofisticata rispetto al passato – si fonda principalmente sull’occupazione e la manipolazione della sfera privata, del foro interiore degli uomini e delle donne, ben prima del controllo della loro sfera pubblica, come appunto avveniva in passato. Possiamo anzi dire che quest’ultima è la conseguenza della prima.
L’assassinio di Giulia Cecchettin da parte di questo ragazzino psicopatico – derubricato come l’ennesimo atto di violenza sistematica dell’oppressione patriarcale (a mio parere è invece il comportamento di un soggetto maschile spappolato ed estremamente fragile, prodotto di quell’attacco sfrenato al genere maschile e di un contesto ultracapitalista che ha atomizzato ogni vincolo sociale e comunitario, ma di questo mi occuperò in altro articolo) – è avvenuta casualmente pochi giorni prima della rituale scadenza del 25 novembre, contestualmente alla carneficina di civili a Gaza tuttora in corso. Mentre però le manifestazioni per chiedere di porre fine al genocidio in Palestina hanno visto al massimo la partecipazione di alcune decine di migliaia di persone (per lo più appartenenti alla solita e sempre più striminzita area della sinistra radicale), quelle di ieri sono state popolate da centinaia e centinaia di migliaia di persone. Questo perché quelle svoltesi ieri in tutto il paese sono il risultato finale di un processo cominciato decenni fa che ha scavato in profondità nella sfera subliminale delle persone, al punto che la morte di una ragazza per mano del suo fidanzato o ex fidanzato suscita oggettivamente (molta) più emozione del massacro di circa seimila bambini e bambine (più altre migliaia di mutilati) vittime delle bombe di uno stato razzista e imperialista.
Ecco, dunque, che anche la sensibilità e l’indignazione sono state abilmente e artificialmente condizionate da un sistema altamente sofisticato e pervasivo. Una trappola in cui cadono in tanti. Non a caso ieri in piazza a manifestare insieme alle donne e agli uomini del mondo liberale e neoliberale contro “il patriarcato e la maschilità tossica e violenta” c’erano anche le solite micro formazioni della “sinistra” cosiddetta “antagonista”, anch’esse imbevute, senza peraltro esserne consapevoli (non so se più grave la stupidità o l’opportunismo ma è dl tutto irrilevante) di ideologia neoliberale e politicamente corretta.
Fonte foto: The Hollywood Reporter Roma (da Google)
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