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Mi ero riproposto, proprio in questi giorni, di realizzare un video specificamente su questo tema (di fondamentale importanza) ma mi vedo costretto dagli interventi di qualche amico e soprattutto di Rita, ad anticipare qualche concetto.
In modo estremamente sommario questa di seguito è la mia analisi sul ‘68 (sarebbe necessario scriverci un libro, comunque proviamoci). Lungi dall’essere quello che comunemente viene considerato, cioè un movimento rivoluzionario antagonista e anticapitalista, con tutte le sue innumerevoli venature, correnti e sottocorrenti (libertarie, anarchiche, trotzschiste, marxiste-leniniste, staliniste, maoiste, terzomondiste, luxemburghiane, marcusiane, hippy, pacifiste, liberal,radical, femministe, rockettare e chi più ne ha più ne metta) , il ’68 è prevalentemente stato un grande e profondo processo di rinnovamento dello stesso sistema capitalistico, che da borghese si trasforma in post borghese.
Cosa voglio dire? Fino ad una quarantina di anni fa il capitalismo e la concezione borghese del mondo, e in particolare il suo sistema di valori, erano del tutto sovrapposti. Anche e soprattutto il conflitto fra borghesia e proletariato era di ordine culturale e valoriale, oltre che economico e politico, nel senso che sia l’una che l’altro erano portatori di un sistema di valori e di una visione del mondo alternativi.
Tutto questo è stato spazzato via e ciò non vale solo per il movimento operaio e comunista (e socialista, socialdemocratico, anarchico e in generale di tutte quelle culture che ad esso si rifacevano e dal cui seno erano nate) ma anche per il vecchio sistema valoriale borghese, ridotto ormai (specie in assenza dell’antagonista proletario e comunista) ad una carcassa inservibile e inutilizzabile. Di più, questo vecchio sistema valoriale borghese diventa addirittura di ostacolo per la marcia trionfale (al momento così sembra ma qualche scricchiolio comincia a essere visibile…) del capitalismo assoluto e auto fondato (cioè, come abbiamo detto più volte, svincolato da qualsiasi altra istanza che non sia la sua autoriproduzione teoricamente illimitata e la feticizzazione della forma merce, intesa nel senso più ampio e onnicomprensivo, ovviamente , e non solo come beni e servizi ) proprio perché pretenderebbe di imporgli dei limiti di ordine etico, morale o religioso (falsi o autentici che siano, non ci importa in questa sede…) che erano funzionali fintantoche c’era un nemico da combattere e da contrastare con ogni mezzo, ma si riducono solo ad una inutile zavorra nel momento in cui quel nemico non esiste più. E allora “Dio, patria e famiglia” (con annessi e connessi) diventano arnesi inservibili, superflui e, soprattutto, come già detto, di ostacolo al pieno dispiegarsi del capitalismo assoluto che ha necessità di occupare OGNI SPAZIO dell’umano, e in particolare tutto ciò che attiene alla sua sfera intima, privata, subliminale, al suo foro interiore e alla sua psiche (ivi compresa, naturalmente, la sua sessualità).
Ovviamente tutto ciò, per essere credibile, non poteva avvenire alla luce del sole ma attraverso un grande, geniale e ultrasofisticato processo di “falsa coscienza” utile e necessario a superare il vecchio sistema “borghese” e a traghettarlo verso il capitalismo assoluto e auto fondato smanioso e necessitato (strutturalmente) di controllare ogni angolo, anche il più remoto, degli individui, senza ostacoli o impedimenti di nessun genere.
Ed è a questo punto che entra in ballo il ’68 che scardina, mettendolo definitivamente in crisi, quel vecchio ordine di regole e precetti “borghesi” (di cui personalmente ho scarsissima nostalgia, ma questo è un altro discorso…), attraverso le parole d’ordine della “liberazione” sessuale, del libero amore” e della disarticolazione della cosiddetta vecchia famiglia borghese, patriarcale o matriarcale che fosse (anche se la vulgata sessantottina e post sessantottina la vorrebbe vedere solo nella sua versione patriarcale).
Naturalmente questi eroici furori sono durati solo qualche mese o qualche stagione (peraltro solo per una minoranza di giovani, quelli che appartenevano ai ceti medi o alto borghesi delle grandi città, culturalmente più provvisti, giungendo solo di rimando e notevolmente sbiaditi alla grande massa dei giovani delle province, delle città minori e soprattutto delle campagne) e si sono concretizzati in un po’di sesso consumato nei sacchi a pelo nelle aule delle università occupate, durante qualche campeggio libero e “alternativo” a Sperlonga o Marina di Licola, oppure in qualche festival del “proletariato giovanile” al Parco Lambro o a Valle Giulia.
La “festa” (comunque per pochi, perchè anche allora e in quel contesto il sex symbol o il punto di arrivo era rappresentato dal “leaderino” di turno…), come sappiamo e come era previsto che dovesse essere, gonzi e creduloni a parte (fra cui il sottoscritto e molti altri come lui…) è finita ben presto e lo spazio che doveva essere del libero amore e della libera sessualità è stato in men che non si dica occupato da quello del “libero” scambio, cioè dalle logiche mercantili e mercificanti della ragione strumentale capitalistica assoluta dominante.
Il vecchio sistema valoriale, moralistico e perbenista (quindi oggettivamente di ostacolo al “liberoscambismo”) è stato dunque scardinato e, dopo una breve e funzionale parentesi di pseudo trasgressione, altrettanto pseudo rivoluzionaria, sostituito con la nuova “morale” (si fa per dire…) capitalistica assoluta. Dalle stelle alle stalle, dal “Te la do solo dopo il matrimonio e con tutti i sacramenti”, si è passati al “Te la do anche subito, dipende da quanto paghi”. Naturalmente, come ben sappiamo, non stiamo parlando di un pagamento spicciolo e brutale ma, come abbiamo ripetuto qualche migliaio di volte, di un complesso e sofisticato meccanismo psicologico e culturale interiorizzato a livello profondo. Nella stessa ragione e misura quando parlo di “pagamento” non mi riferisco, ovviamente, alla “marchetta” ma ad una relazione “viziata” concettualmente e psicologicamente, quindi “alienata” o “inautentica”, a seconda dei punti di vista e delle rispettive collocazioni filosofiche.
Questo è , a mio parere e per sommi capi, ciò che è stato il ’68 e ciò che è avvenuto in questi ultimi 40 anni , naturalmente per quanto riguarda gli aspetti che riguardano i temi di cui noi ci occupiamo.
Ci sarebbero da fare tantissime altre considerazioni di carattere sociologico, politico e geopolitico che riguardano la cultura di sessantottina derivazione (depurata, ovviamente, da tutto il papocchio di falsa coscienza ideologica ecc.), e quindi il ruolo e la funzione che hanno assunto il “politically correct”, il femminismo, l’”universalismo dei diritti”, grazie ai quali si applicano embarghi che affamano e mietono centinaia di migliaia di vittime fra i civili, si bombardano “eticamente” quei popoli colpevoli di non essere allineati al meanstream capitalistico e soprattutto di non piegarsi al “liberoscambismo” (si chiama in questo modo il dominio delle oligarchie economiche e finanziarie mondiali) delle potenze capitalistiche planetarie e in questa fase soprattutto degli USA, ovviamente (ma non solo).
Mi fermo, naturalmente, ripromettendomi di tornare sull’argomento a breve, come già detto, con un video o con un successivo articolo.
25 Commenti
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Già visto… solo che si sente pochissimo e malissimo, come molti altri suoi video…Ciò detto, condivido in larga parte la sua analisi. Ma non del tutto, e spiegherò perchè prossimamente.
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Esattamente al minuto 10, 08 della video-intervista, il filosofo Costanzo Preve, studioso e originale interprete di Hegel e di Marx, pronuncia le testuali parole:”Sputiamo su Hegel era una cosa femministica degli anni ’70. E’ chiaro che il femminismo, inteso come metafisica del genere, doveva odiare la dialettica, doveva produrre una specie di falsa coscienza per donne in carriera che oggi si è completamente incorporata in strutture femminili universitarie largamente parassitarie. Penso che questo mi farà diventare particolarmente antipatico agli ascoltatori. Se fosse così ne sarei compiaciuto”.
Spero di incontrarlo, come lui stesso mi ha detto telefonicamente, i prossimi mesi di settembre/ottobre.
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
E’ chiaro che il femminismo, inteso come metafisica del genere, doveva odiare la dialettica, doveva produrre una specie di falsa coscienza per donne in carriera che oggi si è completamente incorporata in strutture femminili universitarie largamente parassitarie. (Costanzo Preve)
Eh si … lo avevo notato. E mi fa estremamente piacere condividere con una persona come Preve questo concetto. Tra l’altro pensavo anche a quelle strutture quando parlavo di spending review femminista.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
“strutture femminili universitarie largamente parassitarie. (Costanzo Preve)”…
Quali sarebbero, precisamente?
Manolo(Quota) (Replica)
Si riferisce appunto a tutta quella pletora di giornaliste, opinion makers, esponenti politiche, sindacaliste, editorialiste, scrittrici, manager (pubbliche o private) e, nel suo caso, docenti universitarie, entrate a far parte di questo ceto mediatico-politico-accademico per meriti “rosa”, diciamo così…
Ormai l’adesione al neofemminismo istituzionale è un viatico per carriere di vario genere e nei vari settori. Un passaggio quasi obbligato, direi, anche per gli uomini (se hanno a cuore la carriera).
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Beh … non esattamente Fabrizio.
Oramai in ambito universitario diversi Atenei hanno istituito corsi, seminari etc., etc., …. universitari incentrati sulle politiche di genere.
Alcuni esempi:
http://www.regione.umbria.it/mediacenter/FE/articoli/cultura-di-genere-a-perugia-nuovo-corso-universita.html
http://temi.provincia.milano.it/donne/progetti/prog_template.php?da=archivio&prog=10
http://www.unipd.it/forumpolitichegenere/
http://www.unifi.it/vp-8680-cultura-di-genere.html
http://www.unitn.it/ateneo/22539/donne-politica-e-istituzioni
http://193.205.206.41/insegnamenti/master_politiche_di_genereI06.asp
Il primo link inerisce ad un corso vero e proprio, ma cercando ve ne saranno sicuramente altri.
D’altra parte ci sta chi nei commenti del FQ si firma: esperta di pari opportunità, integrazione sociale e cittadinanza di genere. Vedi tu.
La verità è che nell’università italiana (più nello specifico Lettere, filosofia, psicologia, sociologia e presumo anche scienze politiche) di queste iniziative e di corsi “de-generi” ce ne stanno un fottio.
Tradotto terra-terra: tutti noi, con le nostre (esorbitanti) tasse manteniamo anche questi corsi (frequentati al 90% da donne) che produrranno le nuove leve femministe.
Di pratico ed utile non sapranno fare un’emerita minchia (scusate la parola) ma, vuoi che le “sorelle” non gli trovino un bel posticino nell’attuale “industria” femminista o in quella prevista nel DDL n. 3390(*)?
………………………………….
(*)
Art. 3
(Campagne di sensibilizzazione, informazione e formazione)
1. Al fine di contrastare efficacemente il fenomeno degli atti persecutori e della violenza contro le donne, le prefetture uffici territoriali del Governo possono promuovere, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, protocolli d’intesa tra soggetti istituzionali quali province, comuni, aziende sanitarie, consigliere di parità, uffici scolastici provinciali, forze dell’ordine e del volontariato che operano sul territorio.
2. I protocolli di cui al comma 1 hanno come obiettivo:
a) l’analisi e il monitoraggio del fenomeno degli atti persecutori e della violenza di genere;
b) lo sviluppo di azioni finalizzate alla prevenzione e al contrasto di tale fenomeno, attraverso mirati percorsi educativi e informativi;
c) la formazione degli operatori del settore;
d) la promozione dell’emersione del fenomeno, anche tramite iniziative volte a facilitare la raccolta delle denunce;
e) l’assistenza e il sostegno alle vittime della violenza in tutte le fasi susseguenti al verificarsi di un episodio di violenza.
3. Le amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle proprie competenze promuovono iniziative, campagne e attività di sensibilizzazione, formazione e informazione volte alla prevenzione della violenza di genere e del femminicidio in ogni loro forma.
4. Le amministrazioni pubbliche di cui al comma 3, nell’ambito della disciplina vigente in materia di formazione, promuovono iniziative e appositi moduli formativi sulla violenza di genere, mirando alla valorizzazione della pari dignità sociale tra uomo e donna e alla promozione della soggettività femminile.
Art. 4
(Iniziative scolastiche contro la violenza e la discriminazione di genere)
1. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, può promuovere, nell’ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado, iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione contro la violenza, la discriminazione di genere e il femminicidio e per la promozione della soggettività femminile, che conferiscano agli studenti autonomia e capacità d’analisi, ai fini della promozione di una reale autodeterminazione dei generi, anche attraverso un’adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo. (Qui può sembrare che non ci stia aggravio o coinvolgimento di personale “formato” ma andate ad informarvi già ora cosa succede!!)
Art. 5
(Statistiche sulla violenza)
1. Nel titolo II del libro II del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, dopo l’articolo 24, è aggiunto il seguente:
«Art. 24¬bis. – (Statistiche sulla violenza).
1. Ai fini della progettazione e della realizzazione di politiche di contrasto alla violenza e alle discriminazioni di genere e del monitoraggio delle politiche di prevenzione, l’Istituto nazionale di Statistica, sulla base di finanziamenti dedicati, assicura lo svolgimento di una rilevazione statistica sulla discriminazione e la violenza di genere fisica, sessuale, economica, psicologica, atti persecutori e sui maltrattamenti in famiglia, che ne misuri le caratteristiche fondamentali e individui i soggetti più a rischio con cadenza almeno quadriennale. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi di concerto con i Ministri della giustizia e dell’Interno entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e non avente natura regolamentare, sono indicate le variabili fondamentali da descrivere.
2. La rilevazione dei dati relativi ai reati accertati e denunciati, condotta dal Ministero della Giustizia e dal Ministero dell’Interno, prevede la disaggregazione per genere, età e cittadinanza, sia degli autori che delle vittime, e la relazione tra autore e vittima, rendendo i dati fruibili e garantendone la qualità, secondo quanto previsto dal decreto di cui al comma 1.
3. L’istituto nazionale di Statistica , ai fini della costruzione di un sistema informativo sulla violenza sulle donne, integra i dati prodotti dal Ministero della Giustizia, dell’ Interno, della Salute, nonché dal Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dai centri antiviolenza e da tutti gli enti che possono produrre dati utili alla conoscenza e descrizione del fenomeno, coordinando gli stessi nella raccolta, secondo quanto previsto dal decreto di cui al comma 1.
Capo III
Tutela delle vittime di violenza
Art. 6.
(Tutela della donna vittima di delitti contro la personalità individuale e la libertà sessuale)
1. 1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuna questura è tenuta ad assicurare la presenza, nei propri uffici, di una quota di personale di sesso femminile, titolare di una formazione specifica in materia di delitti contro la personalità individuale e la libertà sessuale, competente a ricevere le denunce o querele da parte di donne vittime di uno o più dei delitti previsti dalla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale e dagli articoli da 609¬bis a 609¬octies e 612¬bis del medesimo codice, nonché dei reati di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75.
2. La quota di personale di cui al comma 1 è stabilita dal Ministero dell’interno con proprio decreto da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Il decreto di cui al comma 2 stabilisce altresì le caratteristiche e le modalità di organizzazione dei corsi di formazione professionale in materia di tutela delle vittime dei delitti di cui al comma 1, compresivi anche di una formazione specifica in materia di tutela e assistenza delle vittime minorenni dei medesimi delitti. La partecipazione ai corsi di cui al periodo precedente è condizione per lo svolgimento delle funzioni di cui al comma 1.
4. Ciascuna donna, anche minorenne, che intenda presentare presso una questura denuncia o querela per uno o più dei delitti di cui al comma 1, di cui affermi essere vittima, ha il diritto di farsi assistere, qualora, debitamente informata della possibilità, dichiari di volersene avvalere, dal personale di cui al medesimo comma 1, anche nelle fasi successive alla presentazione della denuncia o della querela.
Art. 7
(Nuclei specializzati per l’assistenza delle vittime di violenza di genere)
1. Le aziende ospedaliere e le aziende sanitarie locali, assicurano l’attivazione di almeno un nucleo specializzato per i problemi correlati alla violenza di genere.
2. Il nucleo specializzato di cui al comma 1, al fine di assicurare assistenza integrata alle vittime di violenza, garantisce l’intervento di personale sanitario adeguatamente formato per l’accoglienza, l’assistenza e la cura delle vittime della violenza. L’assistenza richiesta garantisce oltre agli interventi per la cura della persona vittima, l’adeguata effettuazione di esami, prelievi e refertazione, che possono essere utilmente prodotti come prove della violenza in un eventuale fase giudiziaria.
3. Il personale sanitario operante presso il nucleo specializzato di cui al comma 1 segue corsi di formazione appositamente organizzati.
4. Ogni struttura ospedaliera e azienda sanitaria assicura che almeno una parte del personale sanitario sia adeguatamente formato per l’accoglienza, l’assistenza integrata e la cura delle vittime della violenza. La formazione di tale personale è realizzata, secondo quanto previsto dal Ministro della salute con proprio decreto, emanato di concerto con i Ministri della giustizia e del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, attraverso dei seminari organizzati da esperti specializzati nella prevenzione della violenza di genere e sostegno alle vittime provenienti dai consultori pubblici, senza costi aggiuntivi per la finanza pubblica. Nelle rete dei consultori pubblici o nelle unità sanitarie è possibile individuare le professionalità adeguate agli scopi di questo disegno di legge.
5. L’équipe specializzata, secondo quanto previsto dal decreto di cui al comma 4, può predisporre piani di organizzazione annuale e di aggiornamento, richiedere l’appoggio di professionalità esterne al servizio pubblico come le organizzazioni non governative e le case e i centri delle donne, la cui professionalità nell’appoggiare le donne vittime di violenza si è resa evidente nella loro esperienza sul campo. In quest’ottica l’équipe può costituire un punto di riferimento anche per la formazione del personale tirocinante proveniente dall’università.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Intervento veramente puntuale e illuminante, caro Luigi.
Ecco uno dei risvolti concreti di tutta questa sarabanda femminista. Il neo femminismo agisce come un grande partito della prima repubblica (non che la seconda sia meglio, anzi, ma è cambiato il paradigma e i partiti hanno perso gran parte del potere che avevano prima) occupando sistematicamente posti e poltrone in qualsiasi ambito e/o settore della vita pubblica (e di conseguenza anche privata).
Lo fa attraverso quella che ormai è evidente essere una strategia sistematica di occupazione della cosa pubblica e non solo. Queste signore sanno che nessuna forza politica si opporrà e naturalmente si guarderanno bene dal fermarsi, se non ci sarà qualcuno che lo farà. Siccome non ci sarà continueranno.
Questo DDL 3390 è stato concepito proprio in tal senso. Se passerà, così come è (ma anche se ci saranno emendamenti o modifiche, secondo me non cambierà di molto la sostanza) , il processo, comunque già in atto, di cooptazione femminil-femminista sarà istituzionalizzato.
So che è un’impresa improba ma contro questo progetto dovremo cercare di lavorare con tutte le nostre forze. Sappiamo che ci sono delle crepe importanti da questo punto di vista anche in una parte di quel versante femminista non riconducibile al neofemminismo politicamente trasversale e istituzionale (e istituzionalizzato).
So per certo che sono in corso contatti molto positivi (e collaborazioni fattive) fra Femminismo a Sud, che è evidente essere in una fase di riflessione e rivisitazione veramente interessante che non può essere lasciata cadere (in ogni caso a breve ci incontreremo e approfondiremo il tutto) e il Movimento femminile per la parità genitoriale (sono donne in gamba, alleate dei padri separati, conosco personalmente la loro fondatrice).
Sia l’uno che l’altra entrambe avversarie (a dir poco) dello SNOQ (quindi del maggior rappresentante del neo femminismo politico-istituzionale dominante),e schierate apertamente contro le quote rosa, pur provenendo da esperienze politiche e culturali diverse.
A mio parere si potrebbe cominciare a pensare ad una iniziativa comune (ad esempio un documento, come primo momento di collaborazione) contro le quote rosa e il DDL. Una iniziativa del genere, potrebbe rappresentare un momento di rottura e assumere, a mio parere, un significato politico da non sottovalutare. Pensateci bene: le donne di Femminismo a Sud e quelle del Movimento Femminile per la Parità Genitoriale che sottoscrivono un documento insieme al Movimento degli Uomini Beta (e perché no, anche ad altri movimenti maschili: se sono politicamente intelligenti lo fanno) contro le quote rosa, contro il DDL 3390 e quindi contro SNOQ, contro il femminismo istituzionale trasversale e tutti i partiti filo femministi (cioè tutti).
Secondo me, se lo facessimo, potremmo anche fare un po’ di rumore, attivandoci dal punto di vista mediatico. E due movimenti femminili (così diversi l’uno dall’altro) e uno maschile (ancora più diverso e caratterizzato), tutti con le loro peculiarità e le loro profonde diversità, che sottoscrivono un documento comune, potrebbero riuscirci.
Non sarebbe cosa da poco.
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Mi ero perso l’articolo, che leggo solo ora.
Analisi assolutamente condivisibile, quella sul vero signficato del 68, che ho vissuto anch’io. Aggiungo solo che si è trattato anche di una rivolta contro il padre, d’altra parte pienamente funzionale, anch’essa, alle nuove esigenze del capitale nella sua forma più astratta, impersonale e direi anche ormai slegata da una classe definita (la borghesia), secondo i canoni marxiani , dalla proprietà dei mezzi di produzione.
Il mio cruccio, ormai da anni a questa parte e senza che ciò significhi approdare alle stesse conclusioni sul futuro, è che praticamente nessuno o quasi dei protagonisti di quel tempo, ha mai riflettuto a fondo sulla questione. Si beano, gli idioti o i furboni, delle formidabili “vittorie” culturali di quell’epoca. C’è davvero di che essere scoraggiati circa l’intelligenza umana.
Comunque credo davvero che ne dovremo riparlare.
armando
armando(Quota) (Replica)
“…d’altra parte pienamente funzionale, anch’essa, alle nuove esigenze del capitale nella sua forma più astratta, impersonale e direi anche ormai slegata da una classe definita (la borghesia), secondo i canoni marxiani , dalla proprietà dei mezzi di produzione”. (Armando)
Non sono d’accordo, caro Armando, sul carattere astratto e impersonale dell’attuale capitalismo. E’ vero che il capitalismo finanziario (che è quello oggi dominante) presenta questi caratteri, ma è pur vero che a tirare le fila e a goderne i frutti ci sono uomini e donne in carne ed ossa, azionisti, grandi possessori di capitali, banche, società per azioni, gruppi di potere ecc., singoli individui e famiglie (qualche migliaio di queste ultime sono le padrone del mondo…). Poi naturalmente il tutto si snocciola gerarchicamente nella solita piramide di moderni valvassori e valvassini.
Quindi sono decisamente contrario a spersonalizzare il tutto, anche perché attribuire al capitalismo contemporaneo questa sorta di astrazione potrebbe depistare e condurre da una parte ad una sorta di deresponsabilizzazione dei singoli individui (quando invece esiste un gerarchia e una struttura di comando ben definita anche se complessa) e dall’altra potrebbe indurre la gente a pensare di essere di fronte ad una specie di entità, appunto astratta (un po’ alla Fantozzi, per capirci.. ), che potrebbe indurre ad una sorta di accettazione fatalistica dello status quo.
Come a dire:”Embè, che vogliamo farci, non è colpa di nessuno se mi licenziano, mi bloccano la pensione, mi mettono in cassa integrazione o in mobilità, mi levano pure le mutande con le tasse, l’Imu e via discorrendo…che vuoi farci, il sistema ormai è sfuggito di controllo, è una sorta di Matrix…”.
Un esempio calzante, da questo punto di vista è il famoso “parere dei mercati”, che ormai è diventato come una specie di verdetto dell’ oracolo, una specie di legge semidivina che piove dall’alto e detta le sue regole.
Eh no, ragazzi, non è così. Saremo pure (e lo siamo) immersi in un Matrix, ma è un Matrix con una catena di comando ben precisa anche se molto, molto articolata e gerarchizzata.
Se volete posso pure farvi lo schemino come si fa con la dialettica platonica al liceo (e anche all’università).
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
http://finchelalegge.blogspot.it/2012/09/la-generazione-tradita.html?spref=fb
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Mi ero perso il tuo commento al mio pezzo, Fabrizio, che leggo solo ora. Non intendevo quel che mi attribuisci. In questo momento non ho tempo., Ci tornerò.
armando
armando(Quota) (Replica)
Una interessante intervista al giovane Fusaro, allievo di Preve. Non la condivido in toto anche perchè, ad esempio, non penso affatto che Marx fosse un idealista nè tanto meno un prodotto della hegeliana coscienza infelice della borghesia (forse soggettivamente, ma di sicuro non la filosofia che ha elaborato). Nondimeno contiene spunti di riflessione estremamente interessanti e in buona parte assolutamente condivisibili.
Sempre da un’intervista al giovane Fusaro:”Personale e soggettivo per sua natura, virtù virile che trova nel campo di battaglia la propria “scena originaria” il coraggio è il luogo in cui rifulge la libertà di chi sceglie di agire malgrado tutti i rischi che indurrebbero ad agire altrimenti o, semplicemente, a optare per quell’inerzia che, alleata della viltà, rappresenta uno degli opposti della fortezza. Figlio sia dell’audacia incontenibile di Achille sia di quella meditata di Odisseo, il “coraggio della verità”, come lo chiamava Foucault, è anche l’essenza dell’impresa filosofica e del “dire-di-no” della critica, da Socrate a Bartleby, da Fichte a Marcuse: essere contro significa avere il coraggio dell’indocilità ragionata, della propria dissonanza rispetto all’esistente, ma anche della volontà di delineare diversamente la morfologia del reale in opposizione alle logiche conservative del potere e al comune pathos adattivo che accetta il mondo non perché sia buono o giusto in sé, ma perché, per inerzia, assume che non possa essere altro da quello che è”.
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Dall’intervista, per riprendere il tema accennato con Fabrizio, estraggo questa frase:
“Ecco, nel ‘68 il movimento è antiborghese, ma non anticapitalistico. Rivolgendosi contro la borghesia facilita l’avvento di un capitalismo senza borghesia. Anche perché la lotta contro l’autorità è tipica del capitalismo, che non vuole regole e regolatori. La merce si impone contro le autorità, in maniera totalitaria”.
Va premesso che non si tratta ovviamente di concetti assoluti, ma di processi e tendenze generali. Quello che voglio dire è che i processi di concentrazione delle imprese, di finanziarizzazione e contemporaneamente di globalizzazione dell’economia mondiale, hanno cambiato in profondità il concetto di classe, anche della borghesia. 1) Oggi il “proletariato” si trova sempre più spesso di fronte una grande azienda la proprietà della quale è distribuita fra più soggetti o gruppi intrecciati , a cui non sono estranei i grandi fondi comuni, e non è più identificabile con un capitalista. Non a caso le grandi famiglie della borghesia sono più o meno tutte tramontate. I grandi manager sono piuttosto “funzionari”, altissimi, ma pur sempre funzionari del capitale. In tal senso esso ha assunto una forma sempre più astratta e impersonale, e in tal senso la borghesia classica è cambiata. Ciò non significa accettazione passiva dello statu quo, ne che Marchionne è uguale al metalmeccanico. D’altra parte questo cambiamento corrisponde a quello del passaggio dell’economia da manifatturiera a finanziaria, ed anche al processo di astrazione delle merci. Insomma, in definitva, dal passaggio dalla formula MDM, merce/denaro/merce a quella DMD, denaro/merce/denaro, che già Marx aveva previsto (Grundrisse).
2) Come sbiadisce l’immagine classica della borghesia della manifattura anche sul piano dell’ideologia (perchè la B. al tempo delle merci “materiali” aveva pur sempre una sua specifica visione del mondo e sue idee guida, si pensi al calvinismo), così sbiadisce anche l’idea classica del proletariato industriale come classe liberatrice universale. Rispetto allo schema marxiano, se tutti (quasi tutti) sono diventati proletari, equivale ad affermare che non esiste più una classe specifica antagonista con una sua visione del mondo dettata dalla posizione specifica nei rapporti di produzione. Toni Negri parla ad esempio da una parte di Impero (Il Capitale), dall’altra di “moltitudini”, ma già Camatte e Debord avevano, ciascuno a loro modo, individuato queste tendenze. Mi chiedo però se le “moltitudini” indistinte possano essere il soggetto “rivoluzionario”. La mia risposta è no, perchè le moltitudini per loro stessa natura non riescono ad esprimere una visione del mondo precisa e antagonista, ma solo esprimere un disagio che prende le forme del ribellismo senza direzione precisa. E’ ciò che Baumann chiama lo “sciame”, gruppo eterogenei , mobili e casuali che si muovono repentinamente senza una direzione precisa, senza struttura nè gerarchia, come senza struttura e gerarchia interiore è il soggetto “liquido” che li compone. In tal senso sono facilissimamente manovrabili e manipolabili, perchè antriopologicamente indefini e indefinibili.
In fin dei conti lo dici anche tu quando scrivi che “il ’68 è prevalentemente stato un grande e profondo processo di rinnovamento dello stesso sistema capitalistico, che da borghese si trasforma in post borghese.”
Da quì l’incertezza che manifestavo rispetto a come e da dove “uscirne”. Se non tramite gli schemi classici, se non elevando a nuovo soggetto rivoluzionario le “moltitudini”, allora come?
Personalmente penso che qualche punto fermo esista. Occorre ripartire da un concetto. Se è vero, cosa di cui sono convintissimo,che la natura dell’essere umano è una e non modificabile se non in tempi non commisurabili in secoli o anche in millenni, questo è un concetto assolutamente incompatibile col Capitale la cui condizione necessaria di esistenza e di riproduzione allargata è quella di mutare l’antropologia umana. Come tenta di farlo, in diversi modi, è noto. Dico quindi che oggi, l’evoluzione del Capitalismo lo ha portato a scoprire il cuore del problema che è antropologico prima ancora che economico/sociale. E questo, secondo me, è il discrimine intorno al quale di dislocheranno anche le forze politiche e sociali oltre che gli individui. Anche se mi rendo conto di essere un po’ generico, di più non so dire, anche perchè non possiedo la verità rivelata o la palla di cristallo che mi permetta di indovinare il futuro. Ci sono processi sociali profondi che sfuggono alle previsioni e che necessitano di lunghe incubazioni per manifestarsi e diventare intelleggibili.
armando
armando(Quota) (Replica)
“Rispetto allo schema marxiano, se tutti (quasi tutti) sono diventati proletari, equivale ad affermare che non esiste più una classe specifica antagonista con una sua visione del mondo dettata dalla posizione specifica nei rapporti di produzione”. (Armando)
E’ proprio quel “quasi” o quel “quasi tutti”, che tu citi a margine, che invece fa la differenza. E sostanziale. Marchionne, e più di lui soprattutto la famiglia Agnelli (i cui interessi sparsi per il pianeta riguardano ormai solo marginalmente la Fiat), non sono affatto dei “proletari”, ovviamente. Non sono (forse) più neanche dei “borghesi”, nel senso tradizionale del termine, perché non esprimono più nessun valore né cultura che non sia l’accumulazione illimitata di plusvalore, ma restano dei capitalisti dominanti.
Il fatto che non esista più una borghesia tradizionalmente intesa (peraltro, ricordiamo che questa è una delle possibili interpretazioni, non c’è convergenza su questo concetto), cioè di una classe che oltre a detenere il potere economico e politico, è in grado di esprimere anche un sistema di valori (che comunque, dal mio punto di vista, serviva a giustificare il suo potere; poi si può ragionare sulla “coscienza infelice” hegeliana, ma ci siamo capiti…), non significa che non esista più una classe dominante. Esiste eccome. I marxisti tradizionali continuano a definirla come borghesia perché non ravvedono sostanziali ragioni per definirla altrimenti, probabilmente perché, rispetto ad altri, attribuiscono minor importanza all’aspetto culturale rispetto a quello economico. Punti di vista. La discussione è ovviamente aperta.
Il fatto poi, come tu dici, che il capitalismo si sia trasformato (passaggio dall’economia manifatturiera a quella finanziaria e non solo, troppe ce ne sono state di trasformazioni, ma anche qui il discorso sarebbe lunghissimo e mi fermo) non significa che le sue dinamiche interne ed esterne si siano modificate. Fra le altre cose (tante), proprio la guerra imperialista (oggi, come sempre, ideologicamente camuffata) , sbocco necessario delle sue crisi, sta lì a dimostrarlo.
E come esiste una classe dominante, esiste una classe dominata. Naturalmente anche questa ha vissuto e subito trasformazioni enormi, è evidente. Ma è altrettanto evidente che la sua condizione è quella di essere appunto una classe di subordinati (economicamente e politicamente, e oggi ancor più di ieri, anche culturalmente e psicologicamente).
Dunque, la discussione sul fatto se esistano ancora “borghesia”e “proletariato” (questa è una critica che ad esempio io rivolgo a Preve) rischia di diventare depistante. Perché lui stesso parla dell’esistenza di classi dominanti e di classi dominate (anche perché sarebbe impossibile affermare il contrario). Può essere improprio, per tutta una serie di ragioni che abbiamo peraltro sia pur in minima parte già spiegato, continuare a definirle con la vecchia terminologia. Però attenzione, perché sostenere (come fanno molti cantori a stipendio…) che non esistono più le vecchie classi sociali, cioè “borghesia” e “proletariato” (e intesi in senso tradizionale, è così) può essere depistante e soprattutto potrebbe indurre molti (sprovveduti) a pensare che non esistano più le classi sociali, che la dinamica del conflitto sociale (dialettica) è roba vecchia che non esiste più ecc. Naturalmente i ceti dominanti hanno tutto l’interesse a sostenere questa tesi. La realtà, naturalmente, li smentisce clamorosamente. Però non c’è dubbio che una intelligentissima e lucidissima operazione di condizionamento ideologico-culturale-mediatico-psicologico, è stata portata avanti in questi ultimi trenta’anni e in tanti ci sono cascati con tutte le scarpe…(anche qui, guarda caso, si parla di fine della Storia, del mercato come dimensione ontologica dell’umano ecc. ecc.).
D’altronde, una delle caratteristiche del neocapitalismo (chiamiamolo così, per capirci) dominante, come abbiamo sempre sottolineato, è proprio la sua capacità pervasiva a livello culturale psicologico. Una vera e propria industria del consenso che nessun sistema è mai stato in grado di mettere in campo fino ad oggi.
Relativamente al potenziale soggetto antagonista, partendo dalla premessa che il “proletariato” tradizionalmente inteso non esiste più e comunque è stato storicamente sconfitto, credo che oggi nessuno abbia le idee chiare in proposito, né tanto meno delle certezze. Dico subito che sono d’accordo con te nel non considerare le “moltitudini desideranti” di Negri, come il nuovo soggetto antagonista, così come non credo che il movimento (pur interessante e lodevole) favorevole alla decrescita (Latousche) possa da solo costituire l’architrave di un nuovo processo di trasformazione della realtà.
Personalmente avanzo da qualche tempo un’ipotesi. L’attuale società capitalistica, a differenza di quella passata (non parliamo della futura), proprio per la sua complessità e per il suo sempre più alto livello di sviluppo tecnologico, avrà necessità di manodopera sempre più qualificata, cioè di una classe sociale che (a differenza del “proletariato” che era totalmente sprovvisto di conoscenza e completamente espropriato del sapere, di fatto una mera appendice della macchina), è in grado di padroneggiare gli strumenti della produzione, è provvista di sapere e di conoscenza ma, nello stesso tempo, si trova a subire a rapporti di produzione capitalistici, che la collocano in una condizione di oggettiva subordinazione e sfruttamento.
Un gruppo sociale siffatto (e in effetti già se ne intravede la formazione), oggettivamente interessato a trasformare la realtà (quindi non per ragioni ideologiche o per coscienza infelice…), potrebbe essere in grado di fungere anche da elemento trainante per le masse dei diseredati del mondo, cioè per quelle moltitudini precarie e migranti di cui parla anche Negri.
Ma, naturalmente, questa è solo un’ipotesi. Di certo (e non è poco) sappiamo che la Dialettica non si ferma, proprio come la Storia.
P.S. può sembrare,ad un primo sguardo, che sia io che Armando siamo andati O.T.
Ma in realtà così non è, perché anche la relazione fra i sessi è completamente interna a queste dinamiche. Decisi di scrivere quell’articolo sul ’68 non certo a caso, ma perché il femminismo vien giustamente individuato con l’esplodere del ’68 e allora era ed è necessario dare la corretta interpretazione di ciò che è stato quel fenomeno, al di là delle apparenze e delle vulgate correnti. Ricordo però quell’articolo è incompiuto e mi resta da scrivere la seconda parte che non avevo più scritto. Mi ripropongo di farlo prossimamente, tempi e spazi permettendo.
E’ per questo che prego sempre tutti di evitare inutili polemiche o avvitamenti di vario genere. Perché poi alla fine si finisce sempre per replicare (è nella nostra natura) e si disperdono tempo ed energie preziose, che debbono, per quanto mi riguarda, essere dedicate allo studio e alla lettura. Altrimenti, cari amici miei, sprovvisti di conoscenza, non si va da nessuna parte.
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
In attesa della seconda parte del tuo articolo, ti offro un paio di spunti di riflessione a partire da questo tuo passaggio: “L’attuale società capitalistica, a differenza di quella passata (non parliamo della futura), proprio per la sua complessità e per il suo sempre più alto livello di sviluppo tecnologico, avrà necessità di manodopera sempre più qualificata, cioè di una classe sociale che (a differenza del “proletariato” che era totalmente sprovvisto di conoscenza e completamente espropriato del sapere, di fatto una mera appendice della macchina), è in grado di padroneggiare gli strumenti della produzione, è provvista di sapere e di conoscenza ma, nello stesso tempo, si trova a subire a rapporti di produzione capitalistici, che la collocano in una condizione di oggettiva subordinazione e sfruttamento.”
Parto dall’osservazione sul proletariato classico sprovvisto di conoscenza ed espropriato. Sei sicuro che fosse davvero così? Il proletariato era ovviamente espropriato dei mezzi di produzione (altrimenti non sarebbe stato il proletariato), tuttavia esprimeva una sua cultura (o sub cultura rispetto a quella dominante), una sua visione del mondo antagonista che gli derivava dalle conoscenze che allora il lavoro in fabbrica gli offriva. Sai bene che le prime leghe operaie si formarono fra gli operai specializzati (specie fra i ferrovieri e i metallurgici).
Era in grado di costituire una alternativa perchè si sentiva alternativo alla borghesia non solo sul e per il lavoro, ma anche nel resto della vita, là dove la concezione della famiglia, ad esempio, era diversa ed alternativa a quella borghese nella quale la cos+ detta emancipazione femminile (i prodromi del femminismo) era già un orizzonte possibile. Oppure sul piano degli stili di vita, quando gli status simbol erano fuori dall’orizzonte operaio. Ti voglio raccontare a questo proposito una storia vera. Un mio parente di Pistoia, ex operaio meccanico in una concessionaria Fiat, comunista fin da bambino, tramite grandi sacrifici, con un duro lavoro e con l’aiuto della moglie (non sul lavoro ma per il resto), mise su una sua officinetta di riparazione auto. Col tempo e per la sua probità e onestà, gli affari sono fioriti e ha raggiunto un buon benessere. Il figlio, molto bravo sul lavoro e ottima persona, entrò anni addietro in società col padre, e poichè i soldini non gli mancavano si mise in testa di comprarsi una Ferrari. Niente di immorale, ovviamente, perchè quei denari erano guadagnati onestamente e sudati. Il padre gli disse “No, fino a che ci sarò io, la Ferrari non la compri, perchè non è una macchina da “operai”. Frase lapidaria e bellissima che mi è sempre rimasta dentro anche a decenni, oramai, di distanza. Perchè rimarcava che per uscire dall’orizzonte mercificante di questa società occorre avere una concezione del mondo e della vita alternativa, occorre non avere introiettato i “comandi” del capitale, che uno sia proletario o meno, e ciò non significa essere contro l’iniziativa privata o per il pauperismo. Per questo, secondo me, come dicevo, è forse più questione antropologica che non economica. E vengo al secondo spunto di riflessione. Non sono così certo che il progresso tecnologico implichi conoscenze complessivamente maggiori di prima. La crescente specializzazione a tutti i livelli, nelle scienze come nelle produzioni di merci più semplici, implica si conoscenze settoriali altamente sofisticate, ma a discapito del senso e del significato complessivo di quello che si va facendo, senza contare il fatto che la macchina, lavoro morto, si sostituisce in quote crescenti al lavoro vivo, fino a ridurre sempre più il lavoro a “controllo” e “sorveglianza”. A me pare cioè che ci sia una crescente polarizzazione verso “l’alto” di saperi e di culture materiali un tempo diffuse. Naturalmente in una scala piramidale di importanza gerarchica, dagli altissimi vertici (quei funzionari del capitale di cui dicevo) in grado di “sapere” (e non per caso si richiede per quelle funzioni una cultura umanistica in misura almeno pari a quella tecnica), giù giù fino alla base sempre più specializzata su un piccolo segmento di cui però non conosce lo scopo. Se questo è vero, non credo sia una situazione materiale dalla quale possano scaturire forme di coscienza alternative.
Ma c’è un altro e fondamentale elemento che conosci benissimo. Dal dominio formale del Capitale si è passati al dominio reale, nel senso che ogni momento della vita, anche il tempo una volta “libero”, è ora entrato a far parte del circuito di riproduzione allargata. Questo è un fattore importantissimo, perché perché significa che il Capitale ha afferrato ogni momento della vita degli uomini, ed ora, con le biotecnologie e l’ingegneria genetica, ha afferrato la vita stessa alle sue origini. In parole povere la fecondazione aritificiale, la crioconservazione delle cellule staminali etc, non sono affatto possibilità di libertà vera per le persone, ma l’immisione della vita nel circuito del capitale. Da qui la terribile illusione ottica, che colpì anche noi quarant’anni orsono, che quelle libertà che volevamo, fossero effettive conquiste culturali. Faccio solo il banalissimo, e forse neanche pienamente calzante, esempio degli “espropri proletari” che, oltre le pompose affermazioni rivoluzionarie, altro non erano che comportamenti mimetici, il desiderare ciò che desideravano i modelli “invidiati”. Ora, non solo tutto ciò non può generare, naturalmente a mio parere, nessuna forma di coscienza di “classe”, ma arriva a modificare la classe stessa in profondità più di quanto non si pensi. Mi capita spesso, guardandomi in giro, di ripensare alle parole di Pasolini sulla trasformazione fisognomica delle persone. Un tempo, sosteneva, un borghese alto, un piccolo borghese, un operaio, un contadino o un sottoproletario, si riconoscevano immediatamente. Per l’atteggiamento, per il modo di vestire e di gestirsi, ma anche per la fisionomia dei corpi. Non era un fatto meramente estetico, sosteneva, ma significava che ciascun gruppo sociale era portatore di una propria cultura o sub cultura (quella delle classi subalterne) distinte ed alternative quando non opposte e inconciliabili. Il passaggio dal dominio formale a quello reale del capitale ha appiattito e omologato tutti in un generico indistinto, che naturalmente non cancella le differenze sostanziali, ma le cela, le nasconde così profondamente alla percezione, che la posizione oggettiva nell’ambito dei rapporti di produzione sbiadisce di importanza. Con ciò non voglio dire che era meglio la povertà di prima, ma solo constatare che quella povertà materiale è stata superata pagando l’altissimo prezzo della rinuncia ad una vera alternativa in nome di una democratizzazione apparente. E che forse, oltre le illusioni rivoluzionarie, c’erano altre strade. Ora, se siffatte moltitudini “piccolimborghesite” non possono costituire nessuna reale possibilità di mutamento, tantomeno mi sembra possano esserlo i “tecnici”, che saranno si portatori di maggiori conoscenze (coi limiti che dicevo sopra), ma la cui aspirazione massima mi sembra sia solo quella di illudersi di potersi sostituire loro ai grandi funzionari del Capitale (o ai capitalisti, se ti piace di più).
Per questo credo che la stagione del 68 andrebbe rivisitata davvero in profondità nel suo significato, e che gli antichi armamentari concettuali fondati sulle categorie economico/sociali non siano più in grado di innescare il cambiamento, che per me o risale ormai all’antropologia o non è.
Scusa la lunghezza, ma la sintesi non è un mio dono.
armando
armando(Quota) (Replica)
Articolo scritto da un sessantottino.
Praticamente non ce n’è uno che non ripeta come un mantra le solite baggianate.
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http://27esimaora.corriere.it/articolo/a-volte-le-donne-diventano-maschicide/
A volte le donne diventano maschicide
di Gian Carlo Marchesini
Tags: donne, femminicidio, figli, maschicidio, violenza donne
Le donne, consapevoli che ne siano o meno, si direbbero avere nella vita un mandato: partorire, per riscattarsi dall’essere nate femmine, uno o più figli maschi, per poi sottometterli e definitivamente imprigionarli, e a volte, se qualcuno non accetta e si ribella, al limite perfino sopprimerlo. Non è detto che la forma dell’uccisione sia quella estrema e definitiva: un maschio si può anche uccidere assoggettandolo, depotenziandolo, intellettualmente e moralmente castrandolo, avviluppandolo in una rete di ricatti e sensi di colpa che lo rendono obbediente e sottomesso.
Le donne, che nascono come ogni essere umano potenzialmente libere, hanno da sempre corso il rischio, e ancora oggi lo corrono, di diventare così malamente figlie, sorelle, spose e mamme da trasformarsi a volte in maschicide. E sicuramente non perché nascano malvage: semplicemente restituiscono, elaborato e incattivito dalla sofferenza, quello che hanno ricevuto.
Storicamente e culturalmente, la loro esistenza ha avuto senso solo in quanto fattrici e nutrici, infermiere e badanti, serve e schiave? E allora il genere maschile, che le ha sistematicamente vessate, impedite, condizionate, avrà, sotto forma di quotidiana, affettuosissima, vendicativa asfissia, quello che anche loro hanno dovuto per un così lungo tempo subire.
Senza emancipazione dalla famiglia come destino, e dalla casa come prigione, senza possibilità di diventare persone libere anche attraverso una esperienza professionale, le donne trasformano la loro condizione infelice di intrappolate in sapienza nell’inoculare amorevolmente ai figli maschi, al marito, la contropartita di un vincolo di dipendenza. D’altra parte, perché da una famiglia in cui la parte femminile è stata permanentemente costretta e sacrificata, i maschi dovrebbero uscire integri e liberi?
Quando le donne non saranno più sottomesse alle attese, ai ricatti, alle minacce, al potere di un uomo fratello/figlio/marito/padre, ma libere e orgogliosamente padrone di sé, allora non ci sarà più in ambito famigliare né femminicidio né un corrispondente maschicidio.
Non ci saranno più uomini e donne complici e vittime nella coazione al reciproco massacro, sia esso cruento, sia meno esplicitamente violento, ma a volte anche più odioso, crudele e sofisticato.Intanto, e per ora, l’eredità prevalente, ambivalente e dura di questi millenni di storia ha così permeato nelle famiglie la condizione di donne e uomini, che la si considera in larga misura come normalità, al punto da sentirne penosamente la mancanza quando essa improvvisamente cessa.
E infatti, in assenza della conquista di una condizione libera, non appena i figli se ne vanno, e laddove manchi un terreno alternativo su cui definirsi ed essere socialmente attive e riconosciute, le donne vanno spesso in depressione cronica.
Forse all’origine della strada che porta al massacro del femminicidio/maschicidio, qualsiasi sia la forma esplicita o sotterranea che esso assume, c’è anche un tragico equivoco: quello di chi ritiene che il voler bene a qualcuno, espresso come un forte attaccamento affettivo, giustifichi sempre e comunque il proprio comportamento. Quando il più delle volte il volere il suo bene consiste proprio nel mettere fine a quelli che sono comportamenti di egoistica rassicurazione, non certo di comune crescita.
Insomma, il voler bene a qualcuno/a ha un suo senso sano e positivo se è di aiuto a una sua nuova e più ricca nascita, non nell’accarezzarlo affettuosamente perché e purché rimanga cucciolo scodinzolante alla catena. Laddove a volte succede che in luogo di esultare perché il cucciolo si libera, ci si precipita a punirlo, al punto anche da ammazzarlo, perché ha osato ribellarsi a un dispotico, ovviamente affettuosissimo, arbitrio.
Poi, ad arricchire e complicare ulteriormente tra maschio e femmina il set delle relazioni, c’è l’invidia reciproca e la gara tra primato e supremazia del pene e potenza generatrice della vagina. Come dire che l’agire libero e positivamente integrato tra uomo e donna è uno dei miracoli del creato. Quando felicemente funziona: altrimenti si trasforma e degenera in un campo di battaglia.
E poi dice – tra deliri di onnipotenza e depressioni, e contese di poteri che sembrano derive e scontro tra continenti – che è cosa tutto sommato semplice la cura e la manutenzione degli affetti famigliari!
Marco(Quota) (Replica)
Solita paccottaglia, in cui i maschi occupano il solito posto di privilegiati e “padroni”. Ma de che?
armando
armando(Quota) (Replica)
sui “privilegi” mi ha mandato un bel post “caparexa” sul mio blog (visto che è un blog pubblico e i commenti sono visibili,non credo che ci siano problemi se lo posto qui)
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Io sono una persona calma e che non si arrabbia quasi mai. Ed ora sono arrabbiato. Molto arrabbiato. Infuriato. Quando mai abbiamo smentito che esista la violenza maschile e le donne picchiate? Mai. L’avremmo ripetuto millemila volte, ma queste dementi hanno le orecchie otturate da ideologia, sessismo e stupidità. Vogliamo solo far venire alla luce che esiste anche l’altro lato della medaglia, ed è questo che non sopportano queste vigliacche. Anche le donne fanno violenza sugli uomini. In famiglia, mia madre ha sempre alzato le mani su mio padre, ma mai viceversa. Lui fa finta di niente. Non gliene frega un CAZZO a nessuno degli uomini (poveri ovviamente). Che cacchio significa che ricaviamo privilegi dagli stupri e dalle violenze??? Che è, quando una donna vien stuprata danno un assegno a tutti gli uomini?! Mi fate schifo! E scusa, se siamo antifemministi non è perchè ci opponiamo alla parità, anzi, siamo contro il femminismo proprio per questo! Uh… femminismo società giusta e ugualitaria, certo… come mia nonna sa volare con dei razzi sui piedi che le sono spuntati dapo aver bevuto benzina. Parità femminista= discriminazioni positive, calunnia, criminalizzazione degli uomini, fare differenza tra buoni e cattivi, vittime di serie A e B, sbattersene altamente delle problematiche maschili e lasciando gli uomini poveri sotto i ponti o a sgobbare come somari. Che volete farci… è la parità!
Non credo esista una parola talmente offensiva per descrivere queste femministe sulla Terra…
Ma dai, noi uomini (pardon, maschietti, visto che hanno mandato a friggere ogni forma di rispetto) siamo sostenuti da una società maschilista e patriarcale, che ci culla e ci protegge! Talmente tanto maschilista che gli uomini crepano nel fare lavori di merda, si suicidano per la disperazione a causa delle minacce della ex moglie (che legislativamente ottiene casa e figli, a sancire quanto i maschietti siano privilegiati a finire sotto i ponti, in cerca di nuove avventure!), che permette loro di essere insultati e picchiati da donne e di essere poi derisi, con i media che pestano quotidianamente la sua dignità, bollandolo come stupido, debole, violento ed inferiore. Mio padre torna a casa dalla zincheria ustionato dallo zinco liquido, dopo 36 anni di lavoro (già detto: è andato a lavorare a 14 anni perchè non aveva soldi per continuare gli studi. No, perchè a sentire dalle femministe pare che le donne fossero segregate in casa nell’ignoranza e gli uomini a fare i professoroni tutti laureati!), 10 ore al giorno, con i fumi della fabbrica che gli hanno fatto sviluppare varie malattie respiratorie (tra cui una poliposi nasale e l’asma cronica), e ci va anche quando ha 39 di febbre, tutto per dare da mangiare a sua moglie e ai suoi figli( e come lui tanti altri. Addirittura alcuni suooi colleghi stranieri hanno moglie e figli in patria. Lavorano come somari in zincheria e inviano parte del loro stipendio alla famiglia. Uno di questi uomini, detto da mio padre che è andato a trovarlo, abita in una casetta, e visto che i soldi scarseggiano in inverno non accende il riscaldamento. E senza una moglie che gli fa compagnia o cucina per lui.Bella la vita del maschio privilegiato, eh?). Sua moglie poi ogni tanto gli tira qualche ceffone, ma mai viceversa. Ah, quant’è privilegiato!
Quando le femministe mi parlano di “privilegi maschili”, “oppressione maschilista” etc. e penso a mio padre, oltre a tutti quelli come lui, mi incazzo tantissimo. Mi verrebbe voglia di prenderle a pedate nel culo fino a farle diventare informi masse di demenza (cit. Sam). Voglio che una femminista vada di fronte ad un operaio, un muratore, un minatore a dirgli che è un privilegiato oppressore, se ne ha le palle. Come minimo il lavoratore sputerebbe loro in un occhio, ad esser buoni. E queste qui hanno pure la faccia tosta di dirsi di sinistra… se la sinistra è così siam nella merda. Ste femministe mi fanno infuriare in un modo…
P.S: quella delle “donne uccise in quanto donne” è una cagata pazzesca. Se veramente gli uomini uccidessero femmine perchè tali che senso avrebbe stabilire rapporti? Basterebbe picchiare donne a caso per strada così, cosa che non avviene. Solo in seguito a rotture o cose del genere, dunque l’ipotesi delle donne uccise per misoginia è demente. Ma le femministe preferiscono l’ideologia a cose come la logica e il buon senso… meglio calunniare e sparare stronzate!!!!
Quoto jan. In momenti come questi mi verrebbe voglia di prendere a mazzate ogni femminista misandrica. Naturalmente non lo farò, è solo per esprimere la rabbia.
Si vergognino, ed abbiano umiltà per una volta (“vergogna” ed “umiltà” non credo siano nel dizionario femminista…).
Sfogo lungo ma dovuto… scusate per eventuali vocaboli poco “carini”, ma non sono riuscito a trattenermi. Vado a calmarmi un po’…
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mauro recher(Quota) (Replica)
atroce, l’articolo su 27 ora. Inutile intervenire, è regalargli tempo e energie. Rottamare.
diait(Quota) (Replica)
Intervista a Nicola Lagioia: “A Monti dico, noi precari abbiamo salvato l’Italia”
Forse non molto attinente, ma disseminata di considerazioni, a mio parere vere, tipo:
“siamo una generazione orfana, senza padri, esattamente il contrario di quello che è successo nel ’68. All’epoca c’era uno scontro tra “padri” e “figli”, ma se un “padre” scappa, si sottrae alla possibilità di dialogo, si sottrae anche alla possibilità di conflitto. ”
“Noi abbiamo vissuto gli ultimi 15 anni come un figlio che vive con due genitori alcolizzati cercando di evitare che la casa vada a fuoco: tiene i conti a posto, paga le bollette, nonostante il patrimonio sia in mano a due alcolizzati.”
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
da leggere assolutamente fino alla fine. Si può condividere del tutto, in parte o per nulla (la vedo veramente dura non condividerlo in nulla…) ma è da leggere e con attenzione.
http://www.comunismoecomunita.org/?p=4379
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Ritengo che il capitalismo edonistico e la borghesia che voleva vivere nel lusso ci siano sempre stati. Non credo che prima uno facesse i soldi per la collettività. E i valori religiosi e della famiglia erano propri di un’altra destra, quella fascista che in campo economico non è per il laissez faire. Nel proletariato non vedo quando c’è stata questa esigenza di superare la famiglia o la coppia monogamica. Nel 68, come è citato nell’articolo, ci sono state diverse istanze di cambiamento, anche radical anarchiche più che marxiste vere e proprie, ma per ricordare il partito comunista italiano non ha preeso subito posizione per introdurre il divorzio attraverso il referendum.
marcello(Quota) (Replica)
marcello,
“Ritengo che il capitalismo edonistico e la borghesia che voleva vivere nel lusso ci siano sempre stati. Non credo che prima uno facesse i soldi per la collettività”. (Marcello)
Sono d’accordo, Marcello. Sia l’articolo di Preve che in modo infinitamente più modesto il mio, vogliono infatti sottolineare come il ’68, quanto meno a posteriori, sia stato in ultima analisi un processo di rinnovamento, diciamo così, del capitalismo, che da borghese diventa post-borghese, nel senso che si libera del vecchio sistema valoriale borghese (il vecchio Dio, patria e famiglia) per assumere il nuovo (femminismo, genderismo, famiglia gay o lesbica, teoria dei diritti da esportare, eugenetismo, celebrazione della tecnica, laicismo ecc.).
Questo non significa che prima, cioè nella società borghese e capitalistica la corsa all’accumulazione di denaro e di ricchezze fosse fatta per la collettività o a scopi filantropici (e anche nelle società precedenti a quella borghese). Significa solo dire che il sistema ideologico di quelle società era un altro; di conseguenza anche la “falsa coscienza necessaria” era un’altra. Il problema, dal mio punto di vista, sarebbe quello di far sì che i “valori” su cui comunque una qualsiasi società civile deve fondarsi, non rappresentino una “falsa coscienza”, ma siano appunto dei valori reali e riconosciuti intersoggettivamente e non una costruzione del dominio sociale, cioè dei gruppi sociali dominanti, che li spacciano come valori di tutti e per tutti e li utilizzano come strumento per mantenere in condizioni di subordinazione i gruppi sociali dominati. Se ci pensi, oggi sta accadendo esattamente la stessa cosa che accadeva ieri. Es. fino a settant’anni fa si mandava la gente a farsi macellare in guerra spiegandogli che era necessario per la difesa della patria, oggi si spiega alla cosiddetta “opinione pubblica” che si va a bombardare a diecimila km. per portare diritti umani e togliere il burqa alle donne. Come vediamo nella sostanza non cambia nulla ma cambia appunto l’argomentazione ideologica (appunto la falsa coscienza).
“E i valori religiosi e della famiglia erano propri di un’altra destra, quella fascista…” (Marcello)
Qui sono meno d’accordo o d’accordo solo in parte. Non si può dire (perché non è vero) che i valori religiosi e della famiglia fossero patrimonio solo della destra fascista. Anzi, il fascismo (come il nazismo) dal punto di vista ideologico è fondamentalmente anticristiano, poi che nelle sue determinazioni storiche (che poi sono quelle che alla fin fine contano…) si sia sempre declinato come difensore strenuo della Chiesa cattolica è un altro discorso e sono d’accordo con te, basti pensare al franchismo in Spagna o alle dittature fasciste latinoamericane.
“Nel 68, come è citato nell’articolo, ci sono state diverse istanze di cambiamento, anche radical anarchiche più che marxiste vere e proprie. (Marcello)
Vero. Il che, voglio dirlo, non significa affatto che quelle istanze di cambiamento fossero sbagliate o tutte sbagliate, sia chiaro. Significa che di fatto quelle stesse istanze, una volta “depurate” e “rielaborate” nel tempo e riproposte in altra veste dal capitale che le ha piegate pro domo sua , sono finite per diventare un arma ideologica fondamentale, appunto la nuova falsa coscienza, molto più funzionale della prima.
Es. la cosiddetta liberazione della sessualità portata avanti dal ’68 è stata (anche se chi la sosteneva non ne era consapevole; diciamo che i suoi sostenitori erano inconsapevolmente agiti dal capitale…) il viatico per quella che poi diventerà la mercificazione totale della sessualità. Ma per arrivare a questo era necessario demolire la vecchia concezione “cattolico borghese” della sessualità che la vedeva ingabbiata entro un determinato sistema di precetti e regole “morali”. Ecco, dunque, che i “sessantottini”, inconsapevolmente, sono stati il piede di porco con cui demolire quel vecchio sistema valoriale che è stato sostituito con un altro. Non ovviamente quello sognato dai sessantottini stessi ma quello appunto della mercificazione assoluta, concettuale e ideologica prima ancora che pratica, della sessualità. La sessualità, una volta “liberata (le virgolette sono d’obbligo in questo caso) è stata mercificata. O meglio, lo spazio lasciato vuoto dalla crisi di quel vecchio apparato valoriale è stato occupato dal capitale, diventato appunto assoluto proprio perchè ha necessità di occupare ogni spazio umano, ivi compresa, anzi io direi soprattutto compresa la sessualità.
“…ma per ricordare il partito comunista italiano non ha preso subito posizione per introdurre il divorzio attraverso il referendum” (Marcello)
Vero anche questo. Il PCI, che era una grande partito popolare di massa, ben radicato nella società e nel paese, che da tempo aveva avviato un confronto con il mondo cattolico, visse con notevole mal di pancia la questione del divorzio perché temeva di andare a toccare temi che avrebbero potuto provocare una lacerazione nella sua stessa base sociale. Poi alla fine ovviamente scelse di aderire alla battaglia per il divorzio anche se lo fece più per ragioni politiche piuttosto che per la questione in se.
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Segnalo questa breve riflessione del filosofo marxista (purtroppo scomparso lo scorso anno), Stefano Garroni, sul ’68 che ho pubblicato sull’Interferenza.
Lo scritto è del 2011. Come potete vedere contiene degli elementi di sicuro interesse:
http://www.linterferenza.info/editoriali/3024/
Colgo l’occasione per augurare un Buon Natale a tutti voi e alle vostre famiglie.
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)