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Tre premesse a tutti noi note:
A) La speranza di vita è un indice fondamentale.
Enti statistici nazionali e internazionali, studi demografici e testi di settore lo adoperano per descrivere e misurare differenze socio-economiche tra gruppi di individui, minoranze etniche, nazioni o popolazioni nelle diverse epoche storiche. Fa parte, assieme all’alfabetizzazione, dell’Indice di sviluppo umano (HDI-Human Development Index) dell’ONU. Una vita più lunga è indice di una migliore qualità di vita, di una condizione di privilegio e benessere.
B) Nel mondo gli uomini muoiono prima delle donne.
Le donne vivono circa 7 anni più degli uomini nei paesi sviluppati, oltre 3 anni nei paesi in via di sviluppo e circa 2 anni nei paesi più poveri.
C) Gli uomini muoiono prima perché le donne possiedono un vantaggio biologico.
Enti e istituzioni nazionali e internazionali non spiegano la premorienza maschile attraverso le differenze socio-economiche, la attribuiscono ad altre cause. La causa principale e più importante, sostenuta esplicitamente da enti e istituzioni e insegnato nelle scuole, è l’esistenza di un vantaggio biologico femminile. Il Global Gender Gap Index del World Economic Forum fissa l’indice della speranza di vita per la perfetta parità tra uomini e donne in 1,06 a favore delle donne, invece che in 1.
Queste tre premesse appena enunciate sono di dominio pubblico e note a tutti noi. In seguito elencherò molto sommariamente sei obiezioni fondate che respingono il presunto vantaggio biologico femminile. Le obiezioni sono tratte dal capitolo La speranza di vita, del secondo volume “La grande menzogna del femminismo” (per le fonti, i dati o per chi vuole ulteriormente approfondire rimando alla lettura del libro “La grande menzogna del femminismo”, II Volume, pp. 807-827). https://www.persianieditore.com/lingannevole-realta-del-femminismo/
PRIMO: la Storia.
Prima del XX secolo non è mai esistito un vantaggio biologico femminile. Al contrario, in ogni epoca gli uomini si sono dimostrati sempre più longevi delle donne. Gli storici di genere hanno giustificato la premorienza femminile con l’alto tasso di mortalità nelle gravidenze e nei parti, ma questa spiegazione non riesce ad essere onni-esplicativa: la mortalità femminile era superiore anche durante l’infanzia e l’adolescenza, in periodi inferiori a nove mesi durante gli insediamenti in nuovi territori, o durante le epidemie. Per quanto assurdo possa sembrare, fino al XX secolo il mondo accademico sosteneva esplicitamente il contrario di quello che sostiene oggi, cioè che esisteva un vantaggio biologico maschile.
SECONDO: la discontinuità geografica
A seconda del paese o della zona il gap di speranza di vita s’allunga o s’accorcia. Ci sono addirittura dei paesi (pochi) dove gli uomini vivono più a lungo. Secondo l’ONU la premorienza femminile in quei paesi o zone, o dove esiste una speranza di vita della donna solo di poco più lunga a quella dell’uomo, è dovuta alla discriminazione che subiscono le donne. Ipotizzato come “naturale” vantaggio biologico femminile i circa 5 anni di vita in più a favore delle donne dei paesi nordici europei, che sono ai primi posti nelle classifiche per la parità di genere in tutti gli studi internazionali, se nel Niger il gap a favore degli uomini è di 2 anni, la differenza di 7 anni in meno a danno delle donne del Niger rispetto al loro “naturale” vantaggio biologico sarebbe causata da differenze socio-economiche a danno delle donne. Il problema si pone lì dove il gap a favore delle donne è molto più ampio di quello dei paesi nordici, e qui l’ONU tace. Se in Russia il gap a favore delle donne è di 13 anni e nei paesi nordici è di “solo” 5 anni, l’ipotetica differenza di 8 anni in meno che vivono gli uomini russi dovrebbe essere attribuito alle differenze socio-economiche a danno degli uomini, cosa inconcepibile secondo l’ONU: la condizione maschile è sempre e ovunque migliore di quella femminile.
In conclusione, l’unico modo di conciliare l’idea dell’universale discriminazione della donna e dell’esistenza di un vantaggio biologico femminile è quello di fissare questo “naturale” vantaggio biologico nel suo divario più ampio nel mondo. Seguendo questa logica, l’attuale primato del gap tra uomini e donne in Russia, 13 anni circa, fissarebbe per il mondo intero questo “naturale” vantaggio, e
renderebbe la condizione delle donne svedesi e norvegesi, che devono recuperare 8 anni del questo “naturale” vantaggio rispetto ai loro uomini, molto più grave della condizione delle donne russe (!?).
TERZO: l’evoluzione dello scarto.
Nel mondo occidentale lo scarto nella speranza di vita tra uomini e donne è cresciuto progressivamente dall’inizio del XX secolo fino alla fine degli anni ’70 – inizi anni ’80, momento nel quale si è raggiunto il gap massimo, che coincideva pressapoco con la seconda ondata femminista degli anni ’70. Dopodiché il trend si è invertito. Da allora entrambe le speranze tendono a convergere e questo non è dovuto a un aumento della mortalità femminile ma a una riduzione più pronunciata di quella maschile. Attualmente gli uomini occidentali sono riusciti a “recuperare” due/tre anni di questo gap e non l’hanno fatto a spese della speranza di vita delle donne: necessariamente questa differenza doveva essere dovuta a cause socio-economiche, non a cause biologiche. Due riflessioni: 1) quando le donne stavano meglio e quando denunciavano che stavano peggio (seconda ondata femminista); 2) dagli anni ’80, malgrado le innumerevoli campagne internazionali a favore delle donne, sono stati gli uomini a dover colmare un divario socio-economico a loro svantaggio.
QUARTO: la differenza dello scarto a seconda dell’età
Il vantaggio biologico è una costante, sia tra i sessi che tra specie diverse. Ad esempio, se il vantaggio biologico dell’essere umano sul cane è di 70 anni, questo vantaggio si manterrà stabile dalla nascita fino alla morte del cane. Tra uomini e donne questo vantaggio tende invece a dissolversi fino a quasi scomparire. Alla nascita lo scarto è di 6 anni, ai 65 anni è di 4,5 anni, ai 75 anni è di 2,7, ai 85 è di 1,3,… Inoltre, individui al di sopra della media tendono ad aumentare il vantaggio in maniera percentuale. Ad esempio, tra un cane e un uomo particolarmente longevi (10% in più di vita), quando il cane ha vissuto 11 anni (10 anni di media + 1 anno 10%) l’uomo ha vissuto 88 anni (80 anni di media + 8 anni 10%); la differenza non è più 70 anni ma 77. Tra uomini e donne longevi succede il contrario. Tutto ciò sta a indicare che lo scarto alla nascita tra uomini e donne è principalmente dovuto a cause socio-economiche, la parte attribuibile al vantaggio biologico, semmai esiste, è minima.
QUINTO: la differenza dello scarto secondo la classe sociale
Nel mondo occidentale i gap tra i sessi aumentano e diminuiscono secondo le classi sociali. Più poveri più aumenta la premorienza maschile, più benestanti più il gap tra uomini e donne diminuisce fino a scomparire nelle classi più ricche. Ad esempio, nella zona più ricca del Regno Unito, a Londra, gli uomini vivono 5 anni in più delle donne, mentre nella zona più povera, a Calton, gli uomini muoino 20 anni prima delle donne. Tutti gli studi realizzati (Canada, USA, Nuova Zelanda, Scozia,…) mostrano dati simili e provano in maniera inequivocabile l’assoluta prevalenza delle cause socio-economiche.
SESTO: lo scarto in vite analoghe.
I ceti benestanti sono i ceti che riproducono in maggior misura condizioni di vita analoghe. In questi ceti il gap tra uomini e donne tende a scomparire. Anche la vita monacale è sottoposta a condizioni identiche, è simili pure è risultata la durata della vita di monaci e monache, a seguito di uno studio che metteva in confronto i loro atti di defunzione.
CONCLUSIONE. Le sei obiezioni sopra elencate confutano la tesi dell’esistenza di un vantaggio biologico femminile; al contrario, certificano il ruolo primario che le cause socio-economiche svolgono nella premorienza maschile, ciò che smentisce inoppugnabilmente la visione “ufficiale” dominante, vigente da mezzo secolo, che sancisce la tutela della condizione sociale della donna e l’indifferenza per la condizione sociale dell’uomo, e ci mette ineludibilmente di fronte a due alternative:
– o siamo di fronte a un tragico sbaglio di enti e istituzioni nazionali e internazionali, che per mezzo secolo hanno concesso all’indice della speranza di vita un’importanza, validità e attendibilità che non possedeva (ciò costringerebbe a riscrivere libri, studi e risoluzioni, a riformulare molte politiche sociali e a riassegnare correttamente fondi e sovvenzioni assegnati erroneamente nell’ultimo mezzo secolo circa);
– o siamo di fronte alla più imponente campagna di manipolazione a livello nazionale e internazionale durata oltre mezzo secolo, un’enorme e universale bufala che ha sancito la tutela della donna come soggetto sociale debole quando l’indice della speranza di vita individuava inoppugnabilmente l’uomo come il vero soggetto sociale debole da tutelare.
6 Commenti
Andando per buon senso, nella mia opinabilissima opinione, può essere che a un vantaggio biologico femminile ne derivi un vantaggio sociale e quindi economico. Sono come delle concause, o delle conseguenze del maggior vabtaggio biologico. Paradossalmente la specie tende a proteggere il genere più “importante”, in quanto dà vita ad altro essere garantendo la perpetuazione della specie. In effetti in una società realmente evoluta e civilizzata si dovrebbe rimediare a questo gap attraverso interventi atti a difendere il “sesso debole” maschile. Ci ammaliamo di più, abbiamo maggiori sofferenze e minore tollerabilità del dolore, e la situazione sociale aggrava gravemente una situazione già di per sè più difficoltosa per l’uomo. Sembra che siamo portati istintivamente a difendere la donna in quanto tale, come retaggio istintivo, ma ciò in una società comunitaria fortemente squilibrata e altamente fallace sarebbe un boomerang che finisce per annientarci, appunto perché nell’imperfezione di una stagione evolutiva ancora in atto e lungi dall’essere conclusa nel suo stadio perfettibile, mesciamo eredità istintuali nell’atto del contesto sociale che invece ne prevederebbe la sua rimozione. Così, come da un lato il costituirsi delle società reprime e deprime sentimenti e sessualità soprattutto nel maschio, dall’altro ci spinge a perpetrare gli aspetti ormai inutili e semmai dannosi dei residui dell’istinto, quale la protezione del matriarcato di fatto, la presunta debolezza femminile filtrata solo dagli occhi, nella ingenua considerazione che attraverso la vista si configuri la nostra immagine del mondo più veritiera
Massimo(Quota) (Replica)
Massimo,
>>>
e minore tollerabilità del dolore,
>>>
No, non è affatto così.
In merito riporto alcuni vecchi articoli.
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Il testosterone aumenta i livelli delle encefaline, analgesici naturali
I maschi provano meno dolore
Il testosterone attenua le sensazioni dolorose negli uomini, rendendoli meno sensibili alla sofferenza rispetto alle donne
Per molti non sarà una sorpresa: gli uomini sono meno sensibili delle donne, almeno per quanto riguarda il dolore. Alcuni ricercatori hanno scoperto che l’ormone maschile testosterone è in grado di mascherare le sensazioni disagevoli. Un simile effetto di tolleranza potrebbe aiutare gli sportivi e i soldati a mantenere la propria concentrazione durante i combattimenti, quando i livelli di testosterone sono particolarmente alti. “Se gli uomini sono meno sensibili al dolore – afferma Michaela Hau, studiosa di psicologia e comportamento animale all’Università di Princeton – c’è più stimolo a lottare e a partecipare a ulteriori combattimenti”. Hau e colleghi hanno somministrato testosterone a passeri maschi e hanno misurato i loro tempi di reazione al dolore. Gli uccelli mantenevano le loro zampe immerse in acqua a 52 °C per un tempo tre volte più lungo del normale. Un farmaco che bloccava l’effetto del testosterone, invece, rendeva i passeri sensibili più del doppio ad acqua scaldata a 48 °C, una temperatura alla quale normalmente non mostravano particolare disagio. Secondo i ricercatori, il testosterone potrebbe innescare una catena di eventi che conduce a un aumento dei livelli di analgesici naturali chiamati encefaline. il fenomeno si verifica anche negli esseri umani. M. Hau, O. A. Dominguez, H. C. Evrard, Hormones and Behaviour, pubblicato online, http://dx.doi.org/10.1016/j.yhbeh.2004.02.007 (2004).
http://lescienze.espresso.repubblica.it/ar…_dolore/1286073
Michaela Hau, Octavio A. Dominguez,and Henry C. Evrardb
Department of Ecology and Evolutionary Biology, Princeton University, Princeton, NJ
Center for Cellular and Molecular Neurobiology, Research Group in Behavioral Neuroendocrinology, University of Liege, Liege, Belgium
25 February 2004
http://www.princeton.edu/~hau/ReprintLinks…HormBehav45.pdf
Scienza: donne sopportano meno dolore degli uomini
“(ANSA) – PARIGI, 27 SET – Le donne sopportano il dolore meno degli uomini, secondo un’indagine della Societa’ francese di studio e di trattamento del dolore (Sfetd). Parto, mestruazioni, emicranie: le donne sopportano periodi molto dolorosi nel corso della loro vita, ma la soglia di percezione e di tolleranza al dolore e’ piu’ bassa rispetto a quella degli uomini. La causa, secondo lo studio, sarebbe da attribuire agli ormoni, ma anche all’educazione ( :rolleyes: ): le mamme inculcano piu’ volentieri la tolleranza al dolore ai ragazzi.”
http://www.lefigaro.fr/magazine/20071012.M…au_feminin.html
Università dell’ Iowa
7 Aprile 2008
Un recente studio dell’ Università dell’ Iowa, rivela un legame biologico tra il dolore e la fatica, e può contribuire a spiegare perché alle donne, più che agli uomini, sono diagnosticati dolore cronico, affaticamento e condizioni come la fibromialgia e la sindrome da stanchezza cronica.
Da uno studio sui ratti, i ricercatori, guidati da Kathleen Sluka, docente in Fisioterapia e Riabilitazione, UI Roy J. e Lucille A., del Carver College of Medicine, hanno riscontrato che una proteina coinvolta nel dolore muscolare, opera insieme al testosterone nella protezione contro l’affaticamento muscolare.
http://www.news-releases.uiowa.edu/2008/Ap…in_fatigue.html
Sandro(Quota) (Replica)
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Ci ammaliamo di più,
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No, Massimo, non è proprio così.
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https://www.aogoi.it/notiziario/la-salute-delle-donne-vivono-di-pi%C3%B9-ma-si-ammalano-di-pi%C3%B9-degli-uomini-ecco-la-foto-dell-istat/
Sandro(Quota) (Replica)
Ciao Massimo, Sandro ha ragione, le donne si ammalano parecchio di più.
“Negli indici denominati “aspettativa di vita in buona salute”, la percentuale di anni di vita in buona salute è significativamente più alta tra i maschi. Le donne si ammalano di più, una verità che nessuno contesta, nemmeno il femminismo.” (…) “La percentuale di anni di vita in buona salute rispetto alla vita vissuta è superiore negli uomini, tanto alla nascita come dopo i 65 anni. […] anno 2007, alla nascita gli uomini vivevano l’81,2% degli anni di speranza di vita in condizioni di buona salute rispetto al 74,8% degli anni di speranza di vita delle donne. Ai 65 anni, gli uomini vivevano il 58,2% degli anni in buona salute rispetto al 46,1% degli anni delle donne” (La grande menzogna del femminismo, pp. 625, 661)
Le implicazioni di questa asimmetria sessuale, in realtà mai approfondite, sono importanti da diversi punti di vista: dal punto di vista lavorativo, dal punto di visto del costo sanitario,…. e all’interno di un perenne “conflitto tra i sessi”, dove viene rinfacciato ogni costo e ogni danno all’altro sesso, sarebbe importante determinare il costo e il lavoro in più che gli uomini devono svolgere a beneficio delle loro donne quando sono ammalate (nel libro La grande menzogna del femminismo è approfondito ad esempio il costo dell’assenteismo lavorativo femminile rispetto a quello inferiore maschile).
santiago(Quota) (Replica)
santiago,
Chiedo scusa se vado off topic.
Santiago, conosci la situazione in Germania?
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/12/04/violenza-donne-germania-femminicidio/44612/
In questo articolo dicono che i tedeschi non riconoscono il femminicidio come reato a se stante, significa che non si sono bevuti la bufala dell’origine culturale-patriarcale del fenomeno?
Grazie
Blu(Quota) (Replica)
Ciao Blu,
La risposta alla tua seconda domanda è no.
In linea teorica quasi nessun paese ha riconosciuto il femminicidio come reato a se stante. Nel codice penale italiano non mi sembra che ci sia. Ci sono pochi paesi, come Spagna o Argentina, che puniscono in maniera diversa l’uccisione o la violenza su una donna.
Un altro discorso la prassi giudiziaria, spesso discriminatoria, malgrado la parità della legge, come avviene in Italia e anche in Germania.
Il “femminicidio” è un termine nato in Messico e promosso successivamente dall’ONU che serve soprattutto a creare la narrazione, è uno strumento di propaganda nei media, nelle scuole che creano nel nostro immaginario una visione del mondo, a tutti, ai politici e anche ai giudici, i quali, di conseguenza, emettono sentenze discriminatorie.
Il femminicidio rientra nella teoria della violenza di genere, e questa è radicata in tutti i paesi europei, in maggior o minor misura, anche in Germania. La prova, semplice, la Convenzione di Istambul è una convenzione europea, ratificata dai congressi di tutti i paesi, compreso Germania, in altre parole, anche loro si sono “bevuti la bufala dell’origine culturale-patriarcale del fenomeno”
santiago(Quota) (Replica)