- Views 22396
- Likes 1
Due anni fa Hillary Clinton, prossima presidentessa degli Stati Armati d’America, affermava che:
le donne sono state sempre le principali vittime delle guerre, perché dovevano piangere i loro mariti morti
Ora tale idiozia non va neanche commentata, ma tale affermazione ci da il tenore della statura mentale e morale di tale persona. Il punto è che se una persona ad alta visibilità pubblica può oggi fare un’affermazione del genere senza essere sprofondata nel ridicolo, significa che il terreno è “fertile” per tali fandonie di genere.
Ed in effetti in 40 anni e passa di esistenza, non mi è mai capitato di udire che “gli uomini sono le vittime principali di una guerra”, anche se è un ovvietà giacché cadono da entrambe le parti della barricata che divide civili da militari. Un’ovvietà peraltro facilmente dimostrabile con i dati, se non bastasse il buon senso.
Ed oggi, per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta da persone “de Sinistra”, mi è capitato di ascoltare la famigerata frase:
le principali vittime delle guerre sono le donne e i bambini
… frase che ovviamente assimila all’innocenza dei bambini la posizione “morale” delle donne. E quindi, per esclusione, rimangono solo dei colpevoli; i maschi adulti, ovviamente.
Tale frase, infatti, sottace un giudizio morale; che le donne siano esenti dalle colpe di una guerra al pari dei bambini, e che gli uomini adulti, morti nelle guerre, non possano godere dello stesso status di vittima, in quanto essi sono gli artefici delle guerre. Un concetto razzista, ovviamente. Osceno, eppure l’unico plausibile. A meno che, ovviamente, non si possa dimostrare effettivamente che numericamente le donne e i bambini sono le principali vittime delle guerre.
No, non ci sono alternative. O le donne sono effettivamente una componente numericamente maggioritaria delle vittime, oppure la loro vita ha semplicemente un valore umano maggiore. Delle due, una.
Ed io… Lo dico? Non dovrei dirlo, lo so. Ed io … io mi sono rotto il cazzo di sentire questa oscenità. Ebbene sì, l’ho detto!
Non è solo un falso. E’ un falso ripetuto ossessivamente, ed istituzionalmente. Ed un falso inteso a far accettare socialmente il minore valore della vita di un maschio; un maschio profilato ormai come seme del male dal femminismo post sessantottino. Ed in virtù di ciò, un maschio non titolato ad assumere il ruolo di vittima, avendo per definizione il ruolo di carnefice. Un ruolo, peraltro, scritto a chiare lettere nella Convenzione di Istanbul. Ma non divaghiamo.
A questo punto vi starete domandando: “ma magari è vero che le donne sono numericamente le principali vittime delle guerre“. Se vi ponete questa domanda è perché il processo intimidatorio verso il maschile e parimenti di vittimizzazione del femminile, vi ha ormai pervaso, sebbene sappiate benissimo dentro di voi che è una pura follia.
Ma tant’è, vi accontento, perché anche io sono un po’ San Tommaso.
Partiamo quindi dalla II Guerra Mondiale; il tributo pagato dall’Italia è stato di circa 330,000 militari e 70,000 civili. Non ci è dato sapere quanti uomini e donne, ma sappiamo che la totalità dei militari era maschile, e di conseguenza dovremmo dedurre che il 90,5% dei morti erano dei vili maschi adulti. Qualcuno obbietterà che non dobbiamo contare i militari, come non fossero vite umane. Inoltre, escludendo i militari, dovremmo escludere dai morti della II Guerra Mondiale anche i bambini. E sì, perché qualcuno forse non lo sa, o lo ha rimosso, ma le truppe tedesche negli ultimi anni ospitavano tra le loro file anche 15enni. Questi adolescenti evidentemente erano meno innocenti delle loro madri. Ammesso e non concesso di escludere i militari, non è possibile affermare che le donne fossero una componente maggioritaria. Ma di sicuro sappiamo che abbinando civili e militari i morti furono per oltre il 90% maschi.
A questo punto, per avere qualche dato più solido, non ci rimane che fare un salto nei tempi moderni, in cui la questione di genere sta tanto cara ad alcune, soprattutto all’ONU.
E proprio ai dati dell’ONU farò riferimento. In particolare farò riferimento ad “UNAMA”, costola dell’UN che si “occupa” di monitorare le morti civili negli scenari di guerra, e di promuovere azioni per salvaguardare la vita delle persone più preziose. Verificate pure quale è la componente demografica particolarmente degna di attenzione…
Ebbene, faccio riferimento al report finale sulle vittime di guerra in Afganistan (Paese in cui l’ONU ha avallato le sue missioni di Pace) del 2014, report che potete tranquillamente consultare (in inglese): “Annual Report on Protection of Civilians“. In tale report viene presentato il seguente quadro:
- A pagina 14 si documentano tra il 2009 e il 2014 17,774 morti tra i civili, di cui 3,699 nel solo 2014.
- Successivamente a pagina 27 UNAMA ci fa sapere che il 2014 ha registrato il maggiore numero di vittime civili tra le donne dal 2009; tale numero è di 298 donne morte.
- Successivamente a pagina 30 UNAMA ci fa sapere che il 2014 ha registrato il maggiore numero di vittime tra i bambini dal 2009; tale numero è di 714 bambini morti.
Innanzi tutto una precisazione: non è una mia omissione la mancanza di un dato specifico sui maschi adulti. Non esiste proprio nel report un’analisi della problematica maschile; le uniche componenti demografiche oggetto di attenzione sono quella femminile e quella infantile, in particolare la prima. Ma non voglio annoiarvi con questi dettagli androcentrico-patriarcali…
Ritornando quindi ai dati di cui sopra sono evidenti due cose:
- i bambini rappresentano il 19% delle vittime di guerra
- le donne rappresentano l’8% delle vittime di guerra
Quale sara la componente demografica che riempe il restante 73%? Chi lo sa?
Il “bello” è che tra i morti i bambini sono più del doppio delle donne adulte. Sarà per questo che si cumulano sempre “donne e bambini”? Chi lo sa?
Ma c’è di più; se assumiamo che le vittime tra i bambini siano equamente divise tra maschietti e femminucce, ebbene arriviamo alla conclusione che le vittime maschili (di tutte le età) rappresentano oltre l’82% dei morti tra i civili. Se poi, per assurdo ovviamente, facessimo l’esercizio di abbinare gli uomini con i bambini arriveremmo alla quota del 92%.
Potete immaginare un titolo di giornale che tuonasse: “tra i civili, uomini e bambini rappresentano oltre il 90% dei morti!“.
E tutto ciò senza contare i militanti, i militari, insomma, la carne da macello. Quanto sopra, solo contando i “civili”.
Mi fermo qui, e vado in chiosa.
Per voi che di fronte a questi scempi nascondete il vostro buon senso e la vostra dignità, e a voi che avete fatto della manipolazione dei dati e dell’abuso della buona fede di chi vi legge ed ascolta lo strumento per plasmare l’opinione pubblica a vostro uso e consumo, non ho che tre parole: “mi fate schifo!”
FONTE: IL REIETTO
27 Commenti
Tutto giusto. Ma se provassi a condividere l’articolo sarei ridicolizzato e rischierei di perdere amicizie, soprattutto femminili. O, nel migliore dei casi, di dover giustificarmi, difendermi. E non mi riferisco a una normale discussione (non pretendo certo di avere ragione assoluta, vorrei solo delle discussioni laiche e basate sui dati, non su sentenze apodittiche o categorie dello spirito “voi maschietti”, “quindi giustifichi gli stupratori”, “ma lo sai che muoiono millemila donne ogni tre decimi di secondo”). Sinceramente non mi va, non più. È una battaglia persa.
Daniele2(Quota) (Replica)
Daniele2,
Posso capirti. Però scusami se non ti seguo. Forse è anche una questione d’età. Passato un certo numero di anni, i miei, non me ne può fregare di meno di quello che l’universo-mondo può pensare di me.
Generalmente ci metto parecchio ad analizzare ed a metabolizzare le questioni. Ma quando parto non torno indietro.
Nella mia vita ho preso spesso decisioni che non mi sono giovate. Soprattutto sotto il profilo economico-sociale. Le ho prese coscientemente dei rischi connessi (poi puntualmente verificatisi *vava* ) e non sto li a recriminare.
Come si dice? Se uno nasce tondo non può morire quadro.
Per cui persa una “battaglia persa”, avanti tutta a perdere un’altra “battaglia persa”!
.
ps. Ovviamente quello che ho scritto è solo il mio sentire, strettamente personale, non mi permetto certo di sindacare la tua decisione.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
la fame nel mondo è un problema che riguarda esclusivamente le donne http://video.ilsole24ore.com/TMNews/2015/20150427_video_18144712/00031177-la-campagna-oxfam-per-le-donne-e-contro-la-fame-nel-mondo.php
romano(Quota) (Replica)
Luigi:
>>
Per cui persa una “battaglia persa”, avanti tutta a perdere un’altra “battaglia persa”!
>>
Il nostro è un club…
Quasi mezzo secolo fa mio fratello mi disse:
“E’ facile sapere se una causa può risultare vincente o se invece è sicuramente persa in partenza. Se la difendi tu, siamo nella seconda ipotesi…”
RDV(Quota) (Replica)
E io che dovrei dire allora, Daniè? Sono antifemminista, sto dalla parte dei palestinesi e tifo pure per la Lazio…
A Roma una volta mi avrebbero detto (ormai non è più possibile…):”Ce manca solo che sei frocio”…
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Daniele, ogni scelta ha un prezzo, sempre. Quando, ormai quasi vent’anni orsono, ci siamo imbarcati nell’impresa di dare voce agli uomini in diversi movimenti maschili, l’avevamo messo in conto. Incomprensioni, accuse fantasiose e diffamatorie, canzonature tipo “siete sfigati”.
la domada semplicissima è se siamo disposti a pagarlo. Sinceramente, approvare in privato e tacere in pubblico non è proprio, diciamo, il massimo, ma ognuno fa le sue scelte. Sappi però che, secondo me, stai sbagliando in un aspetto fondamentale. Per prima cosa perdere certe amicizie sarebbe solo salutare, una liberazione dal soffocamento del politicamente corretto. Dopo respireresti meglio. Per seconda cosa, e non credo di essere troppo ottimista, non tutte le donne apprezzano gli zerbini, quelli che danno loro sempre ragione a prescindere. Sono convinto che esistano ancora donne sane, capaci di ragionare e di essere intelletualmente oneste, capaci anche di ammirare l’assertività maschile. Idee e opinioni offerte con la giusta fermezza e naturalmente documentate, come quelle dell’articolo di cui stiamo discutendo. Donne che desiderano uomini, semplicemente.
armando(Quota) (Replica)
Fabrizio Marchi,
>>
E’ che a noi le vittorie schifano. Roba nazional-popolare.
Preferiamo la nobiltà elitaria dell’eterna sconfitta.
Sotto sotto, siamo un po’ snob.
.
(In questo senso essere laziali non è il massimo: ci sono alcune vittorie e titoli che macchiano la purezza della sconfitta infinita…
Rifiutare quei titoli sarebbe quanto mai elegante e signorile. Magari regalandoli alla Vecchia Carampana bianconera).
Rino DV(Quota) (Replica)
Cari tutti, vi ringrazio delle risposte e vorrei precisare il mio pensiero.
Premetto che considerandomi antifemminista (ovviamente non nel senso di essere contro la parità di diritti e doveri, ma credo di non doverlo qui precisare) e dunque guardo con interesse a tutti quei luoghi (pochissimi, peraltro) che cercano di andare contro questa cappa di politicamente corretto, anche se non ne condivido in toto le idee.
Il mio pessimismo non è dovuto a paure o frustrazioni personali, non ho paura di non trovare una ragazza o robe del genere, né ho paura di perdere amicizie su facebook o twitter. Ciò che intendevo è che a mio parere ormai l’egemonia culturale è tutta dalla loro, qualunque cosa a favore delle donne (spesso viste peraltro come categoria vaga ed astratta), fosse anche la più bislacca e irricevibile, viene considerata come accettabile e progressista, anche solo fare una minima osservazione (non dico nemmeno critica) provoca il vade retro con occhi vitrei, non necessariamente perché lo si creda veramente, ma per non essere a propria volta scaraventati tra i reprobi, e per una donna questo circolo vizioso funziona pure meglio (oltretutto le donne riescono a vedersi come un genere unico, i maschi sono biologicamente portati a scontrarsi tra loro per il favore delle prime). Quanti discorsi di Salvini, sostituendo la parola “italiani” con “donne” e “extracomunitari/zingari” con “uomini” verrebbero tranquillamente accettati ed applauditi? Dunque cercare di intavolare una critica (nel senso laico del termine) è fatica inutile, a vuoto, aumento senza costrutto dell’entropia dell’universo: l’unica reazione non è nemmeno di contro-critica dura, ostile ma costruttiva, ma di rifiuto assoluto, manco si trattasse del manifesto della Razza di nefasta memoria. E la cosa peggiore è che li capisco pure, coinvolgendoli li esporrei a rischi simili, quindi DEVONO reagire così.
So benissimo che non tutte le donne sono femministe da blog, che non sono né meglio né peggio degli uomini, che esistono donne “sane” e “insane” come uomini altrettanto “sani” e “insani”, che ogni persona e rapporto fra persone fa storia a sé, difatti non è questo che mi preoccupa (lo farebbe se credessi alle baggianate femministoidi). Ma che su un tema così importante le persone si siano volontariamente consegnate a un pensiero unico. E quando la servitù è volontaria non è emendabile.
Daniele2(Quota) (Replica)
>>>>>>>>>>>>>>>>>>
Ed infatti lo è.
Daniele 1 (“Strider”)(Quota) (Replica)
“gli uomini sono le vittime principali di una guerra”, ma ne sono anche i principali artefici. Secondo me il punto non è tanto stabilire la percentuale di uomini e di donne che muoiono a causa della guerra, piuttosto quello di capire il ruolo ricoperto dalle donne nel generare le guerre.
Credo che istintivamente l’uomo combatta i suoi simili esattamente come accade nel regno animale: per estendere i propri domini e per accaparrarsi i territori migliori. L’uomo più potente ha diritto di scegliere le donne migliori, per cui credo che la donna rivesta un ruolo rilevante ma per via indiretta.
La guerra resta un un evento prettamente maschile, bisogna ragionare quindi su altre basi. Quante donne muoiono in guerra o a causa di essa? Quante donne sono parte attiva nel compimento di una guerra? Sicuramente in percentuali molto basse, ma credo che tra le due, sia più basso il numero di donne che attivamente partecipano alle guerre.
Andrea(Quota) (Replica)
Andrea,
Se è per questo, tutto quello che vediamo, anche nel bene, è opera maschile. E allora rivendichiamolo, questo bene, eccheccazzo. O dobbiamo continuare a cospargerci il capo di cenere ? Insomma se le donne non hanno fatto il male non hanno fatto nemmeno il bene, come a dire che sarebbero state completamente ininfluenti? Possibile? Non credo. Certo non un elogio, la certificazione dell’ininfluenza nel mondo.
Armando(Quota) (Replica)
Andrea, in pratica dici “visto che chi dichiara guerra ha un cromosoma in comune con te, allora sei coinvolto nella decisione, mentre una donna, che non ha quel cromosoma in comune, è totalmente innocente, solo per i geni che porta”. Questo, vocabolario alla mano, si chiama razzismo. A parte che più che i numeri assoluti andrebbe vista la probabilità che una donna al potere causi una guerra (e pensando alle varie regine Vittoria, Madeleine Albright, Condoleezza Rice, etc. è più o meno uguale a quella degli uomini), perché concentrarsi sul cromosoma Y dei guerrafondai (di non tutti, per altro) e non su quello che determina il colore della pelle? Questo sarebbe riconosciuto universalmente come razzismo. Riflettici.
Daniele2(Quota) (Replica)
Ci sono state guerre che andavano combattute però.
Il concetto di “uso della forza se uno mi attacca” secondo me va ribadito. Gli uomini combattono le guerre, alcune sono state sacrosante e ringraziamo il cielo che sono state combattute.
Principe delle Asturie(Quota) (Replica)
.
Anche le guerre contro un oppressore, interno o esterno sono sacrosante.
Secondo me Andrea sull’argomento fa una lettura speculare alle femministe: una lettura di genere.
Mischiando chi, con le buone o con le cattive è stato tirato dentro, con chi invece le ha scientemente programmate.
Mentre il discrimine principale è sempre la classe. Ed infatti quando nella classe dominante è toccato ad una donna “dare le carte” ha continuato a perseguire gli interessi della sua classe, non del suo genere.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Va anche considerato che a causare o innescare un conflitto le motivazioni, gli interessi e le concause che si intrecciano sono molteplici e intrecciati fra di loro. Chi materialmente firma la dichiarazione di guerra o chi materialmente parte all’assalto è influenzato da diversi fattori. Basta pensare alle tipologie di interventisti nelle ultime guerre. Le donne, pur scena autorità erano tutte pacifiste? Non mi par proprio. Anche quando non avevano le carte in mano.
Rita(Quota) (Replica)
Andrea: Quante donne sono parte attiva nel compimento di una guerra? Sicuramente in percentuali molto basse, ma credo che tra le due, sia più basso il numero di donne che attivamente partecipano alle guerre.
____
Stai trascurando un aspetto, quanto meno cruciale, ovvero, quanti uomini posti di fronte ad un’alternativa (mi “pare” che in passato il reclutamento era obbligatorio), che non fosse la fame o l’esclusione sociale (quando non la galera), avrebbero scelto la trincea?
Se poi ti soffermi qualche minuto a riflettere sul “biasimo sociale”, hai già trovato il ruolo “attivo” delle donne in guerra: armiamoci…e partite!
Animus(Quota) (Replica)
Concordo sia con Rita che con Animus.
Vorrei però puntualizzare meglio il mio precedente commento.
Andrea probabilmente fa sua la visione attualmente dominante, non ristretta al tema “guerra”, che vede lo stato di natura solo come “homo homini lupus“.
Che lo faccia un sistema ultra-capitalistico che vuole eternizzarsi come unica e sola alternativa non mi meraviglia.
Mi meraviglia invece che venga fatto proprio anche da chi in teoria avversa quel sistema (non è probabilmente il caso di Andrea ).
Lo stato di natura però non è solamente quello propinatoci da questa visione. Lo stato naturale è ben più complesso e l’egoismo sotteso alla visione dell'”homo homini lupus” si alterna all'”homo cooperativus”. Questi due stati coesistono e sono imprescindibili uno dall’altro, trattandosi di tecniche che l’evoluzione ha affinato per consentire la sopravvivenza della specie. E che entrano in azione, ora uno ora l’altro a seconda delle convenienze di sopravvivenza. D’altra parte gli stessi lupi “incriminati” da Plauto sappiamo essere animali estremamente cooperativi nell’ambito del proprio gruppo.
Chi nega questa visione integrale dello “stato di natura” di converso dovrebbe ammettere allora che noi non siamo i soli “animali culturali”.
In quest’ultima categoria dovrebbe farci entrare, ad esempio, api o formiche ….
Ma non mi sembra che qualcuno l’abbia mai fatto.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Questo è un brano tratto da IL MITO DEL POTERE MASCHILE.
———————————————
>>>>
La Guerra Civile: uomini come cittadini di seconda classe
>
Negli Stati Uniti, durante la Guerra Civile, due gruppi riuscirono a evitare la chiamata alle armi: le femmine e i maschi della classe superiore. Sotto questo aspetto, qualsiasi femmina valeva quanto un maschio della classe superiore.
A parte il fatto che persino gli uomini della classe superiore dovevano comprarsi la possibilità di scampare alla morte. E per questo pagavano 300 dollari[10] (circa 5400 dollari di oggi)[11] a un poveretto che, in questo modo, permetteva alla famiglia di sopravvivere mentre lui rischiava la vita. Il concetto di sé del povero – secondo cui non valeva nulla se restava povero – era preso alla lettera. Il diventare carne da cannone almeno faceva sì che valesse qualcosa per qualcuno.
Perché il maschio della classe superiore poteva permettersi di evitare la Guerra Civile? Perché aveva la capacità di salvare la comunità in altri modi, fornendo munizioni o generi alimentari, producendo messi grazie alle proprietà e agli schiavi che possedeva (che sarebbero diventati improduttivi se fosse andato in guerra, o mai più produttivi se non fosse tornato dalla guerra). Il maschio della classe superiore non aveva il privilegio di evitare il ruolo del salvatore, ma unicamente il privilegio di assumere quel ruolo in vari modi. Ereditava comunque il dovere di salvare, e non l’opzione di essere libero di non farlo. Né ereditava l’opzione di farsi salvare da una donna.
Durante la Guerra Civile il governo approvò il Conscription Act[12] che in sostanza permetteva il commercio degli schiavi. Più di mezzo milione di uomini, per l’esattezza 623.026, furono uccisi nella Guerra Civile,[13] il che equivarrebbe a undici guerre nel Vietnam. Proviamo a immaginare undici guerre del Vietnam in fila, in cui siano chiamate a combattere solamente le donne, e da cui 620.000 soldatesse – vostre sorelle, madri, figlie – tornassero a casa in una bara.
Quella guerra fu «roba da uomini»? Niente affatto. Le donne «disapprovavano» gli uomini che non andavano a combattere.[14] Nel Sud, gli uomini raramente andavano alla ricerca di sostituti perché, come spiegava un serial sulla Guerra Civile, che vinse anche un premio: «Le donne non lo avrebbero mai permesso».[15]
Ben poche erano le donne disposte a sposare un uomo che aveva «paura» di combattere.
Ecco un’altra lezione: se gli uomini davvero amassero tanto la guerra, perché manifestarono contro la leva nel 1860? Come mai tanti uomini del Nord rischiarono l’ostracismo pubblicando annunci sui giornali per trovare dei sostituti? Tuttora gli uomini sono accolti con fischi e uova marce se sono riusciti a evitare la guerra. Provate a chiederlo a Dan Quayle, a Bill Clinton…
Ovviamente non mancano i giovani che non vedono l’ora di andare in guerra. Se delle ragazze delle classi più povere e bisognose si facessero tagliare gambe e braccia per procurare 5000 dollari all’anno in più alla famiglia, le definiremmo delle sante. Nel caso dei giovani parliamo di «machismo».
Ai tempi della Guerra Civile, come accade in quasi tutte le guerre, entrambi i sessi credevano nei principi per i quali la loro parte combatteva. Uno di quei principi era la liberazione degli schiavi neri. In sostanza, degli schiavi bianchi combattevano per affrancare degli schiavi neri. Da tempo abbiamo riconosciuto la schiavitù dei neri. Non abbiamo ancora riconosciuto la schiavitù dei maschi.
Sotto questi aspetti, nessun uomo era pari a una donna: nessun uomo, di nessuna classe sociale, poteva aspettarsi che una donna lo salvasse da un attacco. O dalla fame. E durante la I Fase, attacchi e fame erano le principali paure. Gli uomini erano dunque cittadini di seconda classe. I ragazzi morivano prima dell’età della ragione, prima di avere diritto al voto.
Se di buon grado delle ragazze avessero rischiato la vita nella Guerra Civile in cambio di un mucchietto di medaglie, immediatamente avremmo riconosciuto nella poca stima di sé una questione femminile. Dei ragazzi rischiarono, eppure un best seller femminista degli Anni Novanta, Revolution from Wìthin di Gloria Steinem, afferma che la poca stima di sé è una questione femminile.[16] La poca stima di sé è anche una questione maschile conseguenza della versione maschile del cittadino di seconda classe. La nostra capacità di sollevare tale questione è un privilegio della II Fase; sollevarla solamente per un sesso è sessismo della II Fase.
Quando le storiche femministe definiscono «classe di guerrieri» e «classe di élite» questa classe di schiavi,[17] ignorano questo punto di vista: i guerrieri non erano tanto una classe d’élite quanto una classe di morti.
>>>>>
—————————————
>>>>>
Quella guerra fu «roba da uomini»? Niente affatto. Le donne «disapprovavano» gli uomini che non andavano a combattere.[14] Nel Sud, gli uomini raramente andavano alla ricerca di sostituti perché, come spiegava un serial sulla Guerra Civile, che vinse anche un premio: «Le donne non lo avrebbero mai permesso».[15]
>>>>>
>>>>>
Ben poche erano le donne disposte a sposare un uomo che aveva «paura» di combattere.
>>>>>
(…)
Sandro D.(Quota) (Replica)
Sono ripetitiva, ma giova qui ricordare la poesia Glory Of Women del grande poeta inglese Siegfried Sassoon sul tema:
Voi ci amate quando noi siamo eroi, a casa, in licenza,
O feriti in qualche posto importante.
Voi amate le onorificenze, credete
Che la cavalleria redima dalla disgrazia della guerra.
Ci rendete bombe. Ascoltate con piacere,
Storie di sporcizia e pericolo teneramente emozionate,
Voi onorate i nostri lontani impeti mentre noi combattiamo,
E piangete le nostre memorie coronate d’alloro quando veniamo uccisi.
Non potete credere che le truppe britanniche “si ritirano”
Quando l’ultimo orrore infernale le spezza, e loro corrono,
calpestando i corpi terribili – accecati dal sangue.
O madre tedesca che stai sognando vicino al camino,
Mentre stai facendo le calze da mandare a tuo figlio
Il suo viso è calpestato più profondamente nel fango
Rita(Quota) (Replica)
Daniele. Il concetto che ho espresso non si chiama razzismo, bensì matematica o meglio, statistica. E’ tutto ben spiegato nell’articolo successivo “Ci sono 3 modi per dire le bugie….”
Luigi Corvaglia e Animus. Ne faccio una lettura di genere semplicemente perché l’articolo si basa su un’interpretazione di genere. E’ normale quindi ragionare sugli stessi termini. A parte che certi comportamenti, sono appannaggio di uno dei due sessi, come il voyeurismo ad esempio, molto più maschile che femminile, per cui non è sbagliato in assoluto fare distinzioni di genere. Per quanto riguarda le guerre ci sono interazioni molto più complesse, sicuramente entrano in gioco fattori anche istintivi di conquista e prestigio, non è certo semplice come per il voyeurismo. Non entro nel merito dell’ analisi storica perché non ne ho i mezzi, volevo semplicemente correggere un’impostazione a mio avviso errata dell’articolo.
Banalmente, se diciamo che i rottweiler sono più pericolosi dei pastori tedeschi, dobbiamo innanzitutto capire quanti esemplari delle due razze sono detenuti e quanti casi di aggressione sono stati registrati. Per essere ancora più precisi bisognerebbe avere sottomano ulteriori dati, fascia sociale del proprietario, luogo di detenzione ecc..
Su 100 rottweiler, se 10 hanno azzannato un passante e se su 10 pastori tedeschi, uno ha azzannato un passante, non si può certo affermare che i primi siano più pericolosi dei secondi.
Il discorso lo si può adattare alle guerre e cercare di trarne qualche spunto interessante. Per cui non faccio mia nessuna visione dominante, di contro potrei pensare che Luigi faccia sua una visione maschilista. Invece vorrei andare oltre.
Sono d’accordo con “Lo stato naturale è ben più complesso e l’egoismo sotteso alla visione dell’”homo homini lupus” ed è proprio per questo che bisognerebbe avere una visione più ampia. Sicuramente la violenza e l’aggressività sono anche femminili, basta vedere tutti i casi di maestre che maltrattano i bambini o le violenze psicologiche di cui sono capaci, bisognerebbe capire quindi meglio il ruolo della donna nelle guerre e di conseguenza fare le corrette deduzioni.
Andrea(Quota) (Replica)
Il fatto è che finché la Storia viene letta in apparenza, finché si pensa che il vero potere stia nella spada, nella borsa, nel libro e nella poltrona, risulta difficile – se non impossibile – contrastare l’evidenza, perché non si può negare che quegli strumenti sono stati quasi totalmente in mani maschili.
Finché la violenza si intende (solo) quella visibile, quella punita dal codice penale e non (anche) quella invisibile – di cui la prima è, in sostanza, pura manifestazione – non si può cacciar via le femmine dal trono morale sul quale stanno sedute, perché la violenza maschile è molto più visibile e non può essere negata.
L’autorità morale femminile è una autorità usurpata, perché fondata su una impotenza femminile che non è mai esistita e su una innocenza che parimenti non può esistere. Nondimeno, oggi le femmine hanno questa autorità. Da qui si vede che l’interpretazione materialistica della Storia deve essere superata, altrimenti non si viene a capo di nulla.
Non si vedono né il potere occulto, né le malefatte femminili e nemmeno tutto il resto.
Sandro D.(Quota) (Replica)
L’altro giorno sono andata a vedere un film “Child44” ambientato nella Russia sovietica dei primi anni cinquanta. Ora non è tanto importante la trama, lo scopo del film, chi è interessato lo può cercare. Quel che mi ha colpito è stata una scena in particolare. Un bambino viene ucciso e il regime impone di far passare l’omicidio per un incidente ferroviario, perché in Paradiso non vi sono omicidi. Vi si vede il padre, disperato perché sa benissimo che suo figlio è stato ucciso e il suo compagno-collega, incaricato di leggergli il rapporto di polizia che lo calma spiegandogli che non può fare niente, il bambino riposa in pace. A questo punto la moglie (e mamma del bambino) esplode in un urlo disperato rivolgendosi al marito “mio figlio è stato massacrato e tu non fai niente!!” . Al di là del bene e del male, al di là del giusto (in quel caso) o dell’ingiusto, è lei, addolorata dalla perdita del figlio (come del resto il padre) che lo incita alla ricerca della verità, ma lo incita anche a farsi giustizia o potrebbe incitarlo anche alla vendetta. Non vorrei essere fraintesa, ho conosciuto anche episodi in cui, al contrario, erano le mogli (o le donne) che tentavano di frenare inutili violenze (se pur giuste) per evitare danni peggiori, ma in ogni caso difficilmente si vede il contrario. Perlomeno io non l’ho mai visto, né nella vita reale, né in letteratura o nella rappresentazione cinematografica. Non si vede mai un uomo che incita una donna a commettere una violenza (ripeto indidpendentemente dal fatto che quell’atto di forza possa essere nel giusto o ristabilire un equilibrio). Chissà se mi sono capita
Rita(Quota) (Replica)
Sandro D.,
“Da qui si vede che l’interpretazione materialistica della Storia deve essere superata, altrimenti non si viene a capo di nulla.
Non si vedono né il potere occulto, né le malefatte femminili e nemmeno tutto il resto”. (Sandro D)
L’interpretazione materialistica della storia, caro Sandro, è servita proprio a svelare le tante menzogne che si celavano dietro alle ideologie (falsa coscienza necessaria) che hanno dominato per millenni. Il materialismo storico è forse l’”ideologia più anti ideologica” che abbia mai fatto la sua comparsa, anche se può sembrare paradossale (anche perché è stata trasformata essa stessa in una sorta di religione, seppur secolarizzata).
Le menzogne (ideologiche) ad esempio di chi ha sostenuto che l’ordine sociale era di derivazione divina, e che per questo lo stato delle cose era immodificabile. Oggi la neoideologia che sta alle spalle del capitalismo assoluto attualmente dominante sta facendo esattamente la stessa operazione, anche se in versione ipermaterialistica (non in senso marxiano, ovviamente) e secolarizzata. Il capitalismo non sarebbe una forma storica dell’agire umano, come abbiamo ripetuto tante volte, ma una vera e propria condizione ontologica (naturalizzazione del capitalismo), dalla quale è impossibile fuoriuscire per ovvie ragioni. Siamo forse di fronte all’ideologia più potente, paradossalmente proprio quella che predica la fine delle ideologie…
Quindi non si tratta di superare in toto l’approccio materialistico ma di capire che la sociologia e l’economia non bastano più ad interpretare correttamente la realtà in tutta la sua complessità e che ci sono altri territori da esplorare e da indagare – esattamente quello che stiamo facendo noi – che vanno ad intersecarsi con quelle altre di cui sopra e che a volte addirittura arrivano a sovradeterminarle. Il femminismo è un caso emblematico in tal senso.
Attenzione però a non cadere nell’errore opposto, proprio in virtù della complessità della realtà di cui sopra. Stiamo seduti sule spalle di giganti, come abbiamo detto tante volte, e proprio per questo noi, modesti manovali del pensiero, possiamo guardare più in là, dove quelli non potevano vedere…
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Lo posto quì perchè si parla di Hilary Clinton (a proposito, notate che continua a farsi chiamare col cognome del marito e non col proprio? In questo caso non c’è sessismo, perchè conviene).
L’occasione è il “2015 Women in the world summit”. Hillary sta parlando di quanto secondo lei ancora non va: “deep-seated cultural codes, religious beliefs, and structural biases have to be changed”. Tradotto: “Codici culturali profondamente radicati, credenze religiose, e condizionamenti strutturali dovranno essere cambiati”.
Ed ancora, tradotto:
. “Le leggi non contano molto se non sono imposte con la forza non solo sulla carta ma in pratica, e le decisioni devono essere messe in atto con risorse e volontà politica”.
Insomma, quando sarà presidentessa varerà leggi che dovranno cambiare, anche con la forza, codici culturali e credenze religiose radicate. Significa che non si potrà parlare contro il mainstream e contro le leggi. Ecco la libertà di pensiero che il femminimso vuole imporre: liberi di essere d’accordo e di assentire.
armando(Quota) (Replica)
Miss Italia: «Avrei voluto vivere la II Guerra Mondiale, tanto da donna non avrei fatto il militare»
http://video.corriere.it/miss-italia-avrei-voluto-vivere-ii-guerra-mondiale-tanto-donna-non-avrei-fatto-militare/9dc4f714-604a-11e5-9acb-71d039ed2d70
romano(Quota) (Replica)
romano,
Si, nel merito ho appena pubblicato un articolo nello spazio degli editoriali…
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
A proposito di guerra e di “prime” vittime di essa, segnalo questo bell’articolo nel centesimo anniversario della battaglia della Somme, un vero e proprio macello orrendo in spregio anche ad ogni principio che un tempo ispirava i comandanti degli eserciti, quello di salvaguardare per quanto possibile la vita dei propri uomini. In quel caso fu fatto, ad opera dei civilissimi inglesi, esattamente il contrario. Inutile dire chi furono le decine e decine di migliaia di vittime: i soliti contadini, artigiani, piccoli borghesi, maschi, ovviamente.http://sakeritalia.it/militaria/1-luglio-1916-battaglia-della-somme-la-grande-spinta-in-avanti-omicida-del-generale-haig/
ARMANDO(Quota) (Replica)